La legittimità del canone “a scaletta” nelle locazioni ad uso diverso

06 Febbraio 2019

Il Tribunale di Milano ribadisce l'orientamento cristallizzatosi nella giurisprudenza in ordine alla legittimità, rispetto alla disciplina vigente, della previsione di un “canone a scaletta” nelle locazioni di immobili ad uso diverso da quello abitativo, precisando che l'indicazione dei motivi...
Massima

La predeterminazione di un canone locatizio “a scaletta” non collide con i limiti imperativi posti dall'art. 32, comma 2, della l. n. 392/1978, atteso che la previsione di un canone di locazione frazionato nel tempo rientra nella libertà negoziale delle parti, laddove queste ultime abbiano inteso accordarsi sulla misura periodica progressivamente crescente, non essendo le stesse parti tenute ad indicare nel contratto anche i motivi che stanno alla base della suddetta scelta, in quanto non costituenti una condizione di validità dell'anzidetta pattuizione, la cui eventuale esplicitazione potrebbe allora assumere una specifica rilevanza soltanto sul piano probatorio.

Il caso

La società proprietaria di un'immobile concesso dal precedente proprietario in locazione ad uso commerciale intima al conduttore sfratto per morosità relativamente ai canoni rimasti insoluti dichiarando di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa prevista dal contratto di locazione, con la conseguente dichiarazione di risoluzione di diritto del rapporto alla data di ricezione della notifica dell'intimazione.

La questione

La materia del contendere verte sulla legittimità della clausola che prevede un canone “a scaletta”, consistente nell'aumento progressivo del canone, per i primi tre anni del rapporto, stante il disposto dell'art. 32, comma 2, della l. n. 392/1978, secondo cui le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27 della citata l. n. 392/1978, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'Istat, dell'indice dei pressi al consumo per le famiglie di operari ed impiegati, e dell'art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978, in base al quale è nulla ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dalle suddette norme, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della vigente disciplina sulle locazioni.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano accoglie la domanda attorea, sulla scorta della clausola risolutiva espressa contenuta nell'art. 24 del contratto di locazione, laddove prevede che l'inadempimento all'obbligo di corresponsione del corrispettivo negoziale con le modalità e alle scadenza stabilite, comporta la risoluzione di diritto del contratto, per effetto della semplice comunicazione della locatrice di volersi avvalere della suddetta clausola, e dell'art. 7, concernente il canone “a scaletta”,a tale fine, sottolineando altresì la differenza tra l'aggiornamento del canone - che è la variazione dell'importo nominale del canone finalizzata a conservarne il valore effettivo nel tempo e a contrastare la perdita di valore della moneta per effetto dei fenomeni inflattivi, variazione che, nei limiti detti, è consentita - rispetto all'aumento dello stesso - che invece è una variazione del suo valore reale e che non è consentita.

Ciò premesso, il giudice milanese rileva quindi che l'originaria previsione di un canone “a scaletta” non contrasta con l'art. 32 della l. n. 392/1978, ponendosi quest'ultima norma su un piano diverso dall'aumento del canone.

La previsione di un canone frazionato nel tempo, anziché stabilito in misura periodica identica per tutta la durata del rapporto, rientra infatti nella libertà negoziale delle parti, le quali stabiliscono l'ammontare complessivo del canone per tutta la durata della locazione, concordando che la misura periodica sia progressivamente crescente, per ragioni legate alle circostanze del singolo caso concreto.

Pertanto - chiosa il Tribunale - l'indicazione dei motivi che stanno alla base dell'aumento progressivo del canone non costituisce, per contro, una condizione di validità della pattuizione - e quindi non è necessario che sia contenuta nel contratto - giacché tale pattuizione deve ritenersi presuntivamente valida in quanto operante su un piano del tutto diverso dalla norma imperativa della quale si ipotizza l'elusione e rispondente al principio generale della libera determinazione del canone.

Tale indicazione invece opera sul piano probatorio giacché il conduttore che deduca l'illegittimità della clausola in questione, in quanto in concreto elusiva del limite posto dall'art. 32 della l. n. 392/1978, ha l'onere di fornire la dimostrazione del relativo assunto, allegando gli elementi testuali od extratestuali che rivelino la eventuale ricorrenza dell'intento fraudolento delle parti.

