Denuncia di danno temuto

04 Febbraio 2019

Fra le azioni a tutela dei diritti reali e del possesso il codice civile include anche le azioni di nunciazione, costituite dalla denuncia di nuova opera e dalla denuncia di danno temuto, previste, rispettivamente, dagli artt. 1171 e 1172 c.c..
Inquadramento

Fra le azioni a tutela dei diritti reali e del possesso il codice civile include anche le azioni di nunciazione, costituite dalla denuncia di nuova opera e dalla denuncia di danno temuto, previste, rispettivamente, dagli artt. 1171 e 1172 c.c..

La denuncia di danno temuto, cui è dedicata la presente bussola, è l'azione preordinata a difesa della proprietà, dei diritti reali di godimento e del possesso contro i pericoli di danni alla cosa che forma l'oggetto del diritto o del possesso, per effetto di un'altra cosa, data la sua situazione o la sua peculiare conformazione.

L'azione postula, cioè, un rapporto da cosa a cosa, nel senso che il fondo altrui deve costituire pericolo per quello del denunciante.

A tale azione è attribuita dal codice civile (art. 1172 c.c.) la funzione di prevenire la produzione del danno, mediante l'attuazione di rimedi cautelari specifici, volti ad evitare che il danno si produca irrimediabilmente in attesa della definizione dell'azione di tutela in via ordinaria.

Presupposti e condizioni dell'azione

i) La denuncia di danno temuto è disciplinata dall'art. 1172 c.c..

L'azione è proponibile dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, il quale abbia ragione di «temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso», al fine di ottenere, secondo le circostanze, dall'autorità giudiziaria, che si provveda per la rimozione del pericolo.

ii) In conformità alle indicazioni fornite dal codice, vi è sostanziale concordia in giurisprudenza e in dottrina nel ritenere ravvisabili quali presupposti per la proponibilità dell'azione la sussistenza di un pericolo di danno minacciato da una cosa ad un altra, la gravità e la prossimità, in ordine spazio-temporale, di tale danno e, infine, il ragionevole timore che il danno possa verificarsi.

Il danno temuto deve essere grave e prossimo, vale a dire deve essere rilevante per gli aspetti economici-patrimoniali e altamente probabile.

Quanto al pericolo, in giurisprudenza è stato puntualizzato che la condizione dell'azione di danno temuto non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi (in tale secondo caso, la sola azione esperibile potrà essere quella di risarcimento del danno), bensì anche nel (solo) ragionevole pericolo che il danno si verifichi (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 1992, n. 4531; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10282).

iii) Deve essere precisato che, se è pur vero che l'azione postula un rapporto di cosa a cosa da cui possa derivare un danno (Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1989, n. 1237; Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9783), è altresì vero che, così come nel caso della denuncia di nuova opera, anche nell'azione di danno temuto viene in rilievo un'attività umana, peraltro, a differenza dell'altra azione, di tipo omissivo: il danno, nel caso in esame, a differenza di ciò che avviene nel caso della nuova opera, deriva non da un facere ma da un non facere, cioè dall'inadempimento agli obblighi di manutenzione e sorveglianza; si denuncia, cioè, l'inerzia del soggetto contro cui è richiesta la tutela.

Più specificamente, la minaccia di danno deve essere ricollegabile ad un comportamento antigiuridico della parte denunciata, la quale, si astenga dall'osservanza dell'obbligo di impedire l'evento dannoso.

Secondo una risalente (peraltro, mai contraddetta da successivi arresti) sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 7 novembre 1968, n. 3688), sul proprietario o sul possessore della cosa dalla quale promana la minaccia di danno per la cosa altrui grava l'onere di sostenere le spese relative alle opere necessarie ad ovviare al pericolo, nei limiti del generale dovere di vigilanza quale custode della cosa propria; il dovere risulta, cioè, circoscritto all'adozione dei soli mezzi tecnici ed economici ordinari, senza esigere l'impegno di mezzi straordinari in relazione alla situazione delle due cose; il che, inoltre, presuppone, oltre all'effettivo potere fisico sulla cosa, che il danno denunciato non esuli dall'ambito del dinamismo connaturato alla stessa o dallo sviluppo di un agente dannoso in essa insito (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1980, n. 354).

iv) Inragione del fatto che l'azione postula un rapporto da cosa a cosa, L'azione è improponibile da colui che l'esperisce a tutela di un suo diritto personale (Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9783).

