Il braccialetto elettronico: le buone intenzioni vanificate dalla scarsa disponibilità del mezzo

17 Dicembre 2018

L'art. 16, comma 1, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ha previsto che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare disciplinata dall'art. 282-bis c.p.p. può essere applicata oltre i limiti di pena disciplinati all'art. 280 c.p.p. e con l'utilizzo del c.d. braccialetto elettronico anche quando...
Abstract

L'art. 16, comma 1, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ha previsto che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare disciplinata dall'art. 282-bis c.p.p. può essere applicata oltre i limiti di pena disciplinati all'art. 280 c.p.p. e con l'utilizzo del c.d. braccialetto elettronico anche quando si procede per il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., minaccia grave ex art. 612, comma 2, c.p. e atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.

Si tratta dell'ennesima riforma del sistema delle misure cautelare, che offre l'occasione per soffermarsi sull'applicazione giurisprudenziale delle modalità di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici previste dall'art. 275-bis c.p.p.

Le “particolari modalità di controllo” degli arresti domiciliari

L'art. 275-bis c.p.p. è stato aggiunto nel codice di rito dall'art. 16 del decreto legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4. Nella versione originale questa disposizione prevedeva che, nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, «se lo ritiene necessario in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto», prescrive procedure di controllo «mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria». La stessa disposizione prosegue disciplinando l'ipotesi della mancanza di consenso del destinatario di siffatta misura all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti. In questo caso, con lo stesso provvedimento, il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.

Con la nuova norma si intendeva rendere effettivo il rispetto delle prescrizioni imposte con provvedimenti alternativi alla custodia in carcere, piuttosto che limitare il ricorso a tale misura. Con lo stesso decreto legge, difatti, sono stati introdotti commi 1-ter dell'art. 276 c.p.p. e 5-bis dell'art. 284 c.p.p., che disciplinano la trasgressione della misura cautelare domiciliare.

Per lungo tempo il ricorso a questi strumenti è stato marginale; la norma illustrata è stata sostanzialmente disapplicata, con conseguenziali polemiche sui costi di un sistema che era stato implementato, ma che non veniva utilizzato.

Si è resa necessaria, pertanto, una riforma. L'art. 1, comma 1, lett. a), del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10 ha modificato la norma in esame, stabilendo che il giudice prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, “salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.

Per effetto di questa riforma, l'applicazione del cd. braccialetto elettronico è divenuta la modalità ordinaria di esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, sempre che, tuttavia, il giudice ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria.

La giurisprudenza di legittimità, prendendo atto del portato della riforma, ha affermato che la prescrizione dell'adozione del cosiddetto "braccialetto elettronico" non configura un nuovo tipo di misura coercitiva rispetto a quelle disciplinate dagli artt. 281 e ss. c.p.p. ma la modalità di esecuzione tipica della cautela domiciliare, per disporre la quale non è necessario che il giudice adempia ad alcun onere di motivazione aggiuntiva (Cass. n. 6505/2015). L'applicazione del braccialetto elettronico, dunque, si configura come regola di controllo "ordinaria" della cautela domiciliare, che il giudice può evitare solo esponendo le ragioni per le quali non la ritiene necessaria (Cass. n. 1084/2015, dep. 2016). Tale misura cautelare non si frappone nella scala della gravità tra l'arresto domiciliare "semplice" e la custodia in carcere e non genera nessun onere di motivazione aggiuntiva, se il giudice ritiene che la restrizione domiciliare sia idonea a contenere le esigenze cautelari rilevate (cfr. ancora Cass. n. 6505/2015).

Trattandosi di una mera modalità di esecuzione degli arresti domiciliari, per l'applicazione dei mezzi elettronici di controllo non è necessaria una specifica richiesta del pubblico ministero, non venendosi a determinare, in mancanza, una violazione alla regola della necessità della domanda cautelare (Cass. n. 172/2018).

(Segue). La legge 47 del 2015

Con la riforma del 2013, il giudice è stato obbligato a spiegare le ragioni per le quali intende ricorrere alla misura domiciliare “tradizionale” piuttosto che a quella elettronicamente monitorata. Su questo profilo si sono attagliate le critiche della dottrina, la quale non ha mancato di rilevare come il legislatore avesse ampliato l'ambito applicativo degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, parallelamente riducendo quello degli arresti domiciliari “semplici”, senza erodere in alcun modo il perimetro entro cui opera la custodia in carcere.

