L'assenza ingiustificata del difensore d'ufficio all'udienza integra un illecito deontologico

10 Dicembre 2018

Le questioni giuridiche esaminate dal Consiglio Nazionale Forense nella pronuncia in commento riguardano, da un lato, gli effetti sulla decisione assunta dal COA all'esito di un giudizio disciplinare di una motivazione inadeguata e/o carente e, dall'altro, al se l'ingiustificata assenza del difensore d'ufficio all'udienza, che non abbia prodotto conseguenze negative per la parte assistita, integri o meno un illecito deontologico.
Massima

Integra illecito deontologico il comportamento del difensore d'ufficio di turno che, senza addurre né comprovare un legittimo impedimento, non partecipi – personalmente o tramite un proprio sostituto – all'udienza comunicatagli per tempo; tale condotta, peraltro, non può ritenersi scriminata dal fatto che nessun pregiudizio sia derivato all'assistito, potendo ciò rilevare, semmai, ai fini di una eventuale riduzione della sanzione disciplinare.

Il caso

A seguito della segnalazione da parte del tribunale per i Minorenni di Milano, il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Milano (di seguito “COA”) procedeva nei confronti di un difensore d'ufficio che non aveva presenziato ad un'udienza dinanzi al medesimo Tribunale senza addurre alcuna giustificazione circa la propria assenza. Il COA contestava all'incolpato la violazione del dovere di diligenza di cui all'art. 8 codice deontologico forense e l'inadempimento del mandato ex art. 38 coside deontologico forense. Il COA all'esito del giudizio disciplinare riconosceva l'integrazione degli illeciti contestati e infliggeva all'avvocato la sanzione disciplinare dell'ammonimento. L'avvocato impugnava la decisione chiedendo nel merito di dichiarare che il fatto contestatogli non costituiva illecito disciplinare per la mancanza di elementi deontologicamente rilevanti con conseguente archiviazione del procedimento. Nello specifico l'avvocato lamentava la totale mancanza di motivazione del provvedimento impugnato e attribuiva la propria assenza all'udienza ad un mero disguido organizzativo che dipendeva da un forte stress psicologico che lo affliggeva all'epoca dei fatti. Ad ogni modo l'avvocato segnalava la mancanza di qualsiasi pregiudizio per la parte dall'assenza all'udienza nonché la propria correttezza ultraventennale nelle varie difese d'ufficio.

La questione

Le questioni giuridiche esaminate dalla pronuncia in commento riguardano, da un lato, gli effetti sulla decisione assunta dal COA all'esito di un giudizio disciplinare di una motivazione inadeguata e/o carente e, dall'altro, al se l'ingiustificata assenza del difensore d'ufficio all'udienza, che non abbia prodotto conseguenze negative per la parte assistita, integri o meno un illecito deontologico.

Le soluzioni giuridiche

Il CNF con la sentenza in commento ha ritenuto i motivi di ricorso proposti dall'avvocato ricorrente infondati ed ha quindi respinto il ricorso confermando il comportamento deontologicamente scorretto.

In via preliminare il CNF rileva, con riguardo alla successione temporale delle fattispecie disciplinari, che gli illeciti di cui agli artt. 8 e 38 CDF sono stati riprodotti nell'art. 12 (che non prevede un autonomo apparato sanzionatorio) e nell'art. 26 (che prevede la censura) del Nuovo Codice Deontologico.

Osserva inoltre il CNF che il motivo di ricorso principale consiste nella lamentata carenza di motivazione alla decisione del COA. In effetti, rileva il CNF che il COA in maniera lapidaria aveva dedotto che «le argomentazioni addotte dall'incolpato a propria giustificazione non possono trovare accoglimento» di talché tale enunciato non può assolvere all'obbligo di motivazione, congrua e corretta, seppure sintetica, che deve connotare il provvedimento disciplinare. Tuttavia il CNF afferma che la mancanza di adeguata motivazione non costituisce motivo di nullità della decisione del COA in quanto, alla motivazione carente, il CNF, quale giudice di appello, può apportare le integrazioni che ritiene necessarie. Infatti il CNF è competente quale giudice di legittimità e di merito e, pertanto, può sopperire ad una motivazione inadeguata, incompleta ed addirittura assente (CNF 22 dicembre 2014, n. 205 Pres. F.f. Perfetti, Rel . Sica).

Circa il merito della violazione il CNF ritiene che i precetti di cui agli artt. 12 e 26 del Nuovo Codice Deontologico non siano stati osservati dall'avvocato ricorrente. L'avvocato, motiva il CNF, ha tenuto un comportamento censurabile in quanto ha agito senza coscienza e diligenza, omettendo di dare comunicazione della sua assenza al tribunale e non preoccupandosi di incaricare un altro collega della difesa della sua assistita. Il CNF conclude pertanto con l'affermazione dell'illiceità del comportamento dell'avvocato e della sua conseguente responsabilità, alla luce della quale la sanzione dell'avvertimento inflitta dal COA viene ritenuta equa e giusta.

Osservazioni

La soluzione offerta dalla pronuncia in commento appare condivisibile anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali formatisi al riguardo.

In particolare la pronuncia in esame ritiene che l'avvocato non avesse (nel caso di specie) osservato i precetti dettati dagli artt. 12 e 26 del Nuovo Codice Deontologico.

