Particolare tenuità del fatto. Casi pratici, dubbi applicativi e soluzioni del giudice di legittimità

26 Febbraio 2019

L'articolo illustra e commenta tre interessanti decisioni con le quali la Suprema Corte ha chiarito alcuni aspetti relativi all'applicazione e agli effetti della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. Coerentemente con il suo contenuto valutativo e discrezionale, si è stabilito che non spetta agli organi di polizia sindacarne la ricorrenza al momento dell'arresto in flagranza di reato. Si è poi escluso che il giudice, con la sentenza che assolve l'imputato ritenendolo non punibile, possa...
Abstract

L'articolo illustra e commenta tre interessanti decisioni con le quali la Suprema Corte ha chiarito alcuni aspetti relativi all'applicazione e agli effetti della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. Coerentemente con il suo contenuto valutativo e discrezionale, si è stabilito che non spetta agli organi di polizia sindacarne la ricorrenza al momento dell'arresto in flagranza di reato. Si è poi escluso che il giudice, con la sentenza che assolve l'imputato ritenendolo non punibile, possa ordinare la demolizione delle opere abusive o la remissione in pristino dello stato dei luoghi. Infine, si è ritenuto che le denunce, e più in generale i precedenti di polizia, non possano di per sé integrare il comportamento abituale ostativo all'esenzione dalla pena.

È possibile l'arresto in flagranza di reati particolarmente tenui?

Investita del sindacato sulla legittimità di un'ordinanza di convalida di un arresto in flagranza di reato, sotto il profilo della ricorrenza della causa ostativa di cui all'art. 385 c.p. per essere il fatto di particolare tenuità, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudizio sull'eventuale ricorrenza della fattispecie prevista dall'art. 131-bis c.p. sia del tutto incompatibile con la sommaria valutazione che la polizia giudiziaria deve compiere al momento della decisione se arrestare o meno l'autore di un reato (Cass. pen., Sez. III, 15 marzo 2018-20 giugno 2018, n. 28522).

Occorre premettere che ad avviso della giurisprudenza le cause di non punibilità che ai sensi dell'art. 385 c.p. impediscono l'arresto in flagranza di reato sono soltanto quelle ictu oculi ravvisabili in relazione a mere circostanze del fatto. Si pensi, ad esempio, al difetto di imputabilità: l'eventuale incapacità di intendere e di volere dell'arrestato deve emergere in modo chiaro e inequivocabile all'agente operante al momento dell'intervento, non potendo essere ravvisato, ad esempio, in un generico "stato confusionale", che può essere ragionevolmente ricondotto anche ad ubriachezza o ad intossicazione da sostanze stupefacenti (Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2017-16 febbraio 2017, n. 7470). Occorre, poi, che gli elementi integrativi la causa di non punibilità siano noti, o comunque conoscibili, agli organi di polizia al momento dell'arresto, non potendo il giudice della convalida tenere conto, nel ratificare il provvedimento poliziesco, degli elementi che siano emersi successivamente (Cass. pen., sez. VI, 13 aprile 2016-2 maggio 2016, n. 18196, in cui la Corte ha ritenuto viziata l'ordinanza di rigetto della richiesta di convalida dell'arresto dell'imputato per il reato di evasione, il cui stato di non imputabilità era emerso solo a seguito della documentazione presentata dalla difesa all'udienza di convalida).

Venendo ora alla causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., non è revocabile in dubbio che il giudizio di particolare tenuità del fatto non possa essere demandato agli organi di polizia in quanto presuppone un approfondito vaglio di merito e implica una discrezionalità valutativa che competono solo all'autorità giudiziaria. Infatti, oltre ad una valutazione complessiva delle modalità della condotta e dell'entità del danno o del pericolo, gli operanti dovrebbe accertare anche elementi ulteriori, come l'abitualità del comportamento, che richiedono conoscenze non immediatamente fruibili da parte degli agenti.

Certo, non possono escludersi ipotesi in cui la tenuità del fatto appaia evidente anche alla polizia giudiziaria (si pensi, ad esempio, al furto di un oggetto di modestissimo valore), ma questi casi possono trovare soluzione solo nell'ambito delle linee guida che devono orientare l'esercizio del potere di arresto da parte della polizia ai sensi dell'art. 381, comma 2, c.p.p.

Sono leciti l'ordine di demolizione e l'ordine di ripristino nei confronti di imputati non punibili?

