Parcheggiatori abusivi. Le novità introdotte dal d.l. sicurezza

09 Gennaio 2019

La legge 132/2018, di conversione del decreto legge 113/2018 (c.d. decreto sicurezza), ha riformulato – incidendo sul substrato normativo del codice della strada, già peraltro oggetto di una recente modifica a opera del c.d. decreto Minniti del 2017 – in maniera senza dubbio innovativa la disciplina delle sanzioni previste per colpire le condotte dei c.d. parcheggiatori abusivi.
Abstract

La legge 132/2018, di conversione del decreto legge 113/2018 (c.d. decreto sicurezza), ha riformulato – incidendo sul substrato normativo del codice della strada, già peraltro oggetto di una recente modifica a opera del c.d. decreto Minniti del 2017 – in maniera senza dubbio innovativa la disciplina delle sanzioni previste per colpire le condotte dei c.d. parcheggiatori abusivi.

Lo ha fatto con l'intento, apertamente richiamato nella relazione al testo, di inasprire le pene per quello che è stato definito come un vero e proprio racket, un fenomeno che «in certe città è strutturato e quasi istituzionalizzato, mentre in altre viene messo in atto in modo più subdolo, con artifizi come la finta vendita ambulante» ed esercitato con la «sottile minaccia psicologica di possibili danni all'auto lasciata incustodita alla loro mercè».

Ciò al fine di tutelare in modo particolare le “categorie più indifese”, quali le donne e gli anziani.

Si osservi comunque che – essendo stata inserita detta norma in sede di conversione – essa è vigente non già dal 5 ottobre 2018 (data di entrata in vigore del decreto legge) ma dal 4 dicembre 2018, giorno successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge di conversione.

La fattispecie originariamente prevista

Il primo nucleo della fattispecie in esame va individuato, invero, nelle modifiche apportate al nuovo codice della strada (decreto legislativo 285/1992) dal decreto legge 151/2003, convertito in legge 214/2003, che hanno visto introdurre nell'articolo 7 il comma 15-bis che, testualmente, recita(va):

«Salvo che il fatto costituisca reato, coloro che esercitano abusivamente, anche avvalendosi di altre persone, ovvero determinano altri ad esercitare abusivamente l'attività di parcheggiatore o guardiamacchine sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 765,00 a euro 3.076,00. Se nell'attività sono impiegati minori la somma è raddoppiata. Si applica, in ogni caso, la sanzione accessoria della confisca delle somme percepite, secondo le norme del Capo I, Sezione II, Del Titolo VI».

La disposizione pare richiedere, per la configurazione dell'illecito, una certa (sia pur minima) organizzazione, finalizzata a trasformare una determinata areaFine modulo in un “parcheggio abusivo”, con la presenza necessaria di una o più persone dedite a chiedere/ricevere somme di denaro quale corrispettivo per il servizio di custodia o di mero parcheggio.

Ciò, ovviamente, in difetto delle richieste autorizzazioni.

Invero, la clausola di illiceità espressa che l'avverbio abusivamente introduce appare intesa a circoscrivere e a definire il disvalore della condotta che connota i citati illeciti; esso, infatti, dipende dalla violazione delle previsioni legali sottostanti, nonché dal contenuto dei provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa in sede di rilascio delle prescritte autorizzazioni, così delimitando l'area del consentito e del lecito.

Quanto alla nozione di “parcheggio abusivo”, la giurisprudenza di merito dei giudici di pace sottolinea l'esigenza di qualificare l'area ove applicare la sanzione come area privata e comunque, delimitata e organizzata per questo scopo, giacché un parcheggio – ai fini del nuovo codice della strada e per definizione (art. 3, comma 1, n. 34 cod. strada) – non è soggetto ad alcuna custodia.

Inoltre, per far scattare la sanzione occorre che il soggetto possa essere individuato come addetto alla custodia dei veicoli che vi parcheggiano e, come tale, che abbia il controllo diretto di detta area; ciò porterebbe, conseguentemente, a escludere che vada incontro alla citata sanzione amministrativa colui che, trovandosi in condizioni di bisogno, si limitasse a segnalare un parcheggio libero accettando dall'automobilista una piccola somma in denaro, qualificabile come spontanea regalia e non già come corrispettivo per alcuna attività di sorveglianza.

Peraltro, si osservi che lo stesso decreto sicurezza (articolo 21-quater d.l. 113/2018) ha di nuovo introdotto nel sistema il “delitto” (in realtà, una contravvenzione) di esercizio molesto dell'accattonaggio, contenutonell'art. 669-bis c.p.

La norma, di carattere sussidiario, stabilisce che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque esercita l'accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l'altrui pietà è punito con la pena dell'arresto da tre a sei mesi e con l'ammenda da euro 3.000 a euro 6.000. È sempre disposto il sequestro delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l'illecito o che ne costituiscono il provento».

È stato quindi reintrodotto il reato di mendicità, riproducendo in modo quasi pedissequo l'originaria formulazione del secondo comma dell'art. 670 del codice Rocco (che puniva con l'arresto da uno a sei mesi l'accattonaggio commesso «in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformità o malattie o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l'altrui pietà»).

Insomma, si assiste a una significativa stretta repressiva nei confronti di talune condotte giudicate idonee a turbare la sicurezza pubblica e, più in generale, ad arrecare disagio ai cittadini.

Il decreto Minniti del 2017

Per la verità, nella medesima direzione si era già posto il ricordato decreto Minniti (d.l. 14/2017, conv. con modif. l. 48/2017) che aveva introdotto strumenti multiformi con funzione sia repressiva che dissuasiva, da dosare a seconda della gravità del comportamento, della reiterazione dello stesso ovvero della “recidiva”, qualora si tratti di soggetti già condannati per determinati reati.

