L'ablazione del profitto nei confronti di una società che si sia avvantaggiata di un reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante

Ciro Santoriello
18 Gennaio 2019

La tematica inerente la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo e poi eventualmente a confisca beni di una società il cui amministratore...
Massima

Nei confronti di una società che si sia avvantaggiata della commissione di un reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante, è ammessa la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente.

Il caso

In sede di indagini per illeciti fiscali connessi all'utilizzo di fatture relative a operazioni inesistenti e commessi dall'amministratore di una società veniva adottato un provvedimento di sequestro preventivo avente a oggetto i beni nella titolarità della società avvantaggiata dai fatti di evasione o in difetto, della persona fisica indagata.

Vistasi confermata l'ordinanza cautelare anche in sede di riesame, la difesa ricorreva in cassazione deducendo la violazione di legge in cui sarebbero incorsi i giudici di merito per avere eseguito il sequestro, diretto, su beni, nella specie danaro ed un capannone della persona giuridica amministrata dall'indagato e avvantaggiata dalle condotte di evasione.

La questione

La tematica inerente la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo e poi eventualmente a confisca beni di una società il cui amministratore o legale rappresentante abbia commesso illeciti penali tributari in relazione a pretese che l'erario vantava nei confronti dell'ente collettivo da lui diretto è stata per lungo tempo all'attenzione della giurisprudenza e della dottrina.

La questione, com'è noto, trae origine dalla possibilità di applicare – oggi ai sensi dell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000 e in precedenza in base al combinato disposto di cui agli artt. 1, comma 143, l. 244/2007 e 322-ter c.p. - l'istituto della confisca di valore a tutte le fattispecie incriminatici contemplate dal d.lgs. 74/2000. Nel prefigurare tale possibilità, tuttavia, il Legislatore non ha tenuto conto della «la peculiare circostanza, tipica degli illeciti fiscali, che vede assai spesso l'autore del reato fiscale non coincidere affatto con il beneficiario dell'evasione, come accade ogniqualvolta il contribuente sia una persona giuridica: in tali casi, infatti, l'autore del reato (persona fisica) diverge dal contribuente che incamera il profitto del reato fiscale, di talché ci si domanda se e in quali circostanze una tale divergenza possa incidere sull'individuazione del soggetto destinato ad essere bersaglio della misura ablativa» (PERINI, Confisca per equivalente e disponibilità dei beni in capo all'autore del reato, in Arch. Pen., 2012, 693); in sostanza, posto che la confisca di valore può aggredire solo beni di cui il responsabile dell'illecito ha la disponibilità, ci si chiede se è possibile far ricorso a tale istituto allorquando si sia in presenza del suddetto sdoppiamento tra l'autore del fatto e patrimonio conseguito a mezzo del reato e nella disponibilità del contribuente evasore.

A fronte di tale situazione, parte della dottrina e della giurisprudenza ha sostenuto che in queste ipotesi sarebbe comunque possibile far ricorso alla confisca di valore pur in presenza del suddetto sdoppiamento tra l'autore del fatto e patrimonio conseguito a mezzo del reato e nella disponibilità del contribuente evasore (in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 2011, n. 11121, Tonelli; Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2011, Soc. Coop P.R.. Burlando S.r.l., in Giur. It., 2012, 669; Cass. pen., Sez. III, 1 dicembre 2010, n. 662 Cavana). Secondo questa posizione sarebbe possibile applicare la confisca per equivalente anche ai beni della società beneficiata dall'evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni il reo ha comunque la disponibilità proprio in quanto amministratore (al limite, anche solo di fatto) o rappresentante della società-contribuente; peraltro, sempre secondo l'orientamento in esame, tali beni neppure apparterrebbero, in siffatte circostanze, ad un soggetto qualificabile come “estraneo al reato”, tenuto conto che il reato tributario verrebbe commesso nell'interesse della società beneficiaria dell'evasione.