Tuttavia, è stato precisato che la deduzione del pericolo di un danno alla salute, pur non costituendo condizione caratterizzante ed esclusiva per l'ammissibilità dell'istanza cautelare ex art. 1172 c.c., rileva come conseguenza mediata della menomazione delle facoltà di godimento pieno ed esclusivo del diritto di proprietà la cui compromissione giustifica il ricorso all'azione di nunciazione (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

In sede di giurisprudenza di merito è stato, altresì, precisato che il pregiudizio non va inteso necessariamente come nocumento che incida sulla consistenza fisica della cosa, ma può anche interpretarsi come connesso all'esercizio di facoltà giuridiche inerenti il diritto vantato sulla cosa e la condizione dell'azione di danno temuto non deve individuarsi in un danno certo, o già verificatosi, bensì anche nel solo ragionevole pericolo che il danno si verifichi (Trib. Napoli Nord, sez. I, 12 dicembre 2016).

v) L'azione non presuppone l'esclusiva altruità della cosa da cui deriva il pericolo, giacché diversamente da quanto previsto, per l'ipotesi della nuova opera, dall'art. 1171 c.c. con il fare riferimento all'opera da «altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo», l'art. 1172 c.c. indica espressamente quale fonte generatrice di danno «qualsiasi edificio, albero o altra cosa» e in tale generica formulazione deve ritenersi compresa anche la cosa di cui è comproprietario l'istante, che non sia in grado di ovviarvi autonomamente, giacché anche in tal caso risulta integrato il rapporto tra cosa e cosa che ne costituisce il presupposto essenziale (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

vi) La denuncia di danno temuto non è soggetta a un particolare termine di decadenza o prescrizione ma presuppone unicamente che il pericolo sia in atto.

Forma della domanda e competenza a conoscerne. Legittimazione attiva e passiva

i) Ai sensi dell'art. 688 c.p.c., la denuncia di danno temuto, così come la denuncia di nuova opera, deve proporsi con ricorso al giudice competente a norma dell'art. 21 dello stesso codice.

Qualora vi sia causa pendente per il merito, la denuncia si propone a norma dell'articolo 669-quater c.p.c..

ii) Così come per la denuncia di nuova opera, la legittimazione attiva compete al proprietario (ivi incluso il comproprietario, nei limiti della propria quota) o al titolare di diritti reali di godimento o al possessore (o compossessore) della cosa in ordine a cui si teme il danno.

Viene ritenuto carente di legittimazione il detentore dell'immobile ancorché qualificato, non essendovene previsione nell'art. 1172 c.c.(v. Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 1983, n. 848; Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1978, n. 2546).

In dottrina si è, comunque, affermato che il detentore qualificato (es.: il locatario) può sempre fruire in via surrogatoria della tutela spettante al possessore (il locatore).

iii) La S.C. ha chiarito che, ai fini dell'azione di danno temuto, l'obbligo di rimuovere la situazione di pericolo di danno, grave e prossimo, incombe su colui che abbia la proprietà, il possesso o comunque la disponibilità della cosa (edificio, albero, o altra cosa inanimata sul fondo) dalla quale promana la minaccia di danno per la proprietà (o altro diritto reale) o per il possesso di colui che denunci la situazione di pericolo (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 2001, n. 345).

La legittimazione passiva spetta al predetto soggetto, in quanto tenuto, nella qualità di custode, con i connessi obblighi di vigilanza e conservazione, alla manutenzione del bene da cui si teme proveniente il pericolo (Cass. civ., sez. II, 17 marzo 2016, n. 5336).

