Eutanasia cosciente e agevolazione del suicidio: l'ultimatum della Corte costituzionale

Angelo Salerno
03 Gennaio 2019

La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla compatibilità della fattispecie penale di istigazione o aiuto al suicidio, innanzitutto nella parte in cui incrimina la condotte di agevolazione dell'altrui suicidio anche quando risultino prive di incidenza sull'altrui volontà di privarsi della vita, in termini di determinazione o rafforzamento...
Massima

In ipotesi di persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli un'unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive.

Il caso

L'ordinanza in commento trae origine dalla vicenda, oggetto di interesse mediatico, dell'eutanasia praticata in Svizzera da F.A., noto come dj Fabo, il quale, a seguito di un grave sinistro stradale aveva subito lesioni tali da determinarne la condizione irreversibile di cecità e tetraplegia, privandolo della piena autonomia respiratoria e delle principali funzioni fisiologiche, con acute sofferenze derivanti da spasmi e contrazioni involontarie, per le quali non era stata individuata una idonea terapia lenitiva del dolore, a fronte della piena coscienza da parte del predetto.

Nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive, F.A. aveva dunque maturato la decisione di procedere a eutanasia, nonostante i vani tentativi delle persone a lui vicine di dissuaderlo, al punto da intraprendere uno sciopero della fame e della parola.

A fronte della piena e consapevole volontà espressa da F.A., gli era stata prospettata la possibilità di procedere a interruzione del sostegno respiratorio e di alimentazione, con sedazione profonda, che tuttavia non avrebbe assicurato una morte in tempi brevi e indolore, oltre che dignitosa, con conseguente rifiuto da parte dello stesso.

Avvalendosi quindi dell'ausilio di un medico, F.A. si era recato in auto in Svizzera dove, verificata l'attualità e l'effettività delle proprie intenzioni, in data 27 febbraio 2017 egli stesso aveva azionato con la bocca uno stantuffo, così iniettando endovena il farmaco letale, che ne aveva determinato l'exitus.

Il medico, che aveva agevolato l'esecuzione dell'eutanasia, accompagnando F.A. in Svizzera, previa predisposizione di quanto necessario, è stato tratto a giudizio innanzi alla Corte d'assise di Milano, imputato del delitto di istigazione e agevolazione del suicidio di F.A., sulla scorta dell'interpretazione dell'art. 580 c.p. da parte della giurisprudenza di legittimità che, con sentenza della Sezione I penale della Corte di cassazione, 6 febbraio 1998, (dep. 12 marzo 1998), n. 3147, ha statuito che le condotte di agevolazione, incriminate dall'art. 580 c.p. in via alternativa rispetto a quelle di istigazione, debbono ritenersi perciò stesso punibili a prescindere dalle loro ricadute sul processo deliberativo dell'aspirante suicida.

La Corte d'assise di Milano, ha sollevato, con ordinanza del 14 febbraio 2018, una duplice questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p.: la prima, principale, «nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio», per ritenuto contrasto con gli artt. 2, 13, primo comma, e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 2 e 8 […] Cedu»; la seconda, che la Corte costituzionale ha ritenuto subordinata alla prima, «nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione dell'esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell'aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 12 anni, senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, e 32 Cost.»

La questione

La Corte costituzionale è stata chiamata, più nello specifico, a pronunciarsi in merito alla compatibilità della fattispecie penale di istigazione o aiuto al suicidio, innanzitutto nella parte in cui incrimina la condotte di agevolazione dell'altrui suicidio anche quando risultino prive di incidenza sull'altrui volontà di privarsi della vita, in termini di determinazione o rafforzamento.

In particolare, il giudice a quo ha proposto una rilettura della norma incriminatrice del 1930 alla luce del principio personalistico di cui all'art. 2 Cost., in forza del quale la persona e le sue scelte hanno la priorità in materia rispetto alle esigenze dello Stato, nonché del principio di inviolabilità della libertà personale, sancito dall'art. 13 Cost., secondo cui la vita umana non può ritenersi funzionale rispetto a un fine eteronomo rispetto al suo titolare, con conseguente libertà della scelta di porre fine alla propria esistenza.