La norma del 2017, infatti, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 9 d.l. 14/2017) da 100 a 300 euro a carico di chi ponga in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e fruizione delle aree interne di infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti.

Nella relazione al testo si legge che la disposizione mira a sanzionare condotte che incidono negativamente sulla libera fruizione di spazi pubblici.

Le norme potranno estendersi, ai sensi dell'art. 9, comma 3, d.l. 14/2017 anche ad aree urbane su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura, interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico (tali aree dovranno essere individuate dai regolamenti di polizia urbana).

La competenza è attribuita al sindaco del comune interessato (in concreto, agli organi accertatori individuati ai sensi dell'art. 13 della legge 689/1981).

Accanto alla sanzione pecuniaria è stato, poi, previsto un ordine di allontanamento: contestualmente alla sanzione, infatti, la disposizione prevede che al trasgressore venga ordinato (con atto scritto che deve recare l'indicazione che ne cessa l'efficacia trascorse 48 ore dall'accertamento del fatto e che la sua violazione è punita con la sanzione pecuniaria di cui al comma 1, aumentata del doppio) di allontanarsi dal luogo ove è stato commesso il fatto.

Il predetto ordine opera, per specifica estensione normativa, anche a carico di chi svolge le attività vietate negli artt. 688 (manifesta ubriachezza) e 726 c.p. (atti contrari alla pubblica decenza, turpiloquio), art. 29 d.l. 114/1998 (esercizio del commercio senza le prescritte autorizzazioni o in violazione di divieti) e – per quel che più interessa – nel menzionato articolo 7,comma15-bis,del codice della strada (esercizio di attività di parcheggiatore abusivo e guardiamacchine), nelle aree innanzi indicate.

Tale ultima fattispecie è stata introdotta in sede di conversione, consentendo quindi di disporre anche nei confronti dei parcheggiatori abusivi la misura dell'ordine di allontanamento innanzi citata.

Invero, il comma 15-bis dell'art. 7 citato era stato parimenti innovato dalla legge 48/2017, che rafforzava la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie di notevole entità (da mille a 3.500 euro) per i c.d. parcheggiatori abusivi, con la precisazione che se nell'attività fossero stati impiegati minori, ovvero nei casi di reiterazione, la sanzione aumentava del doppio.

Come anticipato, con l'entrata in vigore della legge 18 aprile 2017, n. 48, recante la conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città) è stato modificato il ricordato articolo 7, comma 15-bis.

Al di là dell'aumento della sanzione amministrativa pecuniaria e di qualche ritocco nella struttura del comma, la novella si incentrava per un verso sull'introduzione della reiterazione come elemento aggravante (che si aggiunge a quello già presente consistente nell'impiego dei minori) e, per altro verso, sulle modalità dell'incremento della sanzione, prima semplicemente definito come raddoppio (la somma è raddoppiata) e nel 2017 previsto come aumento del doppio (la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata del doppio).

Tale formulazione appariva certamente ambigua, perché un aumento “del doppio” è senza dubbio maggiore del semplice raddoppio della sanzione base.

È peraltro probabile che l'intenzione del legislatore fosse quella di utilizzare la locuzione come sinonimo di raddoppiare; tuttavia, la questione può dirsi ormai superata giacché con la novella introdotta poco più di un anno dopo si è scelto di reprimere le condotte “aggravate” non più con una semplice maggiorazione della sanzione amministrativa base, ma addirittura infliggendo una sanzione penale, sia pur contravvenzionale.

Il c.d. decreto sicurezza del 2018

Attualmente, infatti, l'articolo 21-sexies della legge 132/2018 ha di nuovo inciso sull'articolo 7 delcodice della strada prevedendo che:

«Salvo che il fatto costituisca reato, coloro che esercitano senza autorizzazione, anche avvalendosi di altre persone, ovvero determinano altri ad esercitare senza autorizzazione l'attività di parcheggiatore o guardiamacchine sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 771 ad euro 3.101. Se nell'attività sono impiegati minori, o se il soggetto è già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo, si applica la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e dell'ammenda da 2.000 a 7.000 euro».

Come si vede, il Legislatore a distanza di poco più di un anno ha preso in considerazione di nuovo la stessa fattispecie, cambiando non di poco la prospettiva: mentre prima le condotte in esame erano sanzionate sempre in via amministrativa, sia nelle ipotesi “base” che in quelle aggravate e a cambiare era solo l'entità della sanzione pecuniaria irrogata, invece qui si assiste alla criminalizzazione delle citate condotte con la previsione non solo di un progressivo inasprimento delle sanzioni, quanto di una diversa valenza, adesso di rango penalistico, della condotta.

Mentre per le ipotesi semplici la sanzione sarà solo amministrativa (pecuniaria) e persino leggermente inferiore rispetto a quella prevista dal decreto Minniti, invece d'ora in poi in caso di reiterazione delle condotte, ovvero di impiego di minori, essa sarà di tipo penale, sia pur contravvenzionale.

Peraltro, la disposizione introdotta assume carattere sussidiario, configurandosi solo allorché la condotta non sia idonea a integrare un (altro) reato.

Tale notazione si è resa necessaria in quanto da anni la giurisprudenza di legittimità si è interessata di questo genere di vicende, cercando di sussumerle – stante l'assenza di una norma incriminatrice ad hoc che punisse in maniera specifica le condotte in esame – nell'ambito delle fattispecie incriminatrici rinvenibili nel codice, di volta in volta individuate in quelle di cui agli articoli 650, 629 e 610 c.p.

Pertanto, è facile immaginare che oggi gli interpreti si interrogheranno sulla possibilità di inquadrare le singole condotte nell'alveo della nuova disposizione ovvero di qualificarle come elemento costitutivo di uno dei citati delitti, puniti molto più severamente.

