In difesa dell'art. 560 c.p.c. e dell'ordine di liberazione cd. anticipato

Pasqualina Farina
17 Gennaio 2019

Le recenti riforme apportate all'espropriazione forzata non sembrano aver soddisfatto la frenesia del legislatore che, con lo strumento della decretazione d'urgenza, ha riscritto nel dicembre 2018 la disciplina dell'ordine di liberazione e l'art. 560 c.p.c. e, non ancora pago, si appresta a modificare ulteriormente tale disposizione come si evince dalla proposta di modifica attinenti al decreto legge.
Breve introduzione

I costanti cambiamenti che, a partire dal 2005, hanno interessato il terzo libro del codice di procedura civile che ha ad oggetto l'esecuzione forzata sono stati finora volti a migliorare la soddisfazione dei creditori, in un lasso di tempo decisamente più breve rispetto al passato.

A ben guardare, la migliore efficienza del processo di espropriazione forzata raggiunta negli ultimi anni ha come presupposto l'effettività della tutela giurisdizionale del diritto di credito – principio di rango costituzionale sancito dall'art. 24 Cost. – che presenta ricadute significative sulla tutela del risparmio e sul costo del denaro e, conseguentemente, sull'accesso al credito e sulle scelte di consumo dei cittadini, nonché, più in generale, sull'economia nazionale. Né va trascurato che la tutela esecutiva costituisce l'attuazione della cd. responsabilità patrimoniale (sancito dall'art. 2740 c.c. per il quale il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri), principio quest'ultimo tanto antico quanto fondamentale per ogni società civile (basti al riguardo citare Tito Livio, VI, 41, 1997, ove si legge che [F]idem abrogari cum qua omnis humana societas tollitur: «abolire il dovere di pagare i debiti mina le regole basilari della società civile).

Le recenti modifiche apportate all'art. 560 c.p.c. dall'art. 4, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e la PA)

Un'eccezione al suddetto, fondamentale principio è stata implicitamente prevista dal legislatore del 2018 che - nel tentativo di rimediare al mancato o tardivo pagamento dei crediti da parte della pubblica amministrazione - ha modificato l'art. 560 c.p.c..

Segnatamente l'art. 4, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e la PA), ha aggiunto al terzo comma dell'art. 560 c.p.c. le seguenti frasi:

«Tuttavia, quando il debitore all'udienza di cui all'articolo 569 documenta di essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni certificati e risultanti dalla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, per un ammontare complessivo pari o superiore all'importo dei crediti vantati dal creditore procedente e dai creditori intervenuti, il giudice dell'esecuzione, con il decreto di cui all'articolo 586, dispone il rilascio dell'immobile pignorato per una data compresa tra il sessantesimo e novantesimo giorno successivo a quello della pronuncia del medesimo decreto. Della sussistenza delle condizioni di cui al terzo periodo è fatta menzione nell'avviso di cui all'articolo 570».

Due considerazioni si impongono.

La prima considerazione che viene da muovere è nel senso che si tratta di norma irragionevole oltre che di dubbia costituzionalità, laddove addossa al creditore procedente il costodel ritardo nell'adempimento da parte della pubblica amministrazione nei confronti dei propri creditori (divenuti debitori nelle espropriazioni forzate intraprese dai rispettivi).

La seconda è nel senso che il legislatore del 2018 è evidentemente consapevole del fatto che la PA è spesso debitrice e responsabile dei dissesti economici dei cittadini; ciononostante, il medesimo legislatore – anziché ridurre i tempi necessari ad effettuare i pagamenti della PA o potenziare i meccanismi cd. di salvaguardia della funzionalità degli Enti pubblici – ha preferito spalmare il rischio del mancato o tardivo pagamento dei debiti dello Statosu creditori di natura privata. Segnatamente si tratta di istituti di credito/assicurazioni (della cui funzione sociale è ben consapevole il legislatore come dimostra il recentissimo d.l. 8 gennaio 2019, n.1, che ha adottato Misure urgenti a sostegno della Banca Carige S.PA, pubblicato in G.U., Serie Generale, n. 6 dell'8 gennaio 2019), e last but not least imprenditori privati di diverse tipologie e dimensioni, condomìni, lavoratori, ex coniugi ecc. che hanno già subito una lesione dei propri diritti di credito a cui si aggiunge l'ulteriore rinvio della soddisfazione delle proprie pretese, rinvio sancito dal novellato art. 560 c.p.c..

