Il riconoscimento e il trasferimento delle persone condannate nella cooperazione giudiziaria dell’Ue

Marina Ingoglia
10 Gennaio 2019

Il trasferimento delle persone condannate indica la procedura in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in un altro paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena. Essa mira a favorire, in linea di principio, il reinserimento sociale delle persone condannate al loro paese d'origine, in modo tale da...
Abstract

Con il trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, affiora per la prima volta l'idea della creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia nell'interesse dei cittadini dell'Unione.

Muovendo da tale concept, da alcuni anni la cultura giuridica europea rivendica una cooperazione tra gli Stati dell'Unione, sia per conseguire il riconoscimento di effetti nello Stato di sentenze penali straniere, sia per ottenere all'estero l'esecuzione di sentenze penali nazionali.

Sull'onda di tale obiettivo, i Paesi membri, in tema di detenzione, hanno adottato, in particolare, la decisione quadro 2008/909/Gai, che sostituisce numerosi strumenti di diritto internazionale, tra i quali la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, che ha ad oggetto il trasferimento delle persone condannate.

Il trasferimento delle persone condannate

Il trasferimento delle persone condannate indica la procedura in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in un altro paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena.

Essa mira a favorire, in linea di principio, il reinserimento sociale delle persone condannate al loro paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero.

Per tale ragione, nella maggior parte dei casi, la procedura trae impulso su richiesta della persona interessata.

Il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, alla quale hanno aderito numerosi Paesi.

Ai sensi dell'art. 3 della Convenzione una persona condannata può essere trasferita solo se ricorrono determinate condizioni, quali la cittadinanza dello Stato di esecuzione della persona condannata, il consenso della stessa, l'accordo dei due Stati sul trasferimento.

L'Italia con alcuni Paesi ha raggiunto degli accordi aggiuntivi a tale Convenzione.

Le fonti bilaterali sono le seguenti :

  • Italia - Thailandia: Trattato di cooperazione per l'esecuzione delle sentenze penali (Bangkok, 1984);
  • Italia - Perù: Trattato sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale (Roma, 1994);
  • Italia - Hong Kong: Accordo sul trasferimento delle persone condannate (Hong Kong, 1999);
  • Italia - Albania: Accordo aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 (Roma, 2002)
  • Italia - Romania: Accordo tra la Repubblica Italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine (Roma, 2003).
L'art. 26 della decisione quadro 2008/909/Gai

In tema di detenzione, gli Stati membri tra il 2008 e il 2009 hanno adottato all'unanimitàtre provvedimenti che riguardano rispettivamente il mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale (decisione quadro 2008/909/Gai), la sospensione condizionale e le pene sostitutive (decisione quadro 2008/947/Gai) e il mutuo riconoscimento delle misure alternative alla detenzione cautelare (decisione quadro 2009/829/Gai).

Le tre decisioni quadro costituiscono una significativa “concretizzazione” del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie nel settore della esecuzione delle sentenze penali (ex art. 82 T.F.Ue), nel caso in cui i cittadini dell'Unione e non, ma con stabili legami in uno degli Stati dell'Unione, siano stati oggetto di una sentenza penale e siano stati condannati a una pena detentiva con o senza benefici.

L'obiettivo perseguito risulta essere quello di un rafforzamento della cooperazione giudiziaria e di polizia all'interno dell'Unione europea per garantire un elevato livello di sicurezza per tutti i cittadini in uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia.

In tale prospettiva si colloca la decisione quadro 2008/909/Gai del Consiglio del 27 novembre 2008, che è stata attuata nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161.

Tale nuovo strumento di cooperazione sostituisce – a decorrere dal 5 dicembre 2011 – le precedenti convenzioni applicabili nelle relazioni tra Stati membri in materia di detenzione e, in particolare, essa sostituisce, ai sensi dell'art. 26, la Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate, del 21 marzo 1983, e il relativo protocollo addizionale, del 18 dicembre 1997.