Assume, invero, particolare importanza comprendere se ci si trovi al cospetto di una condotta qualificabile come delitto di estorsione, violenza privata o altro; ciò perché, per come è stato articolato il meccanismo punitivo statuale, è a dirsi che occorrerà in primo luogo comprendere se la condotta sia idonea a rivestire rilevanza penale secondo i termini prima indicati e – solo in seconda battuta ed esclusa tale possibilità – se ricorrano le condizioni che la nuova disposizione richiede per poter far scattare l'illecito contravvenzionale, punito comunque con pene pecuniarie e detentive, ovvero se ricorra esclusivamente la possibilità di irrogare una sanzione amministrativa.

Inoltre, occorrerà considerare, rispetto all'epoca del fatto, anche la successione di leggi nel tempo emergente dai due ricordati interventi normativi.

Le questioni interpretative affrontate dalla giurisprudenza di legittimità

Dunque, è interessante ricostruire il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte al fine di inquadrare le condotte dei c.d. parcheggiatori abusivi nelle diverse disposizioni rinvenibili nel codice penale, prima dell'introduzione della norma incriminatrice innanzi citata; ciò ribadendo che tale attività non ha perso oggi la sua attualità proprio in forza delle considerazioni or ora espresse e del carattere sussidiario della disposizione coniata nel 2018.

Una prima questione affrontata dalla giurisprudenza di legittimità riguardava la possibilità di sussumere le condotte in esame nell'ambito dell'art. 650 c.p., che punisce, com'è noto, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro «chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o di igiene».

Anche tale norma ha carattere sussidiario, scattando la contravvenzione solo se il fatto non costituisce un più grave reato.

Il tema si era posto in quanto in diverse città il Questore aveva ordinato, per ragioni di ordine pubblico, ad alcuni soggetti – che operavano appunto come guardamacchine senza autorizzazione – di desistere dalle citate condotte; a costoro il provvedimento era stato debitamente notificato ma, nonostante ciò, erano stati ancora sorpresi dalla P.G. nello svolgimento delle menzionate attività.

Denunciati, erano stati condannati a una lieve ammenda proprio in applicazione del richiamato articolo 650 c.p.

Avverso la citata condanna veniva proposto ricorso in cassazione, lamentando che nel caso di specie doveva trovare applicazione la legge 689/1981, articolo 9, perché la condotta del parcheggiatore abusivo era (all'epoca) sanzionata solo in via amministrativa dall'art. 7 del codice della strada, comma 15-bis, norma speciale rispetto a quella di cui all'art. 650 c.p.

Inoltre, si sosteneva che l'ordinanza questorile non fosse “legalmente data” in quanto volta a impedire un comportamento già sanzionato da una precisa norma amministrativa.

Infine, veniva evidenziata l'impossibilità di invocare sul punto il citato articolo 7, comma 15-bis, che fa salva l'ipotesi che la condotta costituisca reato, in quanto esso ricorre al di fuori del principio di specialità; in ogni caso, si osservava che l'art. 650 c.p. avrebbe potuto trovare applicazione solo qualora il provvedimento della P.A. avesse avuto carattere personale e non generale e in funzione di prevenzione.

La Suprema Corte ha ritenuto fondate queste ultime considerazioni, chiarendo che ai fini della configurabilità del reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità è necessario per un verso che l'inosservanza riguardi un ordine specifico impartito a un soggetto determinato in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga in essere una certe condotta, ovvero si astenga da una certa condotta (e che ciò venga stabilito per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o di igiene o di giustizia) e, per altro verso, che l'inosservanza si riferisca a un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti una specifica e autonoma sanzione (così Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 1999, n. 3755, Di Giovanni).

In applicazione di tali principi, si è precisato che non ha le caratteristiche sopra indicate (e quindi la sua inosservanza non può integrare il reato di cui all'art. 650 c.p.) una disposizione impartita in via preventiva a una generalità di soggetti e con carattere regolamentare, come accaduto nel caso in esame, dove il provvedimento questorile riguardava tutti i parcheggiatori abusivi e risultava adottato in via chiaramente generale, alla stregua di disposizione tipicamente regolamentare.

Si è, quindi, aperta la via a un sindacato specifico sul provvedimento questorile, segnalando come occorresse in primo luogo verificare (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 44238/2013) se l'ordinanza de qua fosse stata emessa o meno fuori dei casi consentiti, che devono essere connotati da gravi pericoli per l'incolumità dei cittadini; si è poi precisato che le necessarie caratteristiche di ordinanza d'urgenza mancano qualora dalla sua motivazione non sia dato cogliere il riferimento a situazioni imprevedibili o impreviste, non fronteggiabili con i mezzi ordinari.

Essa, in altre parole, non solo deve essere votata alla cura di apprezzabili finalità di pubblico interesse, ma anche essere connotata dai necessari presupposti della contingibilità e urgenza che la pongano al difuori del più vasto ambito dei regolamenti in materia di polizia urbana, dalla cui violazione non può discendere la responsabilità penale a norma dell'art. 650 c.p.

Non solo, nel caso in esame l'ordine questorile riguardava l'osservanza di una condotta specificamente contemplata da una norma amministrativa (l'art. 7,comma 15-bis,cod. strada), di guisa che con esso (ordine) si era creata la paradossale situazione di una autorità di polizia che ordinava il rispetto di una norma amministrativa la quale aveva in sé la sua forza cogente indipendentemente dall'ordine del Questore.

Tanto aveva determinato l'assoluzione dell'imputato con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Pertanto, la Suprema Corte ha affermato – secondo un orientamento progressivamente consolidatosi – che l'esercizio abusivo dell'attività di parcheggiatore integrava l'illecito amministrativo previsto dall'art. 7 cod. strada, comma 15-bis, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità previsto dall'art. 650 c.p., stante l'operatività del principio di specialità di cui alla l. 689 del 1981, art. 9 (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 15936/2013).

