Riconoscimento del figlio maggiorenne e cittadinanza italiana

Alberto Figone
01 Febbraio 2019

Come si trasmette la cittadinanza italiana, in caso di riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio da parte di nostro connazionale?
Massima

In forza degli artt. 2 e 23 l. n. 91/1992, il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio attribuisce a lui la cittadinanza italiana, se il genitore ne è in possesso. Se invece il figlio è maggiorenne, mantiene il proprio status originario, salvo che dichiari, nel termine di un anno, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione.

Il caso

Una coppia di coniugi italiani, trasferitasi all'estero alla fine del XIX secolo, dà origine ad una discendenza. L'ultimo discendente maschio, nell'anno 2002, riconosce quale propria figlia una donna straniera, all'epoca già più che trentenne. Nel 2011 la signora ed il proprio figlio chiedono l'attribuzione della cittadinanza italiana, che l'ufficiale di stato civile rigetta per tardività. L'opposizione proposta dagli interessati è respinta in entrambi i gradi di merito. La Corte di cassazione, a sua volta, rigetta il ricorso.

La questione

Come si trasmette la cittadinanza italiana, in caso di riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio da parte di nostro connazionale?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, lo Stato italiano ha adottato il criterio dell'acquisizione della cittadinanza jure sanguinis. In base all'art. 1 l. 8 febbraio 1992, n. 91, infatti, è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre italiani (e ciò ovunque avvenga la nascita stessa); è altresì cittadino per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica, se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, in base alla legislazione cui gli stessi appartengono. Del pari, si considera cittadino italiano per nascita il figlio di ignoti, trovato nel territorio della Repubblica, in caso di mancato possesso di altra cittadinanza. La discendenza rappresenta dunque lo strumento primario per la trasmissione della cittadinanza.

In caso di nascita all'interno del matrimonio, l'acquisto della cittadinanza è automatico con la formazione del relativo atto, ove uno dei genitori sia italiano. La nascita al di fuori del matrimonio non è di per sé costitutiva di alcuno status filiationis (e a fortiori di alcuno status civitatis) fino a quando non interviene il riconoscimento, da parte di entrambi o di uno solo dei genitori, ovvero la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. Dispone al riguardo l'art. 2, comma 1, l. n. 91/1992 che il riconoscimento o la sentenza dichiarativa dello status filiationis, se relativi a genitore italiano, determina l'acquisto della cittadinanza, se il figlio è minorenne.

Più articolata è invece la fattispecie quando il figlio, riconosciuto o dichiarato tale giudizialmente, sia maggiorenne. In base all'art. 2, comma 2, l. cit., il figlio mantiene, di regola, il proprio status di cittadinanza. La norma intende proteggere l'identità personale del figlio, così come strutturata nel tempo. L'interessato può peraltro, entro un anno dal riconoscimento, ovvero della dichiarazione giudiziale, o dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, dichiarare di “eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione”. Si tratta di un termine perentorio, attesa la concorrenza di interessi pubblicistici nell'attribuzione della cittadinanza. La decorrenza del termine equivale dunque a rinuncia alla suddetta “elezione”.

La disciplina è coerente con quella analoga, prevista per il caso di adozione. L'art. 3 l. n. 91/1992 prevede che il minore straniero, adottato da cittadino italiano, acquisisca ipso jure la cittadinanza. In caso di adozione di maggiorenne da cittadino italiano, la cittadinanza può essere concessa all'adottato, che risieda legalmente da almeno cinque anni dopo l'adozione, tramite decreto del Presidente della Repubblica (art. 9 l. n. 91/1992). Tale previsione è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, che ha evidenziato come il decorso del termine quinquennale costituisce «una ragionevole e giustificata cautela del legislatore per evitare l'insorgenza di adozioni fittizie», tale da giustificare anche la conseguenza che, per effetto di disposizioni della legge d'origine, alcuni adottati possano trovarsi temporaneamente senza alcuna cittadinanza (Corte cost. 4 agosto 2003, n. 293).

Osservazioni

La pronuncia in commento applica fedelmente il disposto normativo, sulla cui applicazione in termini non consta l'esistenza di giurisprudenza edita; pertanto conferma la tardività della domanda di cittadinanza italiana, avanzata dall'interessata nel 2011, dopo l'intervenuto riconoscimento da parte del padre (cittadino italiano) nel 2002, a fronte del decorso di ben più di un anno da detto ultimo evento. Conseguentemente respinge la domanda “derivata” del figlio della ricorrente, che avrebbe potuto a sua volta godere della cittadinanza italiana, se fosse stata riconosciuta alla madre. Precisa la Corte come, ai sensi dell'art. 23 l. n. 91/1992, tale richiesta, oltre che all'ufficiale di stato civile dove del Comune in Italia ove l'interessato risiede o ha in animo di trasferire la propria residenza, avrebbe potuto essere (tempestivamente) presentata davanti all'autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza all'estero.

Leggendo la pronuncia in commento, viene spontaneo pensare ad una decisione della Suprema Corte di alcuni anni or sono, che, inaugurando un filone giurisprudenziale successivo, aveva ritenuto potersi trascrivere nei registri di stato civile in Italia, un atto straniero, validamente formato, nel quale risultava la nascita di un figlio da due donne, a seguito di fecondazione eterologa. Nella specie, una donna (di cittadinanza italiana) aveva donato l'ovulo, fecondato con gamete maschile di donatore anonimo; l'embrione, così formato, era stato impiantato nell'utero della compagna (cittadina spagnola), che aveva portato avanti la gravidanza e partorito. Osserva la Suprema Corte (Cass. 30 settembre 2016, n. 19599) che quell'atto di nascita non contrasta con l'ordine pubblico, per una serie articolata di argomentazioni. Tra queste rileva anche quella della tutela dell'identità del minore sotto l'aspetto dello status civitatis e della sua circolazione, atteso che, con la nascita anche da madre italiana (malgrado la stessa non avesse partorito), egli aveva a beneficiare anche della nostra cittadinanza.

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