Il dies a quo del termine lungo di impugnazione

19 Febbraio 2019

Di norma, il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano con il c.d. deposito ufficiale in cancelleria che determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati. Può tuttavia accadere che tali attività non coincidano e, quindi, sulla sentenza siano apposte due date, una di deposito e l'altra di pubblicazione. Nei casi in cui si realizzi un'impropria e patologica scissione temporale tra i due momenti il giudice del gravame è tenuto a verificare la tempestività dell'impugnazione proposta.
Premessa

In una recente pronuncia la Cassazione ha chiarito nuovamente la tempistica e le differenze delle attività di deposito e di pubblicazione della sentenza nell'era del processo telematico (cfr. Cass. civ., 16 aprile 2018, n. 9345). Nel caso in questione la sentenza risultava depositata in un giorno che cadeva di domenica, per cui la parte che aveva proposto appello avverso la sentenza aveva calcolato il termine lungo per l'impugnazione a partire dal giorno successivo, non festivo, con la conseguenza che l'appello era stato dichiarato inammissibile, in quanto tardivo. Al riguardo, la Corte ha rilevato che con l'introduzione del processo civile telematico è ben possibile che il giudice provveda al deposito della sentenza in un giorno festivo, giacché, ai sensi dell'art. 15d.m.n. 44/2011 e dell'art. 16-bis, comma 9-bis,d.l.n. 179/2012, non è necessaria la firma digitale del cancelliere per l'accettazione dei provvedimenti e dei verbali telematici dei giudici, nemmeno laddove si tratti di sentenze depositate telematicamente. Tuttavia, la Corte ha anche precisato che il congegno del deposito telematico della sentenza non esclude il rilievo della successiva pubblicazione della stessa ad opera del cancelliere, ai sensi dell'art. 133 c.p.c..

Difatti, l'attività di deposito telematico nel fascicolo informatico delle sentenze redatte in formato elettronico è soltanto avviata dal giudice, giacché è sempre indispensabile l'intervento del cancelliere, onde perfezionare il procedimento di pubblicazione della sentenza. A seguito della modifica dell'art. 15 d.m. n. 44/2011, il magistrato che ha redatto la sentenza in formato elettronico, dopo avervi apposto la propria firma digitale, non effettua personalmente il deposito; egli trasmette telematicamente in cancelleria il documento, corrispondente, in sostanza, alla "minuta" di cui all'art. 119 disp. att. c.p.c., in modo che il cancelliere, accettando il documento, possa provvedere al deposito (dapprima, eventualmente in minuta) e, quindi, alla pubblicazione (evento, quest'ultimo, che rende definitivo il testo della sentenza e ne impedisce la modifica, anche da parte del giudice che ne è stato autore). Quando la sentenza non è "contestuale" ex art. 281-sexiesc.p.c., ma depositata ai sensi dell'art. 281-quinquiesc.p.c. e dell'art. 15, comma 1, d.m. n. 44/2011, è riservata al cancelliere l'attività di pubblicazione ai sensi dell'art. 133, commi 1 e 2, c.p.c., la quale comporta anche l'inserimento della sentenza nel relativo registro, con l'attribuzione del numero identificativo e della data di pubblicazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 133, comma 2, c.p.c. e dell'art. 327, comma 1, c.p.c. (cfr. Cass. civ., 10 novembre 2015, n. 22871).

Pertanto, nel caso portato all'attenzione di Cass. 9345/2018 vi era stato un errore materiale nell'attribuzione alla sentenza della data di pubblicazione che risultava cadere di domenica: era, infatti, evidentemente impossibile che la cancelleria avesse operato in tale data, cadente in un giorno festivo, sicché la pubblicazione non poteva aver avuto luogo prima del giorno successivo non festivo, con l'ulteriore conseguenza che l'appello era stato spiegato l'ultimo giorno utile.

Il procedimento di pubblicazione della sentenza

La pubblicazione della sentenza, mediante deposito della stessa nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, è l'atto con cui tale provvedimento acquista la sua efficacia autoritativa di dictum del giudice, idoneo a diventare immutabile se non impugnato nei modi e termini di legge. La giurisprudenza definisce la pubblicazione elemento essenziale per l'esistenza giuridica della sentenza (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 giugno 2007, n. 14385; Cass. civ., 4marzo 2009, n. 5245; Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22113; Cass. civ., 10 dicembre 2014, n. 26066; Cass. civ., 24 agosto 2016, n. 17297), ovvero ritiene che la data di pubblicazione della sentenza segna il momento in cui tale atto acquista rilevanza giuridica (cfr. Cass. civ., 23 febbraio 2007, n. 4208). Ciò vale nel caso di decisione emanata in seguito all'utilizzo dei modelli decisori a trattazione scritta o mista ex art. 281-quinquies, commi 1 e 2, c.p.c..