Come noto, l'art. 181, comma 2, d.lgs. 42/2004 stabilisce che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato paesaggistico, ordina le remissione in pristino dello stato dei luoghi. Allo stesso modo, l'art. 31, comma 9, d.P.R. 380/2001 prevede che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato edilizio, ordini la demolizione dell'opera abusiva.

Le suddette statuizioni sono considerate delle sanzioni amministrative accessorie che il giudice penale è tenuto a irrogare quando emette una sentenza di condanna. Ci si è dunque chiesti se il giudice possa ordinare la demolizione e la remissione in pristino anche quando assolve l'imputato perché lo ritiene non punibile in ragione della particolarità del fatto commesso.

In effetti, anche la sentenza di assoluzione ex art. 530, comma 1, c.p.p., quando adottata per la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 131-bis c.p., potrebbe giustificare l'irrogazione della sanzioni amministrative accessorie in esame, ove si consideri che la particolare tenuità del fatto presuppone logicamente l'accertamento che il fatto sussiste, che costituisce illecito penale e che è stato commesso dall'imputato. Del resto, le ragioni di politica criminale che rendono opportuno non punire colui che ha realizzato un reato di entità concreta talmente modesta da rendere sproporzionata per eccesso la pena edittale minima sono estranee ai motivi che hanno indotto il legislatore ad attribuire al giudice penale poteri che di regola appartengono all'autorità amministrativa.

Adottando un atteggiamento più formalistico, la Suprema Corte ha invece escluso che il giudice penale, quando ritiene l'imputato non punibile ai sensi dell'art. 131-bis c.p., possa ordinargli di eliminare l'opera abusiva o di riportare lo stato dei luoghi alla condizione preesistente al reato (Cass. pen., sez. III, 10 maggio 2018-23 ottobre 2018, n. 48248). Si legge infatti nella motivazione che «ancorché nella sentenza impugnata [che aveva ordinato la remissione in pristino – espressione generica comprensiva, ad avviso della Corte, anche dell'ordine di demolizione – all'esito di una sentenza che aveva assolto l'imputato dai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004 ritenendolo non punibile ex art. 131-bis c.p.] vi sia stato un accertamento di responsabilità, ciò nondimeno non si ritiene configurata una condanna […] ai fini e per l'applicazione degli ordini di cui all'art. 31 d.P.R. 380/2001 e 181

d.lgs. 42/2004

».

A conforto del proprio percorso motivazionale, la Corte richiama i casi della prescrizione e della sospensione del procedimento con messa alla prova, ritenendoli analoghi a quello sottoposto al suo esame.

In effetti, la giurisprudenza ha più volte statuito che l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato, previsto dall'art. 181 d.lgs. 42/2004, non possa essere impartito dal giudice in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, fermo restando l'autonomo potere-dovere dell'autorità amministrativa (Cass. pen., Sez. III, 16 maggio 2018-11 luglio 2018, n. 31430). Analoga statuizione, con riferimento all'ordine di demolizione dell'opera edilizia abusiva, è stata adottata per la declaratoria di estinzione del reato a seguito di esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell'art. 168-ter c.p. (Cass. pen., sez. III, 10 maggio 2017-28 agosto 2017, n. 39455).

Tuttavia, è lecito dubitare che i suddetti casi siano davvero analoghi a quello in esame. In primo luogo, sul piano dogmatico, prescrizione e messa alla prova costituiscono cause di estinzione del reato, mentre l'art. 131-bis c.p. configura una causa di non punibilità. La differenza non è di poco momento perché, coerentemente con la diversa natura e ratio, sono radicalmente diversi i meccanismi applicativi dei due istituti. Infatti, mentre la causa estintiva, una volta integrata, preclude al giudice il compimento di ulteriori accertamenti e gli impone una immediata declaratoria di improcedibilità dell'azione penale ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (salvo rinuncia alla causa estintiva da parte dell'imputato), la causa di non punibilità impone il previo accertamento della sussistenza del fatto, della sua qualificazione come reato e della sua attribuzione all'imputato. Quella per non punibilità è una assoluzione che potremmo definire "di frontiera", nel senso che contiene tutti gli accertamenti necessari a condannare, ma non giunge a tale epilogo perché l'imputato non è punibile.

