Atti di bullismo del minore: il Tribunale dispone indagini sulla capacità genitoriale

02 Gennaio 2019

Gli atti di bullismo compiuti da un minore possono essere indicativi di una non adeguata capacità dei genitori legittimando l'adozione dei provvedimenti ex art. 333 e 336 c.c.?
Massima

L'atto di bullismo posto in essere dal minore nei confronti di un coetaneo costituisce una condotta che può rendere necessario l'accertamento da parte del Tribunale per i minorenni delle capacità educative e di controllo dei genitori dello stesso minore.

Il caso

Il Pubblico Ministero presentava al Tribunale un ricorso ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., nell'interesse di un minore, che si era reso autore di atti di bullismo nei confronti di un coetaneo.

In particolare, dalla documentazione allegata al ricorso emergeva che il minore, in compagnia di un amico, aveva aggredito per futili motivi un coetaneo, avvicinandosi inizialmente a quest'ultimo con atteggiamento intimidatorio e, successivamente, afferrandolo all'altezza del collo.

Il minore, ascoltato dal Tribunale per i minorenni, riferiva di non aver mai posto in essere atti intimidatori o aggressivi nei confronti di compagni e mostrava mancanza di consapevolezza in relazione all'episodio che gli era stato contestato.

I genitori del minore rappresentavano al Tribunale il momento di difficoltà vissuto dalla famiglia, dando atto della propria volontà di collaborare con i Servizi nell'interesse del figlio.

Il Tribunale, quindi, conferiva al Consultorio Familiare l'incarico di verificare l'adeguatezza delle competenze genitoriali e di elaborare un progetto a sostegno dei genitori del minore; dava, inoltre, mandato ai Servizi sociali di vigilare costantemente sul minore, svolgendo ogni attività di supporto in favore dello stesso.

Il Tribunale conferiva, altresì, incarico al Servizio di Neuropsichiatria per l'individuazione di un progetto volto a sostenere il minore.

In adempimento dell'incarico, il Consultorio Familiare riferiva l'assenza di disturbi della personalità a carico dei genitori, definiti, tuttavia, poco assertivi nei confronti del figlio.

Il Servizio di Neuropsichiatria dava, a sua volta, atto del percorso seguito dal minore, che godeva del sostegno della famiglia, rappresentando il nucleo familiare di appartenenza un valido supporto per una sua sana crescita psicofisica; dalla relazione emergeva la maturità del giovane, il quale appariva, se pur fragile dal punto di vista affettivo, in possesso di buone capacità relazionali e di problem solving.

I Servizi sociali del Comune riferivano, poi, della conclusione con esito positivo del percorso scolastico da parte del minore, che aveva conseguito la licenza media e aveva in animo di frequentare un corso di ristorazione.

Sentito nuovamente dal Tribunale, il minore dava atto del percorso seguito presso il Consultorio Familiare, affermando la propria consapevolezza per quanto concerne la pericolosità insita nei comportamenti tenuti in precedenza e nella frequentazione di persone prive dei valori della civile convivenza.

I genitori del minore, alla stessa udienza, riferivano di aver compreso l'importanza non solo dei doveri educativi ma anche di vigilanza del minore, manifestando l'intenzione di sostenerlo nei suoi progetti futuri.

La questione

La questione che il Tribunale è chiamato ad affrontare è se gli atti di bullismo compiuti da un minore possano essere indicativi di una non adeguata capacità dei genitori e se, dunque, siano tali da legittimare l'adozione dei provvedimenti ex artt. 333 e 336 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale risponde affermativamente al quesito, riconoscendo che l'inadempimento da parte dei genitori agli obblighi di educazione e di vigilanza – inadempimento al quale appaiono, in qualche misura, riconducibili gli atti di bullismo del figlio – può determinare l'apertura di un procedimento ai sensi dell'art. 333 c.c..

A tale conclusione il Tribunale perviene dopo avere osservato che il “bullismo” è definito nella letteratura psicologica come «il fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico».

Questo fenomeno, a sua volta, è indicativo di uno stato di disagio dell'individuo nel periodo della sua formazione.

Al fine di prevenire il verificarsi di siffatte condotte minorili è importante – ammonisce il Tribunale – il ruolo della famiglia e, in particolare, l'adempimento da parte dei genitori dei doveri educativi e di vigilanza.

I “doveri educativi” hanno ad oggetto non solo l'indicazione delle regole, delle conoscenze e dei moduli di comportamento ma anche la messa a disposizione, nei confronti della prole, di strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane affettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità.

I “doveri di vigilanza” si concretizzano, invece, non solo nell'obbligo di controllare che il figlio non intraprenda attività illecite ovvero non frequenti compagnie che potrebbero avere sullo stesso una influenza assai negativa, ma anche nel dovere di vigilare sulla effettiva assimilazione dell'educazione impartita e dei valori trasmessi.

Ciò premesso, il Tribunale osserva come, nel caso di specie, si è resa necessaria l'elaborazione di un progetto a favore del minore nonché la verifica e il sostegno alle capacità educative dei genitori, a seguito dell'atto di bullismo, concretizzatosi in un'aggressione fisica e morale ai danni di un coetaneo.