Una disciplina particolare è, invece, quella relativa alla sentenza pronunciata in seguito alla discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexiesc.p.c.: in questo caso, infatti, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene (cfr. Cass. civ., 31 agosto 2015, n. 17311; Cass. civ., 29 maggio 2015, n. 11176), per cui non occorre attendere il deposito in cancelleria.

Una volta pubblicata, la sentenza è irrevocabile da parte del giudice che l'ha pronunciata: la pubblicazione, infatti, attribuisce alla sentenza il carattere di atto pubblico irretrattabile ed immodificabile.

La data di pubblicazione della sentenza costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine semestrale c.d. lungo di impugnazione in mancanza di notificazione. Di norma, il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano con il c.d. deposito ufficiale in cancelleria che determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati. Come accennato, il problema si pone, invece, nel caso in cui tali attività non coincidono e, quindi, sulla sentenza siano apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contenesse la minuta della sentenza, e l'altra di pubblicazione.

La sentenza “doppiamente datata”: gli orientamenti della giurisprudenza

Nei nostri Tribunali era invalsa la prassi, altamente disfunzionale, in base alla quale veniva apposta una doppia data alle sentenze civili, il che ha comportato seri dubbi circa il momento in cui tali provvedimenti potevano ritenersi perfetti, esistenti, efficaci ed irretrattabili. Punto di partenza dell'analisi è, dunque, l'individuazione del momento di perfezionamento dell'iter procedimentale che comporta il «venire giuridicamente ad esistenza della sentenza», ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione.

Il procedimento di pubblicazione della sentenza, in materia civile, si compone, ex art. 133 c.p.c, di due momenti: il deposito, atto di volizione del giudice, e la pubblicazione, attività affidata al cancelliere, il quale dà atto dell'avvenuto deposito apponendo, in calce al provvedimento, data e firma. L'art. 13 del d.m. 27 marzo 2000, n. 264 prevede, inoltre, l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico delle sentenze, con l'attribuzione del relativo numero identificativo. Ne discende che il provvedimento giurisdizionale, stando alla lettera della legge, deve ritenersi perfezionato nel momento in cui viene compiuta tale seconda attività. Ciò non pone problemi di sorta allorquando si sia al cospetto della fisiologica procedura di pubblicazione, ovverosia quella in cui il cancelliere si premuri di ufficializzare la sentenza nella medesima data in cui il giudice abbia provveduto al deposito della stessa.

Nei casi patologici, al contrario, quelli in cui vi sia differimento temporale nell'attività de qua e, di conseguenza, in calce alla sentenza vengano apposte sia la data del deposito sia quella della pubblicazione, la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 22 gennaio 1979, n. 3501) aveva inizialmente ritenuto che la data rilevante ai fini del computo del termine lungo di decadenza ex art 327 c.p.c., entro il quale esperire le impugnazioni, doveva essere quella dell'avvenuto deposito ad opera del giudice. La ratio di tale prospettazione teorica è, invero, del tutto comprensibile, data la seria e fondata preoccupazione di ricollegare l'esistenza di un provvedimento giurisdizionale ad una mera operazione di cancelleria. Diversamente, la mera inerzia dell'operatore, ovvero i disservizi dovuti a disfunzioni organizzative degli uffici, ben potrebbero influenzare la durata del processo ed incidere sul tempo necessario alla formazione del giudicato e, dunque, comportare un vulnus al diritto alla ragionevole durata del processo tutelata sia a livello costituzionale dall'art. 111, comma 2, Cost. sia a livello sovranazionale dall'art. 6, comma 1, Cedu.. Non si può nemmeno sottovalutare l'eventualità che, nelle more dell'intervento del cancelliere, ben potrebbe intervenire uno ius superveniens che, in applicazione del principio tempus regit actum operante in materia processuale, potrebbe comportare il potere-dovere di tornare a deliberare, per adeguare la decisione alla nuova norma applicabile alla fattispecie (cfr. Balena, 2015).

