L'affidamento ai Servizi sociali è lecito anche senza determinazione di durata

Sabina Anna Rita Galluzzo
18 Febbraio 2019

L'affidamento del minore ai Servizi sociali ex art. 337-ter c.c. è legittimo anche senza previsione di un termine di durata e di sue modalità di esercizio.
Massima

L'affido ai Servizi Sociali previsto dall'art. 337-ter c.c. si differenzia da quello previsto dall'art. 4 legge n. 184/1983 ed è legittimo, anche in assenza dell'indicazione di un termine di durata, purché risulti sufficientemente dettagliato.

Il caso

La vicenda iniziava nel 2010 quando un bambino, di appena un anno, nato fuori dal matrimonio, veniva, con un provvedimento del Tribunale per i minorenni, affidato in via esclusiva alla madre. Successivamente, nel 2016, il Tribunale, adito ai fini della modifica di tale provvedimento, disponeva l'affidamento del piccolo ai Servizi sociali con collocamento presso una famiglia. La Corte d'appello ha poi parzialmente modificato tale decisione confermando l'affidamento ai Servizi, stabilendo peraltro il collocamento del minore presso la madre e prevedendo un progressivo incremento del diritto di visita del padre. Contro tale provvedimento la mamma del bambino proponeva ricorso per cassazione.

La questione

L'ordinanza della Cassazione in esame affronta due rilevanti questioni. In primis la Corte si sofferma sulla vexata questio relativa alla ricorribilità per cassazione per violazione di legge ex art. 111 Cost. dei provvedimenti emessi dalla sezione per i minorenni della Corte di appello in tema di affidamento dei figli naturali. La seconda, riguarda invece la legittimità dell'affidamento del minore al Servizio sociale disposto ai sensi dell'art. 337-ter c.c. anche senza previsione di un termine di durata e di sue modalità d'esercizio.

Le soluzioni giuridiche

La Corte, preliminarmente richiama il suo consolidato orientamento secondo il quale è ammissibile il ricorso per violazione di legge ex art. 111 Cost. avverso i decreti camerali in materia minorile emessi dal giudice ordinario in relazione all'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, e al loro mantenimento (Cass. n. 11218/2013; Cass. n. 20204/2018).

Il superamento della differenziazione tra la posizione dei figli di genitori non coniugati e quella dei figli nati nel matrimonio, iniziata con la l. n. 54/2006, e raggiunta definitivamente con il d.lgs. n. 154/2013, ha comportato che al predetto decreto vadano riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e della definitività, perché ha un'efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato (Cass. n. 6132/2015; Cass. n. 18194/2015; Cass. n. 3192/2017).

Oltre a ciò, nella specie, la Cassazione afferma che il fatto che il provvedimento impugnato affidi il minore ai Servizi Sociali non ne modifica la qualificazione giuridica confermando pertanto l'ammissibilità del ricorso per cassazione (nello stesso senso Cass. n. 3192/2017).

Più problematica è stata invece la questione della ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost. dei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale emessi dal tribunale per i minorenni (artt. 330, 333 c.c.), questione in relazione alla quale si è comunque consolidato l'orientamento giurisprudenziale incline ad ammettere tale ricorribilità. Fondamentale è infatti l'assunto secondo cui tali provvedimenti incidono su diritti di natura personalissima di primario rango costituzionale, e sono adottati all'esito di un procedimento che, pur non avendo natura prettamente contenziosa, non esclude la presenza di parti in conflitto tra loro, conseguentemente sono idonei ad acquistare efficacia di giudicato, salva la sopravvenienza di fatti nuovi (Cass. n. 23633/2016).

Proseguendo, la Corte si sofferma sul provvedimento di affidamento ai Servizi Sociali, adottato ai sensi dell'art. 337-ter c.c. dal tribunale ordinario. La norma, introdotta dalla c.d. riforma sulla filiazione (in particolare dal d.lgs. n. 154/2013), e attualmente norma di riferimento per la disciplina dei provvedimenti riguardanti i figli minori nei procedimenti relativi allo scioglimento della coppia genitoriale, prevede che il giudice, nell'esclusivo interesse della prole, possa adottare ogni provvedimento, anche ex officio, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. Nel caso in cui pertanto il giudice non possa disporre l'affido condiviso, soluzione considerata prioritaria dal Legislatore, né l'affido ad uno dei genitori può disporre l'affidamento del minore a terzi. Tale previsione era già presente nella legge sul divorzio all'art. 6, comma 8, l. n. 898/1970 ed era comunque stata ritenuta applicabile dalla giurisprudenza anche alla separazione personale dei coniugi.

Tale tipo di affidamento può, nella prassi, assumere diverse connotazioni. Il minore può ad esempio essere affidato a un familiare, a un terzo estraneo alla cerchia di parentela (soluzione più rara), oppure, come nella specie, ai servizi Sociali.