Per tale ragione, è stata necessaria un'ulteriore riforma.

La materia, infatti, è stata ulteriormente innovata dall'art. 4, comma 3, della legge 16 aprile 2015, n. 47, che ha introdotto il comma 3-bis nell'art. 275 c.p.p. Secondo questa disposizione, nel disporre la custodia cautelare in carcere, «il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'articolo 275-bis, comma 1, c.p.p.».

È stato così introdotto uno specifico onere motivazionale per il giudice della cautela, che opera quando si applica la custodia in carcere. Nel disporre detta misura, a seguito della riforma introdotta dalla legge 47 del 2015, pertanto, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

La portata dell'onere di motivazione

La legge 47/2015, inserendo nell'art. 275 c.p.p. il comma 3-bis, ha introdotto uno specifico onere motivazionale a carico del giudice che intenda disporre la custodia in carcere. Egli è tenuto ad indicare le specifiche ragioni per ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'art. 275-bis c.p.p.

Si deve trattare, in particolare, di ragioni specifiche, ancorate alle peculiarità del caso concreto, che possono impegnare severamente il giudicante il quale è esposto al rischio di adoperare formule meramente tautologiche (del tipo, «l'utilizzo del braccialetto non neutralizzerebbe ogni astratta possibilità di movimento criminale dell'indagato»).

Un passaggio centrale in questa motivazione può essere assolto con il riferimento alla comunicazione con i complici. L'assoluta necessità di far cessare radicalmente la comunicazione con i correi o con gli associati può giustificare l'applicazione della custodia in carcere in luogo degli arresti domiciliari con il braccialetto (Cass. n. 48962/2015). Più di recente, con riferimento al partecipe di un'associazione criminale, è stato sottolineato che l'adozione di strumenti elettronici di controllo è certamente utile a monitorare gli eventuali spostamenti dell'indagato, ma non ad impedire che, pur rimanendo in un luogo determinato, egli possa trovare il modo di comunicare con altri soggetti che godono di libertà di movimento (Cass. n. 51745/2018). La possibilità di comunicare dal domicilio, del resto, non appare più preclusa dall'imposizione di prescrizioni aggiuntive rispetto agli arresti domiciliari come il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con l'indagato (art. 284, comma 2, c.p.p.) ovvero il distacco della linea telefonica, in quanto appare veramente difficile impedire l'uso della rete internet per mantenere il contatto con i complici.

Per il rispetto dell'impegno motivazionale richiesto dalla nuova legge, inoltre, non è sufficiente spiegare le ragioni dell'inidoneità degli arresti domiciliari “semplici”, senza addentrarsi nelle indicazioni delle ragioni che rendono inidonei, nel caso concreto, anche quelli con il braccialetto elettronico (Cass. n. 45699/2015). Questa impostazione rigorosa costituisce il portato della regola secondo cui la prescrizione del braccialetto elettronico rappresenta la modalità ordinaria di applicazione degli arresti domiciliari (Cass. n. 49105/2015).

(Segue). La motivazione “implicita”

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, la motivazione sulla inidoneità degli arresti domiciliari con la prescrizione del c.d. braccialetto elettronico può essere anche contenuta implicitamente nella spiegazione delle ragioni che rendono inidonei, nel caso concreto, la misura domiciliare (Cass. n. 35948/2015).

Nel caso in cui il giudice affermi l'elevata pericolosità sociale dell'indagato non sulla mera gravità dei titoli di reato ascrittigli, quanto piuttosto sulle concrete circostanze della loro commissione e sulla capacità a delinquere specifica, si può ritenere che questa motivazione includa, in via implicita, l'apprezzamento di non idoneità anche del cd. braccialetto elettronico (Cass. n. 35948/2015).

Secondo un arresto giurisprudenziale, la valutazione in esame finisce per assumere i toni della superfluità laddove, a monte, il giudice della cautela, alla luce della pericolosità dell'indagato e delle connotazioni peculiari del reato contestato, abbia ritenuto la misura degli arresti domiciliari del tutto inidonea alla neutralizzazione del rischio di recidiva. In questi casi, pertanto, la motivazione di inidoneità degli arresti domiciliari, pur connotati dalla adozione del braccialetto, finisce per essere implicitamente assorbita nel ritenere unicamente adeguata la custodia inframuraria (Cass. n. 46806/2015).