Tale opzione interpretativa, tuttavia, reca in sé un profilo di criticità, rappresentato da un potenziale vulnus al principio di garanzia ed effettività del diritto all'impugnazione visto che, computando come dies a quo per il calcolo del termine lungo di decadenza la data del mero deposito, non si tiene conto della concreta possibilità della parte di avere contezza della stessa e, dunque, del concreto rischio di incorrere incolpevolmente in preclusioni. Al fine di ovviare a siffatta problematica, le Sezioni Unite con la pronuncia 1 agosto 2012, n. 13794, nel ribadire come tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito, hanno precisato che, qualora il giudice dell'impugnazione ravvisi, anche d'ufficio, una grave difficoltà per l'esercizio del diritto di difesa determinato dall'aver il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della pubblicazione della stessa, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimità del termine di decadenza per l'impugnazione, la parte possa essere rimessa in termini ai sensi del novellato art.153, comma 2,c.p.c. in base al quale «la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini».

Il diritto vivente formato dalle Sezioni Unite del 2012 è stato in seguito portato dinanzi alla Consulta per valutarne la conformità ai dettati costituzionali. La Corte costituzionale con sentenza 22 gennaio 2015, n. 3 ha dichiarato di condividere la premessa da cui muovevano le Sezioni Unite, ossia la centralità del deposito compiuto dal giudice, spettando solo al magistrato il potere di determinare il momento in cui la sentenza viene ad esistenza, con le relative conseguenze. Tuttavia, nell'ottica del rispetto del diritto di difesa, la Consulta ha sottolineato l'importanza degli adempimenti ulteriori del cancelliere, necessari per la concreta pubblicazione del provvedimento (conoscibilità) e, quindi, per l'esercizio della facoltà di impugnazione. Ne ha così dedotto che, qualora vi sia scissione temporale tra la consegna materiale del provvedimento ed il compimento delle operazioni ulteriori, diviene inoperante la dichiarazione di intervenuto deposito, ossia la prima delle due annotazioni. La Corte costituzionale, infatti, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, commi 1 e 2, e 327, comma 1, c.p.c., nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n.69, in riferimento agli artt. 3, comma 2, e 24, commi 1 e 2, Cost., ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata delle stesse, statuendo che: per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima. In caso di ritardato adempimento delle operazioni previste dall'art. 133 c.p.c., attestato dalla diversa data di pubblicazione, il ricorso all'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile va inteso come doveroso riconoscimento d'ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione, riducendone i relativi termini.

La Corte sottolinea, altresì, il nesso biunivoco che corre tra i concetti di “pubblicità” e “conoscenza”, rammentando come solo con il compimento di tutte le operazioni richieste dalla legge possa dirsi realizzata quella “pubblicità”, prevista dalla norma, che rende possibile a chiunque l'acquisizione della conoscenza dei dati che ne costituiscono l'oggetto, possibilità che si traduce nella titolarità da parte dei potenziali interessati di puntuali situazioni giuridiche e, in particolare, del potere di prendere visione degli atti pubblicati e di estrarne copia. Per quanto concerne, poi, l'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile ex art. 153c.p.c., la Corte ha sottolineato come esso vada inteso come doveroso riconoscimento d'ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini, sottolineando quanto sia parte integrante del diritto di difesa che i soggetti interessati abbiano tempestiva conoscenza degli atti oggetto di una possibile impugnazione, in modo che siano utilizzabili nella loro interezza i termini di decadenza previsti per l'esperimento del gravame. Sembrava così delinearsi una sorta di rimessione in termini automatica, non subordinata alla previa indagine del nesso causale tra doppia annotazione e «grave difficoltà per l'esercizio del diritto di difesa» (in questo senso cfr. Cass. civ., 22 maggio 2015, n. 10675), attuata di fatto facendo decorrere il termine dalla seconda certificazione. La scelta di una discutibile sentenza interpretativa di rigetto, in luogo di una pronuncia di accoglimento, lasciava spazio a nuove opinioni dissenzienti o, quantomeno, a dubbi interpretativi circa i risvolti pratici della decisione ed il suo coordinamento con il “diritto vivente”. E non a caso, proprio sull'applicazione della rimessione in termini, se automatica o se comunque subordinata all'accertamento in concreto della lesione del diritto di difesa, sono subito emersi orientamenti contrastanti (rispettivamente, cfr. Cass. civ., n. 10675/2015 e Cass. civ., n. 17612/2015).