Tornando al nuovo regime dell'art. 560 c.p.c., il legislatore ha previsto un rinvio nella liberazione dell'immobile pignorato ogni volta che l'esecutato sia titolare nei confronti della PA di crediti «pari o superiore all'importo dei crediti vantati dal creditore procedente e dai creditori intervenuti». Sicché, ove sussista tale situazione, il giudice dell'esecuzione dispone il rilascio dell'immobile pignorato per una data non inferiore a sessanta e non superiore a novanta giorni dalla pronuncia del decreto di trasferimento. In breve – nella specifica fattispecie definita dal terzo comma dell'art. 560 c.p.c. – la liberazione può avvenire solo dopo la pronuncia del decreto di trasferimento, secondo i termini suddetti, precludendo al giudice dell'esecuzione la possibilità di adottare il cd. ordine di liberazione anticipato.

Segue. L'entrata in vigore

In relazione all'entrata in vigore del nuovo art. 560 c.p.c., l'ultimo comma dell'art. 4 del d.l. n. 135/2018 dispone che il suddetto regime non opera nelle espropriazioni iniziate anteriormente (e quindi quando la notifica dell'atto di pignoramento è anteriore) alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Da qui la considerazione che si tratta di un'ennesima ipotesi di abuso della cd. decretazione d'urgenza: la disposizione non presenta affatto i caratteri della necessità e dell'urgenza che l'art. 77 Cost. impone perché il Governo possa supplire e/o integrare la funzione legislativa che spetta alle Camere.

Le ragioni sottese alla necessità dell'ordine di liberazione cd. anticipato rispetto alla definizione della procedura esecutiva

In questa sede ci si limita brevemente a segnalare che il giudice dell'esecuzione, secondo le prassi virtuose raccomandate dal C.S.M. (cfr. Circolare 13 ottobre 2017), ordina la liberazione nel corso dell'udienza ex art. 569 c.p.c. e fornisce al custode giudiziario le modalità temporali ed organizzative per l'attuazione del suddetto ordine.

Lo scopo prioritario di tale subprocedimento è quello di consegnare l'immobile al terzo che ha acquistato il bene, libero da persone o beni del debitore: analogamente a quanto avviene nella compravendita volontaria l'acquirente è oggi disposto a pagare un importo che coincide con l'effettivo valore commerciale del bene perché può in tempi relativamente contenuti conseguire il possesso dell'immobile.

Il cd. ordine di liberazione anticipato può apparire ai non addetti ai lavori di importanza marginale, se non addirittura disumano nei confronti del debitore che ha subito il pignoramento.

A ben guardare si tratta, invece, di una delle principali ragioni che negli ultimi anni hanno indotto i terzi – potenziali acquirenti – di buona fede ad avvicinarsi alle aule dei giudici dell'esecuzione e dei professionisti delegati alle vendite, con conseguente:

i) accelerazione dei tempi di definizione delle procedure esecutive (se il bene è libero viene normalmente aggiudicato in tempi rapidi);

ii) incremento della soddisfazione dei creditori e della liberazione del debitore.

È innegabile, difatti, che un bene libero viene di solito venduto – indipendentemente dalla circostanza che si tratti di vendita forzata o volontaria – per un importo più elevato rispetto ad un immobile occupato e che ad un più elevato valore di aggiudicazione corrisponde una migliore soddisfazione dei creditori con un maggiore effetto esdebitativo per l'esecutato (sul punto, per non tediare il lettore ci si limita a rinviare alla giurisprudenza della Corte di cassazione: v., per tutte, Cass. civ., n. 6836/2015).

Né possono essere trascurati altri due valori connessi alla tempestiva liberazione dell'immobile e, conseguentemente, alla migliore efficienza del processo esecutivo.