La giurisprudenza in proposito precisa che il presupposto per disporre l'affidamento a terzi è, l'inidoneità di entrambe le figure genitoriali a prendersi cura in maniera adeguata dei figli. Tale misura viene per lo più utilizzata, quando vi è un'elevata conflittualità tra i coniugi e un serio rischio di compromissione del rapporto tra il minore e il genitore con esso non convivente (Trib. Roma, 15 luglio 2015).

Nella maggior parte dei casi il giudice dispone l'affidamento a terzi, mantenendo comunque, come nella specie, la collocazione presso uno dei genitori (Cass. n. 6970/2003; Cass. n. 24907/2008; Cass. n. 11412/2014). Infatti, soprattutto quando il minore viene affidato ai Servizi Sociali, il compito di questi ultimi è proprio quello di supportare i genitori e aiutarli a recuperare il rapporto con il figlio. Nella fattispecie in esame in particolare la Corte territoriale aveva disposto l'affidamento ai Servizi Sociali, al fine di precostituire «le condizioni per il ripristino di una condivisa bigenitorialità tutelando da subito nel modo più penetrante il minore». Il provvedimento prevedeva inoltre il collocamento presso la madre, nonché «un progressivo incremento del diritto di visita del padre».Non era invece stabilita modalità e durata dell'affidamento.

Si tratta, precisa la Cassazione, nell'ordinanza in esame, di un tipo di affidamento ben diverso da quello previsto dalla legge sull'adozione e in particolare dall'art. 4 l. n. 184/1983. Nel caso di affidamento disposto nell'ambito della scissione della coppia genitoriale vi è un'impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, ad esempio per accesa conflittualità, nell'altro caso si ha invece una misura di assistenza alla famiglia che si trovi nella temporanea impossibilità di provvedere ai figli. In questa seconda ipotesi la legge richiede che sia indicata la presumibile durata del provvedimento, mentre nel caso di affidamento al Servizio sociale, disposto nel corso di un giudizio sull'affidamento del minore, afferma la Cassazione, il Servizio deve monitorare l'andamento delle relazioni familiari e gli eventuali progressi. La Corte distrettuale aveva infatti previsto che il Servizio sociale competente dovesse offrire un percorso di sostegno alla genitorialità alle parti ed una terapia psicologica individuale ai due genitori, doveva inoltre prevedere un calendario delle visite del padre con un graduale allargamento dei tempi di permanenza presso di questi.

Pertanto, prosegue la Cassazione, un provvedimento che stabilisce gli obblighi dei Servizi nel corso dell'affidamento del minore risulta sufficientemente dettagliato e corretto pur senza una previsione di durata, anche in considerazione del fatto che è lo stesso Servizio che può segnalare ogni circostanza idonea a determinarne la sua naturale cessazione o modificazione e, quindi, la sua delimitazione.

Osservazioni

Uno sguardo alla giurisprudenza in materia consente di notare come l'affidamento ai Servizi sociali non comporti necessariamente che il minore sia allontanato dalla sua famiglia. Anzi nella maggior parte dei casi, come accennato, lo stesso viene collocato presso uno dei due genitori o anche presso un parente stretto come ad esempio i nonni. In questo contesto spesso viene attribuito ai Servizi il compito di assumere le scelte più rilevanti per la vita del minore, quali la scuola, lo sport o cure mediche, magari proprio perché tra i genitori vi è un insanabile contrasto in merito. A madre e padre restano pertanto in tali ipotesi le decisioni di ordinaria amministrazione (Trib. Roma, 20 maggio 2015; Trib. Reggio Emilia 11 giugno 2015).

Frequentemente inoltre, come anche nella specie, ai Servizi è affidato il compito di stabilire i tempi e i modi per regolamentare la frequentazione del figlio con il genitore non collocatario o con entrambi se il minore vive altrove.

Si sottolinea da più parti comunque come in questo contesto sia fondamentale che i Servizi siano imparziali, che non parteggino per uno o per l'altro dei due genitori, affinché il minore mantenga effettivamente un rapporto significativo con entrambi. In proposito si è più volte espressa la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato in varie occasioni l'Italia a causa di una mancata opposizione, da parte degli organi competenti, a quelle condotte di un genitore che hanno l'effetto di minare, o addirittura impedire il rapporto fra l'altro genitore e il figlio. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha infatti più volte precisato che il diritto di un genitore a mantenere un rapporto con il figlio non può essere ostacolato dall'altro coniuge o compromesso da ritardi e inerzie da parte degli organi statali competenti (Corte EDU, sez. II, 17 novembre 2015, n. 35532/12). In questa ipotesi sussiste infatti una responsabilità dello Stato convenuto per la mancata adozione, da parte delle proprie autorità, delle misure appropriate e necessarie a garantire l'effettività del diritto di visita attraverso la riunione del genitore con il minore (tra le altre Corte EDU, sez. II, 2 novembre 2010, n. 36168/09; Corte EDU, sez. I, 9 febbraio 2017, n. 76171/13; Corte EDU, sez. I, 4 maggio 2017, n. 66396/14; Corte EDU 23 giugno 2016, n. 53377/13).

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