Intervento volontario nel giudizio di cassazione e decadenza dall'azione di rimborso di imposte indebitamente versate

Francesco Bartolini
25 Febbraio 2019

La questione decisa dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento ha avuto ad oggetto l'individuazione del momento di decorrenza del termine di decadenza entro il quale deve essere proposta la domanda di rimborso in osservanza del preciso disposto di cui all'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973. La Cassazione ha rilevato, altresì, l'interessante questione sull'ammissibilità dell'intervento nel giudizio di legittimità.
Massima

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è ammesso a intervenire nel giudizio di legittimità, in difetto di una espressa disposizione normativa che lo consenta, avendo il potere di fare intervento soltanto quando non si sia costituito il suo dante causa.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva accolto, in parte riformando la pronuncia di primo grado, l'impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall'amministrazione finanziaria all'istanza di rimborso di quote dell'IRES versata da una società nell'anno 2004. L'istanza riguardava ritenute d'acconto su provvigioni pagate a terzi e la società sostituto d'imposta assumeva che le somme versate erano state da lei imputate per errore ad un esercizio non di competenza dell'anno di riferimento della dichiarazione poiché era stata considerata nella dichiarazione dei redditi la data di emissione delle singole fatture anzichè la data di pagamento dei compensi. Nella causa l'amministrazione aveva eccepito la decadenza della società dall'azione di rimborso, posto che la domanda era stata presentata oltre il termine fissato dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 ma l'eccezione era stata respinta dalla Commissione regionale. Doveva tenersi conto, essa aveva deciso, come momento di inizio del termine di decadenza non già della data di effettuazione della ritenuta bensì della successiva data di notifica dell'atto di rettifica d'ufficio della dichiarazione dei redditi societari.

Nell'imminenza dell'udienza in camera di consiglio (ai sensi degli artt. 375 e 380-bis c.p.c.) ha depositato una comparsa di intervento una società che nelle more del procedimento aveva incorporato l'originaria parte istante.

La questione

La questione proposta con il ricorso all'attenzione della Corte ha avuto ad oggetto l'individuazione del momento di decorrenza del termine di decadenza entro il quale deve essere proposta la domanda di rimborso in osservanza del preciso disposto di cui all'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973. La norma rimanda alla data in cui è avvenuto il versamento che il contribuente assume non dovuto perché eseguito per errore materiale, duplicazione e/o inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento. In asserita applicazione di questa disposizione la società nel ricorrere alle Commissioni tributarie aveva sostenuto che, nel suo caso, si sarebbe dovuto fare riferimento alla data di pagamento dei compensi, posteriore a quella di emissione delle fatture; il giudice di appello aveva pronunciato nel senso che fosse rilevante l'ancor posteriore atto con cui l'amministrazione finanziaria aveva formalmente contestato la violazione addebitata, a decorrere dal quale l'istanza di rimborso era risultata tempestiva.

La Corte di cassazione ha rilevato d'ufficio una questione da decidersi preliminarmente. La società incorporante aveva chiesto di intervenire nel giudizio di legittimità, senza aver prima preso parte alcuna al procedimento. Il titolo per l'intervento da essa indicato era da ravvisare nella sua veste di successore a titolo particolare nella posizione della parte originaria.

Le soluzioni giuridiche

La Corte si è conformata all'orientamento giurisprudenziale per il quale sono parti nel processo di legittimità esclusivamente i soggetti che furono parti nei giudizi di merito; con l'ovvia conseguenza per cui in tale processo non è consentito l'intervento di soggetti rimasti estranei ai precedenti giudizi e quindi, rispetto ad essi, da considerare quali soggetti terzi. La costituzione per intervento volontario è stata dichiarata inammissibile (peraltro, con pronuncia nella sola motivazione).

Con riguardo al termine di decadenza per la domanda di rimborso il Collegio ha ricordato precedenti decisioni per le quali detto termine decorre dal pagamento indebito e non ha alcuna incidenza in proposito la rettifica operata dall'Ufficio a seguito del controllo formale della dichiarazione del contribuente. Sul punto la decisione impugnata è stata cassata con rinvio.

Osservazioni

La questione oggetto del ricorso per cassazione ha costituito materia di decisioni contrastanti nei gradi di merito ed ha richiesto, da ultimo, un nuovo giudizio dinanzi al giudice del rinvio. Eppure essa era facilmente risolvibile sulla base dei precedenti giurisprudenziali, tutti conformi e specifici al caso delle ritenute di imposta. Proprio di recente Cass. civ., sez. VI, 1 febbraio 2018, n. 2533, aveva affermato che il termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso delle imposte sui redditi decorre dal giorno dei singoli versamenti in acconto, nel caso in cui questi già all'atto della loro effettuazione risultino totalmente o parzialmente non dovuti. Sin da questo momento, si è precisato, sussiste l'interesse e la possibilità di richiedere il rimborso e a nulla rileva la successiva riliquidazione dell'imposta complessivamente dovuta. Analogamente si erano pronunciate Cass. civ.,sez. V, 17 maggio 2017, n. 12269, Cass. civ., sez. VI, 20 luglio 2016, n. 14868, e Cass. civ.,sez. V, 17 marzo 2006, n. 5978. Nel senso suddetto viene dalla Corte interpretato il disposto dell'art. 38 d.P.R. n. 602/1973, peraltro piuttosto criptico nel riferirsi, come momento iniziale di decorrenza, a quello del “versamento diretto”. Un esame, anche sommario, della giurisprudenza edita avrebbe evitato alla Commissione tributaria regionale una sentenza poi cassata, con la necessità di una protrazione del processo per un nuovo esame del merito.