Il primo può riassumersi nella ragionevole durata del processo esecutivo (i parametri fissati dalla l. n. 89/2001 impongono che l'alienazione avvenga in tempi celeri, pena la responsabilità dello Stato per l'irragionevole prolungamento della procedura).

Il secondo consiste nella credibilità internazionale del sistema economico nazionale che nel Rapporto Doing Business - Enforcing Contracts redatto dalla Banca Mondiale assegna all'Italia il 111 posto in una graduatoria di 189 paesi, Italia che si colloca ben lontana dagli altri Paesi della cd. Eurozona; è appena il caso di rilevare che i procedimenti espropriativi si ergono a veri e propri indici di affidabilità del sistema economico nazionale nel settore del recupero del credito).

Da ultimo occorre segnalare che nelle vecchie procedure, in cui il giudice dell'esecuzione ha ordinato il rilascio dell'immobile solo al momento dell'adozione del decreto di trasferimento, si sono spesso verificati fenomeni di vandalismo da parte del debitore e/o dei suoi familiari sul bene ormai divenuto di proprietà del terzo acquirente. Si può, dunque, affermare che l'ordine di liberazione anticipato svolge anche la funzione di conservare il valore commerciale del bene pignorato (al riguardo va segnalato che il fenomeno si risolve nella prassi con la revoca dell'aggiudicazione ogni volta che i danni interessano le caratteristiche essenziali del bene ovvero con una riduzione del versamento del saldo prezzo. Nella giurisprudenza di legittimità per un riferimento al danneggiamento attuato sull'immobile pignorato dal debitore post-aggiudicazione v. Cass. civ., n. 14765/2014).

Le prospettive di riforma dell'art. 560 c.p.c.

Un recentissimo emendamento parlamentare al disegno di legge n. 989 (recte: al testo del disegno di legge) ha proposto di sostituire il comma 2 dell'art. 4 con la disposizione che per comodità qui si riporta:

2. «L'art. 560 c.p.c. è sostituito dal seguente:

Art. 560 – Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza resa ai sensi dell'art. 569, dispone la nomina di un custode diverso dal debitore.

Il custode ha il dovere di vigilare, affinché il debitore ed il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino la sua integrità.

Il debitore ed i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento.

Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti.

Le modalità del diritto di visita sono contemplate e stabilite nell'ordinanza di cui all'art. 569.

Il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell'immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti ovvero l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare.

Al debitore è fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non è autorizzato dal giudice dell'esecuzione.

Il giudice non può mai disporre la liberazione dell'immobile pignorato prima dei 90 giorni successivi all'emanazione del decreto di trasferimento ai sensi dell'articolo 586 c.p.c.».

Per motivi di brevità si omette qualsiasi considerazione sulla fattura del testo e ci si limita qui a considerare che il penultimo comma della innovativa versione dell'art. 560 (laddove vieta al debitore la locazione dell'immobile pignorato senza la autorizzazione del g.e.) trascura completamente che: 1) il debitore dopo il pignoramento non può più disporre del bene e, quindi, men che mai concederlo in locazione; 2) e che il primo comma prevede la nomina necessaria di un custode diverso dal debitore ogni volta che viene adottato il provvedimento di autorizzazione a vendita ex art. 569 c.p.c..

A ben guardare ci sembra che il legislatore abbia inteso attuare una forma particolare di amministrazione giudiziaria che già esiste nel nostro ordinamento processuale (cfr. art. 591 c.p.c.) e fallimentare (artt. 104 e 104-bis l.fall.) e che giammai può essere conclusa dall'esecutato o dal fallito, essendo invece rimessa agli organi delle procedure (autorità giudiziaria, curatore fallimentare) proprio perché il debitore (esecutato o fallito) non ha – come già anticipato – il potere di disporre dei beni pignorati o acquisiti nella massa attiva del fallimento nemmeno se munito dell'autorizzazione del giudice.

Maggiore preoccupazione desta l'ultimo comma della versione “innovativa” dell'art. 560 c.p.c. che rinvia la liberazione dell'immobile del fallito a novanta giorni dopo la pronuncia del decreto di trasferimento.

