Riduzione ex lege canone di locazione e diritto di recesso del locatore

03 Dicembre 2018

Il Tribunale di Milano nel risolvere una fattispecie riguardante la legittimità della disciplina normativa che attraverso la tecnica dell'inserimento automatico del nuovo corrispettivo, prevede la riduzione del canone locatizio per i contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle amministrazioni centrali...
Massima

La riduzione del canone di locazione nella misura prevista dall'art. 3, comma 4, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 inserita automaticamente ai sensi dell'art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, nei contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle amministrazioni centrali individuate dall'Istituto nazionale di statistica, è legittima, attesa la concessione ex lege della facoltà per il locatore di recedere dal contratto di locazione.

Il caso

Una società proprietaria di un'immobile condotto in locazione da Esatri spa che, a seguito di cambio della denominazione sociale in Equitalia Esatri s.p.a. e di fusione per incorporazione in Equitalia Nord s.p.a., chiede la condanna di quest'ultima al pagamento della somma dovuta a titolo di residuo importo del canone di locazione convenzionale precedentemente convenuto e del relativo aggiornamento Istat fino alla data di cessazione del rapporto.

Equitalia Nord s.p.a. si oppone alla richiesta attorea, adducendo di non essere tenuta al pagamento dell'adeguamento del canone ai sensi dell'art. 3 del d.l. n. 95/2012, in quanto era stata inserita nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione redatto dall'Istat, ai sensi della l. n. 196/2009, e che a decorrere dalla data di rinnovo del rapporto locatizio avrebbe corrisposto il canone nella misura ridotta del 15%, ai sensi dell'art. 3, comma 4, d.l. n. 95/2012.

La questione

La duplice questione affrontata dal giudice milanese attiene all'applicabilità al rapporto dedotto in lite, anche sotto il profilo della legittimità in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 53 e 97 Cost., dell'art. 3, comma 4, del d.l. n. 95/2012, convertito in l. n. 135/2012, laddove stabilisce la riduzione del 15% del canone negoziale ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 3, della l. 31 dicembre 2009, n. 196, e, del comma 1 dello stesso art. 3 del d.l. n.95/2012, riguardante il blocco dell'adeguamento automatico dei canoni nei periodi considerati nell'atto introduttivo della lite.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale rigetta integralmente la domanda attorea, rilevando la pacifica applicabilità al rapporto dedotto in lite della riduzione del canone locatizio stabilita dall'art. 3, comma 4, del d.l. n. 95/2012, convertito in l. 135/2012, e della disapplicazione della disposizione che prevede l'adeguamento Istat del canone, di cui al comma 1 della citata disposizione normativa, atteso da un lato che il Gruppo Equitalia è elencato tra le amministrazioni pubbliche centrali inserite nel conto economico consolidato redatto dall'Istat ai sensi della l. n. 196/2009, alle quali si applica l'art. 3 del d.l. n. 95/2012, e, dall'altro, che la conduttrice, dall'inizio del rapporto fino alla sua cessazione è sempre stata una società per azioni, anche a seguito della fusione per incorporazione - che si risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che quindi conserva la propria identità - ed in quanto tale, rimane assoggettata alle regole del diritto privato. Pertanto, il fatto che il soggetto risultante dalla fusione per incorporazione sia diventata una società a partecipazione pubblica non ne ha mutato la natura giuridica, ma ciò non vieta come anche nei rapporti di durata tra privati, che la relativa disciplina possa subire modifiche per effetto dello jus superveniens.

Il Tribunale disattende altresì le censure di illegittimità costituzionale prospettate nel ricorso introduttivo

alla luce della ratio legis sottostante alle norme innanzi richiamate, di porre limiti all'iniziativa economica privata ed alla proprietà privata che non appaiono irragionevoli, perché giustificati dall'esigenza di contenimento della spesa pubblica, sorta per effetto della crisi economica verificatasi negli anni recenti, che ha indotto l'adozione di una serie di provvedimenti finalizzati alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, in un'ottica di contemperamento e bilanciamento di interessi aventi tutti pari rilevanza costituzionale, stante l'obbligo, sancito dall'art. 97, comma 1, Cost., di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione Europea e con la necessità di rispettare gli impegni assunti con il Patto di bilancio europeo.