Di maggiore interesse appare l'interrogativo sciolto d'ufficio dal Supremo Collegio in ordine all'intervento dispiegato dalla società incorporante quale successore a titolo particolare della parte originariamente istante, rimasta in causa nella sua veste di resistente e di controricorrente.

Anche con riguardo alla questione di ammissibilità dell'intervento nel giudizio di legittimità esistevano precedenti di chiaro insegnamento. La giurisprudenza è conforme nell'affermare che sono parti del giudizio di cassazione unicamente coloro che furono parti dei giudizi precedenti (fra le molte, Cass. civ.,sez. VI, n. 7467/2017; Cass. civ.,sez. I, n. 17974/2015; Cass. civ.,sez. lav., n. 6348/2009; Cass. civ., Sez. Un., n. 9753/1994). Ed ugualmente è conforme nel ritenere inammissibile l'intervento di soggetti che non furono parti in tali giudizi precedenti, difettando la loro legittimazione, senza che in proposito si ponga come fondata una questione di legittimità costituzionale: Cass. civ., Sez. Un., n. 1245/2004; Cass. civ., sez. II, n. 5126/1999. Un problema interpretativo poteva tuttavia sorgere per la peculiarità della fattispecie, nella quale l'intervento era effettuato dal successore a titolo particolare nel diritto controverso: e quindi con una iniziativa non avente lo scopo di sostenere o aderire alla posizione sostanziale e processuale della parte già presente nel processo ma per esercitare una legittimazione propria, derivatagli dall'acquisto di diritti e obblighi ceduti dal titolare originario. La giurisprudenza riconosce questa legittimazione conseguente alla successione derivativa e la riconosce quale titolo per la proposizione autonoma del ricorso per cassazione avverso la decisione di merito, non anche, tuttavia, per l'intervento nel giudizio di legittimità. La giustificazione di questa apparente incongruenza è fornita traendo argomento dalla mancanza di una espressa previsione normativa ad hoc, che consenta al terzo di partecipare come interventore volontario al giudizio davanti alla Corte con facoltà di esplicare difese e assumendo in tal modo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, a quelle, cioè, che hanno partecipato al giudizio di merito. Si vedano, ad esempio, Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2005, n. 10215. Corollario di questa posizione è l'affermazione per cui l'art. 105 c.p.c. si applica soltanto al giudizio di cognizione di primo grado: e questo assunto trova un supporto nel dettato dell'art. 344 c.p.c. che nega l'intervento in appello con l'unica eccezione della legittimazione riconosciuta ai terzi che potrebbero proporre opposizione di terzo. Il sistema normativo appare pertanto coerente, in un quadro ispirato all'esigenza che il processo inizi per quanto possibile tra i soggetti interessati e legittimati; e proceda poi riducendosi al minimo le eventualità di variazioni nel numero e nell'individuazione delle parti. Come ogni principio generale che si rispetti, anche quello dell'inammissibilità dell'intervento nel giudizio di cassazione incontra qualche eccezione.

La prima, piuttosto rilevante, riguarda il caso in cui il successore a titolo particolare assume interamente la posizione del suo dante causa. Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2016, n. 11638, ha chiarito che il successore a titolo particolare può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall'acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa (il terzo, altrimenti, non potrebbe esercitare il suo diritto di difesa); ma può intervenire anche quando ha liberato il suo dante causa dalle situazioni soggettive derivanti dal rapporto nel quale è subentrato. Ad esempio, si è affermato che nel giudizio di cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso il decreto di liquidazione del suo compenso è ammissibile l'intervento dell'assuntore del concordato che sia subentrato nelle posizioni obbligatorie del debitore originario, in quanto successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. civ., sez. I, n. 18967/2013). In casi come questi la posizione sostanziale del terzo quale unico soggetto rimasto ad essere interessato alla sorte del processo ha indotto la Corte a forzare la rigidità del principio affermato in generale. Un'altra fattispecie di deroga allo stesso principio, affermata in una decisione rimasta peraltro senza seguito, ha riguardato l'intervento adesivo del terzo. Per questo tipo di ingresso nel giudizio di legittimità si è apoditticamente affermato che non sussiste alcuna preclusione (Cass. civ., sez. I, n. 10598/2005). E tuttavia, se le altre eccezioni alla regola possono dirsi giustificate, non sembra che la natura adesiva dell'intervento consenta un'eccezione ulteriore. Anche l'interventore per adesione diventa parte nel giudizio, con poteri più o meno consentiti a seconda che si tratti di intervento adesivo autonomo o di intervento adesivo dipendente. E anche nei suoi confronti dovrebbe valere il canone secondo cui non può diventare parte nel giudizio di cassazione chi non era parte nel giudizio di merito.

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