Purtroppo tale proposta non è soltanto inutile come quella di cui si è appena detto, quanto nociva per tutti i soggetti coinvolti nell'espropriazione forzata.

Nuoce senz'altro, in prima battuta, al ceto creditorio perché disincentiva i possibili interessati a formulare delle offerte d'acquisto. Ed infatti non è chiaro perché un terzo soggetto debba raggiungere la determinazione di acquistare un immobile in sede di vendita forzata ed impegnare ingenti somme se nella migliore delle ipotesi ne acquisirà la disponibilità dopo tre mesi dalla pronuncia del decreto di trasferimento.

È appena il caso di sottolineare – per i non addetti ai lavori – che il versamento integrale del prezzo avviene solitamente mesi prima rispetto alla pronuncia del decreto di trasferimento. Sicché ai tre mesi cui fa riferimento l'ultimo comma della proposta suddetta occorre aggiungere il lasso di tempo (mediamente 6 mesi) che intercorre tra il versamento del saldo prezzo e la pronuncia del decreto di trasferimento oltre ai costi ed ai tempi necessari al terzo acquirente per intraprendere l'esecuzione per rilascio laddove il debitore – decorsi i novanta giorni dalla pronuncia del decreto di trasferimento – non liberi spontaneamente l'immobile.

Da queste minime considerazioni è evidente che la proposta di modifica di cui si è detto nuoce, inoltre, alla ragionevole durata dei processi. Non sembra superfluo ripetere che se il debitore continua ad abitare nell'immobile pignorato, sarà assai arduo trovare soggetti interessati ad acquistare oggi un bene di cui potranno disporre solo a medio e lungo termine, se non dopo diversi tentativi di vendita ed a prezzo vile. Se si muove dal presupposto che l'esecuzione efficace necessita soprattutto dell'impegno economico del terzo acquirente; e che l'attuazione di tali modifiche è destinata a dilatare ulteriormente la durata dei processi di espropriazione (v. ad es., la violazione dei parametri fissati dalla cd. Legge Pinto (l. n. 89/2001) e dall'art. 6 Cedu con conseguente responsabilità dello Stato per l'irragionevole prolungamento della procedura), sono evidenti le ricadute negative sulla credibilità del sistema economico nazionale e sulla (in)capacità di quest'ultimo di attrarre investitori.

Né va trascurato che siffatta riforma avrebbe un impatto negativo sul regolare andamento del sistema dei finanziamenti e sul costo del denaro. La previsione di recuperare il credito in misura insufficiente o in tempi eccessivamente lunghi determinerebbe un accesso al credito più problematico e più oneroso, in un momento storico già caratterizzato da una pesante crisi economica.

La suddetta riforma dell'art. 560 c.p.c. paradossalmente finirebbe, inoltre, per nuocere allo stesso debitore che usufruirebbe di una esdebitazione sicuramente inferiore a quella che caratterizza la vendita dell'immobile pignorato come libero (le maggiori spese del processo gravano sull'esecutato; il minor valore del bene liquidato consente di soddisfare i creditori in misura inferiore, lasciando i debiti e la possibilità di aggredire altri cespiti; il debito aumenta durante il processo perché gli interessi moratori continuano a decorrere).

Da ultimo, si aggiunga che se il legislatore volesse perseguire dei tentativi di riforma effettivamente utili a tutti i soggetti del processo esecutivo, meno populisti e concretamente diretti a migliorare l'efficienza dell'espropriazione forzata dovrebbe – a parere di chi scrive – spostare la messa a fuoco sulle problematiche determinate dalle vendite a prezzo vile o al potenziamento dell'amministrazione giudiziaria.

Guida all'approfondimento
  • A. Auletta, Commento a prima lettura alla novella di cui all'art. 4 d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, in www.inexecutivis.it;
  • G. Fanticini, La custodia dell'immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata, a cura di G. Demarchi, 2018;
  • A.L. Peserico, I crediti verso la PA non evitano la vendita forzata dei beni pignorati, in Ilsole24ore del 16 gennaio 2019;
  • F. Vigorito, Il sistema bancario e le procedure esecutive individuali, in Questione giustizia, 2017, n. 3.

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