Osservazioni

La sentenza in epigrafe riguarda una fattispecie in cui il legislatore ha introdotto al contratto di locazione stipulato dalle parti in regime di diritto privato, e, quindi, all'esito di una libera contrattazione di mercato, una riduzione imperativa del canone, con una norma che richiama la tecnica dell'inserimento automatico del nuovo corrispettivo della locazione ex art. 1339 c.c., norma che attiene invece ai prezzi imposti ex lege.

Infatti, l'art. 3 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, rubricato razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive al comma 4 prevede espressamente che la riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore.

La giustificazione della decurtazione del canone è sostanzialmente incentrata dal legislatore sull'eccezionalità della situazione economica nazionale, e delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica meglio noti con l'appellativo di spending review.

La Corte Costituzionale ha affrontato diverse volte il problema della legittimità costituzionale di leggi dichiaratamente “emergenziali”, richiamando i concetti di “ragionevole legame” con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della CEDU, e di “serio ristoro”, richiesto dalla stessa giurisprudenza costituzionale, evidenziando che la ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dall'imposizione fiscale, e che il legittimo sacrificio che può essere imposto in nome dell'interesse pubblico non può giungere sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà.

In dottrina (Gambaro), si è infatti precisato che il nucleo di facoltà coessenziali all'essenza stessa del diritto di proprietà possono essere compresse dal legislatore ordinario in ragione delle esigenze prevalenti della collettività, ma non fino al punto da privare il titolare di qualsiasi utilità o potere connaturati con il normale godimento del bene.

Ciò posto, nel caso in esame i sacrifici imposti alla libertà negoziale ed alla proprietà privata trovano allora un adeguato bilanciamento nel riconoscimento, in favore del locatore che subisce la riduzione del canone, del diritto a recedere dal rapporto, senza necessità di rispettare un termine di preavviso, in base ad una libera valutazione di convenienza in merito alla conservazione ovvero alla cessazione del contratto alle mutate condizioni economiche.

Infatti, in occasione di un'altra pronuncia di merito vertente su analoga questione - Trib. Torino, 28 gennaio 2016,in cui si affronta anche la questione del preavviso che a parere dello stesso giudice non sarebbe necessario in quanto non contemplato ex lege nella stessa disposizione normativa di cui si discorre, e perché, se la disposizione di cui all'art. 3, comma 4, del d.l. n. 95/2012 venisse interpretata nel senso di obbligare il privato proprietario di un immobile concesso in locazione alla Pubblica Amministrazione a percepire soltanto l'85% dell'importo liberamente concordato in sede di stipulazione del contratto di locazione, addirittura senza rivalutazione Istat, fino alla data di scadenza del contratto, ossia per un arco temporale che in astratto potrebbe durare sino ai sei anni, durata minima del contratto a norma dell'art. 27, comma 1, della l. n. 392/1978, allora vi sarebbe il fondato sospetto della sua illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 42 Cost. - pure richiamata dal giudice milanese nella pronuncia che si annota, si precisava che la concessione della facoltà per il locatore di recedere dal contratto di locazione costituisce il dovuto bilanciamento rispetto alla riduzione automatica, e senza possibilità di una differente pattuizione tra le parti, della misura del canone di locazione nella misura del 15%.

L'espressa previsione da parte del legislatore della facoltà per il locatore di recedere dal contratto, senza dover attendere la scadenza naturale dell'accordo, ha l'effetto di realizzare un equilibrio tra l'interesse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà perché il sacrificio imposto al locatore non è più assoluto, e, comunque, quest'ultimo resta arbitro di decidere se continuare a percepire un canone di locazione nella misura ridotta del 15% ovvero mantenere inalterato il valore del suo diritto di proprietà collocando l'immobile sul libero mercato.

