Sanzioni per la violazione del regolamento

26 Febbraio 2019

Aggiornando, nell'art. 70 disp. att. c.c., l'importo della sanzione applicabile in caso di violazione del regolamento, il legislatore della Riforma del 2013 non ha avuto la pretesa di ritenere che tale sanzione fosse l'unico mezzo veramente adeguato ed efficace per fare astenere da una certa condotta il suo autore potenziale, tuttavia, ha auspicato che la previsione della stessa potesse evitare che il normale funzionamento del regime condominiale venga compromesso da condotte concretizzatesi in eccessi o usi arbitrari delle cose comuni, sia perseguendo il fine di prevenzione per “orientare” anche nel futuro l'operato dei singoli, sia mirando a tutelare la legalità della gestione condominiale; in quest'ottica, a seguito dell'intervento del decreto c.d. destinazione Italia n. 145/2013, si è provveduto a procedimentalizzare in maniera più stringente l'iter per l'irrogazione della sanzione, prescrivendo però un discutibile passaggio assembleare.
Inquadramento

Una delle novità più significative della l. n. 220/2012 è stata proprio l'innalzamento dell'importo delle multe irrogabili a chi infrange il suddetto regolamento: invero, risulta aggiornato al valore attuale della moneta il disposto di cui al riformato art. 70 disp. att. c.c., il quale, nella versione precedente, peraltro nemmeno variata a seguito dell'intervento del nuovo conio, stabiliva che «per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento», importo evidentemente irrisorio ed anacronistico (v., però, Corte Cost., 11 dicembre 1997, n. 388, secondo cui era inammissibile, appartenendo alla discrezionalità del legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70 disp. att. c.c., laddove disponeva che, per le infrazioni al regolamento, potesse essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 Cost.).

Il nuovo testo, nella versione del 2013, prescrive, invece, che: «Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie».

È sotto gli occhi di tutti che la realtà condominiale si presenta, al tempo stesso, complessa e delicata: la convivenza di una pluralità di persone all'interno dello stesso edificio urbano nonché l'uso delle cose e servizi comuni può, quindi, essere disciplinata convenientemente solo con un adeguato presidio delle prescrizioni fissate dal regolamento (comunque, eventuali “vecchi” regolamenti che contemplino la sanzione “di cento lire” si presumono aggiornati automaticamente ai nuovi importi).

La Riforma si muove nel senso di un rafforzamento della sua efficacia preventiva e repressiva delle condotte lesive, anche se si dimentica di predisporre opportuni limiti e garanzie, consapevole, al contempo, che eventuali eccessivi irrigidimenti renderebbero inapplicabile di fatto il meccanismo sanzionatorio (resta inteso che l'aver confermato la devoluzione della sanzione al fondo di cui l'amministratore dispone per le “spese ordinarie” significhi che, di tale fondo, non debba beneficiare sia pure pro quota anche il condomino trasgressore, pena altrimenti l'inutilità della pena afflittiva).

La previsione all'interno del regolamento

È noto che il regolamento di condominio contiene, tra l'altro, le norme disciplinanti l'uso delle cose comuni (art. 1138, comma 1, c.c., nel rispetto delle disposizioni inderogabili del codice civile); esso è già, in via primaria, presidiato da norme generali e sanzionatorie apprestate dall'ordinamento (ad esempio, artt. 1102 ss., 1117 ss., 2043 ss. c.c.), tuttavia, è ben possibile che si aggiungano anche obblighi determinati peculiarmente da ciascun condominio e individuati dal rispettivo regolamento.

La l. n. 220/2012 non ha mutato da facoltativa in obbligatoria la previsione di apposite specifiche sanzioni da parte dei singoli regolamenti - si è adoperato, infatti, il termine “può” - nel senso che il predisporre o meno delle penalizzazioni private per rafforzare l'osservanza dei precetti contenuti nel capitolato disciplinare comune e prevenire le violazioni, aggiuntive rispetto ai mezzi coercitivi già offerti dall'apparato legislativamente esistente, è una scelta che non può effettuarsi in via generale ed astratta, ma necessariamente caso per caso, considerando le peculiarità delle singole situazioni concrete.