A sostegno di tale impostazione si richiama altresì il comma secondo dell'art. 32 Cost., come attuato dalla recente legge 22 dicembre 2017, n. 219, in termini di obbligo di rispettare le decisioni del paziente, anche quando possa derivarne la di lui morte.

Ulteriore parametro di legittimità costituzionale invocato dalla Corte d'Assise di Milano viene rinvenuto nel combinato disposto tra l'art. 117, comma primo, Cost. e gli artt. 2 e 8 Cedu, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, nella parte in cui sanciscono e garantiscono il diritto alla vita e al rispetto della vita privata, anche in termini di libertà di decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà.

Il giudice a quo ne deduce, dunque, l'individuazione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice non già nella vita umana in sé, ma nella libertà e consapevolezza della decisione del suo titolare, al fine di evitare influenze idonee ad alterarne le scelte, con conseguente incostituzionalità della stessa nella parte in cui punisce condotte di aiuto al suicidio che risultino prive di incidenza su tali scelte per assenza di offensività in astratto.

In via subordinata, la Corte d'Assise ravvisa la violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalità della pena, laddove la norma incriminatrice prevede la medesima sanzione per le condotte di istigazione, ritenute più gravi, e per quelle di mera agevolazione, in contrasto con gli artt. 13, 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale, pur anticipando importanti considerazioni in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'Assise di Milano, ha emesso un'ordinanza interlocutoria, disponendo un ampio rinvio per consentire al Legislatore di intervenire sulla materia.

Con riferimento alla questione di legittimità dell'art. 580 c.p., la Corte ha preliminarmente rigettato la questione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, rilevando che il tenore letterale della citata disposizione non consente di procedere a interpretazioni costituzionalmente orientate della stessa, specie in assenza di un “diritto vivente” formatosi in materia, a fronte di un'unica pronuncia di legittimità sopra citata.

Il giudice delle leggi precisa, inoltre, superando le ulteriori eccezioni proposte, che la pronuncia richiesta presenta carattere ablativo e non manipolativo, essendo la questione di legittimità costituzionale volta ad escludere la rilevanza penale delle condotte agevolative prive di incidenza sulla volontà di chi decida di togliersi la vita.

Tanto premesso, la Corte costituzionale ha escluso perentoriamente l'incompatibilità della norma incriminatrice con i parametri costituzionali invocati dal giudice a quo, rilevando che il Legislatore, pur non assegnando rilevanza penale al suicidio (nelle uniche ipotesi, di tentato suicidio, in cui il soggetto agente potrebbe essere chiamato a risponderne), ha inteso tutelare l'aspirante suicida dalle condotte di terzi che in qualsiasi modo possano intromettersi nel percorso decisionale o nella sua attuazione.

Si osserva, infatti, nell'ordinanza in commento, che l'art. 2 Cost., al pari dell'art. 2 Cedu, tutelano la vita dell'individuo, senza tuttavia riconoscere al suo titolare un diritto a morire, come peraltro ribadito dalla Corte Edu, con sentenza 29 aprile 2002, nel caso Pretty contro Regno Unito.

Viene del pari esclusa la carenza di offensività in astratto nelle condotte di agevolazione dell'altrui suicidio, in quanto la norma incriminatrice dell'art. 580 c.p. assume una funzione protettiva del bene vita, la cui rilevanza centrale nell'ordinamento costituzionale, consente e allo stesso tempo impone una tutela anticipata e rafforzata, anche solo in termini di pericolo.

Tale conclusione è valida anche alla luce del mutato quadro ordinamentale che, a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione, ha determinato la trasformazione del bene giuridico tutelato dall'interesse dello Stato alla vita umana in quanto funzionale alla Nazione, e in quanto tale indisponibile, alla tutela della persona e della sua vita come valore in sé.

Proprio in quest'ottica, infatti, la rilevanza penale dell'istigazione e dell'aiuto al suicidio appare volta a tutelare il diritto alla vita di quei soggetti che, in ragione della loro vulnerabilità e debolezza, necessitano di una più intensa protezione da parte dell'ordinamento, tale da scongiurare il pericolo di illecite interferenze da parte di terzi sulle scelte di persone malate, depresse o psicologicamente fragili.

