Interferenze lecite nella vita privata se la riservatezza non è schermata adeguatamente dal condomino disattento

18 Febbraio 2019

Accogliendo il ricorso di un uomo condannato in secondo grado, i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che, nel caso concreto, dovesse escludersi la configurabilità del reato di interferenza illecita nella vita privata, di cui all'art. 615-bis c.p.c., non essendo stati ripresi comportamenti della vita privata...
Massima

In tema di interferenze illecite nella vita privata, l'elemento di illiceità speciale “abusivamente” esclude la rilevanza penale di quelle condotte di ripresa visiva o fotografica che siano realizzabili senza accorgimenti particolari, essendo la vita privata che si svolge all'interno della privata dimora liberamente visibile dall'esterno da parte di condomini dell'edificio frontistante o perspiciente.

Il caso

Un condominio di uno stabile adiacente a quello della persona offesa realizza, dall'interno della propria abitazione, riprese video e fotografiche della vicina di casa dirimpettaia mentre la stessa si trova nuda nel suo bagno, intenta a fare la doccia.

La Corte d'Appello di Milano configura il fatto come reato di interferenze illecite nella vita privata a norma dell'art. 615-bis c.p., senza dare alcun peso alla circostanza che l'abitazione della parte offesa non fosse tutelata da sguardi da parte dei condomini dell'edificio frontistante, a causa dell'assenza di schermature e tende alle finestre che rendano la vita privata, che si svolge all'interno della privata dimora, non osservabile da terzi estranei all'abitazione.

L'imputato ricorre per cassazione lamentando l'assenza della lesione dell'interesse alla riservatezza della persona fotografata a causa delle condizioni di piena visibilità esterna dell'interno della privata dimora della persona offesa.

La questione

Posto che il reato di interferenze illecite nella vita privata punisce colui che, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi di privata dimora, la questione affrontata dalla Suprema Corte è se la fattispecie de quo incrimini la mera realizzazione di immagini o riprese visive o sonore senza il consenso espresso e all'insaputa della persona offesa che ritraggono la stessa all'interno della propria privata dimora, o se invece la riservatezza non meriti tutela qualora, pur senza ricorrere ad accorgimenti particolari o sotterfugi, la vita privata che si svolge all'interno della privata dimora sia pienamente e liberamente visibile dall'esterno per l'assenza di schermature o protezioni, senza ricorrere ad alcuno strattagemma particolare.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell'imputato e annulla la sentenza senza rinvio la sentenza impugnata, affermando che, affinchè la condotta integri il reato, non è sufficiente che la stessa abbia ad oggetto immagini che riguardino atti che si svolgano in uno dei luoghi indicati dall'art. 614 c.p., ma è necessario che tale condotta sia posta in essere “indebitamente”. Ciò significa - prosegue la Corte - che la condotta di interferenze illecita sia realizzata in necessaria connessione logica con quanto più specificatamente previsto dall'art. 614 c.p., su cui la disposizione è ritagliata.

Infatti, primo presupposto applicativo della fattispecie è che il comportamento privato, oggetto della condotta criminosa, sia posto in essere in una “abitazione” - ossia nel luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica - ovvero in altri “luoghi di privata dimora” - vale a dire in ogni altro luogo (biblioteca, circolo, ufficio privato, studio professionale, laboratorio, sede di partito, cappella privata, club, sala da gioco, ecc.) in cui la persona svolge una qualsiasi attività della vita privata (culturale, lavorativa, politica, religiosa, ricreativa, ecc.) diversa però da quella domestica - oppure ancora nelle “appartenenze”, cioè nei luoghi accessori, di essi (giardini, cortili, magazzini, pianerottoli, scale comuni, androni, autorimesse, cantine, ecc.) anche se accessibili al pubblico e temporaneamente adibiti a luogo di privata dimora.

Occorre tuttavia evidenziare che il riferimento ai luoghi di privata dimora e alla violazione di domicilio non individua soltanto i luoghi all'interno dei quali la vita privata si svolge, ma sottende anche un elemento necessario ma implicito: il dissenso della persona la cui riservatezza si vuole tutelare. Ad esempio, la condotta non sarebbe illecita ove non avvenga in contrasto o eludendo clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l'autore delle riprese.

Ritiene quindi la Suprema Corte che, se l'azione, pur svolgendosi nei luoghi di privata dimora, possa essere osservata liberamente dagli estranei senza particolari accorgimenti, non si configura una lesione della riservatezza del titolare del domicilio, in quanto è oggetto di tutela penale solo quella dimensione di vita riservata, che non è accessibile e che è sottratta all'altrui indiscrezione. E tale operazione appare il risultato di un'interpretazione logico-sistematica della fattispecie, che, avendo riguardo al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice ed alle specifiche connotazioni modali della condotta, giunge ad escludere dall'ambito di tutela della prima quei comportamenti che, anche per implicita o poco consapevole volontà del loro titolare, non siano in concreto sottratti alle altrui indiscrezioni.