Dunque, è pienamente condivisibile l'idea che gli ordini di cui si discute non possano essere emessi dal giudice penale che dichiari estinto il reato, posto che le predette statuizioni presuppongono la pronuncia di una sentenza di condanna, alla quale non può essere equiparata la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (e ancor meno per esito positivo della messa alla prova, che prescinde totalmente da un accertamento di penale responsabilità, limitato all'esclusione di situazioni di evidente innocenza rilevanti ai sensi dell'art. 129 c.p.p.); meno convincente è, invece, l'affermazione secondo la quale neppure la sentenza assolutoria per non punibilità potrebbe essere assimilabile alla pronuncia di condanna, ovviamente ai soli fini delle statuizioni accessorie. Del resto, come già detto, le ragioni di politica criminale che inducono a non punire gli autori di reati bagatellari nulla hanno a che vedere con l'attribuzione al giudice penale del potere di disporre sanzioni accessorie di tipo amministrativo.

Quella proposta, peraltro, non è una lettura del tutto innovativa. Con riferimento alle sanzioni amministrative accessorie connesse ai reati in materia di circolazione stradale, la Suprema Corte ha ritenuto che anche in caso di assoluzione dal reato di guida in stato di ebbrezza per particolare tenuità del fatto sussiste il dovere per il giudice di disporre la sospensione della patente di guida, atteso che l'applicazione della causa di non punibilità presuppone l'accertamento del fatto cui consegue, ai sensi dell'art. 186 d.lgs. 285/1992, l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria (Cass. pen., Sez. IV, 9 settembre 2015-2 novembre 2015, n. 44132: «ove il giudice si pronunci per la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., neppure si pone il quesito in ordine al potere-dovere del giudice di disporre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per la irrogazione delle sanzioni amministrative accessorie: egli disporrà direttamente la sospensione della patente di guida»).

Denunce e precedenti di polizia sono sufficienti per ritenere abituale il comportamento del reo?

Come noto, il comportamento abituale è ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Il legislatore, nel tentativo di tipizzare il requisito dell'abitualità, ha fatto riferimento, fra gli altri indici, al caso in cui l'autore abbia commesso più reati della stessa indole. La giurisprudenza ha poi cercato di definire questa espressione ritenendo che l'ipotesi ricorra quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno due illeciti, oltre a quello preso in esame (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016-6 aprile 2016, n. 13681). Dunque, è il terzo illecito della medesima indole che dà legalmente luogo alla serialità che osta all'applicazione dell'istituto della particolare tenuità del fatto. La Corte ha poi chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione, ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis c.p.

Ciò premesso, alla Suprema Corte è stato recentemente chiesto di chiarire se anche la mera presenza di denunce o di precedenti di polizia possa integrare il presupposto in esame. Nel caso portato alla sua attenzione il giudice di merito aveva negato l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. valorizzando i precedenti di polizia dell'imputato.

Il veicolo per dare ingresso a una soluzione positiva è rappresentato dall'uso del termine reati, in luogo di condanne, che compare nelle formulazione dell'art. 131-bis c.p.: poiché l'abitualità è data dalla commissione di più reati della stessa indole, e non da più condanne per reati della stessa indole, potrebbe sostenersi che anche mere denunce o precedenti di polizia siano rilevanti per accertare la ricorrenza del presupposto ostativo.

La sentenza in esame ha tuttavia adottato una condivisibile interpretazione garantista, osservando come l'espresso riferimento ai reati, e non già alle condanne, consente di ritenere integrato il comportamento abituale ostativo alla non punibilità non solo in caso di decisioni irrevocabili ma anche di reati in corso di accertamento giudiziale, ossia di illeciti che si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l'esistenza. Ciò che non può trovare ingresso nella valutazione del presupposto in esame sono le denunce e i precedenti di polizia, in quanto prospettazioni unilaterali, tutte da verificare, che, isolatamente considerate, non forniscono nemmeno la prova della iscrizione di una compiuta notitia criminis nel registro delle notizie di reato (Cass. pen., sez. IV, 4 ottobre 2018-15 novembre 2018, n. 51526).

Ciò, però, non significa che tali elementi siano del tutto irrilevanti per il giudizio sulla particolare tenuità del fatto. Qualora dal fascicolo processuale risultino denunce o precedenti di polizia per reati delle medesima indole, il giudice, sollecitato dalla difesa o anche d'ufficio, deve verificare l'esito di tali segnalazioni per accertare l'esistenza di eventuali concreti elementi fattuali che dimostrino, in ipotesi, l'abitualità del comportamento dell'imputato.

Guida all'approfondimento

TRINCI, Compendio di diritto penale. Parte generale, Roma, 2018.

TRINCI, Particolare tenuità del fatto, Milano, 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.