A differenza di quanto avviene in tema di denuncia di nuova opera, laddove nella fase di merito del giudizio la legittimazione passiva si determina in base alla domanda proposta, secondo le regole generali, ossia il legittimato passivo è da identificare in colui che è destinatario del comando dettato dalla norma indicata dall'attore e, quindi, l'esecutore morale o materiale dell'opera se il denunciante agisce in possessorio, ed il proprietario od il titolare di altro diritto reale se il denunciante agisce in petitorio (v. Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1983, n. 4137; Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2000, n. 13327; Cass. civ., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15710), nell'azione di danno temuto la legittimazione passiva non cambia nelle due fasi processuali, legittimato restando sempre il soggetto su cui incombeva l'obbligo di evitare l'insorgenza del pericolo e, pertanto, nell'una e nell'altra fase, il proprietario della cosa o, comunque, il titolare del diritto reale portatore dell'obbligo (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1981, n. 1445).

La denuncia di danno temuto può essere proposta anche da alcuni comproprietari di un bene in regime di comunione indivisa nei confronti degli altri comproprietari, nel caso in cui la mancanza di accordo impedisca di ovviare alla denunciata situazione di pericolo (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

Differenze tra denuncia di danno temuto e denuncia di nuova opera

i) Sia la denuncia di danno temuto che la denuncia di nuova opera postulano che il danno non deve essere definitivo, trattandosi di tutela cautelare.

Ed invero, l'art. 1172 c.c. si riferisce al timore di un danno e non a un danno già verificatosi e il precedente art. 1171 c.c. subordina l'esperibilità dell'azione, nonché al mancato decorso di un anno dall'inizio dell'opera, al fatto che l'opera non sia terminata.

Le azioni di nunciazione hanno il fine comune di tutelare il proprietario e il possessore da un danno incombente, ma, mentre la denuncia di danno temuto mira a prevenire il danno minacciato dallo stato attuale della cosa altrui, la denuncia di nuova opera tende invece ad evitare che la prosecuzione di un'opera intrapresa, che si ha ragione di ritenere dannosa per la cosa oggetto della proprietà o del possesso, si concreti in un danno effettivo (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 1978, n. 1425).

ii) Il principale criterio discretivo tra la denuncia di danno temuto e la denuncia di nuova opera viene, in giurisprudenza e con il conforto di autorevole dottrina, ritenuto risiedere essenzialmente nel diverso modo in cui l'attività umana ha determinato l'insorgere del pericolo e nella conseguente diversità del rimedio da adottare: la denuncia di nuova opera, infatti, postula un facere, cioè l'intrapresa di un'opera, nel proprio o nell'altrui fondo, capace di arrecare pregiudizio al bene oggetto della proprietà o del possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'inibizione dell'opera intrapresa o la subordinazione della sua prosecuzione all'adozione di determinate cautele. La denuncia di danno temuto postula, invece, un non facere, vale a dire l'inadempimento dell'obbligo di rimuovere una situazione di un edificio, di un albero o di qualsiasi altra cosa, comportante pericolo di danno grave e prossimo per il bene in proprietà o nel possesso del denunciante e prevede, come rimedio l'ordine, a chi abbia la piena disponibilità della cosa costituente pericolo, di eseguire quanto necessario per la rimozione della causa di quest'ultimo (v. pressoché in termini, Trib. Napoli Nord, sez. I, 12 dicembre 2016; v., nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1987, n. 2897).

iii) Un ulteriore criterio discretivo viene individuato nell'altruità dell'attività o della cosa generativa del pericolo incombente sul bene oggetto del diritto tutelato: la denunzia di danno temuto non presuppone l'esclusiva altruità della cosa da cui deriva il pericolo, giacché diversamente da quanto previsto dall'art. 1171 c.c. con il fare riferimento all'opera da «altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo», l'art. 1172 c.c. indica espressamente quale fonte generatrice di danno «qualsiasi edificio, albero o altra cosa», in tale generica formulazione dovendo pertanto ritenersi compresa anche la cosa di cui è comproprietario l'istante, che non sia in grado di ovviarvi autonomamente, giacché anche in tal caso risulta integrato il rapporto tra cosa e cosa che ne costituisce il presupposto essenziale (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

iv) Come già chiarito, nel caso della denuncia di nuova opera la legittimazione passiva spetta, nella fase cautelare, all'esecutore materiale dell'opera ed al committente, mentre nella seconda fase spetta, ove si fondi su ragioni petitorie, al proprietario o al titolare di altro diritto reale (Cass. civ., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15710).