La soluzione giuridica alla questione avviene, nell'iter motivazionale della sentenza de qua, valorizzando l'elaborazione dottrinale in tema di “indebito procacciamento” che costituisce il fulcro della fattispecie delittuosa di cui all'art. 615-bis c.p., ovvero il carattere necessariamente “indebito” della condotta di interferenze nella vita privata, carattere che manca nel caso di luoghi di privata dimora che, a causa della loro conformazione strutturale, sono perfettamente visibili, in assenza di idonee schermature, da coloro che si trovano nelle abitazioni perspicienti o frontistanti.

Osservazioni

Attraverso l'art. 615-bis c.p., il legislatore ha inteso offrire un ulteriore strumento di tutela a quel fondamentale luogo di proiezione spaziale e di libera estrinsecazione e sviluppo della persona umana che è il domicilio, salvaguardandone un particolare profilo di libertà: il diritto alla “riservatezza domiciliare”, ossia la pretesa “alla esclusività di conoscenza di ciò che attiene alla sfera privata domiciliare”. La norma intende punire quelle ipotesi di indiscrezione nell'altrui sfera spaziale di disponibilità esclusiva che si realizzino attraverso forme particolarmente insidiose di introduzione immateriale attraverso strumenti tecnici suscettibili di riprodurre la violazione di ambiti riservati e preclusi all'osservazione indiscreta dei terzi.

La fattispecie, oltre a circoscrivere espressamente l'àmbito spaziale entro cui deve trovare svolgimento il comportamento oggetto della condotta incriminata, pone un ulteriore requisito a delimitazione della rilevanza di quest'ultima: il carattere “abusivo” del procacciamento, ossia la necessità che il procacciamento delle notizie o delle immagini attinenti alla vita privata altrui così circoscritto avvenga “indebitamente”.

A questo proposito, giova rilevare come non vi sia uniformità di vedute sul significato da attribuire a tale elemento. Secondo parte della dottrina, infatti, l'avverbio in questione non aggiungerebbe alcunché alla descrizione della condotta tipica, non svolgendo alcun ruolo attivo nella delimitazione dei confini dell'incriminazione: esso varrebbe invero soltanto a richiamare il profilo di antigiuridicità generale insito nella condotta di indiscrezione, vale a dire la necessità che essa, oltre ad essere posta in essere contro o in assenza della volontà della persona offesa, sia realizzata in assenza di scriminanti, senza richiedere pertanto profili di illiceità speciale.

Secondo invece una differente impostazione, tale elemento connoterebbe la condotta di indiscrezione di un ulteriore aspetto di antigiuridicità speciale, che non si identifica con la volontà dell'offeso ad esporre la propria immagine anche all'interno dei luoghi di privata dimora (che escluderebbe in radice la tipicità del fatto) né alla presenza di eventuali case di giustificazione scriminate, come l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere. Secondo quest'ultima prospettiva, il carattere della illiceità speciale espresso con la formula letterale “abusivamente” sembrerebbe riferirsi a situazioni ulteriori rispetto alla generica assenza di scriminanti codificate, e cioè la necessità che la condotta non sia giustificata da un interesse pari o superiore a quello oggetto di tutela. Si ritiene quindi che sia necessario che il soggetto che si pretende leso abbia, anzitutto, posto in essere un'attività non soltanto privata, ma altresì “lecita”, giacché diversamente la tutela dell'altrui riservatezza sarebbe soccombente (Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2011, n. 25453).

Pertanto, sembra doversi osservare che - diversamente da quanto stabilito dalla Suprema Corte nella sentenza in esame - il carattere “indebito del procacciamento dell'immagine non concerne affatto le ipotesi in cui la vita privata non sia protetta da schermature a protezione da sguardi esterni indiscreti, ma al presupposto di tipicità implicito della norma costituito dal dissenso della parte che si ritiene offesa. A ciò vale il richiamo all'art. 614 c.p., che punisce la violazione di domicilio e che connota la condotta del carattere “indebito”: occorre il dissenso o la volontà contraria del domiciliante, quale requisito di tipicità del fatto illecito. La circostanza di fatto dell'assenza di schermature sembra sottendere una sorta di volontà latente del soggetto tutelato che anche un terzo estraneo, senza adottare alcuno strumento di particolare insidiosità, possa accedere a quello spazio di vita privata che la norma intende proteggere.

Sembra quindi che, più che il carattere indebito del procacciamento, ricorra una sorta di consenso latente dell'offeso ad esporre all'indiscrezione di terzi la propria riservatezza, se si è ben consapevoli della piena visibilità all'esterno della propria abitazione.

Guida all'approfondimento

Vitarelli, Vita privata nel diritto penale, in Dig. disc. pen., XV, Torino, 1999, 302;

Notaro, Interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis), in Trattato di diritto penale, IX, I delitti contro la libertà sessuale, la libertà morale, l'inviolabilità del domicilio e l'inviolabilità dei segreti (a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa), Torino, 2011, 470;

Patrono, Privacy e vita privata (dir. pen.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 557;

Ronco, Vita privata (interferenze illecite nella), in Nss. dig. it., App. agg., VII, 1987, 1162;

Manna, Tutela penale della personalità, Bologna, 1993, 111.

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