Riconoscimento della pensione di reversibilità in regime internazionale per il coniuge superstite

21 Dicembre 2018

Il diritto alla pensione di reversibilità in regime internazionale rispetto a quella diretta del coniuge deceduto è regolato in forza della normativa in vigore al momento del decesso oppure a quello in cui il lavoratore è stato collocato in quiescenza?
Massima

Per il riconoscimento della pensione di reversibilità in regime internazionale, anche se acquisita dal superstite iure proprio e non iure hereditatis, rilevano le condizioni di assicurazione e contribuzione del dante causa (de cuius) al momento del suo collocamento a riposo o, se ancora non titolare di pensione, a quello del decesso.

Il caso

L'INPS impugnava la sentenza della Corte d'appello di Trieste che, a conferma della decisione del Tribunale della stessa sede, l'aveva condannata al pagamento della pensione di reversibilità in regime internazionale in favore di una cittadina croata moglie superstite di un soggetto deceduto nel 2010 e titolare, con decorrenza da settembre 1986, di una pensione di vecchiaia erogata in regime di pro rata internazionale. La Corte rigettava il gravame poiché, derivando la pensione di reversibilità dalla pensione in regime internazionale del dante causa da epoca precedente l'adesione della Croazia all'Unione Europea, una volta ottenuta la liquidazione della prestazione diretta in forza della normativa allora vigente e sulla base del requisito contributivo richiesto dalla medesima, la prestazione rappresentava l'unico dato fermo per liquidare la pensione di reversibilità, nonostante le modifiche normative sopravvenute.

La questione

Il diritto alla pensione di reversibilità in regime internazionale rispetto a quella diretta del coniuge deceduto è regolato in forza della normativa in vigore al momento del decesso oppure a quello in cui il lavoratore è stato collocato in quiescenza?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, in linea con la giurisprudenza costante ribadisce che la pensione di reversibilità spetta in base alle condizioni di contribuzione proprie del lavoratore al momento del suo collocamento a riposo o, se non ancora titolare di pensione, al momento del suo decesso.

Nello specifico, la ricorrente, cittadina croata, reclamava il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità in forza della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica popolare federale di Jugoslavia in materia di assicurazioni sociali, stipulata a Roma il 14 novembre 1957, vigente al momento in cui il marito deceduto aveva maturato il diritto alla pensione, e che prevedeva un periodo di contribuzione minimo di una settimana.

I Giudici del merito accoglievano la richiesta e rigettavano il gravame proposto dall'INPS secondo cui la titolarità de iure proprio della pensione di reversibilità presuppone la sussistenza, in capo alla richiedente la pensione, dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge al momento del decesso del lavoratore, che nel caso di specie mancavano.

La ricorrente difettava infatti del requisito di 52 settimane di contribuzione richieste per la pensione in regime di convenzione internazionale del coniuge defunto che consente il diritto alla prestazione previdenziale, requisito essenziale per poter accedere alla totalizzazione della contribuzione versata in Italia con la contribuzione versata presso altro Stato estero. Ciò in virtù della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Croazia in materia di sicurezza sociale ratificata con legge 27 maggio 1999, n. 167, in vigore al momento del decesso del lavoratore, nonché in forza dell'art. 13 l. n. 218/1952.

La Cassazione rigetta il ricorso chiarendo che, seppure sia pacifico che la pensione di reversibilità sia acquisita dal superstite iure proprio e non iure hereditatis, ciò non implica che i requisiti amministrativi, contributivi e anagrafici per il riconoscimento debbano essere riferiti al superstite e/o all'assetto normativo in vigore al momento della morte del pensionato anziché a quello in cui è stato collocato a riposo.

Sul titolo del diritto alla pensione di reversibilità la giurisprudenza è pacifica: esso, presupponendo la titolarità del diritto alla pensione diretta da parte del de cuius al momento della morte, ovvero il possesso dei relativi requisiti, è acquisito iure proprio al momento della morte del titolare della pensione diretta (Cass. n. 3300/2012; Cass. n. 21545/2008). Ne consegue ad esempio che sarebbe irrilevante l'eventuale affidamento che il futuro beneficiario della pensione di reversibilità possa avere fatto su una più favorevole disciplina vigente quando era in vita il coniuge e modificata prima della sua morte, né può ritenersi che la disciplina vigente in tale momento operi retroattivamente, regolando essa il diritto che sorge solo con la morte del coniuge.