Nel caso della denuncia di danno temuto legittimato passivo è ognora colui che è obbligato alla manutenzione ed alla custodia del bene, vale a dire il soggetto su cui gravava l'obbligo di evitare l'insorgere del pericolo.

v) Quanto ai provvedimenti cautelari, nel caso della denuncia di nuova opera, il giudice può vietare la continuazione dell'opera oppure consentirla e in entrambi i casi deve disporre le opportune cautele in favore della parte che, al momento, viene ad essere pregiudicata, per l'ipotesi in cui invece rimanga vittoriosa nella causa di merito.

Nel caso della denuncia di danno temuto non vi è, invece, alcuna previsione specifica. Stante «l'indeterminatezza del pericolo, è indeterminato anche il rimedio a tale pericolo» (Luiso, 292). Il rimedio dovrà, dunque, consistere nell'ordine di eseguire quanto, di volta in volta, a seconda delle circostanze, necessario per la rimozione della causa del pericolo.

vi) A differenza della denuncia di nuova opera, la denuncia di danno temuto non è soggetta a un particolare termine di decadenza o prescrizione ma presuppone unicamente l'attuale sussistenza del pericolo di un danno grave e prossimo, nel senso di incombente [Trib. Gela, 14 maggio 2007, Il merito 2007, 17 (s.m.)].

Iter procedurale

i) L'art.1172 c.c.(così come già l'art. 1171 c.c. con riguardo alla denuncia di nuova opera) disciplina unicamente la fase cautelare della procedura, non anche la successiva fase di merito.

La sola disposizione che disciplina tale seconda fase è l'art. 688 c.p.c., il quale si limita a stabilire che, se il processo di merito non è ancora iniziato, la denuncia si propone al tribunale: se, invece, il processo di merito è già iniziato, si propone al giudice competente ex 669-quater c.p.c..

Dal che autorevole dottrina (Luiso, 292) trae argomento per affermare, del tutto condivisibilmente, che l'iter da osservare per l'azione in esame deve ritenersi, al pari dell'iter della fase di merito della denuncia di nuova opera, quello del procedimento generale cautelare.

ii) A seguito della proposizione del ricorso in sede cautelare, il giudice, compiuta sommaria cognizione del fatto denunciato, può accogliere la domanda e, conseguentemente, disporre affinché il temuto pericolo sia rimosso o, comunque, adeguatamente ovviato, oppure, constatato il non ricorrere dei presupposti dell'azione, può respingerla.

Circa i provvedimenti cautelari emanabili, l'art. 1172 c.c., come già chiarito, non reca alcuna previsione specifica.

Può essere, pertanto, imposto ogni utile rimedio atto a scongiurare il danno paventato.

Così come ammesso negli ambiti della fase cautelare dell'azione di denuncia di nuova opera, nella medesima fase dell'azione di denuncia di danno temuto il giudice può disporre idonee garanzie (cauzioni) per il risarcimento dei danni che il convenuto o l'attore potrebbero subire in ragione, rispettivamente, dell'accoglimento o del rigetto della domanda qualora, nella sede di merito, la denuncia dovesse risultare infondata o, all'opposto, fondata.

Va rammentato che l'imposizione delle cauzioni è stata giudicata legittima dalla Consulta (Corte cost., 27 giugno 1963, n. 113), secondo cui, nei procedimenti per denuncia di nuova opera o di danno temuto, la previsione di cautele non può considerarsi in contrasto con la funzione del processo, ma piuttosto come un mezzo opportuno nella maggior parte dei casi ad assicurarla.

iii) Il provvedimento cautelare assume sempre la forma dell'ordinanza, sia nel caso di accoglimento dell'istanza che in caso di rigetto della stessa, ed è soggetto a reclamo ai sensi ed entro i termini di cui all'art. 669-terdecies, comma 1, c.p.c..

