Successione di leggi penali. La portata dell'art. 2 c.p.in relazione alle modifiche del regime di procedibilità

06 Febbraio 2019

La sentenza in esame aderisce alla tesi secondo la quale la querela avrebbe natura mista, sostanziale e processuale in quanto è a un tempo condizione di punibilità e procedibilità. Un parte della giurisprudenza e autorevole dottrina sono invece orientate nel senso che la querela avrebbe rilevanza esclusivamente nel processo quale condizione di procedibilità...
Massima

Il problema dell'applicabilità dell'art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime di procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e punibilità.

Infatti, il principio dell'applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime di procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto.

Il caso

La Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva confermato la pronuncia di condanna emessa dal tribunale di Milano in relazione al reato di cui agli artt. 646 e 61 n. 11) c.p. perché il reato è estinto per remissione di querela.

La sentenza in esame analizza le recenti modifiche normative introdotte con il d.lgs. 36/2018 in materia di procedibilità per il reato di appropriazione indebita, soffermandosi in particolare sulle regole applicabili in tema di successione di legge nel tempo ex art. 2 c.p. alla luce del principio della norma più favorevole.

La questione

Il decreto legislativo 36/2018 – dando attuazione alla delega di cui all'art. 1, commi 16 lett. a) e b), e art. 17 della legge 103/2017 – ha modificato il regime di procedibilità per taluni reati.

Fra i vari reati interessati dal provvedimento normativo vi è anche l'appropriazione indebita.

L'art. 10 del d.lgs. 36/2018 ha disposto l'abrogazione del comma 3 dell'art. 646 c.p. a norma del quale si procedeva d'ufficio se ricorreva «la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell'art. 61».

Il successivo art. 11 prevede tra l'altro che «per i fatti di cui all'art. 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all'art. 61, primo comma, n. 11, si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale».

Ne deriva che soltanto in presenza di aggravanti a effetto speciale il reato di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 n. 11 («l'aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d'ufficio, di prestazioni d'opera, di coabitazione o di ospitalità») è procedibile d'ufficio, mentre nei restanti casi la procedibilità è a querela di parte.

I giudici di legittimità nel caso specifico ritengono che occorra tener conto delle modifiche normative ex d.lgs. 36/2018 nei procedimenti ancora pendenti dovendosi al riguardo affermare «il principio secondo cui il problema dell'applicabilità dell'art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti il principio della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime di procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificata dal diritto (Sez. III, n. 2733/1997)». Per tale ragione la remissione di querela nel caso scrutinato dai giudici di legittimità è stata ritenuta idonea a estinguere il reato, ancorchè il procedimento vertesse nell'ambito di una fattispecie penale che prima delle citate modifiche era perseguibile d'ufficio.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in esame aderisce alla tesi secondo la quale la querela avrebbe natura mista, sostanziale e processuale in quanto è a un tempo condizione di punibilità e procedibilità.

Un parte della giurisprudenza e autorevole dottrina sono invece orientate nel senso che la querela avrebbe rilevanza esclusivamente nel processo quale condizione di procedibilità, ossia quale presupposto per una decisione nel merito.

In proposito si è osservato che l'interprete non deve essere vincolato dalle ambiguità legislative dovute all'inserimento dell'istituto della querela sia nel codice penale sia in quello processuale.

La natura giuridica di un istituto non dipenderebbe dalle classificazioni del legislatore o dal fatto che sia stato collocato in un complesso normativo piuttosto che in un altro, «ma da quelli che sono i tratti caratteristici e la funzione che esplica in seno all'ordinamento giuridico».

In questo contesto la risoluzione della problematica se la querela configuri una condizione di procedibilità o di punibilità o se integri contemporaneamente l'una e l'altra condizione non può prescindere dagli effetti che l'ordinamento giuridico ricollega alla mancanza di querela. La soluzione interpretativa in virtù della quale la querela possa considerarsi contestualmente condizione di procedibilità e punibilità non sarebbe condivisibile, giacché il valore scientifico di tale opinione sarebbe seriamente confutato «dall'ovvia impossibilità di ridurre ad unum concetti che stanno agli antipodi». La scelta si porrebbe unicamente fra le altre due tesi, ma anche in questo caso non si dovrebbe andare oltre l'ovvia constatazione che «la mancanza di querela si risolve nell'invalidità del processo, il che esclude la possibilità di un'assoluzione non meno che di una condanna e, infine, esige una neutrale pronuncia di non doversi procedere: qui non si coglie traccia di una valutazione in termini di dover punire. Il tema di fondo del giudizio non è neppure sfiorato».