Sulla scia della pronuncia della Consulta, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, sent., 22 settembre 2016, n. 18569 hanno avuto modo di applicare l'interpretazione costituzionalmente orientata fornita appunto dalla Consulta, ribaltando il precedente indirizzo interpretativo espresso da ultimo dalle Sezioni Unite. n. 13794/2012 ed oggetto di diretta censura costituzionale. La Corte ha, infatti, statuito che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione. In questo modo la Corte scioglie efficacemente il nodo che la precedente giurisprudenza non era riuscita a districare: conciliare l'esigenza che il momento in cui la sentenza viene ad esistenza a tutti gli effetti sia riconducibile ad un atto di volizione del giudice e non resti nella discrezionalità del cancelliere con quella di ricondurre al momento della pubblicazione della stessa, attività propriamente di cancelleria, il suo venire ufficialmente ad esistenza.

Per far ciò la Corte preliminarmente chiarisce, una volta per tutte, in cosa consista in concreto l'attività di deposito, ossia, in sostanza l'attività che rende conoscibile la sentenza secondo le regole del procedimento di pubblicazione. Tale deposito sui generis, si sottolinea, è servente e preordinato alla pubblicazione tanto che la norma si riferisce ad un deposito “in cancelleria” del quale il cancelliere dia atto in calce alla sentenza; il luogo individuato per il deposito implica che solo ove lo stesso ivi avvenga possa avere carattere ufficialee tale carattere, si afferma, non può “risultare” ufficialmente se non a seguito dell'inserimento dell'atto oggetto di deposito nell'elenco cronologico delle sentenze esistente presso la suddetta cancelleria, con assegnazione del numero identificativo, non fosse altro perché una sentenza non identificabile non può neppure risultare ufficialmente depositata. É pertanto l'inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze il “mezzo” attraverso il quale si realizza ufficialmente il “deposito in cancelleria” della sentenza e, al contempo, la pubblicità necessaria alla conoscibilità della stessa. In sostanza, in virtù del collegamento inscindibile tra i due momenti, è corretto affermare che deposito e pubblicazione coincidono non essendo logicamente ipotizzabile concepire la pubblicazione come una mera attestazione del cancelliere priva di qualunque ufficiale riscontro oggettivo.

La coincidenza strumentale tra deposito e pubblicazione comporta, inoltre, la necessità che le attività di deposito e pubblicazione intervengano senza soluzione di continuità o, quantomeno, che le suddette operazioni avvengano in breve tempo e, comunque, in un unico contesto soggettivo-temporale, senza che possa ritenersi esaurito il rapporto tra il giudice depositante, la sentenza ed il cancelliere preposto alle attività di “recepimento” in cancelleria e relativa attestazione, con la conseguenza che sussiste una sorta di responsabilità del giudice al controllo dell'attività di cancelleria, il quale dovrebbe accertarsi che il completamento del procedimento di deposito venga attestato, intervenga al più presto e risulti certificato dall'apposizione della relativa (unica) data in calce alla sentenza. In mancanza, egli sarebbe tenuto a segnalare particolari urgenze, denunciare inefficienze o sollecitare, attraverso l'intervento del capo dell'ufficio, un maggior controllo e, se del caso, una migliore organizzazione del lavoro e distribuzione del personale.

Nei casi in cui, invece, si realizzi un'impropria e patologica scissione temporale tra i due momenti, il giudice del gravame è tenuto, in primis, a verificare la tempestività dell'impugnazione proposta e per far ciò egli deve accertare, attraverso un'istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione, il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile proprio attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l'inserimento di essa nell'elenco cronologico delle sentenze e l'attribuzione del relativo numero identificativo. Logico corollario di una siffatta interpretazione è lo svilimento dell'applicabilità dell'istituto dalla rimessione in termini per causa non imputabile ex art. 153 c.p.c.; lo stesso, infatti, mal si attaglia ad una situazione in cui il concetto stesso di deposito è legato a doppio filo a quello di astratta conoscibilità dell'esistenza del provvedimento, si che il difensore, con la diligenza dovuta, recandosi periodicamente in cancelleria per informarsi sull'esito di una causa della quale conosce la data di deliberazione, potrebbe, a partire dal momento del deposito, stante l'annotazione nell'elenco cronologico, venirne a conoscenza ed estrarne copia.

