È annullabile la delibera approvata a maggioranza che esclude il pari uso di un bene comune in favore degli altri condomini

Nicola Frivoli
15 Febbraio 2019

Il giudicante è stato chiamato ad accertare la legittimità di una delibera condominiale contenente un vizio di annullabilità poiché approvata a maggioranza...
Massima

In tema di condominio, la delibera approvata a maggioranza dei condomini comporta il vizio di annullabilità del rapporto quando mira ad escludere il pari uso del bene comune da parte dei condomini. Di converso, la limitazione del bene comune è consentita solo nel caso in cui l'approvazione della deliberazione avviene all'unanimità trattandosi della costituzione di un diritto personale di godimento ad uso esclusivo.

Il caso

Un condomino impugnava una delibera condominiale, con atto di citazione (artt. 163 ss. c.p.c.) e conveniva in giudizio il condominio del proprio stabile per accertare e dichiarare l'annullamento dell'atto collettivo emesso in assemblea per consentire a due condomini il trasferimento di un diritto per la realizzazione di un terrazzo.

Dopo la delibera, andava redatta una scrittura privata con cui sarebbe concesso in comodato d'uso per quindici anni il terrazzo e la realizzazione di una copertura. Tale contratto di comodato d'uso non è mai stato sottoscritto tra le parti.

Si costituiva il convenuto, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto di parte attrice in quanto la deliberazione era legittima, poiché approvata a maggioranza, e non vi era alcun motivo per annullarla nonchè le opere programmate non creavano alcun pregiudizio per la stabilità del palazzo, né alcuna alterazione del decoro.

La causa veniva istruita in via documentale, omessa ogni attività istruttoria, il magistrato riteneva il giudizio maturo per la decisione e lo rinviava per la precisazione delle conclusioni. A tale udienza il giudicante introitava la causa per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Il Tribunale emiliano accoglieva la domanda dell'attore e revocava la delibera assembleare, limitatamente al punto afferente il trasferimento di un diritto per la realizzazione di un terrazzo in favore di due condomini, condannando il convenuto-condominio a rifondere le spese in favore dell'attore.

La questione

Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i motivi di annullabilità dell'impugnata delibera condominiale.

Tale aspetto è stato esaminato dal giudicante, il quale ha rilevato e verificato in atti di causa la presenza della documentazione provante l'esistente del presupposto della fondatezza dell'invalidità dell'atto collettivo emesso dall'assemblea del condominio-convenuto adducendo a fondamento tre motivi.

Infatti, il primo motivo riguardava la delibera approvata a maggioranza e non all'unanimità.

Il secondo era quello inerente la mancata stipula di un contratto di comodato d'uso dell'area di copertura del quinto piano, scrittura mai predisposta dai condomini fruitori dell'area e dal condominio

Il terzo motivo rilevante era la violazione dell'art. 1102, comma 1, c.c., con completa esclusione di tutti gli altri condomini all'uso del bene comune.

Dunque, la delibera veniva dichiarata invalida (annullata) per le ragioni ut supra nonché la condanna del convenuto-condominio a rifondere le spese processuali in favore dell'attore, alla luce della fondatezza del suo assunto.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale parmense, in sede monocratica, secondo cui è stata dichiarata l'invalidità della deliberazione condominiale impugnata, con regolazione delle spese processuali in favore dell'attore.

Infatti, il giudice adìto, da un attento esame della documentazione in atti, aveva rilevato la fondatezza della domanda proposta dall'attore.

In primo luogo, è fondato l'aspetto inerente la deliberazione approvata a maggioranza, poiché nell'assemblea non sono intervenuti tutti i proprietari (17), ma vi hanno partecipato solo 12, i quali hanno sì espresso parere favorevole all'attribuzione di due condomini di una porzione di edificio posto a copertura, però la trasformazione in tutto e in parte di un bene comune può essere validamente deliberata - in mancanza di un titolo contrario alla presunzione di titolarità condominiale ex art. 1117 c.c. - soltanto all'unanimità, ossia mediante di una decisione che, nella sostanza, assuma valore contrattuale (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7459; Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17397).

