L'insostenibile leggerezza della cannabis sativa

01 Febbraio 2019

A seguito dell'emanazione della l. 2 dicembre 2016 n. 242, che ha legalizzato la coltivazione della cannabis sativa L per finalità espressamente e tassativamente indicate, le condotte di detenzione e cessione della predetta sostanza e dei suoi derivati continuano ad integrare il reato di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309?
Massima

La cannabis sativa L, in quanto contenente il principio attivo Delta-9-Thc, presenta natura di sostanza stupefacente sia per la previgente normativa che per l'attuale disciplina, costituita dall'art. 14 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dall'art. 1, comma terzo, d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, in cui l'allegata Tabella II prevede solo l'indicazione della Cannabis, comprensiva di tutte le sue possibili varianti e forme di presentazione, e riferibile a tutti i preparati che la contengano, rendendo così superfluo l'inserimento del principio attivo Delta-9-THC. L'introduzione della legge 2 dicembre 2016 n. 242 che, stabilendo la liceità della coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, non prevede nel proprio ambito di applicazione quello della commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione costituiti dalle inflorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish) e – pertanto – non si estende alle condotte di detenzione e cessione di tali derivati che continuano ad essere sottoposte alla disciplina prevista dal d.P.R. 309/1990, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile.

Il caso

A seguito di perquisizione, nei locali dell'attività commerciale di Tizio, dedita alla vendita di piante e fiori, venivano rinvenute e sequestrate, per scopi probatori, alcune decine di grammi di marijuana e hashish. Tizio, tramite il proprio difensore, produceva alla polizia giudiziaria, prima, e al Pubblico Ministero, poi, i risultati delle analisi delle predette sostanze da cui risultava un valore di THC inferiore allo 0,6%, sostenendo la liceità della detenzione in quanto avente ad oggetto cannabis sativa, legalizzata dalla l. 242/2016 che l'avrebbe esclusa dall'ambito di applicazione del d.P.R. 309/1990.

Il pubblico ministero convalidava l'operato degli organi investigativi, di talché la difesa di Tizio ricorreva al tribunale per ottenere il riesame e l'annullamento del decreto.

Il giudice rigettava il ricorso ritenendo giustificato il vincolo apposto per la necessità di verificare che la sostanza sequestrata corrispondesse effettivamente alla specie di canapa legalmente commerciabile ai sensi della l. 242/2016 e se la stessa rispettasse il limite di principio attivo previsto dall'art. 4 delle predetta legge, dal momento che il suo superamento avrebbe consentito all'autorità giudiziaria la distruzione della sostanza ai sensi dei commi 7 e 8 della citata disposizione.

Investita dal ricorso avverso l'ordinanza del tribunale, la Suprema Corte, dopo aver ribadito i suoi costanti principi in materia di limiti del sindacato di legittimità delle ordinanze emesse in materia di sequestri preventivo o probatorio, affermava non solo la necessità di mantenere il vincolo per svolgere le investigazioni indicate dal primo giudice, ma anche, e soprattutto, che la commercializzazione della cannabis sativa, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, è ancora reato.

La questione

La questione in esame è la seguente: a seguito dell'emanazione della l. 2 dicembre 2016 n. 242, che ha legalizzato la coltivazione della cannabis sativa L per finalità espressamente e tassativamente indicate, le condotte di detenzione e cessione della predetta sostanza e dei suoi derivati continuano ad integrare il reato di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309?

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso della sentenza in commento, la cannabis sativa L, in quanto contenente il principio attivo Delta-9-THC, presenta natura di sostanza stupefacente e le condotte di cessione e detenzione al fine di farne cessione aventi ad oggetto la predetta sostanza sono penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 73 d.P.R. 309/1990.

Per giungere a tale conclusione la Corte parte dalla constatazione che la tabella II allegata al testo unico in materia di sostanze stupefacenti indica, tra le sostanze la cui cessione e detenzione al fine di farne cessione è punita dall'art. 73, la cannabis e i prodotti da essa ottenuti (art. 14 lett. b) n. 1 d.P.R. 309/1990). L'uso della denominazione comune (“cannabis”), senza ulteriori specificazioni, consente di ritenere che la previsione comprenda tutte le possibili varianti (indica, sativa L, ecc.) e forme di presentazione (foglie e infiorescenza, olio e resina) della canapa e tutti i preparati che la contengano, rendendo così superfluo l'inserimento in tabella del principio attivo Delta-9-THC. Del resto, il comma 4 dell'art. 14 citato stabilisce che le sostanze e le piante di cui alle lettere a) e b) (e dunque anche la cannabis) sono soggette alla disciplina del testo unico anche ove si presentino sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela.

