Crisi della coppia genitoriale e potere di vigilanza attiva del giudice tutelare

13 Febbraio 2019

Che tipo di potere ha il Giudice tutelare nell'ambito delle competenze di cui all'art. 337 c.c.?
Massima

Il giudice tutelare, nell'ambito delle competenze di cui all'art. 337 c.c., ha un potere di vigilanza attiva; pertanto può intervenire per disciplinare profili specifici che non erano stati contemplati nei provvedimenti della crisi della coppia genitoriale.

Il caso

Tizio presenta ricorso ex art. 337 c.c. nei confronti di Caia richiedendo al Giudice Tutelare di regolamentare i tempi di permanenza del figlio minore con il padre durante il fine settimana dal 29 giugno al 1 luglio del 2018; ciò per consentire al figlio stesso di partecipare al suo matrimonio; chiede altresì al Giudice Tutelare di stabilire una modalità più specifica rispetto all'accordo in essere in ordine ai tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore durante le vacanze estive.

La questione

Con il provvedimento in esame, il Giudice Tutelare, ritenuta la necessità di convocare i genitori, previa assegnazione a Caia di un termine per depositare eventuale memoria, evidenzia da subito la sussistenza di un diritto del minore a partecipare ad eventi significativi della vita dei genitori, tra i quali rientra sicuramente il matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

Il provvedimento milanese che ci riguarda è espressione dell'orientamento ormai sempre più diffuso in giurisprudenza di ampliare i poteri di vigilanza attribuiti al Giudice Tutelare dall'art. 337 c.c.. Secondo il dettato della norma summenzionata al Giudice Tutelare è attribuito il compito di «vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità genitoriale e per l'amministrazione dei beni». Inizialmente l'operatività dei Giudice Tutelare si limitava ad un controllo della corretta applicazione dei provvedimenti de potestate adottati dal TM ai sensi degli artt. 330, 333 e 334 c.c. (Cass. 13 dicembre 1985, n. 6306); successivamente, la giurisprudenza ha ampliato le attribuzioni del Giudice Tutelare, assegnando allo stesso un potere di vigilanza/controllo di carattere generale su ogni provvedimento adottato dal Tribunale in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. 3 novembre 2000, n. 14360); pertanto il Giudice Tutelare non è più chiamato solo a vigilare sull'osservanza dei provvedimenti contenuti in sentenza, ma il suo potere di vigilanza/controllo si estende a tutte le condizioni – anche adottate con soluzione condivisa – e riguarda, sia le condizioni di separazione e divorzio, sia, dopo la riforma della filiazione, le condizioni relative all'affidamento e mantenimento di figli nati da coppie non unite in matrimonio; inoltre, l'individuazione delle concrete attribuzioni assegnate dalla norma in esame al Giudice tutelare ha portato ad un graduale ampliamento del potere di vigilanza e controllo fino a determinare un nuovo istituto definito come “vigilanza attiva”: il potere attribuito al Giudice Tutelare si sostanzia, infatti, non solo nell'interpretazione delle condizioni afferenti l'esercizio della responsabilità genitoriale, ma anche nella consequenziale determinazione dei criteri applicativi delle condizioni medesime.

Secondo l'orientamento unanime della giurisprudenza è peraltro da escludersi che detto potere possa estendersi a decisioni che incidano sulla natura delle soluzioni adottate.

il Giudice Tutelare si limita quindi a determinare i criteri applicativi delle condizioni di separazione e divorzio in merito all'esercizio/gestione della responsabilità genitoriale, senza peraltro modificare nella sostanza le questioni di primaria importanza contenute negli accordi o nella sentenza, quali l'affidamento e il collocamento, ovvero il mantenimento della prole; il Giudice Tutelare, peraltro, al fine di poter concretamente fornire criteri attuativi efficaci, potrà intervenire determinando condizioni esecutive che incidano su questioni di carattere accessorio, quando la concreta realizzazione delle condizioni previste sia di difficile realizzazione, ovvero qualora il conflitto tra i genitori renda difficoltosa, o addirittura impossibile, la concreta realizzazione delle condizioni medesime; ed ancora il Giudice Tutelare potrà intervenire nelle ipotesi di mancanza di consenso da parte di uno dei genitori in ordine a scelte di primaria importanza per i figli - e conseguenti esborsi che le stesse comportino - e che esulino dalla quotidianità, come, a titolo esemplificativo, interventi o terapie sanitarie presso strutture private, attività extrascolastiche, vacanze studio.

Va precisato che l'intervento del Giudice Tutelare è previsto qualora non sia pendente alcun procedimento, prevedendosi, in corso di causa, la competenza del giudice già chiamato a definire il processo in corso.