Dunque la trasformazione di un bene comune, nell'àmbito di un condominio, in bene esclusivo di uno dei condomini, altera la posizione e i diritti dei condomini rispetto al fabbricato, e, pertanto, può essere validamente deliberato solo all'unanimità, in particolare, come la fattispecie posta al vaglio del giudice adìto, non è possibile trasformare un manufatto condominiale avente funzione di copertura (tetto) in una terrazza a livello per il proprio uso esclusivo, atteso che in detto modo viene alterata la destinazione della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1983, n. 3199).

Il caso di specie si pone in pacifico contrasto con l'art. 1102 c.c., secondo cui: «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa».

La norma che assoggetta l'uso del bene comune da parte del singolo e la facoltà di apportarvi modifiche pone il duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.

Tali limiti attengono alla fattispecieesaminata dal Tribunale competente perché la parte comune dell'edificio (copertura) attribuita a due condomini non può prescindere dal consenso di tutti gli altri condomini (unanimità) manifestato anche mediante un atto scritto (comodato d'uso), mai sottoscritto dalle parti dopo la deliberazione.

Sicché impedire agli altri partecipanti condominiale di farne uso secondo il loro diritto, è un limite invalicabile poiché i condomini-utenti hanno tutti pari diritto d'uso (Cass. civ. sez. II, 11 settembre 2017, n. 21049; Cass. civ., sez. VI, 4 febbraio 2013, n.2500).

In senso lato, il termine impedire che compare nell'art. 1102 c.c. si intende limitare, diminuire e, sebbene impropriamente, pregiudicare, e in senso stretto e rigoroso, come proibire, rendere impossibile con degli ostacoli, che è qualcosa di più del semplice limitare o diminuire.

Dalla deliberazione si evince, tra l'altro, che l'attribuzione in favore di due condomini in via esclusiva riguarderebbe non una parte, bensì l'intera area di copertura dell'edificio, con la conseguenza che rimarrebbe completamente esclusa ogni possibilità da parte degli altri condomini di fare pari uso di detto bene (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2012, n.14107; Trib. Firenze 28 gennaio 2016, n. 358).

Per completezza, resta fermo che l'utilizzo, da parte del singolo condomino, della cosa comune può avvenire tanto secondo il suo normale uso quanto in modo particolare e diverso, ritraendo dalla stessa una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondanti a vantaggio di tutti gli altri partecipanti, senza sconfinare in abuso, sempre che ciò non comporti alterazione dell'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni degli altri, e non determini, quindi, pregiudizievoli invadenze nell'àmbito dei coesistenti diritti degli altri comproprietari (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172)

Osservazioni

Va precisato che, sino al momento della declaratoria di invalidità della delibera condominiale impugnata da parte del magistrato, con sentenza, la stessa, anche se palesemente viziata, è suscettibile di applicazione, a meno che non venga accolta, da parte del medesimo magistrato, l'istanza di inibitoria eventualmente avanzata dal condomino impugnante (art. 1137 c.c.), ma, di solito, anche se sussiste il fumus manca il periculum o viceversa, tali istanze vengono respinti.

Con il disposto dell'art. 1137, comma 2, c.c., la Riforma della materia condominiale (l. n. 220/2012) mantiene il termine di 30 giorni per proporre l'impugnativa delle delibere assembleari, laddove, se il 30° giorno cade in giorno festivo, opera la proroga al giorno feriale successivo (art. 2963, comma 3, c.c.).

Per il resto, si conferma che il termine decorre dalla data di “deliberazione” per i dissenzienti e per gli astenuti, e dalla data di “comunicazione” per gli assenti alla riunione: riguardo a questi ultimi, si è mantenuta la terminologia usata dal citato art. 1137 c.c., non prescrivendo, quindi, alcuna forma particolare (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2013, n. 22240).

Le suesposte considerazioni appaiono scontate qualora si tratti di annullabilità delle delibere, ma anche il principio, sancito dall'art. 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere dedotta in ogni tempo e può essere rilevata d'ufficio, sembra trovare un'applicazione limitata nell'àmbito del giudizio di impugnazione della delibera condominiale.