A sostegno delle proprie valutazioni, sia con riferimento alla determinazione dell'an che del quantum del trattamento riservato ai superstiti, la Corte invoca anche l'art. 13, comma 1, R.d.l. n. 636/1939 («Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e sostituzione dell'assicurazione per la maternità con l'assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità») che introduce proprio nel nostro Paese la pensione di reversibilità.

Sarebbe la stessa ratio dell'istituto, inoltre, a darne conferma: esso mira a soddisfare esigenze proprie del superstite beneficiario (Corte cost. n. 495/1993; Corte cost. n. 195/1990) per il quale la pensione costituisce una proiezione della funzione di sostentamento che in suo favore svolgeva quando era in vita il de cuius.

Dovendo quindi applicarsi al rapporto assicurativo la legge vigente nel momento in cui è sorto (1986), la fattispecie all'esame è regolata dalla Convenzione Italia – Jugoslavia del 1957, in virtù della quale per la totalizzazione dei contributi versati in Italia e nella ex Jugoslavia è sufficiente l'avvenuto versamento anche solo di un contributo settimanale. Solo nel caso in cui al momento del decesso il lavoratore non fosse ancora titolare di pensione (ciò che non è nel caso che si commenta) si applicherebbe la normativa in vigore al momento della sua morte.

Su detti presupposti è quindi del tutto inconferente il richiamo all'art. 13 l. n. 218/1952 (come modificato e integrato dall'art. 23 l. n. 903/1965) che inerisce appunto la diversa ipotesi del decesso dell'assicurato senza che sussistano i presupposti per il diritto alla pensione.

Di conseguenza, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Osservazioni

La fattispecie in commento, decisa dalla sez. lavoro della Corte di cassazione, appartiene a un filone assai significativo di un contenzioso particolarmente nutrito negli anni successivi all'adesione all'Unione Europea dei Paesi appartenenti all'ex Jugoslavia. In generale le decisioni sono conformi nel condannare l'INPS al pagamento in favore del ricorrente della pensione di reversibilità calcolata sulla pensione di vecchiaia maturata dal coniuge deceduto quando già pensionato.

La Jugoslavia fu uno Stato esistito dal 1929 al 2003 costituito da varie Repubbliche. A seguito del processo di dissoluzione la Croazia si dichiarò indipendente nel 1991.

Tra l'Italia e i Paesi dell'ex Jugoslavia in materia di assicurazioni sociali fu stipulata il 14 novembre 1957 una Convenzione, poi ratificata con legge 11 giugno 1960, n. 885 entrata in vigore l'1 gennaio 1961, che si applica ai cittadini dei Paesi in convenzione che possano valere periodi di assicurazione in Italia e nei Paesi dell'ex Jugoslavia, nonché ai loro familiari e superstiti.

L'ambito di applicazione in Italia inerisce vari ambiti tra cui la legislazione di sicurezza sociale relativa all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e autonomi. Il periodo minimo di contribuzione accreditata in Italia e nei Paesi dell'ex-Jugoslavia, da prendere in considerazione ai fini della totalizzazione, è di una settimana: vale a dire che, ai fini dell'ammissione all'assicurazione volontaria prevista dalla legislazione italiana, i periodi di contribuzione accreditati in Italia sono totalizzati, ove necessario, con i periodi di assicurazione accreditati nei Paesi dell'ex-Jugoslavia, a condizione che in Italia sia stato versato almeno un contributo settimanale da lavoro effettivo.

Detta Convenzione è stata integralmente sostituita dalla Convenzione di Sicurezza Sociale tra la Repubblica Italiana e la Croazia firmata a Roma il 27 giugno 1997, ratificata con legge 27 maggio 1999, n. 167, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1999, n. 138, ed entrata in vigore il 1 novembre 2003. Da tale data è in vigore anche il relativo Accordo amministrativo di applicazione. L'Inps con Circ. 23 gennaio 2004, n. 15 ha illustrato i contenuti della convenzione in oggetto, con particolare riferimento alla determinazione della legislazione assicurativa applicabile, delle prestazioni pensionistiche e di quelle di disoccupazione e per i familiari. La convenzione italo-croata si applica:

- ai cittadini italiani ed ai cittadini croati, assicurati in uno o in entrambi gli Stati contraenti;

- ai profughi residenti in Italia o in Croazia, che siano o siano stati assicurati in uno o in entrambi gli Stati contraenti;

- agli apolidi anch'essi residenti nel territorio di uno dei due Stati contraenti che siano o siano stati assicurati in uno di essi o in entrambi;

- ai familiari ed ai superstiti delle persone sopra indicate.