La conferma dell'attribuzione al Giudice Tutelare di poteri di intervento si ha in diverse recenti pronunzie, con cui l'Ufficio del Giudice Tutelare chiamato a interpretare i provvedimenti assunti dal Tribunale ordinario in ordine all'esercizio concreto della responsabilità genitoriale, si è assunto poteri decisori su questioni accessorie e meramente esecutive.

In tale senso rilevanti sono le decisioni assunte dall'Ufficio del Giudice Tutelare del:

  • Trib. Arezzo, 14 aprile 2008, il quale ha affermato il proprio potere di «vigilanza attiva, idonea cioè ad adottare tutti i provvedimenti che, senza modificare il regime stabilito in sede di cognizione, valgano a consentirne l'applicazione»; ciò avvalendosi dell'ausilio dei soggetti deputati alla cura degli interessi contesi, ausilio che «per essere di effettiva utilità, deve poter avere finalità non soltanto conoscitive, ma anche concretamente operative, capaci cioè di superare le eventuali resistenze delle parti per l'applicazione del regime previsto»;
  • Trib. Pistoia, 20 settembre 2010, che ha affermato il potere del Giudice Tutelare di pronunciarsi circa l'inadempimento di un genitore agli obblighi di mantenimento della prole;
  • Trib. Pavia, 6 luglio 2017, che ha previsto modalità operative del regime di frequentazione e permanenza del figlio con il genitore non collocatario, meglio specificando e precisando il contenuto delle condizioni in essere.

Nel medesimo senso si hanno anche alcune pronunzie dei Tribunali ordinari, quali Trib. Milano, sez. IX, 22 giugno 2015, che ha dichiarato «la competenza funzionale esclusiva del Giudice Tutelare, in virtù dello strumento rimediale di cui all'art. 337 c.c.» a dare concreta attuazione alle condizioni di esercizio della responsabilità genitoriale, con esclusione di «ogni statuizione modificativa di queste».

Si ha poi una pronuncia (Trib. Varese 17 febbraio 2012) che ammette la competenza “temporanea” del Giudice Tutelare anche in funzione preventiva, ossia nell'attesa del giudizio del Tribunale; ciò «al fine di evitare rischi di pregiudizi al minore».

Nella fattispecie in esame, il Giudice Tutelare, chiamato a regolamentare la permanenza del figlio con il padre durante uno specifico fine settimana al fine di permettergli di partecipare al matrimonio del genitore, nonché a stabilire una «modalità più specifica in punto di termini per l'accordo relativo alle vacanze estive», non è stato investito del mero potere di vigilanza sull'osservanza delle condizioni relative ai tempi di permanenza del figli con ciascun genitore, ma gli è stato assegnato il compito di regolamentare in modo più esaustivo detti tempi; la decisione adottata di convocare i genitori assegnando alla madre un termine per il deposito di eventuale memorie, precisando da subito «che è un diritto del minore partecipare agli eventi significativi della vita dei genitori, tra i quali si annovera il matrimonio», è segno dell'adesione del giudice all'orientamento prevalente sopra evidenziato: assumendosi il compito di dirimere un conflitto, seppure relativo alla mera specificazione dei tempi di permanenza del figlio con il padre in uno specifico fine settimana e di precisare in termini chiari le modalità di permanenza del figlio con i genitori nel periodo estivo, il Giudice Tutelare va oltre il puro e semplice potere di vigilanza, agendo concretamente sull'attuazione/esecuzione delle condizioni.

Osservazioni

Come è ben noto a chi si occupi di diritto di famiglia, la concreta applicazione delle condizioni che regolano la genitorialità è fonte di un numero molto elevato di conflitti. Si pensi, a titolo esemplificativo, al contenzioso che sorge per regolamentare in concreto i tempi di frequentazione e permanenza dei figli con ciascun genitore; ovvero alle controversie che nascono in ordine alla identificazione di alcune spese come ordinarie oppure “extra”.

La necessità di tutelare la prole e di metterla al riparo da possibili irrimediabili pregiudizi derivanti dalle pretese rivendicate da ciascun genitore e dalla loro elevata conflittualità, richiede interventi veloci ed efficaci.

La soluzione è quella di attribuire il compito di dirimere dette controversie ad un Giudice all'uopo deputato.

L'art. 6, comma 10, l. div., prevede che «all'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito»; previsione oggi rinvenibile altresì nell'art. 337-ter c.c., il cui comma 2 contiene analogo dettato.

Entrambe le norme suindicate, prevedono altresì che al fine della concreta attuazione dei provvedimenti «copia del provvedimento di affidamento viene trasmesso, a cura del P.M., al Giudice Tutelare».

