Il commercio online. Come distinguere l'inadempimento contrattuale dalla truffa

27 Febbraio 2019

Con impressionante frequenza pervengono alla Procure della Repubblica querela per truffa on line a seguito di acquisti di beni di varia natura non andati a buon fine: sulla base di quali criteri si può distinguere ipotesi di semplice inadempimento contrattuale, di rilevanza civilistica, da condotte riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 640 c.p.?
Abstract

Con impressionante frequenza pervengono alla Procure della Repubblica querela per truffa on line a seguito di acquisti di beni di varia natura non andati a buon fine: sulla base di quali criteri si può distinguere ipotesi di semplice inadempimento contrattuale, di rilevanza civilistica, da condotte riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 640 c.p.?

Un fenomeno socio-economico con risvolti penali

Non ha molto senso ormai parlare indistintamente di commercio elettronico, considerato che lo stesso ha luogo – da molti ad anni e con dimensione, possiamo dire, planetaria – con forme profondamente differenti e coinvolgendo soggetti – fisici come giuridici – di varia natura. Il provvedimento oggetto del presente commento – un'ordinanza del Gip presso il tribunale di Brindisi, del 19 febbraio 2019, di rigetto di richiesta di archiviazione, con imputazione coattiva ai sensi dell'art. 409 c.p.p. – assume un preciso significato nello specifico ancorché esteso ambito del fenomeno del commercio on line. Si tratta dell'offerta da parte di privati non operanti professionalmente – su siti dedicati, alcuni dei quali molto diffusi – di oggetti di varia natura a prezzi – sostanzialmente – concorrenziali rispetto a prezzi di mercato. Un “mercato” telematico che vede – solo in Italia – quotidianamente migliaia di transazioni – la maggior parte delle quali – è doveroso dirlo – di natura assolutamente lecita.

La vicenda in oggetto è tanto semplice quanto emblematica del fenomeno e come tale merita di essere analizzata: il Gip, disponendo l'imputazione coattiva a fronte di una richiesta di archiviazione, puntualizza con chiarezza quali possono essere gli elementi che devono essere valutati per distinguere un mero inadempimento contrattuale da una condotta penalmente rilevante, ai sensi dell'art. 640 c.p.

Frequentemente, nelle querele presentate in relazione a condotte di acquisto on line di beni rispetto ai quali al pagamento non fa seguito la consegna dei medesimi, dalla semplice prospettazione proposta dal querelante, non è possibile trarre elementi inequivoci dai quali desumere che la condotta della controparte commerciale sia stata ab origine preordinata al fine di trarre in errore il querelante stesso, al solo fine di indurlo a un atto di disposizione patrimoniale. In effetti, la conclusione di un negozio giuridico può integrare gli estremi della truffa anche se il comportamento contrattuale sia corretto, quando la condotta dell'autore del reato sia preordinata al fine di procurarsi un ingiusto profitto e la rappresentata correttezza sia strumentalizzata allo scopo di sorprendere la buona fede dell'altro contraente sotto la parvenza di una regolare attività. In questo senso, nella truffa contrattuale l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, quello cioè che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei contraenti, rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria. E allora, il problema è di capire sulla base di quali elementi sia possibile desumere la sussistenza di tale finalità.

Il fatto

Nel caso di specie l'indagato aveva pubblicato con un nominativo poi rivelatosi fittizio, sul sito www.subito.it un annuncio di vendita di un drone a un prezzo – ovviamente – inferiore al valore di mercato. In seguito, lo stesso intratteneva con la persona offesa una trattativa anche al fine di spiegare le specifiche tecniche dell'oggetto offerto in vendita; concordava, poi, una riduzione del prezzo originariamente richiesto (utilizzando un'utenza cellulare identificata in atti) e infine inviava al querelante le coordinate della carta postepay ove questi avrebbe dovuto versare il corrispettivo, richiedendo i dati anagrafici della persona offesa e copia della ricevuta di versamento; una condotta complessivamente diretta a confermare nella controparte la serietà dell'offerta di vendita e dell'intera vicenda negoziale, al fine di ottenere il versamento della somma. Versamento – e conseguente trasmissione di copia della ricevuta dello stesso – al quale non faceva seguito la spedizione del bene. Inutili risultavano i tentativi del querelante di interloquire con la persona con cui aveva trattato, atteso che il numero di telefono precedentemente utilizzato, dopo alcuni tentativi di chiamata, risultava spento.

I criteri distintivi tra l'inadempimento contrattuale e la truffa

Rileva preliminarmente il Gip che «la messa in vendita di un bene tramite un sito di commercio elettronico noto e serio costituisce sicuramente un mezzo per indurre in errore i potenziali acquirenti sulle effettive intenzioni truffaldine di chi offre in vendita beni senza alcuna intenzione di consegnarli, risultando così configurato non un semplice inadempimento civile, ma il reato di cui all'art. 640 c.p.»