Altrove (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 47886/2011) si è sottolineato che le violazioni delle ordinanze applicative di leggi e di regolamenti comunali sono assoggettabili alla disciplina dell'art. 106r.d. 383/1934, (che punisce, appunto, con l'applicazione di un'ammenda la contravvenzione alle disposizioni dei regolamenti comunali), norma che si pone in rapporto di specialità rispetto alla fattispecie di cui all'art. 650 citato; pertanto, in caso di trasgressione rispetto a tali provvedimenti dell'autorità amministrativa, si configura solo un illecito amministrativo, ai sensi della legge 689/1981, art. 32, poiché la fattispecie relativa all'esercizio abusivo dell'attività di parcheggiatore è prevista dall'art. 7, comma 15-bis,del codice della strada.

Quindi, stante l'operatività dell'art. 9 legge 689/1981 non può essere configurato il reato in esame, che opera in via sussidiaria solamente laddove l'ordine specifico, impartito per ragioni di ordine pubblico igiene o giustizia, sia riferibile a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti autonoma sanzione.

Infatti, per costante giurisprudenza la disposizione in tema di inosservanza di provvedimenti dell'autorità di cui all'art. 650 c. p. ha natura sussidiaria e trova applicazione solo quando la detta inosservanza non sia sanzionata da alcuna norma penale o amministrativa; al contrario, nel caso in esame il fatto che il codice della strada sanzionasse in via amministrativa la condotta dei cd. parcheggiatori abusivi comportava, in applicazione del principio di specialità previsto dal richiamato articolo 9 della legge 689, la prevalenza della sanzione amministrativa, con conseguente inoperatività della norma penale menzionata.

Sgombrato il campo dalla possibilità di ritenere integrato l'illecito contravvenzionale di cui all'art. 650 c.p., gli interpreti si sono interrogati sulla configurabilità, rispetto alle condotte di chi senza autorizzazione svolga l'attività di guardamacchine, dei più gravi delitti di estorsione o violenza privata.

La prima norma punisce, com'è noto, con la reclusione da cinque a dieci anni e la multa (da 1000 a 4000 euro) chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; la pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo 628 c.p.

Nel delitto di estorsione si procede sempre d'ufficio e, in caso di flagranza, è previsto l'arresto obbligatorio; sono ammesse tutte le misure cautelari, anche custodiali, e il fermo.

Competente a giudicare è il tribunale in composizione monocratica nell'ipotesi semplice e il tribunale in composizione collegiale nell'ipotesi aggravata di cui al secondo comma (se la violenza o la minaccia è commessa con armi o da persona travisata, o da più persone riunite; se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire; se la violenza o la minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p.; se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'art. 624-bis c.p. o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; se il fatto è commesso all'interno di un mezzo di pubblico trasporto; se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro; se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne).

Invero, è affermazione abbastanza netta in giurisprudenza quella secondo la quale può reputarsi integrato il delitto di estorsione, tentata o consumata, a carico di colui che eserciti abusivamente le citate attività: Cass. pen., Sez. II, n. 15137/2010 ad esempio ha confermato la condanna per tentata estorsione nei riguardi di un soggetto che aveva minacciato il proprietario di un'autovettura in sosta con un bastone, al fine di costringerlo a corrispondergli la somma di quattro euro come compenso per la pretesa vigilanza del mezzo.

Interessante il passaggio nel quale la Corte motiva la non sussistenza, nel caso di specie, della più lieve ipotesi delittuosa di cui all'art. 393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza o minaccia alle persone): la tesi, prospettata dalla difesa dell'imputato che aveva sostenuto come costui si fosse limitato a pretendere il giusto compenso per l'attività di custodia prestata, è stata disattesa osservando che a minaccia integrante elemento costitutivo del delitto di estorsione si ha anche quando si fa uso di mezzi giuridici per scopi diversi da quelli per i quali sono stati apprestati dalla legge.

Nell'estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere di ingiustizia quando sia posta in essere non già per esercitare un diritto, bensì con il proposito di coartare la volontà di altri per conseguire fini illeciti (così Cass. pen., Sez. II, n. 3380/1992), mentre nel delitto di ragion fattasi la pretesa deve essere giuridicamente azionabile e suscettibile di tutela.

Nel caso in esame non solo la pretesa era illegittima, trattandosi di posteggiatore non autorizzato, ma anche portata avanti con gli illeciti mezzi della violenza e della minaccia.

Come può osservarsi, quindi, la giurisprudenza di legittimità ha escluso anche la possibilità di ritenere integrato il delitto di cui all'art. 393 c.p., oltre a quello di cui all'art. 650 c.p. in riferimento alle condotte dei cd. parcheggiatori abusivi: del primo in quanto la pretesa fatta valere non è idonea ad assumere veste legittima in considerazione del carattere non autorizzato dell'attività svolta e del secondo in forza del ricordato principio di specialità sancito dalla legge del 1989 e della sussidiarietà della disposizione.

In giurisprudenza si è posto anche il quesito relativo alla distinzione, rispetto alle condotte in analisi, tra il delitto di violenza privata e quello di estorsione: Cass. pen., Sez. II, n. 30365/2018 – valutando il caso di un soggetto che aveva chiesto, con tono intimativo, a un automobilista la somma di due euro “per il parcheggio”, minacciando in caso contrario di danneggiargli l'autoveicolo in sosta lì vicino – ha confermato la condanna per tentata estorsione, mostrando di non accedere alla costruzione difensiva che invece propugnava la sussistenza del meno grave delitto di tentata violenza privata.

Assai recisamente la Corte afferma che non è configurabile il reato di violenza privata per la semplice ragione che il suddetto reato ha natura sussidiaria rispetto all'estorsione, dalla quale si differenzia per l'assenza dell'ingiusto profitto che, invece, nel caso di specie, è rinvenibile e identificabile con certezza nella richiesta di una somma di denaro, non dovuta a causa dell'assenza di autorizzazione allo svolgimento dell'attività di guardiania.