Una serie di disposizioni processuali sembrerebbero avvalorare la fondatezza della tesi circa la natura esclusivamente processuale della querela..

La mancanza della querela determina l'archiviazione a norma dell'art. 411 c.p.p al di là di qualsiasi verifica sulla fondatezza nel merito dell'ipotesi accusatoria.

Analogamente l'assenza di una condizione di procedibilità impone: a) una sentenza di non luogo a procedere all'esito dell'udienza preliminare; b) un proscioglimento ex art. 469 c.p.p. nella fase successiva all'udienza preliminare e prima del dibattimento; c) una sentenza di non doversi procedere nella fase dibattimentale o in esito alla stessa ai sensi dell'art. 529 c.p.p.; d) il giudice d'appello deve riformare la sentenza di primo grado qualora accerti che l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela; e) la Cassazione annulla senza rinvio ex art. 620, comma 1, c.p.p. se rileva che l'azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela; f) infine in caso di sentenza di condanna può esperirsi il rimedio della revisione ai sensi degli artt. 629 e 630 lett. c) c.p.p. nell'ipotesi in cui emergessero nuove prove che da sole o unite a quelle già valutate dimostrino che nei confronti del condannato doveva essere dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela (ad esempio nel caso in cui si forniscano prove idonee a escludere un'aggravante la cui sussistenza ha reso il reato, altrimenti perseguibile solo a querela di parte, procedibile d'ufficio).

Dalla qualifica meramente processuale della querela discenderebbe l'inapplicabilità dell'art. 2 c.p., salva la possibilità di considerare le modifiche al regime di procedibilità come legge processuale più favorevole attraverso un'estensione analogica dello stesso art. 2 c.p. (possibilità che non trova unanimi consensi in dottrina e in giurisprudenza valorizzandosi unicamente il criterio del tempus regit actum).

Osservazioni

Alla luce delle precedenti osservazioni è evidente che inquadrare dogmaticamente la querela soltanto nell'alveo delle condizioni di procedibilità e, pertanto, disconoscerne la natura “mista” ha importanti implicazioni pratiche.

Se la legge successiva al fatto comporta, come per l'appunto nei casi regolati dal d.lgs. 36/2018, modifiche al regime di procedibilità riducendo l'ambito dei reati perseguibili d'ufficio sarebbe preclusa l'applicabilità (nell'ottica del favor rei) della disciplina dettata dall'art. 2, comma 4, c.p.

In simile ipotesi dovrebbe trovare vigore il principio tempus regit actum ex art. 11 disposizioni sulla legge in generale; sicché i fatti processuali quali le condizioni di procedibilità, non qualificabili anche come istituti di diritto sostanziale, dipendono solo dalla disciplina normativa vigente al momento del loro compimento.

Con la conseguenza che allorquando, per effetto di modifiche normative, diventi perseguibile a querela di parte un reato che in precedenza lo era ex officio l'azione penale resterebbe cristallizzata non potendosi esperire l'istituto della remissione di querela.

La giurisprudenza in passato aveva posto l'accento sul carattere eminentemente processuale della querela argomentando a proposito della configurabilità della ricettazione anche nel caso in cui il delitto presupposto sia perseguibile a querela ma essa non venga presentata. Al riguardo si è osservato che essendo la querela inerente alla procedibilità la sua mancanza non pregiudica l'illiceità del fatto presupposto (Cass. pen., 15 maggio 1992, Berti, in RP, 1992, pag. 933 e ss.).

Per dirimere ogni disputa interpretativa sul punto il legislatore ha modificato l'art. 648 c.p. nel senso che la ricettazione sussiste anche quando manchi la condizione di procedibilità riferita al reato presupposto.