In tal senso, si è affermato che il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità ex art. 1421 c.c. - applicabile in questo caso per analogia anche oltre l'àmbito contrattuale - va coordinato con le regole fissate dagli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che, soltanto se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, l'eventuale nullità dell'atto stesso, mentre, qualora il thema verta direttamente sull'illegittimità di questo, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d'ufficio, né può essere dedotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di una domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte nell'esercizio del suo diritto di azione (Cass. civ., sez. I, 14 marzo 1998, n. 2772; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1985, n. 5958).

Il codice civile non distingue tra delibere inesistenti, nulle, annullabili, irregolari, inefficaci ed invalide, tali espressioni sono state, infatti, create dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha accentrato la sua attenzione sulla distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, distinzione estremamente rilevante sotto il profilo pratico. Spartiacque per la distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, in tema di condominio degli edifici è stata la pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005 n. 4806), la quale, confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma del 29 aprile 2000, ha tracciato le linee guida per il distinguo, secondo cui, debbono qualificarsi:

  • delibere nulle quelle emesse dall'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrarie all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume) o che non rientrano nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono su diritti individuali dei condomini, sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini.
  • delibere annullabili quelle emesse dall'organo deliberativo contenenti vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione delle prescrizioni legali, convenzionali e regolamentari, attinenti al procedimento della convocazione o di informazione dell'assemblea, nonché quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

Tale pronuncia della Suprema Corte è stata più volte confermata, anche recentemente, sia da sentenze di legittimità che di merito (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n.1439; Cass. civ., sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 3586; Trib. Torino 1 aprile 2014, n. 2396; App. L'Aquila 19 ottobre 2013, n. 1035; Trib. Foggia 13 giugno 2012, n. 817).

Il giudizio intrapreso per l'impugnazione della deliberazione assembleare (materia condominiale), deve essere preceduto dalla procedura di media-conciliazione, così come disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che regola il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, attuando la direttiva dell'Unione europea n. 52/2008. Con sentenza n. 272 del 24 ottobre 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale parte di tale legge, rendendo facoltativa, e non più obbligatoria la mediazione. Il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto del fare), convertito in l. 9 agosto 2013 n. 98, ha ripristinato il detto procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, riportando in vigore le norme dichiarate illegittime dalla Corte delle leggi, e introducendo, altresì, nuove norme che si indicano sinteticamente di seguito: 1) è stato inserito un criterio di competenza territoriale per la presentazione della domanda; 2) la procedura di mediazione procede solo a seguito del consenso delle parti raccolto in un incontro preliminare di programmazione; 3) solo lo svolgimento dell'incontro preliminare di programmazione è condizione di procedibilità e deve svolgersi entro 30 giorni dal deposito dell'istanza a costi massimi molto contenuti; 4) gratuità del primo incontro di programmazione in caso di mancato accordo; 5) le controversie della RC auto sono escluse dalle materie; 6) il giudice può ordinare, e non solo invitare, alle parti di procedere alla mediazione; 7) la durata massima della procedura è tre mesi; 8) gli avvocati assistono le parti durante l'intera procedura di mediazione; 9) nuova disciplina in teme di efficacia esecutiva dell'accordo.

Le nuove disposizioni in materia di mediazione sono entrate in vigore il 20 settembre 2013; la mediazione, pertanto, diventava inizialmente obbligatoria sino al 2017, precisamente sino al 22 agosto 2017, per le seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successione ereditaria, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Poi, la procedura di mediazione è stata istituzionalizzata, nelle predette materie, con l'art. 11-ter, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (c.d. Manovrina 2017), inserito in sede di conversione dalla l. 21 giugno 2017, n. 96 (pubblicata nel s.o. n. 31 alla G.U. n. 144 del 23 giugno 2017).

Guida all'approfondimento

Celeste, Impugnazione della delibera (procedimento), in Condominioelocazione.it, 31 ottobre 2018;

Celeste, Uso cose comuni (pari uso), in Condominioelocazione.it, 26 luglio 2018;

Celeste - Chiesi - Di Marzio - Nicoletti, Codice del condominio, Milano, 2018;

Frivoli - Tarantino, Il contenzioso del condominio, Milano, 2018, 14;

Voi, Uso delle cose comuni (alterazione della destinazione), in Condominioelocazione.it, 2 febbraio 2018.

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