Invero, entrambe le fattispecie incriminatrici anzidette tutelano la libertà di autodeterminazione dell'individuo, ma ricorre il delitto di estorsione allorché la coartazione sia preordinata a procurare al soggetto attivo un ingiusto profitto, come nel caso di specie (Cass. pen., Sez. V, 19 aprile 2006, n. 32011); indubbia è altresì la sussistenza del tentativo, nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al facere ingiusto (Cass. pen., Sez. II, 10 giugno 2008, n. 24068), costituendo proprio l'ingiusto profitto con altrui danno l'evento di cui all'art. 629 c.p.

A margine di tale considerazione, si è sostenuto che la minaccia era da ritenersi sussistente perché tale - considerata con giudizio ex ante – doveva oggettivamente ritenersi la frase: “se non mi dai i soldi che ti ho chiesto ti rompo la macchina” essendo, poi, del tutto irrilevante che la persona offesa non si fosse sentita intimidita ma, anzi, dopo avere rifiutato di pagare si fosse recata a denunciare il fatto (in tal senso, ex plurimis Cass. pen., 644/2014).

In generale, è a dirsi che raramente la minaccia di un danno all'autovettura in sosta, quale conseguenza della mancata corresponsione della “tariffa”, è fatta in maniera palese: è infatti evidente che la maggior parte degli automobilisti, in tal caso, sceglierebbero di andarsene e di trovarsi un altro parcheggio e il posteggiatore guadagnerebbe assai poco.

Tuttavia, secondo costante interpretazione dei giudici di legittimità la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, ben può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita e indeterminata, purché sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (Cass. Pen., Sez. II, n. 11922/2013).

Essa, in altre parole, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo; tale valutazione andrà condotta caso per caso e con riferimento alle circostanze innanzi enunciate.

Pertanto il parcheggiatore che, con violenza o minaccia, costringa un'automobilista a consegnargli del denaro, anche ove si tratti di pochi spiccioli, tiene una condotta idonea a configurare il delitto di estorsione (cfr. ex multis Cass. pen., n. 21942/2012); è ovvio, comunque, che la condotta intimidatoria - sia pure indiretta - debba essere manifestata all'esterno dall'abusivo e non possa trattarsi invece di un semplice timore soggettivo dell'automobilista.

Ancora diversa è, infine, l'ipotesi in cui il parcheggiatore abusivo piuttosto che pretendere, in modo violento o minaccioso, un pagamento, impedisca a un'automobilista di parcheggiare il proprio veicolo in uno degli spazi di parcheggio sotto il suo “controllo”, proprio in ragione del rifiuto di costui a corrispondere la somma richiesta.

In queste evenienze, infatti, non potrebbe configurarsi il delitto di estorsione, mancando la componente patrimoniale del vantaggio ingiusto con altrui danno, ma verrebbe in rilievo il diverso delitto di violenza privata che, come anticipato, punisce con la reclusione fino a 4 anni “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”.

È peraltro evidente che la citata questione interpretativa si porrà soltanto allorché l'azione del parcheggiatore abusivo sia connotata, nello specifico caso concreto, dagli elementi specifici caratterizzanti i menzionati illeciti, vale a dire dalla componente della violenza o della minaccia funzionali a costringere taluno a fare, a omettere ovvero a tollerare qualche cosa.

Ai fini dell'integrazione del menzionato delitto, è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa compressione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che - pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali - si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento ovvero a influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Cass. pen., n. 1786/2017).

La minaccia o la violenza, ai fini della violenza privata, devono avere l'effetto di costringere la persona offesa a fare, tollerare od omettere qualcosa di determinato; in assenza di una tale determinatezza, potrebbero eventualmente integrarsi i più lievi reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata.

Ciò in quanto il delitto in esame non scatta allorché gli atti di natura violenta o intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta (cos Cass. pen., Sez. V, n. 10132/2018).

Pertanto, laddove il parcheggiatore abusivo reagisca al rifiuto dell'automobilista di pagare aggredendolo, potranno eventualmente configurarsi i reati di percosse o lesioni personali, nonché il reato di minacce, ove il parcheggiatore reagisca minacciando l'automobilista di un male ingiusto.

Da precisare, inoltre, come la violenza rilevante ex art. 610 c.p. vada intesa in senso ampio, comprensivo anche della violenza diretta alle cose o a soggetti diversi dalla vittima; ad esempio, se la violenza si fosse manifestata sull'autovettura parcheggiata potrebbe venire in rilievo non già un reato complesso (danneggiamento con violenza alla persona, di cui all'art. 635 c.p.), bensì un concorso tra i due reati autonomi, in quanto la strumentalità della violenza, che nel delitto di cui all'art. 610 c.p. è volta a costringere taluno a fare, omettere o tollerare qualcosa, fuoriesce dallo schema tipico del secondo illecito, in cui è sufficiente che la violenza sia fine a se stessa o, al più, che sia compiuta al fine di danneggiare (così Cass. pen., n. 13550/2015).

Quanto al delitto di danneggiamento, v'è da dire che la depenalizzazione operata nel 2016 con il decreto legislativo n. 7 ha riguardato unicamente le ipotesi “semplici”, vale a dire non connotate dalla presenza di circostanze aggravanti; nel caso invece di un parcheggiatore abusivo che - ad esempio per dispetto, non essendo stato pagato in tutto o in parte per i suoi “servigi” - danneggi un'autovettura in sosta sulla pubblica via, deve ritenersi tuttora sussistente il delitto di danneggiamento ex art. 635, comma, 2 c.p., in forza della configurabilità dell'aggravante dell'esposizione del veicolo alla pubblica fede.