Il citato art. 26 è contemplato all'art. 25, comma 3, del d.lgs. 161/2010.

Le ragioni della sostituzione sono esplicitate nel preambolo della decisione quadro 2008/909/Gai, al considerandum n. 4:

«Tutti gli Stati membri hanno ratificato la convenzione del Consiglio d'Europa, del 21 marzo 1983, sul trasferimento delle persone condannate. A norma di detta convenzione, il trasferimento per l'esecuzione della parte residua della pena è previsto solo verso lo Stato di cittadinanza della persona condannata e solo previo consenso della medesima e degli Stati interessati. Il Protocollo addizionale di tale convenzione, del 18 Dicembre 1997, che prevede, a determinate condizioni, il trasferimento dell'interessato indipendentemente dal suo consenso, non è stato ratificato da tutti gli Stati membri. Entrambi gli strumenti non contengono alcun obbligo di massima di accettare le persone condannate ai fini dell'esecuzione di una pena o una misura».

Anche questo nuovo strumento processuale, come il potocollo addizionale, prescinde dal consenso dell'interessato in presenza di determinate condizioni.

In tal senso il riconoscimento della sentenza penale straniera è stato definito un ulteriore sviluppo della cooperazione (decisione quadro 2008/909/Gai - considerandum n. 5).

Infatti, il consenso della persona condannata non è richiesto se ricorrono congiuntamente le condizioni di cui all'art. 10, comma 1, lettere a) e b), d.lgs. 161/2010, vale a dire il requisito della cittadinanza o della residenza, dimora o domicilio nello Stato investito dalla procedura passiva di riconoscimento ovvero se la persona condannata è fuggita nel Paese di provenienza.

Certamente il riconoscimento della sentenza penale straniera ex art. 4 ss. decisione quadro 2008/909/Gai costituisce uno strumento più avanzato di cooperazione nell'interesse del condannato, poiché dà l'opportunità allo stesso di espiare la pena nel Paese d'origine sin dall'inizio della sua esecuzione.

In tal modo, si accrescono le possibilità di favorire il reinserimento e la riabilitazione sociale della persona condannata, consentendole di mantenere i legami familiari, linguistici e culturali.

È una procedura più garantista dovendo il giudice dello Stato di esecuzione, nel riconoscere la sentenza penale straniera, riesaminare, almeno in astratto, l'oggetto della responsabilità penale nei suoi elementi costitutivi, anche ai fini della verifica della doppia incriminabilità.

Per effetto di tale sostituzione nei rapporti tra Italia e Romania non trova più applicazione né la predetta convenzione, né l‘Accordo bilaterale siglato tra i due Stati sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine (Roma, 2003), poiché la Romania è entrata nell'Unione europea il 1° gennaio 2007.

Lo stato di attuazione della decisione quadro 2008/909/Gai

Sin dal rapporto della Commissione europea del 5 Febbraio 2014 è emerso un quadro complessivamente negativo sul processo di attuazione di tutte e tre le decisioni – quadro probabilmente legato alla complessità dell'intervento di recepimento in un tema cruciale, in termini di sovranità, quale è quello della esecuzione di pene detentive.

Appare chiaro che la trasposizione della disciplina europea è un'operazione non facile, poiché l'entrata di norme sovranazionali implica l'adozione di misure di adeguamento dell'ordinamento interno al fine di assicurare l'astratta compatibilità tra i due sistemi giuridici.

In conclusione

L'obiettivo di questa breve riflessione è puramente ricognitivo. Tuttavia, la questione acquista rilevanza nel contesto attuale di iper-mobilità della popolazione in ambito Ue, ove è sempre più ricorrente la commissione di reati all'estero ad opera di persone che, poi, ritornano nei Paesi d'origine.

In tale prospettiva, si apprezza l'istituto del riconoscimento poiché sancisce un approccio flessibile alla sentenza penale straniera, dovendo il Giudice dello Stato di esecuzione valutare di volta in volta le ovviamente mutevoli componenti di ogni singolo caso.

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