La Cassazione sembra fare affidamento sul fatto che l'onere della prova possa essere agevolmente assolto mediante una certificazione di cancelleria che specifichi il momento in cui sono state compiute tutte le operazioni funzionali alla conoscibilità della sentenza. Tuttavia, l'esperienza insegna che talvolta tali certificazioni non sono dirimenti (v. Cass. civ., n. 10675/2015). Inoltre, non si comprende perché tale terza certificazione dovrebbe avere un'efficacia dimostrativa maggiore rispetto alle due già apposte in calce al provvedimento. In definitiva, dietro all'accertamento in concreto dell'effettivo e completo deposito/pubblicazione del provvedimento si nasconde il rischio di una ingiustificata retrodatazione per mancato assolvimento dell'onere probatorio (art. 2697 c.c.). Forse, allora, sarebbe più corretto invertire la prospettiva, e così ritenere che la seconda annotazione, almeno di regola, costituisca ex se prova (se non legale, di certo) sufficiente del fatto che, alla data della prima annotazione, non erano state ancora compiute tutte le attività necessarie per rendere conoscibile (e quindi pubblica) la sentenza.

Anche alla luce dell'insegnamento della Consulta, appare più lineare ammettere che entrambe le certificazioni, benché irregolari, siano pur tuttavia attendibili e tra loro non contraddittorie, ossia comprovanti che, con la prima, la cancelleria ha preso atto della sola consegna materiale del provvedimento originale (evidentemente, a meri fini interni) e che, con la seconda, ha certificato l'avvenuto compimento delle operazioni necessarie per completare il deposito in senso stretto, ossia quello idoneo a rendere conoscibile e pubblica la sentenza. Se, dunque, le due annotazioni sono tali, in concreto, da essere interpretate nel senso appena descritto, solo dalla seconda dovrebbe cominciare a decorrere il termine ex art. 327 c.p.c., salva la prova contraria o forse, più correttamente, fino a querela di falso.

L'attività di certificazione e comunicazione del cancelliere

Il deposito della sentenza presso la cancelleria del giudice che l'ha pronunciata non va confuso con l'atto del cancelliere della certificazione del deposito. La Cassazione ha più volte affermato che mentre il deposito è un requisito essenziale dell'esistenza della sentenza, la certificazione dell'avvenuto deposito a opera del cancelliere è requisito che non è richiesto a pena di nullità (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 giugno 2007, n. 14385; Cass. civ., 22 maggio 2004, n. 9863). Si è detto, infatti, che il termine semestrale ex art. 327, comma 1, c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti ex art. 133, comma 2, c.p.c..

L'attestazione con cui il cancelliere dà atto del deposito della sentenza costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria ex art. 2700 c.c. può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso (cfr. Cass. civ., 22 aprile 2009, n. 9622; Cass. civ., 22 marzo 2007, n. 6991).

Il biglietto di cancelleria, con cui si da notizia alle parti costituire del deposito della sentenza, deve contenere il testo integrale della sentenza, così come dispone il comma 2 dell'art. 133 c.p.c. così come modificato dal d.l. 14 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114. Il d.l. n. 90/2014 ha anche aggiunto che la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c.. Tale precisazione seppur in apparenza superflua, dato che la notificazione ai fini del computo del termine di impugnazione ex art. 325 c.p.c. deve avvenire su istanza di parte così come previsto dall'art. 285 c.p.c., sembra finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni (cfr. Cass. 5 novembre 2014, n. 23526, conf. da Cass. civ., 13 marzo 2018, n. 6059; Cass. civ., 8 novembre 2017, n. 26479; Cass. civ., 24 ottobre 2017, n. 25136; Cass. civ., 4 novembre 2016, n. 22486; Cass. civ., 28 settembre 2016, n. 19177).

Riferimenti
  • Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 2015;
  • Carrato, Doppia data di deposito e pubblicazione della sentenza: la Cassazione completa il ragionamento della Corte costituzionale, in Corr. giur., 2015;
  • Consolo, Doppia data della sentenza e doppia Corte di legittimità, in Corr. giur., 2015;
  • Consolo, La doppia (data di) nascita della sentenza civile fra S.C. e Consulta nomofilattica, in Giur. it., 2015;
  • Ruffini, La sentenza “nata” due volte (in attesa della nuova decisione delle Sezioni Unite), in www.judicium.it.

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