E' stato chiarito che l'ordinanza emessa in sede di reclamo, condividendo i caratteri di provvisorietà e di non decisorietà propri del provvedimento cautelare, è inidonea ad acquisire, dal punto di vista formale e sostanziale, efficacia di giudicato e non è, pertanto, ricorribile per cassazione (Cass. civ., sez. VI, 11 marzo 2015, n. 4904; Cass. civ., sez. VI, ord., 28 giugno 2017, n. 16259).

iv) Il procedimento è caratterizzato da due fasi distinte del medesimo giudizio (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2001, n. 14561; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10282), l'una cautelare, che si esaurisce con l'emissione di un'ordinanza che concede o nega la tutela interinale, e la seconda, di merito, destinata alla definitiva decisione sull'effettiva titolarità della situazione soggettiva azionata e sulla meritevolezza della tutela possessoria o petitoria invocata (Cass. civ., sez. VI, 11 marzo 2015, n. 4904; Cass. civ., sez. VI, ord., 28 giugno 2017, n. 16259).

v) La fase cautelare e quella, successiva, di merito, sono, tra loro, del tutto autonome, sicché le valutazioni correttamente compiute in sede di convalida della misura cautelare non possono, sic et simpliciter, legittimamente porsi a fondamento della decisione della fase di merito, necessitando, per converso, in quella sede, una valutazione affatto completa ed esaustiva di ogni tema di giudizio introdotto dalle parti, ivi inclusa, quella relativa alla situazione di fatto addotta a fondamento della richiesta introduttiva del giudizio, onde regolare definitivamente il rapporto tra soggetto autore della situazione di pericolo e soggetto esposto alla stessa (l'uno e l'altro nella qualità di titolari di diritti reali sui due fondi confinanti), sulla base della effettiva entità di quel pericolo, della individuazione dell'intervento idoneo ad eliminarlo, della definitiva identificazione dell'onerato all'intervento e della misura di tale onere (v., pressoché in termini, Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10282; v., nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2001, n. 14561).

Dall'autonomia delle due fasi discende che è sempre necessaria la proposizione di un'autonoma domanda di merito (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2015, n. 7260; Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21491).

La fase di merito potrà rivestire il carattere di giudizio petitorio o di giudizio possessorio a seconda della tutela che venga invocata.

Onere probatorio

L'appartenenza al convenuto della proprietà del fondo dal quale sia provenuto il pericolo per il fondo dell'attore può essere provata anche per presunzioni, facendo riferimento alle mappe catastali (v. Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16094, secondo cui, al di fuori dell'ipotesi dell'azione di rivendicazione, per la quale l'art. 948 c.c. prevede un regime probatorio rigoroso, la proprietà può essere provata, come tutti i fatti, anche con presunzioni e quindi anche attraverso il ricorso alle risultanze catastali).

Azioni di nunciazione nei confronti della P.A.

Costituisce ius receptum il principio secondo cui, in tema di azioni nunciatorie nei confronti della pubblica amministrazione, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario qualora l'attore denunci attività materiali della medesima che possano recare pregiudizio a beni di cui egli si assume proprietario o possessore e, in relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito, la domanda risulti diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo e non ci si dolga per l'emissione di atti o provvedimenti ricollegabili all'esercizio di poteri discrezionali spettanti alla P.A.; il che, ad esempio, si verifica quando l'intervento richiesto all'autorità giudiziaria riguarda un'attività meramente materiale, senza interferire nella sfera dei poteri pubblicistici dell'amministrazione (v., ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 29 gennaio 2001, n. 39; Cass. civ., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 604; Cass. civ., Sez. Un., ord, 26 ottobre 2017, n. 25456), senza che assuma rilievo in contrario il contenuto concreto del provvedimento richiesto per rimuovere lo stato di pericolo denunciato, il quale può implicare soltanto un limite interno alle attribuzioni del giudice, giustificato dal divieto di annullamento, revoca o modifica dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E (Cass. civ., Sez. Un., 28 febbraio 2007, n. 4633).

Riferimenti
  • Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano 2017, 677 ss.;
  • Luiso, Diritto processuale civile, Milano 2017, IV, 290 ss..

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