Lesioni lievissime: sempre competente il Tribunale se la persona offesa è un congiunto o un convivente

12 Febbraio 2019

La Consulta ha pronunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lett a), d.lgs. n. 274/2000, nella parte in cui non esclude dalla competenza del giudice di pace anche il reato di lesioni lievissime in danno del figlio biologico.
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 4, comma 1, lett a), d.lgs. n. 274/2000 nella parte in cui fissa la competenza del Giudice di pace per il reato di lesioni lievissime, perseguibili a querela di parte, nei casi in cui la persona offesa è un congiunto, compreso il coniuge anche separato e il partner dell'unione civile, o un convivente legato all'autore del fatto da una relazione affettiva.

Il caso

Tizio viene indagato per il reato di cui all'art. 582, comma 2, c.p., lesioni lievissime, commesse nei confronti del figlio. Il suo difensore propone istanza di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, o, in subordine di pronuncia ex art. 131-bis c.p.p, che prevede la non punibilità per la particolare tenuità del fatto.

Il GIP del Tribunale di Teramo, valutate le richieste, ritiene che il reato sia di competenza del giudice di pace, con conseguente preclusione della pronuncia di cui all'art. 131-bis c.p..

Il GIP rileva, però, una profonda incongruenza normativa: il d.lgs. n. 274/2000 (norme sul procedimento penale davanti al giudice di pace) prevede la competenza del Tribunale ordinario, in luogo del Giudice di pace, qualora sussista la circostanza aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1, c.p.) e la persona offesa sia il discendente adottivo e anche in caso di reato perseguibile a querela di parte. In caso di filiazione biologica, invece, la competenza resta del giudice di pace. Considerando che il disvalore delle due ipotesi è identico e non vi è alcuna ragionevolezza nel differente trattamento delle fattispecie in relazione al rapporto di filiazione adottiva o biologica tra autore e persone offesa, il GIP solleva questione di legittimità costituzionale.

La questione

Il Gip ritiene violato l'art. 3 Cost. in relazione al differente trattamento delle persone offese legate da rapporto di filiazione con l'autore; la discriminazione tra figlio biologico e adottivo ha poi una ricaduta significativa in termini di tutela della persona offesa, perché per i reati di competenza del giudice di pace non si applicano le misure cautelari; mentre il figlio adottivo potrebbe fruire delle misure previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. - allontanamento e divieto di avvicinamento - il figlio biologico non avrebbe tale tutela (salva la tutela civilistica ex art. 342-bis ss. c.c. degli ordini di protezione).

Il rimettente ritiene altresì violato l'art. 24 Cost. in relazione alla posizione più sfavorevole per l'indagato o imputato, nell'ipotesi che la persona offesa sia suo figlio biologico, per il fatto che nel procedimento davanti al giudice di pace non opera la pronuncia di cui all'art. 131-bis c.p. come confermato dalla recente sentenza delle Cass., S.U., 22 giugno 2017 (dep. 28 novembre 2017), n. 53683.

Le soluzioni giuridiche

La Consulta dichiara fondata la questione e pronuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lett a), d.lgs. n. 274/2000, nella parte in cui non esclude dalla competenza del giudice di pace anche il reato di lesioni lievissime in danno del figlio biologico. La Corte inoltre, dichiara in via consequenziale l'illegittimità della stessa norma, nella parte in cui non esclude la competenza del giudice di pace il reato di lesioni perseguibili a querela di parte in tutti i casi indicati nell'art. 577, n. 1, c.p., cioè quando la persona offesa è un ascendente, discendente, coniuge anche separato o parte dell'unione civile.

Osservazioni

La vicenda è esemplificativa del grande disordine causato da interventi di riforma frammentari e spesso scollegati tra loro e della mancanza di una riforma organica nel settore della tutela della persona nelle relazioni affettive, sia nel settore civile che in quello penale.

La legge n. 119/2013, sul contrasto alla violenza di genere, aveva tentato di risolvere il problema dell'inapplicabilità delle nuove misure cautelari (artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.) a quelle situazioni di reati sentinella, che spesso costituiscono delle spie sul rischio di escalation nella violenza domestica. Si trattava quindi di sottrarre anche le lesioni lievi alla competenza del giudice di pace.

Utilizzando la tecnica del richiamo, la legge modificò l'art. 4, prevedendo l'esclusione della competenza del giudice di pace per tutte le persone offese indicate all'art. 577 c.p., norma che disciplina «altre circostanze aggravanti» del reato di omicidio. Circostanza che sono richiamate anche dalla norma incriminatrice delle lesioni. È stato richiamato però, non il comma 1, n. 1, ma il secondo comma dello stesso art. 577 c.p.. La differenza è notevole: al comma 1, n. 1 è indicata una prima serie di vittime in presenza delle quali il reato è aggravato (ascendente, discendente e, nella versione della norma modificata dalla recentissima legge n. 4/2018, il coniuge, anche separato, il partner dell'unione civile e il convivente con cui si ha una relazione affettiva); al comma 2 sono invece indicate altre vittime, o meglio, altre posizioni di prossimità tra vittima ed autore, in cui il delitto è aggravato con minore intensità rispetto alle posizioni prese in considerazione nel primo comma n. 1 («se il fatto è commesso contro il coniuge divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ove cessata, il fratello o la sorella il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta»).

Infine è da rilevare che la Corte costituzionale, in via consequenziale, ha dichiarato illegittima la norma sulla competenza del giudice di pace nella parte in cui non ha ricompreso non solo il figlio biologico, ma anche tutti i soggetti indicati nell'art. 577, n. 1, c.p., compresi quelli inseriti dalla riforma operata dalla legge n. 4/2018, tra le persone offese che determinano la competenza del tribunale.

Con questa pronuncia è avvenuto un importante intervento correttivo del disordine creato dai diversi interventi sopra indicati, che ha ricondotto la disciplina nell'ambito della ratio ispiratrice degli interventi stessi: quella di offrire una maggiore tutela delle persone nelle relazioni familiari, innalzando il livello di efficacia delle azioni di prevenzione e repressione la violenza domestica.

Rimane, però aperta, un'altra questione.

Se appare evidente la ratio di un maggiore disvalore tra il coniuge o il partner dell'unione civile, rispetto all'ex partner, divorziato o con unione civile cessata, appare difficile, oggi, accettare la scelta del legislatore penale di considerare un minore disvalore nell'omicidio del padre o del figlio adottivo rispetto a quello biologico. La questione non era devoluta alla Consulta, che si è limitata dare conto che la lettera delle norma è chiara, ed è volta a dare alla consanguineità un elemento che aggrava il delitto, «quale precipitato di concezioni antiche».

La questione potrebbe oggi essere affrontata in modo diverso a partire dalla considerazione del traguardo raggiunto nel nostro ordinamento con l'unicità dello stato di figlio. Sul tema si segnala Cass. n. 9427/2018, che ha affrontato per la prima volta la questione dell'omicidio del figlio adottivo, ribadendo l'impossibilità di considerarlo alla stessa strega di quello del figlio biologico.

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