Invero, è orientamento consolidato che l'aggravante di cui all'articolo 625 n. 7 c.p. è correlata non tanto al luogo ove si trova il bene, bensì alla sua condizione di esposizione alla pubblica sede che ricorre quando la cosa trovi protezione solo in virtù del rispetto che di essa abbiano i consociati; pertanto, per “pubblica fede” deve intendersi quel sentimento di rispetto e senso di affidamento verso la proprietà o il possesso altrui su cui fa affidamento chi lascia una cosa propria incustodita, anche temporaneamente, in tal modo esponendola a un maggior rischio di sottrazione o danneggiamento (Cass. pen., n. 9022/2006).

Quindi, non rileva in sé la natura pubblica o privata del luogo ove l'oggetto è lasciato, ma l'assenza di una sorveglianza costante e diretta della cosa, che sola è idonea a escludere l'esposizione alla pubblica fede, contrariamente a un controllo saltuario o generico.

La disciplina attualmente vigente

In conclusione, né all'indomani del c.d. decreto Minniti del 2017 e nemmeno del più recente c.d. decreto sicurezza colui che eserciti l'attività di parcheggiatore in modo abusivo, ovvero senza le prescritte autorizzazioni, commette per ciò solo un reato ma esclusivamente un illecito amministrativo, contemplato dall'articolo 7, comma 15-bis, del codice della strada, la cui sanzione è stata progressivamente modificata (come visto, fino al 21 aprile 2017 la sanzione andava da 765 a 3076 euro, dal 22 aprile 2017 al 3 dicembre 2018 da euro 1000 a euro 3500 e infine, all'indomani dell'entrata in vigore della legge 132/2018, la sanzione va da 771 a 3101 euro).

Qualora le citate condotte siano state perpetrate impiegando minori, ovvero nei casi di reiterazione, mentre fino ad aprile 2017 la sanzione amministrativa pecuniaria era raddoppiata e dall'aprile 2017 essa veniva “aumentata del doppio”, oggi invece non si farà più luogo a una sanzione meramente amministrativa e pecuniaria, ma verrà in rilievo una vera e propria sanzione penale, con pene detentiva e pecuniaria da applicarsi congiuntamente e non alternativamente (arresto da sei mesi a un anno e ammenda da 2000 a 7000 euro).

Da segnalare che la disposizione è stata, recentemente, riformulata in maniera opportuna forse proprio in ragione della novella introduzione di un apposito illecito contravvenzionale: mentre prima, infatti, l'aumento della sanzione pecuniaria era agganciato al semplice e generico dato della “reiterazione” delle condotte (che poteva suscitare interrogativi applicativi in merito alla necessità o meno di un accertamento compiuto di precedenti comportamenti dell'interessato), oggi invece si prevede in maniera più precisa che l'illecito penale venga in rilievo solo qualora un soggetto che sia già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo (vale a dire con provvedimento non più impugnabile, ovvero nei cui riguardi siano stati vanamente esperiti i mezzi d'impugnazione previsti dall'ordinamento) incorra una seconda volta nelle stesse violazioni.

La legge 132/2018, insomma, disegna un meccanismo repressivo improntato a un (condivisibile, invero) principio di graduazione e proporzionalità: il guardiamacchine abusivo che non minacci e non usi violenza, che non impieghi minori e non sia mai stato sanzionato in via definitiva sarà quindi passibile solo di una sanzione amministrativa pecuniaria (peraltro leggermente più bassa di quella previgente); colui che, invece, abbia impiegato minorenni fin dal primo accertamento oppure, dopo una sanzione passata in giudicato, venga di nuovo sorpreso a svolgere la citata attività, commetterà d'ora in avanti un vero e proprio reato punito con l'arresto e l'ammenda.

L'aver qualificato la fattispecie come illecito contravvenzionale spiegherà una serie di rilevanti conseguenze in tema di inconfigurabilità del tentativo (l'art. 56 c.p., infatti, si riferisce solo ai delitti), inapplicabilità della recidiva (art. 99 c.p.), tempi di prescrizione più brevi e possibilità di estinzione del reato mediante oblazione (artt. 162 e 162-bis c.p.).

Inoltre, la procedibilità sarà sempre officiosa e la competenza attribuita al tribunale in composizione monocratica, a eccezione delle ipotesi di competenza del giudice di pace; infine, non saranno mai consentite misure cautelari personali, né misure precautelari, come l'arresto o il fermo.

Il neo-introdotto illecito è, quindi, una contravvenzione e opera in due distinte ipotesi, strutturalmente diverse: la prima concerne l'impiego di minori nell'attività di parcheggio/guardiania e qui il semplice fatto di essersi servito di un soggetto minorenne determina il passaggio da una sanzione amministrativa alla sanzione penale e, dunque, il sorgere di un vero e proprio fatto-reato.

Esso si presenta come reato comune, che può essere commesso da chiunque eserciti senza autorizzazione l'attività di parcheggiatore o guardiamacchine, purché si sia avvalso di minori e prescindendo dall'eventuale “recidiva” nelle condotte.

L'elemento oggettivo risiede, appunto, nello svolgere la citata attività in presenza di un presupposto negativo (la mancanza dell'autorizzazione) e di un presupposto positivo (l'accertamento circa l'impiego di soggetti di età minore, da intendersi nel senso che a costoro sia stato affidato lo svolgimento, totale o parziale, della gestione dell'area di parcheggio abusivo anche prescindendo dall'esistenza di un vincolo di sottoposizione all'adulto, ovvero di uno stringente potere di sorveglianza e di direzione da parte di costui).

La norma va, invero, letta insieme al suo primo comma laddove si stabilisce che la condotta rilevante è anche quella di chi si avvalga di altre persone, ovvero determini altri a compiere le citate azioni: qualora tali soggetti siano minorenni, non si farà luogo solo alla sanzione amministrativa ma scatterà la contravvenzione.