Il punto essenziale, dunque, è l'esistenza nell'ordinanza cautelare della motivazione dell'idoneità della sola custodia in carcere a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato oppure, in altri termini, il giudizio sull'inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sulla impossibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall'art. 275-bis c.p.p. (Cass. n. 31572/2017).

Queste affermazioni giurisprudenziali, peraltro, vanno vagliate con molta attenzione.

Talvolta esse sono relative a fattispecie in cui non era stata offerta la prova della possibilità per l'indagato di fruire di una sistemazione logistica, diversa dall'abitazione in cui era perpetrato il delitto per il quale è applicata la misura (Cass. n. 43728/2016, relativa a una fattispecie sfruttamento della prostituzione esercitata dal coniuge convivente nell'abitazione, nella quale la Corte ha condiviso il giudizio di inadeguatezza degli arresti domiciliari ad evitare che nello stesso luogo si verificasse il contatto fra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, che avrebbe reso ancora più concreto ed attuale il pericolo di reiterazione specifica).

Più semplicemente, in altre fattispecie, l'idoneità della sola custodia in carcere è derivata dalla mancanza della disponibilità di un luogo di abitazione adeguato sul piano igienico-sanitario, trattandosi di una valutazione che, in difetto di altre possibili sistemazioni, preclude ogni possibilità concreta di una custodia domiciliare (Cass. n. 3696/2015, dep. 2016).

L'indisponibilità del braccialetto elettronico

Il mutato assetto normativo conseguente alle due modifiche dapprima illustrate ha determinato un concreto incremento dell'operatività dell'istituto. Il braccialetto elettronico, dimenticato per oltre dieci anni, è diventato uno strumento difficile da reperire.

Con una convenzione stipulata tra il Ministero dell'Interno e la società Telecom erano stati inizialmente forniti quattrocento apparecchi, rimasti però quasi tutti inutilizzati. Successivamente, nel gennaio 2012, il Ministero dell'Interno ha provveduto a rinnovare la Convenzione con Telecom, portando a duemila unità il numero di dispositivi elettronici oggetto della fornitura.

La mancanza della disponibilità dello strumento ha determinato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze dell'indisponibilità del mezzo di controllo elettronico.

Le Sezioni unite, con la sentenza n. 20769/2016, Lovisi, hanno delineato un preciso percorso. Il giudice, investito da una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico o di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la predetta misura, deve, preliminarmente, accertare la disponibilità del congegno elettronico presso la polizia giudiziaria.

In caso di esito negativo, dato atto della impossibilità di adottare tale modalità di controllo, il giudice deve valutare la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna delle misure, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

In particolare, secondo la Corte, all'accertata indisponibilità del congegno elettronico non può conseguire alcuna automatica applicazione né della custodia cautelare in carcere, né degli arresti domiciliari tradizionali.

Solo il dissenso dell'interessato all'adozione dei mezzi elettronici o altri strumenti tecnici si pone, pertanto, quale condizione ostativa della possibilità di applicazione degli arresti domiciliari di cui all'art. 275-bis cod. proc. pen. Nella costruzione dell'istituto operata dal legislatore, la negazione del consenso è configurata, pertanto, come unica condizione ostativa, mentre la norma non contempla la carenza del dispositivo quale causa automatica di applicazione della custodia cautelare in carcere o, in senso opposto, della sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari "semplici".

La compressione della libertà personale, i altri termini, va contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. A tale proposito è prescritta la scelta di un trattamento cautelare “individualizzante”, che tenga conto delle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Ritenuta l'idoneità degli arresti domiciliari controllati, dunque, nella ipotesi di constatazione della carenza del dispositivo, il giudice ha l'onere di giustificare l'individuazione della specifica misura applicabile, alla luce della circostanza di fatto della indisponibilità del dispositivo. Tale interpretazione, secondo le Sezioni unite, è l'unica compatibile con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione.