Sul punto la Corte costituzionale afferma chiaramente che «Al Legislatore penale non può ritenersi inibito, dunque, vietare condotte che spianino la strada a scelte suicide, in nome di una concezione astratta dell'autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite».

In merito, infine, al paventato contrasto dell'art. 580 c.p. con l'art. 8 Cedu, la Consulta evidenzia che la stessa Corte di Strasburgo, pur avendo rilevato che il divieto, penalmente sanzionato, di assistere altri nel suicidio costituisce un'interferenza con il diritto di autodeterminazione del singolo (che è possibile, ai sensi del par. 2 dell'art. 8 Cedu, solo se prevista dalla legge e necessaria), ha riconosciuto agli Stati Membri un ampio margine di apprezzamento in materia, riscontrando che incriminazioni generali dell'aiuto al suicidio sono presenti nella gran parte delle legislazioni degli Stati membri, proprio con la finalità di protezione delle persone deboli e vulnerabili (in tal senso, tra le altre, la citata sentenza, Pretty contro Regno Unito).

Esclusa, pertanto, la incompatibilità in assoluto dell'incriminazione dell'aiuto al suicidio con la Carta fondamentale, la Corte ha tuttavia operato un'importante precisazione, proprio con riferimento alle situazioni analoghe a quella oggetto del giudizio a quo.

Si legge infatti nella seconda parte dell'ordinanza in commento che occorre prendere in considerazione le situazioni in cui, alla luce del progresso tecnologico successivo all'entrata in vigore del codice penale e della stessa Costituzione, possa venirsi a trovare l'individuo, con particolare riferimento al caso in cui si tratti di «una persona a) affetta da una patologia irreversibile e b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Si rileva, infatti, che l'ausilio del terzo può, in siffatte ipotesi, costituire l'unica soluzione per il malato di sottrarsi al mantenimento artificiale, nel rispetto della sua volontà e alle sofferenze, fisiche o anche solo psicologiche, legate alla sua condizione irreversibile.

La Corte richiama al riguardo la succitata legge 219 del 22 dicembre 2017, nella parte in cui, recependo la giurisprudenza in materia (Trib. Roma, 17 ottobre 2007, n. 2049, caso Welby, e Cass. civ., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, caso Englaro), riconosce a ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza.

Più nello specifico, si evidenzia che tale scelta può essere accompagnata dalla somministrazione di terapie cc.dd. palliative, ivi compresa la sedazione profonda, pur non consentendo al medico di procedere ad eutanasia diretta, costringendo il paziente ad un processo più lento e potenzialmente doloroso, oltre che lesivo della sua dignità.

In simili ipotesi, osservano i giudici della Consulta, vengono messe in discussione le esigenze di tutela che negli altri casi giustificano la repressione penale dell'aiuto al suicidio, a fronte di una libera e consapevole volontà di porre fine alla propria esistenza per sottrarsi alle sofferenze fisiche e psicologiche ormai irreversibili, ostacolata tuttavia dal divieto penalmente sanzionato di interferenze altrui.

La Corte afferma sul punto quindi che, in tale evenienza, «il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un'unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive».

Tanto affermato nel merito, la Corte ha evidenziato l'opportunità di consentire al Legislatore di procedere ad un intervento organico sulla materia, stante l'altissima sensibilità etico-sociale che la contraddistingue e la necessità di precludere qualsiasi forma di abuso mediante idonea e completa regolamentazione, di cui la stessa Corte riconosce di non potersi far carico.

È stato pertanto disposto, come anticipato, un rinvio della trattazione delle questioni di legittimità costituzionali al 24 settembre 2019, per consentire al Parlamento di assolvere alla propria naturale funzione.

Osservazioni

L'ordinanza esaminata presenta due importanti profili di interesse; il primo attinente alla delicata materia di eutanasia e il secondo relativo al piano costituzionale del rapporto tra il potere legislativo e la Corte costituzionale.