La sanzione de qua (se contemplata) deve essere, però, necessariamente prevista in un regolamento condominiale: tale regolamento potrà essere anche quello approvato con il quorum di cui al comma 3 dell'art. 1138 c.c. - che richiama quello del comma 2 dell'art. 1136 c.c., e cioè il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio - non essendo necessario che lo stesso sia di natura contrattuale, richiesto, invece, ove si intende incidere sulla sfera dei diritti soggettivi negozialmente acquisiti.

La possibilità di irrogare una sanzione deve sussistere solo se vi è un'esplicita previsione, a monte, nel regolamento (di contro, non è più subordinata alla presenza di una specifica clausola del regolamento la possibilità di sospendere l'erogazione dei servizi comuni, secondo il nuovo testo dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c.): in difetto, né l'amministratore - che non potrebbe essere autorizzato dall'assemblea, volta per volta, ad irrogarla - né l'assemblea - che non potrebbe irrogarla direttamente (in vece dell'amministratore) - potrebbero avere tale titolarità; è intuitivo, infatti, che la previsione nel regolamento della possibilità di irrogare la sanzione debba essere “preventiva” rispetto alla commissione dell'infrazione da parte del trasgressore, non potendo la stessa essere irrogata ex post.

Deve trattarsi di un'infrazione al regolamento di condominio: giustamente la Riforma non ha tipizzato i comportamenti sanzionabili, purché essi si riconnettano ad una violazione del suddetto regolamento, che potrà riguardare l'uso delle cose comuni, la tutela del decoro, l'utilizzo dei servizi condominiali, ecc.; non è apparso, quindi, opportuno delimitare in modo preciso il campo delle disposizioni regolamentari presidiabili con le sanzioni private, non essendo giusto che alcune piuttosto di altre siano meritevoli di tutela con misure sanzionatorie, particolarmente penetranti, facilmente applicabili e raramente eludibili.

Il profilo qualitativo e quantitativo

Sotto il profilo qualitativo, si è mantenuta la disposizione secondo cui le sanzioni apprestabili sono, dal punto di vista contenutistico, esclusivamente di tipo pecuniario, coerentemente d'altronde con la natura civilistica di tali sanzioni, aventi un carattere latamente risarcitorio, escludendo, ad esempio, misure alternative quali il ripristino dello stato dei luoghi, anche fornendo idonea cauzione per garantire l'osservanza futura di precetti e sanzioni già irrogate; in altri termini, alla luce dell'art. 70 disp. att. c.c., il regolamento condominiale non può prevedere sanzioni diverse, o diversamente afflittive, poiché ciò sarebbe in contrasto con i principi generali dell'ordinamento, che non conferiscono al privato, se non eccezionalmente, il diritto di autotutela.

In ordine alla misura della nuova sanzione, la somma indicata non dovrebbe essere un limite massimo invalicabile, nel senso che le parti possono accordarsi in modo diverso, regolando liberamente i loro interessi, disciplinando i loro atti in vista dell'esigenza comune della comunità condominiale (al pacifico ed ordinato godimento del bene comune) ed adeguando congruamente l'importo alla gravità dell'infrazione al codice disciplinare approvato (considerando la variabilità e mutevolezza delle fattispecie concrete).

D'altronde, che sia una norma derogabile lo si ricava dal combinato disposto dell'art. 70 disp. att. c.c. con il successivo (ed invariato) art. 72, che contempla espressamente quali sono le norme di attuazione inderogabili - e precisamente, gli artt. 63, 66, 67 e 69 - tralasciando di richiamare quella relativa all'entità della sanzione pecuniaria per l'infrazione del regolamento (essendo la sanzione irrogabile “fino a euro 200”, è ragionevole ritenere che sia sempre possibile infliggere multe di importo inferiore).