Osservazioni

Il Tribunale di Milano con la sentenza in epigrafe, argomenta la legittimità del patto di determinazione differenziata nel tempo del canone della locazione in esame richiamandosi ai principi contenuti nel più recente orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma 8 novembre 2018, n. 21614; Trib. Livorno 28 settembre 2018, n. 987; Trib. Modena 6 marzo 2015) e legittimità (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2017, n. 15348; Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 20384; Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20553; i cui inizi risalgono a Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987, n. 6695; Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1991, n. 8883; Cass. civ., sez. III, 22 novembre 1994, n. 9878) secondo cui il riferimento, contenuto nell'originaria formulazione dell'art. 32 della l. 27 luglio 1978, n.392, alla possibilità che il canone locativo degli immobili destinati per uso non abitativo sia concordato secondo misure contrattualmente stabilite, e, quindi, differenziate nel loro importo, è espressione del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo degli immobili destinati ad uso non abitativo, al quale la stessa norma deroga eccezionalmente solo per le clausole di aggiornamento per variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, con una disposizione che non può essere estesa, per analogia, alle altre clausole contrattuali volte ad incrementare, secondo la comune intenzione delle parti, il valore reale del corrispettivo per diverse e successive frazioni del medesimo rapporto e che debbono, pertanto, ritenersi valide a meno che non sia in concreto accertata la loro funzione elusiva del suddetto limite posto dall'art. 32 della stessa l. n. 392/1978.

La stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987, n. 6695) ebbe a puntualizzare, sul piano interpretativo, la necessità di non disperdere il significato dei diversi termini destinati a contrassegnare le differenti ragioni potenzialmente suscettibili di influire, nel corso del rapporto, sull'entità monetaria del canone di locazione.

In particolare, con la l. n. 392/1978, la predeterminazione legale del livello massimo del canone di locazione per gli immobili adibiti ad uso abitativo, secondo parametri oggettivi, rimase viva l'esigenza di salvaguardare l'equilibrio economico effettivo tra prestazione e controprestazione a fronte nella sopravvenienza, in pendenza del rapporto a durata vincolata, di elementi influenti su detto equilibrio, ed in tale ottica, si ebbe quindi cura di distinguere l'aggiornamento (art. 24 l. n.392/1978) dall'adeguamento del canone (art. 25 l. n.392/1978) a seconda che il mutamento incida sul potere di acquisto della moneta, e cioè sul valore reale della prestazione del conduttore, oppure su parametri e coefficienti correttivi ex artt. 13 e 15 della l. n. 392/1978, e cioè sul valore reale della prestazione del locatore.

La differenza non è soltanto terminologica ma sostanziale e in quanto tale, i due concetti vanno tenuti distinti, perché l'aumento implica un accrescimento non solo dell'importo nominale ma anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore, mentre l'adeguamento implica soltanto una variazione della quantità monetaria del canone in funzione della conservazione nel tempo del suo valore effettivo (Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1999, n. 910).

Come affermato dalla più recente giurisprudenza, ciò che cambia, in presenza di un canone “a scaletta”, è solamente la tempistica del pagamento che, anziché avvenire in misura fissa mese per mese e anno per anno, è “spalmata” nell'arco della durata della locazione, secondo un criterio progressivamente crescente (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2017, n. 15348).

Ciò premesso, appare evidente come in materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, meno pressante si profila l'esigenza di disciplinare l'aggiornamento del canone - vale a dire la validità o meno delle clausole Istat - una volta rimessa all'incontro della libera volontà delle parti, secondo le leggi di mercato, la determinazione convenzionale del canone.

Infatti la finalità perseguita dall'art. 32 della l. n.392/1978, nell'originaria e nella novellata formulazione ex art. 1, comma 9-sexies, della l. n. 118/1985, sembra potersi individuare in quella di dissuadere i contraenti da una spesso arbitraria previsione a lungo termine circa la flessione del potere di acquisto della moneta nell'arco dell'intera durata del rapporto, neutralizzandone in partenza gli effetti futuri attraverso una lievitazione del livello del corrispettivo preteso per concedere il godimento dell'immobile, consentendo alle parti di convenire, contestualmente alla stipulazione del contratto o in un secondo momento, la variazione del canone secondo una percentuale ancorata all'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

In buona sostanza, il legislatore utilizza il termine “aggiornamento” del canone per individuare il fenomeno del mantenimento del valore reale della prestazione del conduttore, incidente sull'equilibrio del sinallagma nonostante la variabilità della sua espressione monetaria in dipendenza della flessione nel tempo del potere di acquisto della moneta.