Da segnalare che il decreto sicurezza ha operato in maniera simile anche a fronte di un'altra serie di situazioni fattuali idonee a ingenerare insicurezza e disagio nel cittadino, ovvero delle condotte di accattonaggio: si è scelto di incidere (con l'art. 21-quinquies) sull'articolo 600-octies del codice penale, aggiungendovi un'ulteriore ipotesi di reato a carico di chiunque organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto e sostituendone la rubrica con la seguente: Impiego di minori nell'accattonaggio. Organizzazione dell'accattonaggio.

Pure qui può notarsi la volontà di sanzionare in modo netto le condotte che, forse, oggi destano maggior preoccupazione e sdegno nell'opinione pubblica, ovvero quelle di sfruttamento dell'altrui mendicità, realizzato su basi organizzative molto precise e spesso servendosi di modalità gravemente vessatorie nei confronti degli stessi soggetti vulnerabili a tal fine impiegati, bambini o invalidi.

Sia nel caso dei parcheggiatori abusivi che degli “accattoni”, quindi, il Legislatore ha mostrato di voler punire con maggiore severità chi decida di avvalersi nell'ambito di tali attività di persone di età minore, così esponendole al contatto con contesti di marginalità sociale e illegalità.

Quanto all'elemento soggettivo, è noto che in materia di contravvenzioni la punibilità è di regola ancorata indifferentemente al dolo o alla colpa; infatti, l'articolo 42, comma 4, c.p. statuisce che nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

Peraltro, l'articolo 43 c.p. stabilisce che la distinzione tra reato doloso e colposo vale anche per le contravvenzioni, allorché la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico; è, pertanto, possibile che siano disciplinate contravvenzioni esclusivamente dolose.

Nel caso di specie la legge non fa riferimento alla necessità di accertare uno specifico elemento soggettivo ma ciò non vuol dire che tale verifica sia irrilevante, giacché per rispondere penalmente di una condotta occorrerà sempre accertare che sussista l'elemento psicologico idoneo a sorreggerla; vorrà dire solo che se ne risponderà indifferentemente a titolo di dolo o di colpa.

Invero, la costruzione della fattispecie (e la necessità di accertare un quid pluris di contenuto eminentemente “volontario” connesso all'impiego di minorenni) potrebbe indurre a ritenere di essere in presenza di una contravvenzione dolosa, per la cui punibilità è necessario che la condotta sia sorretta dalla coscienza e dalla volontà di esercitare senza autorizzazione l'attività di parcheggiatore abusivo, nonché di avvalersi di soggetti di età minore.

L'altra fattispecie è quella che punisce il parcheggiatore “recidivo”, ovvero colui che sia già stato raggiunto da un provvedimento irrevocabile col quale gli sia stata comminata la sanzione amministrativa di cui al primo periodo; anche qui concorrono un requisito “negativo” (l'assenza dell'autorizzazione) e uno “positivo” (il precedente irrevocabile).

Si osservi che il Legislatore non ha stabilito alcun limite temporale, di talché deve ritenersi che la contravvenzione sarà consumata anche in presenza di precedenti sanzioni amministrative assai risalenti nel tempo; né, inoltre, pare che vi sia alcuno spazio di discrezionalità per il giudice che, quindi, non potrà ad esempio assolvere l'imputato spingendosi a sindacare la correttezza del provvedimento amministrativo già applicato, ovvero ritenendo che una sanzione vetusta non abbia determinato quell'incremento della gravità della condotta, ovvero della pericolosità dell'agente, cui ricollegare la più severa sanzione penale.

Pure in questo caso potrebbe sostenersi che la condotta sanzionata debba essere sorretta dal dolo generico, estrinsecantesi nella coscienza e volontà di operare senza autorizzazione e nonostante la precedente sanzione.

Infine, potrebbe forse discutersi sul carattere proprio o comune della citata fattispecie, atteso che il soggetto attivo della stessa potrà essere solo il parcheggiatore già punito per la medesima violazione in via definitiva.

Restano, ovviamente, fuori dalle citate disposizioni le ipotesi in cui il parcheggiatore abbia agito con violenza o minaccia, in cui di volta in volta potranno risultare integrati i più gravi delitti di minaccia (qualora egli abbia prospettato sì un male ingiusto e notevole all'automobilista, ma non per costringerlo a corrispondergli la “tariffa” per la sosta, bensì - ad esempio - in conseguenza del rifiuto di pagare), danneggiamento (allorché egli abbia arrecato un danno apprezzabile al veicolo, purché non funzionale all'ottenimento dell'ingiusto profitto poiché in questo caso verrebbe in rilievo il diverso delitto di estorsione), percosse, lesioni o addirittura il delitto di estorsione, allorché la condotta violenta o minacciosa risulti preordinata a costringere la vittima a pagare.

Le misure patrimoniali

Rimane ferma la confisca delle somme eventualmente percepite, qualificabili come profitto del reato in esame, operante in entrambi i casi; l'articolo 7, comma 15-bis, modificato da ultimo prevede infatti (ma, invero, il testo era identico anche nella formulazione previgente) che la confisca delle somme debba essere sempre disposta, secondo le modalità indicate al Titolo VI, Capo I, Sezione II, del codice della strada.

Sul tema, l'articolo 213 del codice della strada prevede che l'organo di polizia che accerta la violazione provvede al sequestro facendone menzione nel verbale di contestazione; peraltro, dato che la norma è dettata specificamente per i veicoli oggetto di trasgressioni alle norme sulla circolazione stradale (e stabilisce tra le altre cose la vendita e la distruzione, in alcuni casi, del mezzo), il Ministero dell'Interno con un'apposita circolare ha precisato che in presenza dell'illecito di cui all'art. 7, comma 15-bis, le somme in esame siano sottoposte a sequestro amministrativo e depositate presso l'ufficio di appartenenza dei verbalizzanti in attesa di essere trasferite alla Prefettura competente per territorio.