In particolare, «gli artifizi e raggiri vanno ricavati dalla complessiva condotta del venditore, tenuto conto delle particolari modalità di compravendita di tali beni che avvengono tramite internet, senza che le parti possano avere contatti diretti e senza che alle stesse siano conoscibili le esatte generalità e che sono caratterizzate dal fatto che il compratore deve pagare anticipatamente il bene che si è aggiudicato, e sperare poi che il venditore glielo faccia pervenire.

Tale meccanismo di vendita pone l'acquirente in una particolare situazione di debolezza e di rischio e di questo approfittano truffatori, seriali o meno, che realizzano cospicui guadagni vendendo beni che in realtà non hanno alcuna intenzione di alienare e dei quali non hanno il più delle volte neppure l'effettiva disponibilità».

Il provvedimento richiama espressamente una recente decisione della S.C. sul tema (Cass. pen., Sez. II, n. 43705/2016) che aveva affrontato la tematica, operando di fatto un interessante raffronto tra la condotta tenuta nelle normali dinamiche contrattuali, rispetto a quella specifica delle truffe on line.

La verifica da parte della S.C. dell'applicabilità dell'aggravante della minorata difesa è avvenuta attraverso l'analisi delle tre ipotesi nella quale la stessa si può manifestare, ossia per condizioni di tempo, di luogo o di persona, fermo restando la necessità che «vi siano condizioni oggettive conosciute dall'agente e di cui questi abbia volontariamente approfittato» in esito a una valutazione che deve essere fatta "in concreto'', "caso per caso" e "complessiva" degli elementi disponibili.

La Cassazione aveva escluso la rilevanza della circostanza legate alla persona e al tempo, concentrando la propria attenzione alle sole circostanze di luogo, considerando il luogo dove si trova l'agente nel momento in cui consegue il profitto e che, a giudizio della S.C. «possiede una caratteristica peculiare, che è quella costituita dalla distanza che esso ha rispetto al luogo ove si trova l'acquirente». Circostanza questa ben conosciuta dall'agente e della quale questi ha approfittato «poiché proprio la distanza tra il luogo di commissione del reato, ove l'agente si trova e il luogo ove si trova l'acquirente del prodotto on line – che ne abbia pagato anticipatamente il prezzo, secondo quella che rappresenta la prassi di simili transazioni – è l'elemento che consente all'autore della truffa di porsi in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima, di schermare la sua identità, di fuggire comodamente, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell'acquirente; tutti vantaggi che non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta comodità, se la vendita avvenisse de visu».

Per la S.C. la distanza tra i luoghi ove si trovano le parti contrenti – unitamente alla previsione di utilizzo di clausole contrattuali che prevedono il pagamento anticipato del prezzo del bene venduto – consentirebbe di ravvisare l'aggravante in oggetto, rappresentando la condotta nel suo insieme un quid pluris rispetto all'ipotesi di truffa semplice, individuabile nel solo fatto di fingere di vendere un bene che non si possiede o del quale non ci vuole in realtà privare.

Né varrebbe a escludere l'aggravante il fatto che l'acquirente, comprando un bene on line, si sarebbe volontariamente esposto ai rischi insiti in tale tipo di transazioni, in quanto si tratterebbe di una modalità di contrattazione ormai di sempre maggiore diffusività e che deve essere valutata tenendo conto del fatto che – in osservanza alla giurisprudenza formatasi su analoghe questioni – ai fini della sussistenza del reato di truffa, l'idoneità dell'artificio o raggiro non sarebbe esclusa dalla mancata diligenza della vittima (Cass. pen., Sez. II, n. 42941/2014). Principi affermati dalla S.C. nel caso specifico (avente a oggetto una vendita di cellulari on line su sito specializzato e con previsione di pagamento anticipato) «avuto riguardo alla segnalata, intrinseca debolezza della vittima nella precipua contrattazione truffaldina all'esame, posta in essere dall'agente anche attraverso l'utilizzo di noti siti Internet specializzati in vendite on line e fornendo agli acquirenti ogni idonea (quanto falsa) rassicurazione sulla bontà dell'affare».