Orbene, la soluzione interpretativa che annovera la querela esclusivamente nell'orbita delle condizioni di procedibilità sembra ispirata prevalentemente all'esigenza di tutela delle parti offese del reato, soprattutto per evitare che la riduzione dell'area dei reati perseguibili d'ufficio conseguente al mutato regime di procedibilità possa vanificare le loro istanze punitive. Per scongiurare una simile evenienza il legislatore con il d.lgs. 36/2018 ha apprestato un meccanismo di tutela a favore della persona offesa predisponendo un'apposita disciplina transitoria per regolare le modalità attraverso cui, in relazione ai reati per i quali è mutato il regime di procedibilità, la stessa persona offesa viene messa nelle condizioni di valutare l'opportunità di esercitare nei termini il diritto di proporre querela.

Anche sotto questo versante appare perciò apprezzabile e condivisibile l'approdo ermeneutico al quale è pervenuta la sentenza annotata. In sostanza, il tema dell'applicabilità dell'art. 2 c.p. deve essere risolto in senso affermativo tenendo presente la natura mista, sostanziale e processuale, della querela che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità.

Del resto una conferma circa il carattere ibrido dell'istituto in esame può rinvenirsi nell'art. 158, comma 2, c.p. che recita: «Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato». L'utilizzo della congiunzione avversativa nondimeno è indice della volontà del legislatore di annoverare la querela oltre che fra le condizioni di procedibilità anche in quelle di punibilità; giacché in assenza di quella precisazione il termine per la prescrizione decorrerebbe dal verificarsi della condizione da cui dipende la punibilità del reato,ossia giorno in cui la stessa querela viene presentata e non dal momento di commissione del reato.

La natura sostanziale della querela può inoltre desumersi dall'articolata disciplina contenuta nel codice penale (dall'art. 120 fino all'art. 127) in ordine alla legittimazione, all'esercizio, all'estensione, al termine e all'estinzione del diritto di querela

Diversi istituti giuridici presentano una “duplice natura: si pensi alla messa alla prova introdotta con la l. 67 del 2014 alla quale va riconosciuta una doppia veste, quella sostanziale di causa estintiva del reato e quella processuale di procedimento speciale.

È vero che la querela non assurge al rango di elemento essenziale del reato non concorrendo a definire il tipo di illecito o la sua struttura o il contenuto del disvalore del fatto che invece si presuppone già realizzato.

Questa obiezione potrebbe in gran parte riguardare anche la prescrizione del reato della quale è indiscussa la natura sostanziale, sebbene di fatto esso rappresenti uno strumento per garantire la ragionevole durata del processo che trova esplicito riconoscimento nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nell'art. 111 Cost.

Sotto la vigenza del codice Zanardelli l'inutile decorso del tempo comportava la prescrizione dell'azione penale, mentre quello in vigore prevede all'art. 157 c.p. l'estinzione del reato, segnando in tal modo il passaggio da un istituto di diritto processuale a uno di natura sostanziale.

In relazione alla nota sentenza “Taricco” (là dove la Corte di Giustizia Europea ha statuito che le norme sulla prescrizione attualmente vigenti nel nostro Paese possano essere disapplicate nei casi in cui possano compromettere gli interessi finanziari dell'Unione europea), si è autorevolmente ribadito che la prescrizione nell'ordinamento nazionale è collocata nell'ambito sostanziale del diritto penale e, di conseguenza, deve trovare applicazione il principio di legalità sancito dall'art. 25 Cost., con i relativi corollari inerenti alla riserva di legge, tassatività e divieto di retroattività (Corte cost., sent.10 aprile 2018 n.115).

Si registra pertanto in giurisprudenza la tendenza ad ampliare lo spazio dei principi di natura sostanziale. Ciò non dipende dal fatto che la procedura penale costituisca un dio minore rispetto al diritto penale, in grado di offrire meno garanzie. Occorre piuttosto prendere atto che i confini tra il diritto penale e quello sostanziale sono talvolta evanescenti e nel caso di norme o istituti dal significato ambiguo deve comunque prevalere, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata, l'esigenza di tutelare i diritti fondamentali della persona.

Guida all'approfondimento

F. CORDERO, Procedura Penale, 2012, Giuffrè;

B. GALGANI, Sub art. 120 c.p., in T. Padovani (a cura di), Codice penale, Giuffrè, 2015;

G. VOLPE, Digesto delle discipline penalistiche, 1995, Padova.

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