Avverso tale provvedimento è ammessa opposizione innanzi alla stessa prefettura competente.

Pertanto, nelle ipotesi sanzionate solo in via amministrativa, opererà la confisca amministrativa alla stregua delle norme or ora citate; in presenza della contravvenzione, invece, probabilmente il richiamo andrà inteso come relativo alle norme previste in via generale dal codice penale sul punto.

L'articolo 240 c.p. stabilisce, com'è noto, al comma 1 l'ipotesi di confisca c.d. facoltativa (il giudice può ordinare…) in caso di condanna - tra gli altri beni - anche delle res qualificabili come profitto del reato; pertanto, qualora la responsabilità dell'imputato venga acclarata non sembrano esservi problemi nel disporre la confisca delle somme percepite dal parcheggiatore abusivo.

Qualche difficoltà avrebbe potuto porsi nel diverso caso in cui non vi fosse condanna e, in particolare, nelle ipotesi di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, evenienza tutt'altro che infrequente in concreto in ragione dei tempi piuttosto brevi di prescrizione che la legge stabilisce attualmente per gli illeciti contravvenzionali (tre anni per la prescrizione ordinaria e quattro per la massima); ciò non operando qui le fattispecie di confisca c.d. obbligatoria (comma 2 dell'art. 240 c.p.) che la norma ricollega solo a alcune ipotesi specifiche (cose che costituiscono il prezzo del reato, cose oggetto di confisca per equivalente e res intrinsecamente “pericolose” essendone vietati il porto, l'uso, la fabbricazione, la detenzione e l'alienazione).

Tuttavia, la legge sembra aver tenuto conto di queste problematiche precisando che la confisca sarà “sempre disposta” e quindi, verosimilmente, disegnando un'ipotesi speciale di confisca obbligatoria del profitto del reato, destinata ad operare anche in assenza di condanna.

In giurisprudenza si è affermato che l'intervenuta prescrizione di un reato in relazione al quale è prevista la confisca obbligatoria non preclude l'adozione del provvedimento ablativo, sempre che ne siano stati accertati gli elementi oggettivi e soggettivi; in tal caso la cognizione sulla adozione della confisca ovvero sul dissequestro dei beni spetta al giudice dell'esecuzione, nell'ambito del procedimento previsto dagli artt. 666 e 676 c.p.p. (così Cass. pen., Sez. III, n. 1503/2017).

La particolarità emergente dal sistema è che in presenza di una condotta qualificabile come illecito contravvenzionale ai sensi dell'art. 7, comma 15-bis, il giudice dovrà sempre ordinare, come anticipato, la confisca delle somme di denaro anche in caso di proscioglimento, laddove in caso di commissione del più grave reato di estorsione (quindi qualora la condotta del parcheggiatore sia risultata accompagnata da violenza o minaccia al fine di conseguire il citato profitto) potrebbe non essere possibile disporre la confisca delle somme laddove, per qualsiasi ragione anche meramente procedurale, non si addivenga alla condanna del responsabile.

Peraltro, giova osservare che parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto possibile confiscare le somme qualificabili come profitto del reato ex art. 240 c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 32273/2010) pure nell'eventualità del proscioglimento, purché il giudice abbia accertato rigorosamente la sussistenza del reato nella sentenza di proscioglimento, ad esempio per intervenuta prescrizione.

L'operatività delle misure di prevenzione

Infine, occorre analizzare la possibilità di applicare ai parcheggiatori abusivi le misure di prevenzione personali (e patrimoniali) previste dal vigente codice antimafia (decreto legislativo n. 159/2011).

L'articolo 1 della norma citata contempla, infatti, come destinatari delle misure in esame alcune categorie personologiche: a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'art. 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Invero, la circostanza che si faccia riferimento, alle lettere a) e b), alle nozioni di traffici delittuosi e di proventi di attività delittuose sembra escludere la possibilità di irrogare la sorveglianza speciale di P.S. e le altre misure personali e patrimoniali disciplinate dal decreto 159 ai parcheggiatori abusivi puniti ai sensi del menzionato articolo 7, comma 15-bis, del codice della strada che, come visto, contempla un'ipotesi criminosa di tipo solo contravvenzionale.

Infatti, si richiede in questi casi, per l'applicazione di misure di prevenzione, l'accertamento della commissione di un delitto vero e proprio; tale inquadramento, sottolinea la Suprema Corte, va operato sulla base di idonei elementi di fatto (ivi compreso il riferimento alla condotta e la tenore di vita) e presuppone come concluse con esito positivo le seguenti verifiche: a) la realizzazione di attività delittuose (si esclude pertanto la commissione di fattispecie contravvenzionali) non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo della vita del soggetto proposto; b) la realizzazione di attività delittuose che, oltre ad avere le caratteristiche testé indicate, siano produttive di reddito illecito (il provento); c) la destinazione, almeno parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento della persona e della sua eventuale famiglia (si veda sul punto Cass. pen., Sez. I, 24 marzo 2015, n. 31209, Scagliarini, in CED Cass. Rv. 264321 e conforme anche Cass. pen. Sez. I, 11 giugno 2015, n. 43720, Pagone).

Potrebbero, invero, residuare le ipotesi di cui alla lettera c) allorché il parcheggiatore eserciti le menzionate attività in maniera reiterata e con modalità tali da offendere o mettere in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubbliche; inoltre, potrebbero senza dubbio configurarsi le fattispecie di cui alle lettere a) e b) nei confronti di un posteggiatore che, in modo seriale, eserciti la sua attività impiegando violenza o minaccia tali da configurare i delitti di cui agli articoli 629 o 610 c.p., casi nei quali, trattandosi appunto di fattispecie delittuose, ben potrebbe venire in rilievo l'irrogazione di una misura di prevenzione ai sensi dell'art. 1, lettere a) e b) del codice antimafia.

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