Ponendosi in totale sintonia con la menzionata decisione del 2016, l'ordinanza del Gip di Brindisi sottolinea il fatto che le indagini espletate dalla Polizia Postale hanno permesso di identificare il titolare della carta postapay utilizzata per incamerare l'ingiusto profitto del reato di truffa e che dall'esame dell'estratto conto della citata carta, emerge che lo stesso giorno dell'accredito della somma versata dalla persona offesa (il profitto del reato di truffa), risultano accreditate somme analoghe, a conferma ulteriore della serialità o comunque, sistematicità dell'attività truffaldina posta in essere dalla titolare. Un elemento dal quale, a giudizio dell'organo giudicante, si deve desumere, anche il dolo del delitto di truffa e, in ogni caso, l'iniziale volontà di non adempiere da parte della persona che ha offerto in vendita il bene.

In tale prospettiva, al di là dell'individuazione del soggetto che abbia materialmente pubblicato l'annuncio e “condotto” le trattative – circostanze entrambe di non semplice accertamento, potendo la ricostruzione dei fatti portare a individuare con certezza l'account e il numero di telefono utilizzato – l'ordinanza sottolinea la rilevanza del «contributo causale offerto dal titolare del conto corrente utilizzato per incamerare il profitto ingiusto». Un soggetto sul cui conto o carta è inequivocamente accreditata una somma e che, come tale, deve porsi il problema (laddove non s'identifichi nell'autore delle condotte che hanno portato all'atto di disposizione patrimoniale) della causale “lecita” dell'accredito.

Decisivo, tuttavia, risulta il rilievo della serialità della condotta. Non solo da intendersi come reiterazione di una condotta criminosa analoga (fatto questo, che potrebbe anche essere di non semplice accertamento, specie laddove le stesse siano poste in essere da un soggetto incensurato e in un breve arco temporale) quando rispetto al fatto oggetto di accertamento. L'accredito sulla postepay indicate nell'annuncio– o comunicata in seguito – di somme in relazione all'acquisto di uno stesso bene (dato desumibile dall'identità della somma e dall'accredito in un brevissimo arco temporale), unitamente al fatto di rendersi non più reperibili immediatamente dopo la percezione delle somme stesse, devono ritenersi elementi univocamente indicativi dell'intenzione ab origine criminosa, ossia della volontà di conseguire il prezzo del bene senza avere intenzione di consegnarlo e addirittura senza mai averne avuta la disponibilità.

Il problema della competenza territoriale

Per completezza, è indispensabile completare il quadro sopra descritto con un breve cenno sul problema della competenza territoriale per il reato di truffa on line. Reato per il quale non sono applicabili (almeno allo stato) integralmente i principi applicabili per le frodi informatiche.

Come chiarito dalla S.C., il reato di frode informatica ha la medesima struttura e quindi i medesimi elementi costitutivi della truffa dalla quale si differenzia solamente perché l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema. Anche la frode informatica si consuma nel momento in cui l'agente consegue l'ingiusto profitto con correlativo danno patrimoniale altrui. (Cass. pen., Sez. VI, n. 3065/1999).

Nel caso delle truffe on line la S.C. (e, in particolare la Procura generale presso la S.C.) ha fornito indicazioni (in parte) differenti: quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie "postepay"), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (Cass. pen., Sez. II n. 14730/2017).

Come precisato nei Principali orientamenti della Procura Generale sulla risoluzione dei contrasti, al proposito, ai fini della determinazione della competenza, rileva:

  1. nei casi di pagamento a mezzo vaglia postale, il luogo ove il vaglia viene materialmente riscosso;
  2. nei casi di pagamento a mezzo bonifico, il luogo ove ha sede la filiale presso la quale l'autore della condotta ha acceso il conto corrente su cui sono state accreditate le somme tramite bonifico bancario;
  3. nei casi di pagamento a mezzo ricarica di carta prepagata (postepay e simili), e nove detta carta sia "appoggiata" su un conto corrente bancario o postale, il luogo ove hanno sede la filiale della banca o l'ufficio postale presso il quale stato acceso il conto medesimo;
  4. nei casi di pagamento a mezzo ricarica di carta prepagata (postepay e simili), e ove detta carta non sia "appoggiata" ad alcun conto corrente, il luogo ove hanno sede l'ufficio o l'esercizio commerciale presso il quale la carta prepagata è stata attivata (identificabile attraverso il cd. codice univoco della carta).
In conclusione
  • A fronte della mancata spedizione di un bene acquistato on line, occorre verificare se si tratti di mero inadempimento contrattuale o truffa.
  • La condotta di cui all'art. 640 c.p., può essere individuato laddove sia provata un'intenzione “ ab origine” ingannatoria.
  • La prova di tale intenzione può essere desunta dalla condotta nel suo complesso e in particolare dell'accredito di somme analoghe, sul conto/carta, nel medesimo breve arco temporale.
  • In relazione al reato di truffa commesso attraverso vendite “on line”, può essere configurabile la circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, prevista dall'art. 61 n. 5 c.p., richiamata dall'art. 640, comma 2, n. 2-bis, c.p.

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