(Segue). Gli arresti domiciliari subordinati alla disponibilità del braccialetto

Le Sezioni unite, dunque, hanno delineato il percorso che il giudice deve applicare. Investito da una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico o di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la predetta misura, deve, preliminarmente, accertare la disponibilità del congegno elettronico presso la polizia giudiziaria e, in caso di esito negativo, dato atto della impossibilità di adottare tale modalità di controllo, valutare la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna delle misure, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente chiarito che il giudice, in sede di applicazione o sostituzione della custodia cautelare in carcere, non può subordinare l'applicazione degli arresti domiciliari alla disponibilità del cd. braccialetto elettronico, demandando tale verifica alla polizia giudiziaria, dovendosene accertare prima di adottare l'ordinanza cautelare (Cass. n. 5543/2018; Cass. n. 50080/2018).

È stato precisato, peraltro, che, qualora la concessione degli arresti domiciliari venga erroneamente condizionata alla verifica della disponibilità del braccialetto elettronico, il protrarsi della custodia cautelare in carcere non integra alcuna violazione dei diritti dell'indagato, a condizione che il provvedimento contenga giudice abbia espressamente motivato in ordine all'idoneità a garantire le esigenze cautelari, in carenza di sistemi di controllo a distanza, della sola custodia in carcere cautelare (Cass. n. 5543/2018; Cass. n. 50080/2018). In caso contrario, l'invalidità del provvedimento deriva dalla violazione della regola prevista dall'art. 292, comma 2, c.p.p. a pena di nullità, secondo quale, nel disporre la custodia cautelare in carcere, il giudice deve illustrare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con una misura meno afflittiva.

Arresti domiciliari con il braccialetto e presunzioni di pericolosità

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, il giudice che applica la custodia in carcere per un reato per il quale vigono le presunzioni di pericolosità di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. non deve motivare, ai sensi dell'art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen. sull'inidoneità, nel caso concreto, degli arresti domiciliari con il controllo elettronico a distanza.

In questi casi, infatti, il legislatore, privilegiando non irragionevolmente le esigenze di tutela della collettività, avrebbe escluso in linea generale l'idoneità degli arresti domiciliari con l'applicazione del braccialetto elettronico (Cass. n. 27335/2015).

Questa linea interpretativa è stata recepita dalle Sezioni unite, secondo le quali il giudice deve sempre motivare sull'inidoneità della misura cautelare degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico «ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza» (Cass. Sez. unite, n. 20769/2016).

La previsione di cui all'art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen., laddove impone al giudice cautelare uno sforzo aggiuntivo di motivazione con l'illustrazione dei motivi specifici per i quali debba farsi ricorso alla forma di cautela più afflittiva e non possano fronteggiarsi le esigenze cautelari del caso con quella domiciliare, rinforzata dall'adozione di sistemi di sorveglianza a distanza, dunque, non è riferibile ai delitti per i quali conserva validità e si ritiene in concreto operante la presunzione relativa di cui alla prima parte del comma 3 della stessa disposizione; per tali fattispecie, a tutela della preminente esigenza di prevenirne la reiterazione nell'interesse della sicurezza pubblica e privata, il legislatore, in base a scelte non irragionevoli di politica criminale, ha ritenuto non idonea la modalità di esecuzione della custodia domiciliare con braccialetto elettronico, riferibile soltanto agli altri reati meno gravi per i quali non opera alcuna presunzione e la sottoposizione a custodia in carcere sia frutto di scelta discrezionale del giudice, da giustificare in modo puntuale anche sotto il profilo dell'insufficienza dei dispositivi di controllo applicabili.

L'omissione della motivazione

L'indicazione delle ragioni di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico non è prevista tra i requisiti essenziali dell'ordinanza con la quale si applica la custodia in carcere. L'art. 292 c.p.p., infatti, non prevede detta indicazione tra quelle che devono essere previste a pena di nullità. L'onere previsto dall'art. 275, comma 3-bis, c.p.p. è stato introdotto dalla legge 47/2015, che è contestualmente intervenuta anche sull'art. 292 c.p.p. senza tuttavia prevedere un esplicito richiamo tra le due norme. Ne consegue che la valutazione circa l'inadeguatezza della cautela domiciliare con controllo aggravato non produca conseguenze invalidanti.

L'art. 275 c.p.p., inoltre, nel prevedere l'onere motivazionale aggiuntivo, non stabilisce alcuna sanzione in caso di inosservanza.

L'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere che non specifichi le ragioni per le quali è inidonea la misura degli arresti domiciliari controllati a distanza con il mezzo elettronico, pertanto, può essere integrata dal tribunale del riesame, con l'ordinanza che decide sull'impugnazione proposta dall'indagato (Cass. n. 42557/2017).