Prendendo le mosse da quest'ultimo profilo, va infatti evidenziato che con la pronuncia in esame la Corte costituzionale ha inaugurato una nuova soluzione nella dialettica non sempre efficace con il Legislatore. Si supera infatti lo strumento delle sentenze monito, rispetto alle quali la stessa Consulta rileva i punti di debolezza, evidenziando che tale tecnica decisoria comporta l'effetto di lasciare in vita – e dunque esposta a ulteriori applicazioni, per un periodo di tempo non preventivabile – la normativa non conforme a Costituzione; si osserva inoltre che l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità conseguente all'accertamento dell'inerzia legislativa presuppone, infatti, che venga sollevata una nuova questione di legittimità costituzionale, la quale può tuttavia sopravvenire anche a notevole distanza di tempo dalla pronuncia della prima sentenza di inammissibilità, mentre nelle more la disciplina in discussione continua ad operare.

Tale eventualità è stata dunque scongiurata nel caso di specie, alla luce dell'oggetto delle questioni di legittimità costituzionale sub iudice, mediante un ampio rinvio «Onde evitare che la norma possa trovare, in parte qua, applicazione medio tempore, lasciando però, pur sempre, al Parlamento la possibilità di assumere le necessarie decisioni rimesse in linea di principio alla sua discrezionalità – ferma restando l'esigenza di assicurare la tutela del malato nei limiti indicati dalla presente pronuncia».

Attraverso un'affermazione di carattere sistematico, dunque, la Corte ha sancito, in via generale, che «laddove, come nella specie, la soluzione del quesito di legittimità costituzionale coinvolga l'incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il Legislatore è abilitato a compiere»occorre«in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale – consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che, nei termini innanzi illustrati, una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch'essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale».

All'elemento di novità sul piano costituzionale e del rapporto tra le Istituzioni si affiancano le rilevanti prese di posizione da parte del giudice delle leggi in un settore da sempre oggetto di accesi dibattiti morali e politici prima che giuridici, quale l'eutanasia.

Se, da un lato, infatti è stata affermata chiaramente la legittimità costituzionale della tutela della vita umana da qualsiasi forma di ingerenza del terzo nella drammatica scelta di interruzione dell'esistenza, in ragione della centralità del bene giuridico tutelato tale da richiedere una notevole anticipazione della tutela penale, dall'altro, è stato altrettanto chiaro il monito che la Corte costituzionale ha rivolto al Legislatore, evidenziando le lacune che caratterizzano la disciplina vigente, nonostante il recente intervento con legge 219 del 2017, e affermando il valore della dignità della vita umana e dell'autodeterminazione del singolo, con un netto superamento della concezione statalista pre-costituzionale che riduceva la vita ad un interesse della collettività.

Pur attraverso una rigida perimetrazione delle fattispecie in cui il Legislatore è chiamato ad intervenire che, lo si rammenta, attengono ai casi di «persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli», con l'ordinanza in commento si tracciano le coordinate per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alle rappresentate esigenze di civiltà perché possano essere individuate, attraverso lo strumento fisiologico democratico, soluzioni idonee a tutelare i valori costituzionali di tutela dell'autodeterminazione e della dignità della persona.

Guida all'approfondimento

BIFULCO, Esiste un diritto al suicidio assistito nella Cedu?, in Quad. cost., 2003, 166;

DI GIOVINE, Procreazione assistita, aiuto al suicidio e biodiritto in generale: dagli schemi astratti alle valutazioni in concreto, in Diritto penale e processo, 2018, 913;

GIUNTA, Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazione problematica, in RIDPP, 1997, 74;

MANNA, sub artt. 579-580, Omicidio del consenziente ed istigazione o aiuto al suicidio: l'eutanasia, in Manna (a cura di), Reati contro la persona, I, Reati contro la vita, l'incolumità individuale e l'onore, Torino, 2007, 40;

PORTIGLIATTI BARBOS, Diritto a morire, in Digesto pen., IV, Torino, 1990, 1;

VIGANÒ, Esiste un "diritto a essere lasciati morire in pace"? Considerazioni in margine al caso Welby, in DPP, 2007, 5.

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