Tale derogabilità in ordine al limite massimo quantitativo consentirebbe, poi, di evitare una più o meno rapida obsolescenza del dettato normativo (ad esempio, considerando la svalutazione) con l'esigenza di ulteriori interventi legislativi sul punto, e non renderebbe nemmeno necessario introdurre al contempo un meccanismo di adeguamento progressivo della somma al corrente costo della vita (v., tuttavia, Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2008, n. 10329; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 948, secondo cui erano nulle le disposizioni del regolamento che prevedevano, per le infrazioni allo stesso, sanzioni pecuniarie di importo superiore a quello di lire cento previsto dall'art. 70 disp. att. c.c.; tra le pronunce di merito, in senso conforme, Pret. Salerno 31 maggio 1996; contra, Concil. Caserta 22 luglio 1985, secondo cui la disposizione citata era derogabile dal regolamento condominiale, non essendo la medesima inderogabile a norma del successivo art. 72).

I potenziali destinatari

Non adoperando la Riforma alcun riferimento al “condomino” in qualità di trasgressore, si potrebbe sostenere che la sanzione pecuniaria possa essere irrogata anche al conduttore o al comodatario dell'appartamento, o al titolare del diritto di usufrutto, uso, abitazione, in quanto costoro, quali effettivi utilizzatori delle parti di uso comune dell'edificio, in misura e in proporzioni analoghe a quelle del proprietario, si trovano in una posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale - di cui ne subiscono perciò la disciplina - e ad essere titolari di poteri corrispondenti di fatto all'esercizio degli omonimi diritti.

Al riguardo, la giurisprudenza sembra, infatti, pacifica nel senso che, con il contratto di locazione, si trasferisce al conduttore il diritto di utilizzare le parti comuni negli stessi limiti spettanti al suo locatore, tanto che qualora l'inquilino di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva violi le limitazioni poste dal regolamento condominiale - ad esempio, riguardo alla destinazione dell'appartamento - si ritiene comunemente che l'azione del condominio, diretta a fare accertare l'illiceità di tale comportamento e a farlo cessare, possa essere proposta anche direttamente nei confronti del conduttore medesimo (sull'efficacia vincolante del regolamento nei confronti dell'inquilino, sia direttamente, sia mediante obbligo pattizio, v., rispettivamente, Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2012, n. 10185, e Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1997, n. 8239).

In questa prospettiva, l'amministratore potrebbe irrogare le sanzioni anche ai familiari, dipendenti, conviventi e conduttori del condomino, senza però addebitare a quest'ultimo i relativi importi, con un'applicazione della tecnica simile a quella della responsabilità oggettiva (contra, Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1995, n. 10837, ad avviso della quale la sanzione prevista dall'art. 70 disp. att. c.c., attesa la sua natura eccezionale di c.d. pena privata avente come destinatari i condomini, non è applicabile nei confronti dei conduttori delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, i quali, benché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio, rimangono, però, “estranei all'organizzazione condominiale”).

L'iter previsto per l'irrogazione

L'organo deputato all'accertamento dell'infrazione dovrà essere l'amministratore, escludendo, quindi, sia l'assemblea sia terzi vigilatori (come, ad esempio, guardie private); del resto, l'amministratore è competente a curare l'osservanza del regolamento e a disciplinare l'uso delle cose comuni (art. 1130 c.c. rispettivamente nn. 1 e 2), e non avrà bisogno di alcuna autorizzazione assembleare, in quanto tale attribuzione rientra nelle funzioni istituzionali proprie di tale organo, anche se non dotato, di norma, di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli (in precedenza, v. Cass. civ.,sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804).

All'amministratore spetterà, poi, contestare l'infrazione al trasgressore; dovrà pur sempre trattarsi di una condotta imputabile (per dolo o per colpa) al trasgressore; dovrà essere esattamente specificata quale inadempienza è stata accertata, non essendo sufficiente - anche ai fini dell'impugnativa di cui appresso - indicare e imporre divieti o obblighi generici, magari con “norme di chiusura” (riferendosi ad essi, negli stessi termini, quando dovrà applicarsi la relativa sanzione).

Incerto era, invece, il soggetto legittimato ad irrogare, in concreto, la sanzione correlata all'infrazione del regolamento: tale incertezza, però, è stata, di recente, risolta dall'art. 1, comma 9, lett. e), del d.l. n. 145/2013 - convertito, senza modificazioni sul punto, dalla l. n. 9/2014 - il quale stabilisce che «l'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice» civile - ossia, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio - che, peraltro, costituiscono gli stessi quorum necessari per approvare il regolamento, o per integrarne il relativo testo (art. 1138, comma 3, c.c.).

