Nella locazione ad uso diverso è valida la previsione del c.d. canone a scaletta

Edoardo Valentino
19 Dicembre 2018

Il Tribunale di Milano ha sancito la validità della previsione contrattuale che prevede che il canone di locazione sia “a scaletta”, cioè sia quantificato in modo da aumentare ogni annualità successiva...
Massima

È legittima la clausola contrattuale che consente di aumentare il canone di locazione di un immobile ad uso diverso dall'abitativo in modo progressivo negli anni di contratto, situazione comunemente denominata come quantificazione del canone “a scaletta”, a patto che il criterio per la sua determinazione sia obiettivamente stabilito nel contratto di locazione e che le parti non prevedano tale clausola esclusivamente per eludere i limiti previsti dall'art. 32 della l. 392/1978.

Il caso

Un proprietario locava un immobile ad uso diverso da quello abitativo a un soggetto, sottoscrivendo un regolare contratto di locazione con il quale le parti prevedevano che il costo del canone sarebbe aumentato gradualmente negli anni successivi al primo.

Inoltre, nel predetto documento, veniva specificato che il canone avrebbe dovuto essere aggiornato annualmente nella misura del 100% rispetto alla relativa variazione Istat.

Stante l'insolvenza del conduttore il proprietario notificava a questi ricorso per la convalida di sfratto.

Il locatario si costituiva in giudizio eccependo l'erroneità della quantificazione della somma relativa ai canoni di locazione, sostenendo - in buona sostanza - l'illegittimità delle predette previsioni contrattuali.

In particolare, il resistente deduceva la nullità della clausola che prevedeva un aumento progressivo del canone in quanto questa sarebbe stata stipulata in violazione degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978.

Il contratto, in particolare, prevedeva che «il prezzo della locazione è stabilito in € 4.500,00 per il 1° anno (…); € 5.400,00 per il 2° anno (…); € 6.150,00 per il 3° anno, € 8.400,00 dal 4° al 6° anno».

La questione

La questione alla base del giudizio inerisce alla validità del c.d. canone a scaletta, ossia quella previsione che comporta che l'importo relativo al canone annuale di locazione non sia statico, ma anzi vari di anno in anno, aumentando progressivamente.

La ratio di tale previsione, chiaramente, è quella di consentire ad una attività commerciale di iniziare a lavorare senza gravarla eccessivamente di costi, alla luce delle ingenti spese che notoriamente si accumulano nei primi periodi a seguito della apertura di una attività, compensando poi con un aumento per le annualità successive.

L'art. 32 della l. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone) prevede che «Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira. Le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione stagionale».

Il successivo art. 79, in aggiunta, specifica che «È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. Il conduttore con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge».

Ci si chiede, quindi, se la previsione del canone “a scaletta” sia compatibile con le norme citate e, quindi, sia valido un contratto che la preveda, come quello in oggetto.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano ha accolto le ragioni del proprietario.

Secondo il giudice meneghino, difatti, la previsione di aumenti periodici del canone non confligge con la vigente normativa e non è conseguentemente affetta da qualsivoglia invalidità.

Specifica il Tribunale, difatti, che «al riguardo deve chiarirsi che in materia di contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, in virtù del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto è legittima a condizione che l'aumento sia ancorato ad elementi predeterminati, salvo che la suddetta clausola non costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all'art. 32 della l. 27 luglio 1978, n. 392 circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta».

Rilevava il decidente come vi fosse un precedente orientamento (Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1987, n. 6896), che prevedeva che qualsiasi pattuizione suscettibile di comportare aumenti di canone per gli anni successivi al primo si ponesse in contrasto con l'art. 32 della l. n. 392/1978.

Secondo il Tribunale, tuttavia, tale orientamento è stato definitivamente superato (Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1993, n. 4474) grazie al rilievo in ragione del quale, in materia di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, la libertà delle parti di accordarsi sull'ammontare del canone comporta la pari libertà di stabilire un canone ad aumento progressivo.

Sostiene, inoltre il giudice, la sostanziale differenza tra aggiornamenti e maggiorazioni/aumenti, ricordando come l'art. 32 della citata legge vieti propriamente solamente gli aggiornamenti sopra soglia e non anche altre tipologie di maggiorazioni quale il canone “a scaletta”.

Spetterebbe, quindi, al conduttore l'onere di fornire prova in merito al fatto che la previsione del canone a scaletta non sia volto a distribuire i costi della locazione secondo una logica di crescente impegno economico del conduttore (auspicabilmente) direttamente proporzionale al buon esito della attività commerciale, ma solamente un modo per eludere i divieti di aggiornamento del canone in misura superiore a quanto stabilito dall'art. 32 della legge sull'equo canone.

Nel caso in questione, dall'istruttoria processuale non risultava che il proprietario avesse utilizzato la previsione del canone a scaletta per l'elusione della vigente normativa e, di conseguenza, il contratto era perfettamente valido ed efficace tra le parti.

In conclusione, quindi, il giudice rigettava le eccezioni del conduttore e lo condannava a liberare l'immobile e corrispondere i canoni arretrati e le spese del giudizio.

Osservazioni

Il Tribunale di Milano compie, con la sentenza in commento, un pregevole studio diacronico della disciplina del canone a scaletta.

Come sopra evidenziato il Tribunale richiamava un orientamento risalente (Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1987, n. 6896) con il quale la Cassazione aveva ritenuto la previsione degli aumenti periodici del canone come una automatica violazione del divieto di cui all'art. 32 della legge sull'equo canone.

Immediatamente, però, il decidente rilevava come questo orientamento fosse ormai da considerarsi superato in ragione di un approccio di carattere più liberale, che privilegiava il principio di autodeterminazione delle parti nel contratto di locazione e rendeva così lecita la previsione del canone a scaletta (v., in particolare, Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1993, n. 4474).

In seguito, condivisibilmente, il Tribunale ha affermato la assoluta validità della previsione del canone a scaletta a patto che sia determinabile a priori con criteri di carattere matematico (e quindi non sia imprevedibile per il conduttore o legato a elementi accidentali o alla volontà del locatore) e che non sia realizzato in esclusiva elusione e aggiramento del divieto previsto dall'art. 32 della l. 392/1978.

A parere di chi scrive, tale impostazione è del tutto condivisibile e preferibile in quanto fa affidamento sia sulla buona fede delle parti che sulla loro capacità di autodeterminarsi in un contratto.

È del tutto inappropriato, per l'autore, che un ordinamento si ingerisca eccessivamente nelle vicende contrattuali, arrivando a vietare determinate clausole esclusivamente sulla base di una presunzione di violazione normativa (così come alluso in Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1987, n. 6896).

È corretto e condivisibile, infatti, che l'ordinamento protegga la parte eventualmente lesa, ma questo a posteriori, lasciando ex ante la possibilità per le parti di plasmare il contratto come da loro voluto.

Guida all'approfondimento

Bruno, Nota a Cassazione civile 11 ottobre 2012, n. 17313, sez. III, in Diritto e Giustizia online, 2012, fasc. 10, 849;

Sinisi, La presunzione di validità del canone a scaletta nelle locazioni ad uso commerciale, in Condominioelocazione.it, 15 novembre 2017.

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