Stato di abbandono del minore e decorrenza del termine per l'impugnazione

Alberto Figone
14 Dicembre 2018

Come deve interpretarsi l'art. 17 l. n. 184/1983, là dove fa decorrere il termine (di trenta giorni) per l'appello e per il ricorso per cassazione dalla notificazione della sentenza relativa allo stato di adottabilità di un minore?
Massima

Il termine di trenta giorni per interporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado sullo stato di adottabilità di un minore prende a decorrere dalla notificazione del testo integrale della sentenza da parte della cancelleria, anche se effettuata a mezzo PEC, essendo la parte gravata dell'onere di aprire le comunicazioni che pervengono all'indirizzo di posta elettronica certificata.

Il caso

La Corte d'appello revoca la dichiarazione di adottabilità di un minore pronunciata in primo grado. Ricorre per cassazione il curatore speciale del minore, ma la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso, siccome interposto dopo il termine di trenta giorni dall'intervenuta notifica a mezzo PEC della sentenza impugnata da parte della cancelleria.

La questione

Come deve interpretarsi l'art. 17 l. n. 184/1983, là dove fa decorrere il termine (di trenta giorni) per l'appello e per il ricorso per cassazione dalla notificazione della sentenza relativa allo stato di adottabilità di un minore?

Le soluzioni giuridiche

In base al principio generale di cui all'art. 326 c.p.c. i termini per le impugnazioni delle sentenze previsti nell'art. 325 c.p.c. sono perentori e decorrono, di regola, dalla notificazione della sentenza. A sua volta, l'art. 133, comma 1, c.p.c. prevede che la sentenza, una volta resa pubblica, sia comunicata dal cancelliere, normalmente tramite biglietto di cancelleria, e in oggi tramite PEC. Specifica il comma 2 che la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni (e ciò nemmeno quando venga, come di regola, trasmesso il testo integrale del provvedimento).

La data della pubblicazione costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine lungo di impugnazione, in mancanza di notificazione, di cui all'art. 327 c.p.c.. Da tanto si evince come la notificazione sia atto di parte, con la quale l'interessato, a mezzo ufficiale giudiziario o PEC, rende formalmente edotta la controparte della pronuncia giudiziale, facendo così decorrere il termine breve per l'impugnazione. Comunicazione e notificazione sono, pertanto, due strumenti diversi, anche se possono avere il medesimo oggetto. Sull'argomento è più volte intervenuta la giurisprudenza, specie in ordine ai procedimenti camerali. Si è così precisato che, in conformità ai principi del rito contenzioso, il termine di dieci giorni per interporre reclamo ex art. 739 c.p.c., nei procedimenti con più parti contrapposte (ad es. di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, piuttosto che relativi all'affidamento ed al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, ma analogo regime vale per le ordinanze presidenziali adottate in sede di separazione o divorzio) prende a decorrere dalla notificazione ad opera di una delle parti e non dalla comunicazione effettuata dalla cancelleria (Cass. 26 novembre 2002, n. 16659; Cass., S.U., 29 aprile 1997, n. 3670).

L'art. 17 l. n. 184/1983 prevede che avverso la sentenza con cui il Tribunale per i minorenni disponga lo stato di adottabilità di un minore ovvero archivi la procedura, sia ammissibile appello, da parte del pubblico ministero e delle altre parti interessate, «entro trenta giorni dalla notificazione». La stessa disciplina vale per il ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di secondo grado. In conformità dei principi generali il testo della norma individua nella “notificazione” il dies a quo per la decorrenza del termine “breve”.

La giurisprudenza da tempo ha assunto nella specifica materia dell'adottabilità un orientamento diverso rispetto a quello generale di cui si è detto, affermando che già la comunicazione della sentenza da parte della cancelleria sia idonea a far decorrere il termine per il gravame. Ciò a condizione che la comunicazione (in forma cartacea ovvero informatica) porti il testo integrale (e quindi non solo il dispositivo) della sentenza resa (Cass. 24 aprile 2018, n. 10106; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29302). Tale conclusione è giustificata dalla dedotta natura speciale della disciplina di cui all'art. 17 l. n. 184/1983, siccome rispondente ad esigenze di celerità nella definizione dello status di un minore, tanto che coerentemente, la Corte di cassazione a Sezioni Unite aveva escluso un contrasto con l'art. 24 Cost. della norma in questione, là dove prevede un termine dimidiato per il ricorso in sede di legittimità (Cass., S.U., 5 aprile 2005, n. 6985).