Rientra nel campo di applicazione oggettiva della convenzione, per l'Italia, anche l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi. Per la Croazia, l'assicurazione per la pensione e l'invalidità (compresa l'assicurazione per la vecchiaia ed i superstiti, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), l'assicurazione sanitaria e le cure mediche, gli assegni per i figli, l'assicurazione per la disoccupazione. Con particolare riferimento alla materia pensionistica, e per quanto rileva ai fini della decisione che si annota, va evidenziato che i periodi assicurativi italiani, di durata non sufficiente a consentire il diritto alla pensione, possono essere totalizzati con quelli croati non sovrapposti e che il periodo minimo di contribuzione perché possa farsi luogo alla totalizzazione è di 52 settimane. Anche i periodi assicurativi croati pari o superiori a 52 settimane possono essere totalizzati con quelli italiani non sovrapposti per il raggiungimento del diritto a pensione. Quindi il periodo di contribuzione minimo per poter procedere alla totalizzazione è pari a 52 settimane. Pertanto, rispetto alla precedente Convenzione italo-jugoslava, il periodo di contribuzione minimo viene modificato da 1 a 52 settimane.

È quindi evidente che la normativa previamente in vigore è più favorevole al coniuge superstite. La questione attiene quindi al criterio ratione temporis per individuare la disciplina applicabile, atteso che si è verificata, nel tempo, una successione di normative diverse.

Vige in materia di riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità un consolidato principio che prescinde dal versare o meno in regime internazionale: posto che le condizioni di assicurazione e contribuzione dovevano esistere in capo al pensionato o all'assicurato già al momento della morte, la pensione di reversibilità è un diritto che si acquisisce iure proprio e non iure successionis ossia in virtù dell'accettazione dell'eredità (prova ne è che esso spetta anche in caso di rinuncia all'eredità). Tuttavia i relativi requisiti amministrativi, contributivi ed anagrafici non vanno riferiti né al superstite, perché ciò vanificherebbe le caratteristiche stesse e le finalità della prestazione, per ottenere la quale basta il rapporto di mero coniugio o di parentela, né all'assetto normativo in vigore al momento del decesso del pensionato, bensì a quello in cui questi è stato collocato a riposo (di recente anche Cass. n. 9229/2016 secondo cui ai fini della percezione della pensione di reversibilità è sufficiente che i requisiti amministativi, contributivi ed anagrafici fossero posseduti dal dante causa a non anche dal superstite).

In sostanza al superstite viene trasferito il diritto alla prestazione sulla base di quanto già maturato dal pensionato deceduto e alle condizioni amministrative, contributive e anagrafiche vigenti all'atto del suo collocamento in quiescenza.

Diviene pertanto irrilevante il dato relativo al possesso diretto da parte del parente superstite del requisito contributivo.

La sussistenza di tali requisiti non è richiesta nel caso in cui il diritto alla pensione sia già maturato a favore del titolare in via diretta della prestazione, trattandosi in tal caso soltanto di trasferire il titolo dell'erogazione, da pensione diretta a pensione di reversibilità, e riconoscere nella percentuale prevista la medesima prestazione fruita dall'originario titolare.

D'altro canto la conclusione è conforme alla ratio dell'istituto della pensione di reversibilità, che trova il suo fondamento nella solidarietà tra coniugi, la quale continua a spiegare i suoi effetti anche dopo la cessazione del vincolo e a prescindere dai motivi della rottura del rapporto coniugale. In tal senso, ad esempio, la pensione di reversibilità, spetta anche al coniuge superstite separato per sua colpa (Corte cost. n. 15516/2003) atteso che opera in suo favore la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, ed indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno o sia beneficiario di un assegno di mantenimento o di tipo alimentare. Del pari, il diritto alla pensione di reversibilità spetta a determinate condizioni anche al coniuge divorziato (in primis che il coniuge superstite fosse già titolare dell'assegno divorzile) e viene meno solo in caso di nuove nozze.

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