Ciò aiuta a comprendere perché a ben vedere, tale funzione riequilibratrice del rapporto, non riguarda la diversa ipotesi dell'incondizionata facoltà per le parti, secondo la loro libera valutazione espressa al momento della stipulazione del contratto di locazione ad uso non abitativo, di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale, e, cioè un aumento del canone in senso proprio, oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente - sempre in termini di valore reale - durante l'arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi, a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, in difetto dell'incidenza di elementi o di fatti diversi dalla svalutazione monetaria, predeterminati ed influenti sull'equilibrio economico del sinallagma.

Il giudice milanese ha quindi aderito all'orientamento inaugurato con il leading case emerso nella giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987, n. 6695, cit.), e recepito anche dalle più recenti pronunce (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2017, n. 15348; Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22908) riaffermando il principio della piena ed incondizionata libertà delle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente - in termini di valore reale - durante l'arco di svolgimento dello stesso rapporto, salvo che le stesse parti non abbiano inteso perseguire lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, poiché ricorrendo tale eventualità, è chiaramente onere del conduttore che intende invocare l'eventuale nullità del patto per violazione del combinato disposto ex artt. 32 e 79 l. n. 392/1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla l. n. 118/1985, art. 1, comma 9-sexies), allegare gli elementi, eventualmente desumibili dallo stesso contratto o da elementi extratestuali, idonei a rivelare l'effettivo intento delle parti di eludere il divieto di cui ai citati artt. 32 e 79, Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2017, n. 15348, in cui si evidenzia che spetterà quindi al conduttore dimostrare che la previsione di un canone “a scaletta” non è finalizzata distribuire, nell'arco della durata del rapporto, l'importo complessivamente dovuto dal conduttore secondo una logica di crescente impegno economico, bensì è volta ad aggirare la regola posta dall'art. 32, comma 2, della l. n. 392/1978 a mente del quale, i meccanismi contrattuali di aggiornamento del valore reale del canone alla variazione del potere di acquisto della moneta non possono superare il 75% dell'indice dei prezzi al consumo rilevato dall'Istat.

In questa specifica prospettiva, l'espressa indicazione dei motivi giustificativi della scelta della maggiorazione periodica del canone aiuta il contratto a resistere alla denunciata illiceità della pattuizione, senza, però, che tale esplicitazione costituisca una condizione di validità della pattuizione, la quale deve ritenersi presuntivamente valida in quanto operante su un piano del tutto diverso rispetto alla norma imperativa della quale si ipotizza l'elusione e rispondente al principio generale di libera determinazione negoziale del canone locatizio (sulla quaestio juris secondo cui nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della l. n. 392/1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79, comma 1, della stessa l. n. 392/1978, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti, v. anche Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8669).

Guida all'approfondimento

Sinisi, La presunzione di validità del canone a scaletta nelle locazioni ad uso commerciale, in www.condominioelocazione.it;

Masoni, Aperture ad una maggiore remuneratività della locazione commerciale in un importante arresto sul canone a scaletta, inwww.condominioelocazione.it;

Cuffaro,Le clausole di determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Corr. giur., 2017, 315;

Id., Il nuovo aggiornamento del canone nei contratti ad uso diverso dall'abitativo, in Arch. loc. e cond., 2009, 221;

De Tilla, È valida solo a certe condizioni la clausola che prevede il canone in misura frazionata e crescente, in Riv. giur. edil., 2007, II, 73;

Barbieri, Le pattuizioni aventi ad oggetto un aumento dell'ammontare del canone dovuto nelle locazioni di immobili ad uso non abitativo: atti nulli o strumenti di gestione delle sopravvenienze contrattuali?, in Giur. it., 2002, 708;

Gentili, L'invalidità del contratto di locazione, in Le locazioni urbane a cura di Cuffaro, Torino, 1999;

Giove, Sulla validità della clausola di aumento del canone di locazione, in Nuova giur. civ. comm., 2001, 43;

Id., Ancora su aumenti ed aggiornamenti del canone nelle nuove locazioni non abitative, in Giur. it., 1988, I, 1, 384.

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