Tale aggiunta si rivela in aperta controtendenza con quanto statuito in precedenza dalla magistratura di vertice (Cass. civ., sez. II, 26 giugno 2006, n. 14735), secondo la quale, al fine di attivarsi per far cessare gli abusi, l'amministratore non necessitava di alcuna previa deliberazione, posto che egli era tenuto ex lege a curare l'osservanza del regolamento per tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità e all'abitabilità dell'edificio, rimanendo, altresì, nelle sue facoltà, ex art. 70 disp. att. c.c., anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai responsabili di siffatte violazioni, purché lo stesso prevedesse tale possibilità.

In evidenza

Il c.d. decreto destinazione Italia ha contemplato, dunque, il “passaggio assembleare” che, da un lato, depotenzia le facoltà dell'amministratore, a cui rimane pur sempre l'obbligo di “curare l'osservanza” del regolamento, e, dall'altro, rischia di rivelarsi più costoso - quanto a convocazione, deliberazione, comunicazione, ecc. - rispetto alla sanzione da irrogare in concreto al soggetto trasgressore.

Fatto sta che, attualmente, l'amministratore, esautorato dal potere di irrogare la sanzione, diviene obbligato a convocare l'assemblea per deliberare sul punto, e ciò non solo quando, in forza dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c. lo ritenga necessario, ma anche qualora sia sollecitato in tal senso da parte di un solo condomino, non necessitando tale incombente la richiesta proveniente da almeno due condomini che rappresentino almeno un sesto del valore dell'edificio.

I possibili scenari

Quindi, soltanto dopo l'autorizzazione da parte dell'assemblea, con il quorum qualificato di cui sopra, l'amministratore potrà dare pratica attuazione alla sanzione pecuniaria, attraverso l'invito al trasgressore al pagamento della somma, e, se condomino, il ricarico della stessa sulla c.d. bolletta condominiale, che, segnalando il riparto della quota periodica delle spese personali a carico di ciascuno, potrà fungere anche da quietanza attestante l'indicazione della misura sanzionatoria inflitta.

In difetto di pagamento, si può chiedere al giudice un decreto ingiuntivo, però, non immediatamente esecutivo, difettando sul punto la previsione dell'art. 63, comma 1, disp. att. c.c., che conferisce questa situazione privilegiata soltanto alla «riscossione di contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea»; avverso tale decreto, potrà proporsi l'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 645 c.p.c., di regola davanti al giudice di pace - che attualmente può conoscere le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro, così innalzata la soglia ad opera della l. n. 69/2009 - ma non potrebbe sindacarsi la legittimità della deliberazione che ha autorizzato l'amministratore ad irrogare la sanzione (secondo l'insegnamento di Cass. civ., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421).

In questa nuova prospettiva, non potrà più operare il disposto dell'art. 1133 c.c., nel senso che, contro il provvedimento dell'amministratore che irrogava la sanzione, era sempre ammesso il ricorso all'assemblea, in quanto attualmente è prescritto, comunque, che sia la stessa assemblea a decidere se irrogare o meno la sanzione, che poi materialmente sarà sempre applicata dall'amministratore.

Alla relativa deliberazione - si spera, motivata - non dovrà concorrere (per evidente conflitto di interessi) il voto dell'interessato, ossia il soggetto trasgressore, che però dovrà essere ugualmente convocato alla relativa riunione e potrà intervenire alla stessa per far valere la sua posizione.

È salva, in ogni caso, la facoltà di adire l'autorità giudiziaria ex art. 1137, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132): l'atto applicativo sarebbe, quindi, annullabile e assoggettato al termine di impugnazione contemplato per le delibere assembleari; ad esempio, il condomino potrebbe opporre che la sanzione gli sia stata ingiustamente applicata per non avere commesso l'infrazione che gli viene addebitata, ma difficilmente il giudice potrebbe sindacare nel merito il quantum della sanzione irrogata, purché nei limiti minimo/massimo consentiti).