In materia cautelare, del resto, la cognizione del tribunale adito per il riesame non è limitata dagli argomenti proposti dal ricorrente, avendo l'impugnazione ha effetto pienamente devolutivo. La misura può essere confermata anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento genetico: tali ragioni possono riguardare anche il profilo della adeguatezza della cautela, con specifico riguardo alla valutazione di idoneità degli arresti domiciliari con controllo elettronico (art. 309, comma 9, c.p.p.).

Le valutazioni in ordine all'adeguatezza della misura imposta sono sanzionate a pena di nullità dall'art. 292 c.p.p. solo nella parte in cui non risulta giustificata la scelta del carcere attraverso la generica valutazione della inadeguatezza delle altre misure disponibili, non incidendo sulla validità del provvedimento il mancato adempimento dell'onere motivazionale specifico introdotto all'art. 275, comma 3-bis, c.p.p.

L'estensione del braccialetto elettronico alla misura dell'allontanamento dalla casa familiare

Il decreto legge 93 del 2013, convertito nella legge 119 del 2013 ha esteso anche all'allontanamento dalla casa familiare, di cui all'art. 282-bis c.p.p., le modalità di controllo previste dall'art. 275-bis c.p.p.

L'art. 16, comma 1, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ha previsto che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare disciplinata dall'art. 282-bis c.p.p. può essere applicata oltre i limiti di pena disciplinati all'art. 280 c.p.p. e con l'utilizzo del c.d. braccialetto elettronico anche quando si procede per il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., minaccia grave ex art. 612, comma 2, c.p. e atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.

La nuova previsione normativa persegue un intento condivisibile: viene consegnato al giudice uno strumento cautelare effettivamente idoneo ad impedire la reiterazione del reato. Anche questa misura, peraltro, si scontra con la difficoltà pratica del reperimento dello strumento necessario.

In conclusione

Il Legislatore, assecondando, come ha rilevato un insigne autore, l'onda lunga della sentenza della Corte Edu Torreggiani contro Italia, in occasione della riforma del rito cautelare del 2015 ha creato le condizioni normative per una maggiore applicazione degli arresti domiciliari controllati a distanza al fine di rendere la custodia cautelare in carcere veramente residuale.

Cogliendo l'importanza dello strumento, anche con il decreto legge “sicurezza” del 2018, la possibilità di usare il mezzo elettronico è stata estesa anche alla misura del divieto di avvicinamento alla casa familiare imposta per il reato di atti persecutori o per quello di maltrattamenti in famiglia. Queste buone intenzioni, tuttavia, fanno fatica a tradursi in risultati concreti, perché tuttora si scontrano con la scarsa disponibilità dello strumento elettronico.

Guida all'approfondimento

S. BELLINO, Riflessioni sul ricorso al braccialetto elettronico, in Dir. Pen. e Processo, 2017, 4, 490;

M. DANIELE, Il palliativo del nuovo art. 275, comma 2-bis c.p.p. contro l'abuso della custodia cautelare, in Diritto penale contemporaneo 24 settembre 2014;

I. GUERINI, Più braccialetti (ma non necessariamente) meno carcere: le Sezioni Unite e la portata applicativa degli arresti domiciliari con la procedura di controllo del braccialetto elettronico, in Diritto penale contemporaneo, 24 giugno 2016;

J. DELLA TORRE, Per la Suprema Corte l'indisponibilità del "braccialetto elettronico" comporta l'applicazione degli arresti domiciliari "semplici": una discutibile lettura dell'art. 275 bis c.p.p., in Proc. pen. giust., 2016, 1, 80;

G. QUAGLIANO, Il ragionevole compromesso delle sezioni unite sull'indisponibilità del c.d. “braccialetto elettronico”, in Dir. Pen. e Processo, 2017, 2, 197;

D. POTETTI, Arresti domiciliari e mancanza dei mezzi elettronici per il controllo a distanza, in Cass. pen., 2015, 4151;

D. SIGNORI, Braccialetto elettronico senza richiesta da parte del pm: attenuazione del principio della domanda cautelare?, in Giur. It., 2018, 4, 972;

E. VALENTINI, Arresti domiciliari e indisponibilità del braccialetto elettronico: è il momento delle sezioni unite, in Diritto penale contemporaneo 27 aprile 2016.

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