All'esito dell'intervento del Servizio di Neuropsichiatria Infantile e dei Servizi Sociali del Comune è emerso un quadro privo di criticità e di pregiudizio per il minore, il quale ha manifestato la capacità di prendere le distanze rispetto a determinati modelli comportamentali negativi che avevano dato luogo all'apertura della presente procedura.

Anche i genitori sono apparsi poi una valida risorsa per il minore.

Conclusivamente, il Tribunale ritiene di non dover procedere oltre nell'interesse del minore, disponendo, perciò, l'archiviazione del procedimento.

Osservazioni

Il decreto in rassegna fornisce l'occasione per svolgere alcune brevi riflessioni di carattere generale sul fenomeno del bullismo e sulle relative misure di contrasto adottate dal legislatore.

In ambito criminologico il bullismo è stato definito in dottrina come «l'oppressione psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetrata da una persona o un gruppo di persone più potente nei confronti di un'altra, percepita come più debole».

Il termine “bullismo” è stato utilizzato, per la prima volta, in una norma di rango legislativo nel 2012. L'art. 50 d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo» così come convertito con la l. 4 aprile 2012, n. 35, aveva infatti già in passato previsto che - nell'ambito delle norme per consolidare e sviluppare l'autonomia scolastica - con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca fossero emanate linee guida per la definizione, fra l'altro, di un organica rete territoriale (tra istituzioni scolastiche) finalizzata anche al contrasto dei fenomeni di bullismo.

Al di là di tale disciplina di settore, tanto il bullismo quanto il cyberbullismo venivano contrastati, fino all'approvazione della disciplina contenuta nella l. 29 maggio 2017, n. 71, sotto il profilo della rilevanza penale e civile della condotta e attraverso rimedi generici apprestati dall'ordinamento.

In ambito penale, più precisamente, costituendo prevalentemente illeciti a forma libera - che quindi si consumano con diversi mezzi o modalità - in assenza di un inquadramento normativo specifico, la giurisprudenza aveva fondato numerose pronunce di condanna per atti di bullismo sulle fattispecie già previste dal codice penale. Così, i fatti di bullismo erano stati repressi ora tramite la fattispecie di molestie (art. 660 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), stalking (art. 612-bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), lesioni (art. 582 c.p.). Per altro verso, poi, la Suprema Corte (Cass. 20 marzo 2008, n. 19070) aveva avuto modo di affermare il principio secondo cui le condotte penalmente rilevanti sopra richiamate, qualora realizzatesi nel contesto di una vessazione bullistica, potevano essere considerate aggravate ai sensi dell'art. 61 c.p..

Pur non essendo la l. 29 maggio 2017, n. 71 innovativa sotto il profilo della responsabilità civile dell'autore delle condotte illecite - se non nella mera parte definitoria dell'illecito da cyberbullismo - va ricordato come la giurisprudenza abbia evidenziato il ruolo dei genitori del minore autore degli atti di bullismo nonché, ove il fatto si verifichi durante le ore scolastiche, degli insegnanti (questi ultimi ex art. 2048, comma 2, c.c.). In particolare, l'esonero dalla responsabilità della scuola consegue alla dimostrazione (particolarmente difficile per i genitori, tenuti ai loro obblighi educativi) di non avere in alcun modo potuto impedire il fatto (si veda Cass. 21 febbraio 2003, n. 2657).

Tra le misure previste dalla l. n. 71/2017 vi è da menzionare lo speciale procedimento di cui all'art. 2 l. n. 71/2017, volto alla rimozione dal sito internet o dal social media utilizzato per pubblicare i contenuti illeciti del cyberbullo e rientranti nella definizione di cui all'art. 1 l. n. 71/2017.

In tal senso il minore ultraquattordicenne, nonché il genitore ovvero l'esercente la responsabilità del minore che abbia subìto uno degli atti di cui all'art. 1, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato personale del minore diffuso nella rete internet, previa conservazione di dati originali.

La l. n. 71/2017 prevede, poi, uno speciale provvedimento amministrativo, da irrogare nei confronti dell'autore della condotta illecita. La natura di tale speciale provvedimento appare - sulla falsa riga di quello previsto dalla disciplina stalking (art. 612-bis c.p.) - quella di strumento sanzionatorio a finalità social preventiva che evidenzia, quale obiettivo, quello di evitare il ricorso alla sanzione penale rendendo il minore consapevole del disvalore del proprio atto.

Secondo l'art. 7 l. n. 71/2017, si può ricorrere al procedimento per ammonimento fino a quando non sia stata proposta querela o presentata denuncia per i reati di ingiuria, diffamazione, minaccia o trattamento illecito di dati personali commessi, mediante internet, da minorenni ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne.

Guida all'approfondimento

A. C. Baldry e D. P. Farrington, Bullies and delinquents. Personal characteristics an parental styles, in Journal of community and applied social psychology, 2000, 17;

R. Bocchini, Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018, 2, 340;

P. Pittaro, La legge sul cyberbullismo, inFam. e Dir., 2017, 8-9, 819.

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