In tale ottica, va quindi opportunamente considerata la circostanza che il locatore possa ritenere più vantaggioso proseguire il rapporto di locazione, sia pure a condizioni meno vantaggiose, piuttosto che rimetterlo sul mercato, a causa della difficoltà pratica di reperire un nuovo conduttore disponibile a pagare un canone analogo a quello originariamente pattuito la quale, tuttavia, va allegata e, quindi provata, tenuto altresì conto delle variabili in punto di mero fatto e contingenti da cui tale scelta dipende rispetto alla domanda di mercato in relazione allo specifico bene immobile.

La pronuncia in epigrafe, è un'occasione anche per chiarire se la norma di cui all'art. 3 del d.l. n. 95/2012 possa trovare applicazione anche ai contratti di locazione stipulati tra le pubbliche amministrazioni.

L'interpretazione letterale della disposizione normativa sopra richiamata, che impone la riduzione dei canoni riferendosi genericamente ai contratti di locazione passiva stipulati dalle amministrazioni, senza fornire ulteriori precisazioni, ha già portato la magistratura contabile ad affermare che la riduzione in parola debba essere disposta anche nell'ipotesi di locazioni stipulate con altre Amministrazioni pubbliche, anche territoriali, proprietarie dell'immobile concesso in locazione.

Ebbene, se la legge avesse voluto escludere anche solo talune amministrazioni pubbliche dall'applicazione della disposizione in esame, lo avrebbe fatto in modo espresso, non diversamente da quanto stabilito dall'art. 1, comma 478, della l. 23 dicembre 2005, n.266, che, dettato dalle medesime esigenze di contenimento della spesa pubblica per locazioni passive, ha circoscritto la riduzione del canone ai soli «contratti di locazione stipulati dalle amministrazioni dello Stato per proprie esigenze allocative con proprietari privati» (Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l'Emilia Romagna, deliberazione n. 155/2017/PAR del 24 ottobre 2017).

Infatti, investita della questione, la Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte della Corte dei Conti (deliberazione n. 76/2015/SRCPIE/PAR del 21 maggio 2015) ha ritenuto applicabile la norma controversa anche ai contratti di locazione stipulati tra pubbliche amministrazioni, aderendo pedissequamente alla deliberazione n. 285/2014 della Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia del 15 ottobre 2014, secondo cui l'interpretazione letterale della norma di cui si discute riferendosi genericamente ai contratti di locazione passiva stipulati dalle amministrazioni centrali, senza fornire ulteriori precisazioni, porta ad affermare che la riduzione in parola debba essere disposta anche nell'ipotesi di locazioni stipulate con altre amministrazioni pubbliche, anche territoriali, proprietarie dell'immobile locato.

Altra ipotesi, anch'essa meritevole, di approfondimento, è quella dell'occupazione sine titulo dell'immobile, detenuti dalla p.a. in assenza di un rinnovo del contratto di locazione.

La questione è stata affrontata dalla Sezione Centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti (deliberazione n. SCCLEG/18/2015/SUCC del 21 luglio 2015), in occasione di una questione concernente la concreta applicazione di due norme succedutesi nel tempo (art. 1, comma 478, l. n. 266/2005 e art.1, comma 4, d.l. n. 95/2012), entrambe riguardanti il contenimento dei costi sostenuti dalle amministrazioni per i canoni di locazioni passive, qualora si versi in ipotesi di utilizzo di immobili per fini istituzionali in assenza di contratto in corso di validità, concludendo per l'applicabilità del comma 4 ex art. 3 del d.l. n. 95/2012 il quale ha preso in considerazione tutte indistintamente le ipotesi locatizie, stabilendo una generale riduzione del 15%, seppure distinguendo le varie fattispecie giuridiche e assegnando ad ognuna di esse una specifica decorrenza.

Guida all'approfondimento

Alpa - Bessone,Poteri dei privati e statuto della proprietà, II, Padova, 1980;

Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1990, 212;

Costantino, La proprietà, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 7, Torino, 1982, 215;

Mangiameli, La proprietà privata nella costituzione, Milano, 1986.

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