Nuove frontiere del risarcimento del danno non patrimoniale alla luce delle recenti sentenze della Cassazione e compatibilità con i parametri tabellari

Sebastiana Ciardo
24 Dicembre 2018

Il forum di discussione, aperto da Damiano Spera, con il Focus “Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino”, del 4 settembre 2018, pubblicato su questa rivista, induce ad una serie di riflessioni che involgono la stessa essenza del categoria del danno non patrimoniale in ordine ai profili, non medicalmente accertabili, della sofferenza morale e del danno esistenziale.
Le sentenze della Cassazione n. 901/2018 e n. 7513/2018

Le due importanti sentenze della sezione III della Corte di Cassazione, entrambi con collegio presieduto da Giacomo Travaglino, fissano alcuni principi che possono essere così sintetizzati:

«La natura cd. "unitaria" di quest'ultimo, come espressamente predicata dalle sezioni unite di questa Corte con le sentenze del 2008, deve essere intesa, secondo il relativo insegnamento, come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica (Cass. civ., Sez. Un. n. 26972/2008). Natura unitaria sta a significare che non v'è alcuna diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale. Natura onnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare risarcimenti cd. bagatellari (in tali termini, del tutto condivisibilmente, Cass. civ., n. 4379/2016). L'accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono, pertanto, questioni concrete e non astratte. Ma, se esse non richiedono il ricorso ad astratte tassonomie classificatorie, non possono per altro verso non tener conto della reale fenomenologia del danno alla persona, negando la quale il giudice rischia di incorrere in un errore ancor più grave, e cioè quello di sostituire una (meta)realtà giuridica ad una realtà fenomenica. Oggetto della valutazione di ogni giudice chiamato ad occuparsi della persona e dei suoi diritti fondamentali è, nel prisma multiforme del danno non patrimoniale, la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto» (Cass. civ., n. 901/2018, Pres.rel. Giacomo Travaglino);

«Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: - conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità: - conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale; la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto. Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d'una lesione della salute, non esce dall'alternativa: o è una conseguenza "normale" del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. "personalizzazione": così già Sez. III, Sentenza n. 17219 del 29.7.2014). Dunque le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale. Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma lo giustificano, si badi, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico-relazionali": non rileva infatti quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella/quelle conseguenza/e sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. III, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014)» (Cass. civ., n. 7513/2018 rel. Marco Rossetti).

Le ricadute sui parametri tabellari

Ritengo che gli enunciati della Corte di Cassazione abbiano voluto scardinare un sistema che probabilmente, all'indomani della sentenza “Amatucci” (Cass. civ., sent. n. 12408/2011), ha indirizzato i giudici di merito ad un sostanziale “appiattimento” dei risarcimenti ai parametri tabellari anche quando il pregiudizio del caso concreto lesivo del fare aredittuale avrebbe comportato una maggiore attenzione a tutti gli aspetti sia interiori (sofferenza, profondo disagio, forte turbamento protratto nel tempo, disistima, insicurezza, paura, vergogna) sia esteriori di tipo esistenziale (la profonda modificazione in peius della propria vita quotidiana, l'isolamento sociale, l'esclusione dai gruppi affettivi, la neutralizzazione di ogni forma di contatto con i proprio simili) quando travalichino l'entità “media” del pregiudizio, già ricompreso nel valore del punto tabellare delle tabelle milanesi.

Senza avere il pregio dell'esaustività della questione che assume connotati di peculiare complessità, il punto di sintesi può essere rinvenuto proprio nella necessità di cogliere tutte le conseguenze prodotte dall'evento dannoso, di racchiuderle in una voce omnicomprensiva di risarcimento che però tenga conto di aspetti della vita e dell'interiorità della vittima, sia primaria che secondaria, profondamente incisi dall'illecito, che meritano uno sforzo motivazionale prima e liquidatorio dopo tale da ottenere un ristoro effettivo del danno conseguenza.

Tale considerazione, d'altra parte, non confligge con l'elevata utilità da riconoscere a parametri tabellari tendenzialmente uniformi in tutto il territorio nazionale che hanno scongiurato il forum shopping garantendo una sostanziale omogeneità delle risposte risarcitorie da parte dei giudici di merito.

Sennonché, correttamente il Giudice di legittimità degli ultimi mesi ha voluto recuperare un valore essenziale, quello della rilevazione dell'ontologica diversità, pur nella unitarietà del risarcimento, intesa appunto come omnicomprensività, tra sofferenza morale soggettiva, incidente sulla sfera interiore dell'individuo, e danno esistenziale, involgente il pregiudizio alla vita di relazione, quando tali profili risultino scissi dalla lesione alla integrità psicofisica ovvero siano ulteriori, più gravi ed oltre la soglia della “prevedibilità” scaturente dal danno medicalmente accertabile.

In questi casi, infatti, deve essere richiamato l'assunto per il quale «soltanto in presenza di circostanze "specifiche ed eccezionali”, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione» (cfr. Cass. civ., n. 7513/2018).

Del resto, proprio di fronte ad ipotesi di tal fatta deve essere recuperata l'autonomia “liquidatoria” del giudice il quale, all'esito della compiuta allegazione e dell'accertamento probatorio di un pregiudizio che travalichi quello “medio” rinvenibile in ogni caso di lesione alla salute più o meno grave, deve potere modulare la risposta risarcitoria all'effettivo danno subito dalla persona offesa, senza ritenersi in alcun modo vincolato al rispetto del punto percentuale ulteriore pur previsto dalle tabelle cercando di soddisfare, di contro, la certezza del “decisum” con una tecnica motivazionale chiara ed esaustiva che descriva in concreto le conseguenze dannose oggetto di valutazione scongiurando l'uso di formule stereotipate.

Traendo le conclusioni da questa breve riflessione ritengo che l'intervento della Cassazione abbia cercato di recuperare questa funzione fondamentale del risarcimento del danno non patrimoniale nella sua interezza, riconoscendo al giudice del merito il compito di valutare e motivare, differenziando le liquidazioni laddove emergano lesioni, ulteriori e più gravose che meritino di essere ristorate monetariamente, senza per questo elidere l'elevato valore da attribuire ai parametri tabellari.

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