Accanto a queste considerazioni, si evidenzia poi come sia tutt'altro che implausibile sostenere che gli amministratori di una società abbiano la disponibilità dei beni della società stessa, specie laddove si tenga conto che non è richiesta affatto una disponibilità assoluta o esclusiva di tali beni ed anzi sarebbe assai arduo ritenere che il contribuente-società sia un soggetto estraneo al reato – e quindi non sottoponibile alla misura cautelare - allorquando ha tratto beneficio dalla sua commissione. Da ultimo poi, si sottolinea come una diversa lettura del dato normativo finirebbe con l'aprire vuoti di tutela non solo difficilmente accettabili, sotto il profilo della politica criminale, ma, soprattutto, ardui da contemperare con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità che presiedono al governo del sistema sanzionatorio, posto che gli illeciti tributari commessi dagli amministratori o titolari di società ed enti collettivi presentano il maggior disvalore ed in relazione agli stessi si impone con maggior forza la necessità di ricorrere alla misura della confisca prima e del sequestro poi.

A questa impostazione si sono contrapposte diverse voci della dottrina e numerose pronunce della giurisprudenza (per tutte, Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2012, Unicredit), secondo cui i beni dell'ente possono essere oggetto di sequestro e confisca per equivalente solo quando la società rappresenti uno schermo fittizio, di modo che il profitto del reato finisca per ridondare direttamente a favore dell'autore; diversamente, non essendo prevista dal d.lgs. 231/2001 la responsabilità dell'ente per l'illecito tributario commesso a suo vantaggio o nel suo interesse dal soggetto apicale, non può trovare applicazione la speciale confisca di valore stabilita dall'art. 19 d.lgs. 231/2001: si tratta, infatti, di previsioni sanzionatorie aventi natura penale che, al di là delle etichette legislative, sono insuscettibili di interpretazione analogica in malam partem.

Parimenti infondata è stata ritenuta la tesi – su cui sopra ci siamo soffermati - secondo cui la rappresentanza organica degli amministratori e il vantaggio per l'ente ottenuto dal reato finirebbero per coinvolgere direttamente la società nella commissione dell'illecito, al punto da rendere applicabili anche alla persona giuridica la confisca e il sequestro previsti dall'art. 12-bis d.lgs.74/2000. La previsione in parola, di natura schiettamente sanzionatoria, viene infatti ritenuta operante solo nei confronti dei responsabili del reato, ossia alle persone fisiche degli amministratori, e ai loro patrimoni ed in forza del principio di legalità penale e dei suoi corollari, il limite normativo sarebbe dunque insuperabile con il mero strumento interpretativo.

Sul tema sono intervenute le Sezioni unite della Cassazione, adottando una posizione intermedia, francamente poco convincente tanto con riferimento al contenuto che in relazione alle argomentazioni che la sostengono e le cui conseguenze, come vedremo, sono ben diverse da quello che a prima vista si può ritenere.

La massima ufficiale della decisione è la seguente: «in caso di commissione di un reato tributario da parte di amministratori o legali rappresentati di società ed enti, è possibile procedere nei confronti della persona giuridica al sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario in due sole ipotesi, ovvero 1) se la società o l'ente ha effettivamente maturato tale profitto a seguito del reato; 2) se la persona giuridica è solo uno schermo fittizio; diversamente, nessun provvedimento cautelare può essere adottato nei confronti della società, dovendosi invece agire nei confronti delle persone fisiche che hanno materialmente realizzato l'illecito e in particolare non può procedersi all'adozione di un sequestro preventivo per equivalente» (Cass. pen., Sez. unite, 30 gennaio 2014, Gubert. A commento, SANTORIELLO, Confiscabilità “limitata” dei beni della società per i reati commessi dall'amministratore, in Fisco, 2014, 13, 1255; CORSO, Reato non presupposto di responsabilità amministrativa e limiti del sequestro/confisca nei confronti dell'ente, in Giur. It., 2014, 990; SOANA, Le Sezioni Unite pongono limiti alla confisca nei confronti delle persone giuridiche per i reati tributari, in Riv. Giur. Trib., 2014, 388; CARDONE – PONTIERI, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni della società per delitti tributari commessi dal legale rappresentante, in Riv. Dir. Trib., 2014, 3, 53).

Riassumendo: in primo luogo, è sempre possibile operare il sequestro o la confisca per equivalente in capo alla persona giuridica per reati fiscali commessi dal relativo amministratore o rappresentante legale quando la società sia una sorta di fictio iuris, uno schermo giuridico apparente, insomma non abbia una sua autonomia giuridica ed economica rispetto alla persona fisica che ha agito: trattasi di considerazione su cui vi è stata da sempre assoluta concordia tanto in dottrina che in giurisprudenza e su cui non vale la pena insistere oltre.