Occorre dunque preliminarmente partire dall'analisi delle predette disposizioni. L'art. 12 impone all'avvocato di svolgere la propria attività con coscienza e diligenza. Si tratta di precetti generali, impliciti, dettati per assicurare la qualità della prestazione professionale. La coscienza, invero, rappresenta un'attribuzione personale, espressione del senso di responsabilità che deve essere costantemente presente, così come la diligenza, che è alla base di ogni rapporto giuridico. La diligenza è dunque un complesso di cure e cautele riferite a una condotta rapportata a una determinata situazione di fatto ed è il criterio di valutazione di un comportamento più che non il contenuto di un'obbligazione autonoma; e infatti vista anche nel rapporto con la correttezza e la buona fede, la diligenza si pone come criterio per valutare la conformità di un comportamento rispetto a quello dovuto, i cui limiti sono già individuati dalle norme sulla correttezza. Fissati questi contorni generali, la diligenza ha qualcosa in comune con la fedeltà, poiché l'intensità della violazione del dovere di diligenza (negligenza dolosa) può palesarsi come infedeltà; infatti, una dolosa astensione del patrocinatore dalla doverosa attività processuale può addirittura costituire patrocinio infedele (art. 380 c.p.). La diligenza poi deve essere valutata caso per caso in concreto ai fini del giudizio disciplinare sui comportamenti tenuti e nei confronti della parte assistita: la sua violazione è prevista specificamente all'art. 23 comma 3 (Adempimento del mandato) e nell'art. 30 comma 1 (Gestione di denaro altrui).

Nello specifico l'art. 26 comma 3 dispone che costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita. A tal proposito occorre osservare come la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez.Un., n. 12903/2011) abbia ritenuto che il difensore di fiducia che si assenti ad un'udienza non sia assoggettabile automaticamente a sanzione disciplinare. Infatti è stato affermato che la sola assenza ad un'udienza del difensore di fiducia non può interpretarsi come sintomo di un atto abdicativo espresso o di revoca dell'incarico, né di un comportamento di "abbandono" ai fini della concessione al difensore di ufficio del termine a difesa di cui all'art. 108 c.p.p. (Cass. civ., sez. V, n. 21889/2010). Nello stesso senso è stato ripetutamente affermato che l'ipotesi di abbandono di cui all'art. 105 c.p.p., ipotesi che espressamente radica il potere sanzionatorio dei COA, non è desumibile dal solo comportamento processuale del difensore di fiducia (anche nella ipotesi di mancata comparizione all'interrogatorio di garanzia) stante l'equivocità di un dato di mera astensione e la sua riconducibilità ad una diversa, alternativa ed insindacabile, strategia processuale (tra le tante, Cass. civ., sez. VI, n. 3968/1995 e Cass. civ., n. 6660/1997, Cass. civ., n. 1346/1997 e Cass. civ., n. 9478/1998).

Così espresse le coordinate normative e interpretative di riferimento in materia, giova rilevare come nel caso di specie l'avvocato incolpato avesse attribuito la propria assenza all'udienza dinanzi al tribunale per i minorenni ad un mero disguido organizzativo causato da un forte stress psicologico che lo affliggeva all'epoca dei fatti, evidenziando comunque la mancata produzione di effetti pregiudizievoli per la parte assistita. Quindi l'assenza dell'avvocato d'ufficio all'udienza nel caso di specie, per stessa ammissione dell'avvocato, non era riconducibile a strategia processuale bensì a distrazione e trascuratezza degli interessi della parte assistita. La trascuratezza in questione viene considerata rilevante (prima dal COA e poi) dal CNF, indipendentemente dal fatto che non ne fosse derivato un pregiudizio agli interessi della parte assistita, atteso che risultava provato che l'avvocato non avesse dato alcuna comunicazione della sua assenza al tribunale e non si fosse nemmeno preoccupato di incaricare un altro collega della difesa della sua assistita. Per tale ragione correttamente il CNF ha affermato che l'avvocato incolpato avesse tenuto un comportamento censurabile poiché aveva agito senza coscienza e diligenza.

Per quanto concerne la sanzione applicabile il CNF afferma che il Nuovo Codice Deontologico forense, sebbene informato al principio della tipizzazione “per quanto possibile” della condotta disciplinarmente rilevante, rinvia ai principi generali ed al tipo di sanzione applicabile in ipotesi che presentino, seppure parzialmente, analogie con il caso specifico. In particolare, a detta del CNF, qualora non si volesse considerare esemplificativo il comportamento posto in essere dal legale per violazione degli artt. 8 e 38 del precedente Codice Deontologico, ma solo suscettibile di ledere i principi generali di probità, diligenza, lealtà e correttezza, «potrebbe invocarsi la violazione dei principi di cui agli artt. 12 e 26 del nuovo CDF». In tal modo riconoscendo una violazione dell'art. 26 nuovo Codice deontologico, ne deriverebbe l'applicazione della sanzione della censura ipso iure per le violazioni delle disposizioni dei commi 3 e 4 del detto articolo. Tuttavia, dopo aver fornito queste precisazioni, il CNF ha concluso che, nel caso esaminato, fosse "equo e congruo" confermare la decisione del COA di Milano che aveva inflitto la sanzione dell'avvertimento.

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