La sentenza in esame conferma questo indirizzo, affermando l'inammissibilità del ricorso del curatore speciale del minore, notificato oltre i trenta giorni dalla comunicazione telematica della sentenza, da parte della cancelleria della Corte d'appello.

Osservazioni

La pronuncia in commento, dopo una premessa sulle notificazioni a mezzo PEC, conferma l'orientamento in base al quale il termine di trenta giorni per il ricorso in Cassazione avverso la sentenza sullo stato di adottabilità (art. 17, comma 2, l. n. 184/1983) prende a decorrere da tale notificazione. Si è, infatti, affermato che detto principio trova la sua ratio nella preminente esigenza di dare la più rapida definizione all'assetto relativo allo stato del minore (così Cass. 26 giugno 2018, n. 16857, decisa nella stessa camera di consiglio di cui alla decisione annotata).

La soluzione lascia perplessi sul piano formale. Il cit. art. 17 fa decorrere il medesimo termine di trenta giorni per l'impugnazione della sentenza di adottabilità, resa in primo o in secondo grado, “dalla notificazione” (della sentenza stessa). Come già si è visto, la notificazione è uno strumento per rendere formalmente noto il contenuto di un atto giudiziario, ad istanza di una delle parti del procedimento; ciò la differenzia dalla comunicazione, che avviene su impulso della cancelleria. I due termini non sono dunque sinonimi, né possono ricondursi ad unità. Ove il legislatore avesse inteso far decorrere il termine breve per l'impugnazione dalla comunicazione della sentenza (nel suo testo integrale) avrebbe dovuto esplicitarlo, e dunque non fare riferimento (implicito) alla comunicazione. Tale conclusione pare vieppiù confermata a seguito delle modifiche apportate all'art. 9 l. n. 184/1983, dalla l. n. 240/2001 (di conversione del d.l. n. 150/2001). In oggi, il procedimento volto a far dichiarare l'adottabilità di un minore si apre necessariamente a seguito di ricorso del Pubblico Ministero minorile ed all'interno di esso è necessaria, tra l'altro, l'assistenza legale del minore, parte processuale e sostanziale (tramite un curatore speciale o un avvocato del minore stesso). La riforma ha quindi rafforzato la posizione di terzietà del Giudice, il quale non può più aprire d'ufficio, il procedimento, come invece era previsto in passato.

Se il procedimento di adottabilità vede in oggi parti tra loro contrapposte (il Pubblico Ministero minorile, i genitori, i parenti, il minore), dovrebbe ritenersi che il termine per l'impugnazione abbia a prendere decorrenza dalla notificazione della sentenza da una delle parti alle altre e non già dalla comunicazione. In altri termini, attributo al Pubblico Ministero minorile il ruolo di parte, dovrebbe essere onere dello stesso (o del Curatore/avvocato del minore che ne condividesse le richieste) notificare la sentenza ai genitori soccombenti, come pure viceversa, ove fosse respinta la richiesta di adottabilità.

La lettura dell'art. 17 l. n. 184/1983 stride non solo con i principi generali espressi dagli artt. 133, 325 e 326 c.p.c., ma anche con la stessa struttura del procedimento di adottabilità, all'interno del quale anche i genitori devono essere assistiti da un difensore, nominato, ove del caso, d'ufficio. Se le (più che giustificate) ragioni di celerità nella definizione dello stato di un minore impongono una riduzione dei tempi del processo, la risoluzione del dies a quo per l'impugnazione dovrebbe passare per un intervento correttivo del legislatore e non solo tramite un'interpretazione giurisprudenziale.

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