In secondo luogo, le Sezioni unite distinguono fra la confisca diretta del profitto di reato e la confisca per equivalente, e ritengono che mentre il primo provvedimento potrebbe essere assunto nei confronti di una persona giuridica quando il reato tributario sia stato realizzato dal suo amministratore o legale rappresentante, nella medesima circostanza sarebbe invece preclusa l'adozione del provvedimento coercitivo per equivalente. Ciò posto, secondo la Cassazione, laddove il profitto del reato consista in somme di denaro o in altri beni fungibili il provvedimento ablatorio assumerebbe la natura – non di confisca per equivalente ma – di confisca diretta e quindi lo stesso sarebbe senz'altro adottabile anche nei confronti di una società in relazione ad illeciti tributari commessi dalla persona fisica che l'amministra e la dirige.

La ragione di questo diverso ambito di operatività fra confisca diretta e confisca per equivalente risiederebbe nel fatto che in caso di adozione della prima figura di confisca – che come detto è il provvedimento che deve assumersi quando l'apprensione coattiva riguardi somme di denaro – la società non viene privata di beni equivalenti al profitto da lei ottenuto a seguito della commissione del reato ma la confisca colpisce proprio il medesimo profitto conseguente alla realizzazione dell'illecito. Certo, in questo caso, stante il fatto che la società non ha commesso ella stessa il crimine, non può sostenersi che la confisca rappresenti una sanzione per la persona giuridica, non essendo giusto punire chi non ha partecipato alla violazione della legge penale; tuttavia, anche in tali circostanze va disposta la confisca in quanto deprivando l'ente del profitto che esso ha ottenuto si rimedia ad una sorta di “guadagno ingiusto”, ovvero – come affermano le stesse Sezioni unite – la confisca del denaro serve a ricostruire l'ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima locupletazione per l'ente, ad "obiettivo" vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante.

Queste riflessioni invece secondo la Suprema Corte non sarebbero utilmente richiamabili con riferimento alla confisca per equivalente – ed al relativo sequestro preventivo -, che è provvedimento legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione, mancando una base normativa che legittimi una tale conclusione.

Le soluzioni giuridiche

Sulla scorta della posizione assunta dalle sezioni unite, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, in quanto viene ritenuta assolutamente irrilevante la censura avente ad oggetto il difetto del nesso di pertinenzialità fra i beni oggetto di sequestro riferibili alla società ed il reato tributario.

Prescindendo dal sequestro dell'immobile – relativamente al quale la censura avanzata dalla difesa, pur se astrattamente fondata, viene dichiarata inammissibile in quanto tale profilo non aveva formato espresso oggetto di ricorso di fronte al tribunale del riesame, di tal che la stessa non poteva costituire ex novo oggetto di doglianza di fronte alla Corte di legittimità -, la Cassazione giudica manifestata mente infondata la questione avente a oggetto le somme di denaro essendo erroneo ritenere il sequestro delle stesse quale sequestro per equivalente anziché sequestro in via diretta.

Sul punto, la decisione in commento richiama la giurisprudenza secondo cui nei confronti di un soggetto estraneo alla commissione del reato il quale, in via di fatto, si sia avvantaggiato della commissione del reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante (quale è appunto la persona giuridica rispetto alla violazione fiscale che è commessa dal suo amministratore), è ammissibile la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente (laddove non ricorra la ipotesi residuale del soggetto persona giuridica che costituisca, tuttavia, un mero schermo dietro il quale agisca direttamente la persona fisica del suo amministratore, ipotesi nella quale è consentita, attesa la mera apparenza della soggettività della persona giuridica, anche la confisca per equivalente). Al contempo, tuttavia, nella pronuncia in epigrafe viene ricordato come, in caso di sequestro di danaro, la misura cautelare deve intendersi prodromica ad una confisca diretta, posto che il danaro, costituendo comunque il frutto del risparmio di spesa derivante dall'omesso versamento tributario, è, stante la naturale fungibilità del bene in questione, ordinariamente legato ad un rapporto di pertinenzialità con il reato in contestazione.