Su tale contesto normativo, secondo la Corte, non ha inciso la l. 2 dicembre 2016, n. 242, contenente Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. La disciplina in esame consente all'agricoltore la coltivazione delle 62 varietà di cannabis sativa L incluse nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002. Da questa coltivazione, a mente dell'art. 2 l. 242/2016, possono essere ottenuti alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori; semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico; materiale destinato alla pratica del sovescio; materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia; materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati; coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; coltivazioni destinate al florovivaismo.

Solo se principio attivo (THC) rinvenibile nelle piante di canapa coltivate è compreso tra lo 0,2% e lo 0,6% non è possibile sequestrare le piante e non si configura alcuna responsabilità in capo all'agricoltore che abbia rispettato tutte le altre prescrizioni previste dalla legge. In caso di valori superiori, invece, le piante possono essere sequestrate e distrutte, ma è comunque esclusa la responsabilità dell'agricoltore.

La normativa del 2016 ha la specifica finalità, enunciata al primo articolo, di sostenere e promuovere la coltivazione e la filiera della cannabis sativa L., quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione.

La disciplina in esame, quindi, si riferisce esclusivamente alle coltivazioni in atto e non ai suoi prodotti ed è stata evidentemente prevista per assicurare che le finalità agroindustriali disciplinate della legge del 2016 non comportino pericoli correlati alla circolazione di sostanze contenenti principi di natura psicotropa presenti nelle piante di canapa.

Dunque, la detenzione al fine di farne cessione e il commercio della canapa, sia sotto forma di inflorescenze (marijuana) sia sotto forma di resina (hashish), esulano dalle finalità della legge, essendo imperniate su uno scopo ricreativo che non costituisce principio informatore della disciplina in parola.

Osservazioni

La soluzione adottata dalla pronuncia in commento, in linea con una precedente decisione (cfr. Cass. pen., sez. VI, 8 ottobre 2015-20 novembre 2015, n. 46074), è senz'altro condivisibile. La vigente tabella II si limita a indicare la denominazione comune della sostanza (cannabis), da intendere con riferimento a tutte le sue possibili varianti (indica, sativa L, ecc.), alle diverse forme di presentazione (foglie e infiorescenza, olio e resina) e a tutti i preparati che la contengano. In tale prospettiva l'omessa menzione specifica del Delta-9-THC o tetraidrocannabinolo appare giustificata in quanto superflua e non può essere letta come un mancato di inserimento del principio tra le sostanze psicotrope. Detto altrimenti, a dispetto delle tormentate vicende che hanno interessato la disciplina precettiva e sanzionatoria di base a seguito della declaratoria di incostituzionalità del 2014, non si è mai data soluzione di continuità nella rilevanza penale delle condotte di traffico illecito di sostanze contenenti tetraidrocannabinoli o Delta-9-THC, principio attivo oggi non più espressamente indicato nella vigente tabella II allegata al testo unico sugli stupefacenti per la semplice ragione che tutte le specie di cannabis, nessuna esclusa, sono assoggettate alla disciplina di settore.

In ordine alla commercializzazione di cannabis sativa non opera neppure l'esenzione da responsabilità, anche penale, prevista dalla l. 242/2016, in quanto riferita esclusivamente all'agricoltore che abbia impiantato una coltivazione di canapa e soltanto qualora lo stesso abbia rispettato le prescrizioni legislative, mentre rimane fuori dal perimetro della nuova legge tutta la filiera di coloro che acquistano e rivendono al minute la cannabis sativa.

Dunque, l'unico margine di salvezza per coloro che commercializzano la cannabis sativa L è l'assenza di un effetto drogante rilevabile. In tal caso, infatti, la condotta non potrebbe dirsi tipica per difetto di offensività. Forse a tale risultato potrebbe giungersi anche in presenza di un effetto drogante trascurabile, valorizzando una concezione realistica del principio di offensività, e senza scomodare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

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