Il concetto di recidiva

Discusso è, poi, il concetto di “recidiva”, ossia se debba intendersi nel senso di “generica”, ossia riferita a qualsiasi altra infrazione del regolamento, o “specifica”, ossia correlata alla stessa violazione in precedenza messa in atto dal trasgressore; nella prima ipotesi, l'aumento della sanzione si potrebbe applicare qualora il condomino, violatore del precetto una prima volta per aver parcheggiato l'autovettura nella rampa del garage, non abbia osservato il regolamento occupando il pianerottolo con una scarpiera, mentre, nella seconda ipotesi, opererebbe soltanto qualora lo stesso condomino perseveri a parcheggiare.

Nella prospettiva di rafforzare la forza dissuasiva della sanzione, il legislatore non ha specificato tale concetto, sicché è preferibile che lo stesso regolamento puntualizzi se la maggiorazione dell'importo possa applicarsi qualora si verifichi una successiva violazione di altra prescrizione regolamentare, oppure nell'ipotesi di ulteriore violazione della stessa prescrizione (ulteriore problema è, salvo individuare sempre una responsabilità oggettiva del proprietario dell'unità immobiliare, verificare se le violazioni riguardino le persone che hanno individualmente trasgredito).

Con le suesposte modalità applicative, non si vuole formalizzare un procedimento simile a quello previsto per le sanzioni disciplinari nel rapporto di lavoro (art. 7 l. n. 300/1970), né introdurre un triplo grado di giurisdizione: in buona sostanza, si dovrebbe solo istituzionalizzare un embrione di contraddittorio, prevedendo la contestazione della violazione della norma regolamentare da parte dell'amministratore, la (sia pure implicita) possibilità di replica da parte del trasgressore, la riserva di potestà decisoria in capo all'assemblea e l'impugnabilità della statuizione sanzionatoria davanti al magistrato.

Casistica

CASISTICA

Rimozione delle autovetture

Qualora nel regolamento condominiale sia inserita, secondo quanto previsto eccezionalmente dall'art. 70 disp. att. c.c., la previsione di una “sanzione pecuniaria”, avente natura di pena privata, a carico del condomino che contravvenga alle disposizioni del regolamento stesso, l'ammontare di tale sanzione non può essere superiore, a pena di nullità, alla misura massima consentita dallo stesso articolo; a maggior ragione, quindi, per le infrazioni dei condòmini (nella specie, parcheggio irregolare in area comune) non può ritenersi consentito introdurre nel regolamento condominiale sanzioni diverse da quelle pecuniarie ovvero diversamente “afflittive” (nella specie, rimozione dell'autovettura), posto che ciò risulterebbe in contrasto con i principi generali dell'ordinamento che non consentono al privato - se non eccezionalmente - il diritto di “autotutela” (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2014, n. 820).

Previsione apposita del regolamento

L'art. 70 disp. att. c.c., che prevede la possibilità di stabilire una sanzione per le infrazioni al regolamento di condominio e, quindi, che attiene alla disciplina dell'uso della cosa comune, è applicabile esclusivamente in presenza di un'esplicita previsione del medesimo regolamento, risolvendosi, in caso contrario, in una lesione dei diritti di godimento del singolo condomino sui beni comuni(Pret. Verona 12 febbraio 1990).

Eccesso di potere dell'assemblea

Spetta al giudice investito dell'impugnativa di delibera condominiale di verificare l'eccesso di potere dell'assemblea, che abbia deciso su una materia relativa all'uso di un'area condominiale, con limitazioni a carico di condomini non previste da alcun regolamento contrattuale e con sanzioni eccedenti il limite massimo previsto nell'art. 70 disp. att. c.c. (Trib. Napoli 5 gennaio 2001).

Guida all'approfondimento

Salciarini, La multa ex art. 70 disp. att. c.c. e la riforma del condominio: cronaca di una resurrezione, in Dossier condominio, 2014, n. 140, 11;

Tortorici, Sanzioni per violazioni al regolamento, in Amministr. immobili, 2014, fasc. 180, 13;

De Tilla, In caso di violazione del regolamento sanzioni pecuniarie per i condomini, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 1, 20;

Nunziata, Il problema sanzionatorio nel condominio: qualche breve osservazione de iure condendo sull'art. 70 disp. att. c.c., in Arch. loc. e cond., 1994, 727.

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