Osservazioni

A nostro parere tale impostazione giurisprudenziale in tema di confisca diretta e per equivalente ai danni di persone giuridiche avvantaggiate da illeciti fiscali commessi da propri amministratori suscita più di una perplessità.

In particolare non riesce ad essere convincente la distinzione che la Corte opera fra confisca diretta e confisca per equivalente – o meglio non apparendo significativa la rilevanza che, ai fini del discorso in esame, a tale distinzione viene attribuita.

In particolare è indiscutibile la circostanza che con la confisca diretta il provvedimento si dirige verso i medesimi beni che rappresentano il profitto del reato, mentre nel caso della confisca per equivalente la misura attinge beni diversi ma di pari valore, ma tale constatazione non ci pare abbia alcun rilievo decisivo, posto che il quesito centrale che si presenta in proposito è il seguente: in presenza di un reato il cui profitto maturi in capo ad un soggetto – nel caso di specie, la persona giuridica – diverso da quello che ha commesso il reato – nell'ipotesi considerato, il relativo amministratore -, è possibile confiscare il profitto in capo al beneficiario del crimine e non in capo al singolo penalmente responsabile? Al quesito deve fornirsi una risposta netta, positiva o negativa, senza differenziare a seconda della tipologia della confisca che si intende adottare e infatti o a) si ritiene che non sia corretto privare di un beneficio economico un soggetto che al reato non ha partecipato ed allora la società non può mai essere colpita da provvedimenti ablatori – diretti o per equivalente poco importa - assunti in ragione di illeciti commessi da suoi amministratori o b) si ritiene che ciò sia possibile ed allora si applica, secondo la previsione normativa di riferimento, la confisca per equivalente che pur se disposta nei confronti della persona fisica va ad incidere anche sul patrimonio di terzi estranei al reato.

A prescindere da tali considerazioni, tuttavia, il profilo più problematico che presenta la giurisprudenza in esame è rappresentato dalla sue conseguenze concrete: dalla impostazione “inaugurata” dalle Sezioni unite deriva inequivocabilmente che, in presenza di un reato tributario commesso dal suo amministratore e nel suo interesse, la società potrà essere senz'altro attinta da un provvedimento di sequestro con conseguente privazione del profitto del reato che la persona giuridica aveva ottenuto.

Cerchiamo di dimostrare il perché di questa nostra affermazione. Una volta che si affermi che 1) laddove il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro la confisca sarà sempre quella diretta e che – come espressamente afferma in più occasioni la Cassazione – 2) «non è necessario che la sua adozione sia subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare», ne consegue che sarà sempre possibile la confisca – e il previo sequestro – del profitto degli illeciti tributari commessi dall'amministratore di una società a vantaggio di questa. Infatti, il profitto ricavabile dagli illeciti fiscali è sempre rappresentato da una somma di denaro e quindi, nell'ipotesi al nostro esame, sarebbe sempre possibile procedere contro il patrimonio della persona giuridica per illeciti tributari commessi da un suo rappresentante nell'interesse della società: avendo ad oggetto somme di denaro, la confisca sarebbe sempre quella diretta e quindi – nella prospettazione della Cassazione – sarebbe sempre ammissibile.

Insomma, se la Cassazione ritiene che allorquando il profitto di un reato sia rappresentato da denaro e tale confisca, essendo una confisca diretta, sarà sempre esperibile contro il patrimonio della persona giuridica che non ha assolto ai suoi obblighi fiscali, il dibattito può terminare qui: nei reati tributari il relativo profitto è sempre rappresentato da somme di denaro e quindi non sarebbe affatto necessario per tali delitti ricorrere alla misura per equivalente!

SALCUNI, I reati tributari. Parte generale, in MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell'impresa, Padova, 2010, 493;

MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in GROSSO – PADOVANI - PAGLIARO (a cura di), Trattato di diritto penale, Milano, 2010, 207; PERINI, voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., IV Agg., Torino 2008, 943;

VANNINI, Il coinvolgimento dell'ente nell'illecito penale tributario in assenza del reato presupposto, in Riv. Giur. Trib., 2011, 944.

MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell'ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, in dir. pen. cont.;

MAZZA, La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell'ente (in margine al caso Unicredit), in dir. pen. cont.;

DELLA RAGIONE, Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse, dir. pen. cont.;

DELLA RAGIONE, La Suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante, dir. pen. cont.

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