La norma ha quindi individuato nel Giudice Tutelare il soggetto deputato alla soluzione delle controversie interpretative ed applicative: a procedimento concluso, sia esso di separazione o di divorzio, ovvero di modifica ex art. 710 c.p.c. o art. 9 legge n. 898/1970, o ancora di determinazione dell'affidamento/collocamento e mantenimento di figli nati da coppie non unite in matrimonio, il soggetto chiamato ad intervenire è quindi il Giudice Tutelare, il quale è investito non solo del potere di dare concreta attuazione alle condizioni concordate o ai provvedimenti giudiziali, ma è altresì investito del potere residuale di modificare concretamente alcune questioni che, seppure accessorie, incidono comunque sull'esercizio della responsabilità genitoriale.

Come si è detto, la scelta operata trova fondamento nelle funzioni di garanzia e di controllo a favore dei oggetti più deboli proprie del Giudice Tutelare ed in tale direzione si colloca il disposto dell'art. 337 c.c.; l'ampliamento dei poteri trova supporto nell'art. 48 Reg. 2201/2003, che, nel prevedere le modalità pratiche per l'esercizio del diritto di visita, prevede altresì che il giudice deputato a darne esecuzione concreta possa «stabilire modalità pratiche volte ad organizzare l'esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione emessa dalle autorità giurisdizionali dello stato membro competente a conoscere del merito e a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione».

Da qui discende il potere del Giudice Tutelare di intervenire modificando a fini attuativi le condizioni accessorie, dando ai genitori anche precise prescrizioni comportamentali, sempre nel rispetto delle statuizioni del giudice di merito; ciò avvalendosi di tutti gli strumenti a sua disposizione, ossia avvalendosi dell'operato dei Servizi Sociali per eventuali indagini e per l'ascolto indiretto dei minori; chiedendo l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione ex art. 344 c.c.; designando un consulente tecnico per eventuali accertamenti ritenuti necessari e urgenti; trasmettendo, ove si manifesti la necessità o l'opportunità nell'interesse dei minori, gli atti alla Procura della Repubblica presso il competente Tribunale per i Minorenni.

Va da sé che l'eventuale accertamento ad opera del Giudice Tutelare di inadempimenti da parte di un genitore e dallo stesso non rimediate, potranno costituire un elemento di valutazione per il giudice di merito che venga successivamente investito della modifica sostanziale delle condizioni in essere.

A parere di chi scrive l'ampliamento dei poteri di cui è investito il Giudice Tutelare trova ragione nella necessità di definire in tempi brevi situazioni che, seppure accessorie, possano costituire un pregiudizio per i minori se irrisolte.

L'aver individuato nell'Ufficio del Giudice Tutelare il soggetto deputato a dette soluzioni, non pare un scelta azzardata: il Giudice Tutelare è infatti un organo monocratico della giurisdizione ordinaria al quale sono assegnate dalla legge diverse competenze che possono tuttavia inquadrarsi nella cornice della garanzia e controllo a favore dei soggetti più deboli (tutele – artt. 344 ss. c.c., AdS a seguito delle legge n. 6/2004artt. 404 ss. c.c.) e, in particolare, a favore dei minori (autorizzazioni in caso di atti di rilevanza economico-patrimoniale per il minore – art. 320 c.c. -, o interventi in casi di allontanamento del minore senza permesso – art. 318 c.c.).

L'art. 337 c.c. rientra in detto quadro di competenze e l'ampliamento dell'esercizio concreto della funzione normativamente prevista costituisce conferma di un ruolo che va oltre la mera garanzia esterna e si realizza in un effettivo potere di intervento.

Il provvedimento della Sezione VIII Civile del Tribunale di Milano del giugno 2018 è espressione di questo condivisibile orientamento.

Resta da capire se l'intervento del Giudice Tutelare possa venire ampliato ad interventi cautelativi e preventivi in pendenza di giudizio come previsto dal Tribunale di Varese nel succitato provvedimento del febbraio 2012, che, va precisato, richiama un decreto che risale addirittura al secolo scorso (Pret. Roma, 16 dicembre 1987).

Sommessamente mi pare di poter affermare che in pendenza di giudizio non sussistano ragioni per attribuire un potere di intervento ad un soggetto, seppur facente parte dell'ordinaria giurisdizione del tribunale competente ed adito, che sia fisicamente diverso dal giudicante, il quale ben potrebbe adottare provvedimenti cautelativi a tutela dei minori nelle more della decisione.

Ed a conferma di questa affermazione è di supporto proprio il disposto dell'art. 337-ter c.c. sopra richiamato, che demanda al giudice di merito l'attuazione, anche d'ufficio in ipotesi di affidamento familiare, dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole.

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