Furto al supermercato e dispositivo antitaccheggio: l'allontamento dai dicta delle Sezioni unite

Gianluca Bergamaschi
28 Febbraio 2019

La questione in esame è se solo il costante monitoraggio dell'azione furtiva da parte della persona offesa o del personale addetto del supermercato o della forze dell'ordine presenti, anche attraverso un sistema di videosorveglianza, con apposito intervento, possa impedire il consolidarsi di un possesso autonomo in capo all'agente...
Massima

Integra il reato di furto consumato la condotta di colui che prenda la merce dagli scaffali del supermercato e la occulti, per poi superare la barriera delle casse avviandosi all'uscita, non rilevando, ai fini della configurabilità del mero tentativo, che solo in quel momento sia visto e fermato dal personale addetto al controllo, in virtù dello scattare del segnale acustico attivato dal sensore di rilevamento del codice a barre posto sul prodotto.

Il caso

Il fatto è comune: il soggetto agente prelevò in un supermercato un hard disk e lo occultò, non prima, però, di aver eliminato dalla confezione un primo codice a barre antitaccheggio, sennonché ve n'era un secondo non visibile, che fece scattare l'allarme sonoro all'atto dell'attraversamento della cassa senza pagare.

Sia il tribunale (nel 2017) sia la Corte d'appello (nel 2018) condannarono l'imputato per furto aggravato consumato, ex art. 625, comma 1, n. 2, c.p.

Avverso la sentenza d'appello l'imputato interpose ricorso in Cassazione, lamentando l'inosservanza di quanto stabilito in materia dalla Cass. pen., Sez. unite, n. 52117/2014 e chiedendo la riqualificazione del fatto in furto tentato.

La Sezione IV, pur non prendendo espressamente le distanze dal predetto arresto apicale, nega il tentativo e riafferma la consumazione, sostenendo la diversità della situazione fattuale considerata, giacché, nel caso di specie, mancò il monitoraggio continuo da parte del personale addetto, intervenuto solo a seguito dell'attraversamento della barriera delle casse e dello scattare dell'allarme sonoro, cosicché ritiene realizzato il, pur momentaneo, conseguimento della piena disponibilità della refurtiva in capo al soggetto agente.

La questione

La questione in esame è se solo il costante monitoraggio dell'azione furtiva da parte della persona offesa o del personale addetto del supermercato o della forze dell'ordine presenti, anche attraverso un sistema di videosorveglianza, con apposito intervento, possa impedire il consolidarsi di un possesso autonomo in capo all'agente, con il relativo configurarsi del mero tentativo; ovvero tale effetto possa determinarsi anche quando i beni esposti in offerta siano muniti di dispositivi che consentano un controllo strumentale mediante i vari apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, come i sensori e le placche antitaccheggio.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, fino al 2014, la giurisprudenza maggioritaria propendeva per la consumazione del furto ogniqualvolta il soggetto agente avesse superato la cassa senza pagare, indipendentemente dal fatto che, sino a quel momento, fosse o meno sotto una qualche sorveglianza; anzi, secondo la sentenza più risalente, il furto si sarebbe già consumato anche senza superamento delle casse, ove la merce fosse, in qualsiasi modo, occultata (Cass. pen., Sez. II, n. 938/1666, Delfino; Cass. pen., Sez. II, n. 2088/1974, Mucci; Cass. pen., Sez. IV, n. 7235/2004, Coniglio; Cass. pen., Sez. II, n. 48206/2011, Pezzuolo; Cass. pen., Sez. V, n. 25555/2012, Magliulo; Cass. pen., Sez. V, n. 41327/2013, Caci; Cass. pen., Sez. V, n. 8395/2013, La Cognata; Cass. pen., Sez. V, n. 1701/2013, Nichiforenco; Cass. pen., Sez. VII, n. 6832/2013, Pulsoni; Cass. pen., Sez. V, n. 677/2013, Flauto; Cass. pen., Sez. IV, n. 8079/2013, Molinari; Cass. pen., Sez. IV, n. 7062/2014, Bergantino).

Questi arresti ritenevano che tale azione fosse sufficiente a privare la persona offesa della detenzione della res, stante la necessità di attivarsi per recuperarla, determinando così per ciò solo l'impossessamento dell'agente; a nulla rilevando, del resto, né l'eventuale sorveglianza, in quanto estranea alla condotta dell'agente, né l'eventuale intervento degli addetti, collocandosi esso in una fase post delictum.

L'orientamento minoritario, che è venuto, però, guadagnando sempre più consensi nel tempo, sostiene, invece, la configurabilità del mero tentativo in caso di osservazione dell'azione furtiva da parte della persona offesa o del suo personale, così come in caso di controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, come sono i sensori e le placche antitaccheggio (Cass. pen., Sez. V, n. 398/1992, De Simone; Cass. pen., Sez. V, n. 11947/1992, Di Chiara; Cass. pen., Sez. V, n. 837/1992, Zizzo; Cass. pen., Sez. V, n. 3642/1999, Imbrogno; Cass. pen., Sez. IV, n. 31461/2002, Carbone; Cass. pen., Sez. IV, n. 24232/2006, Giordano; Cass. pen., Sez. V, n. 11592/2010, Finizio; Cass. pen., Sez. V, n. 21937/2010, Lazaar; Cass. pen., Sez. IV, n. 38534/2010, Bonora; Cass. pen., Sez. V, n. 7042/2010, D'Aniello; e, in tema di rapina impropria, Cass. pen., Sez. II, n. 8445/2013, Niang).

L'idea alla base di tale indirizzo è che la perdurante possibilità d'intervento immediato della persona offesa a tutela della sua detenzione, impedisca la consumazione, la quale avviene solo con l'impossessamento mediante sottrazione, sicché, conservandosi il bene nella sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo, egli non è privato della “signoria sulla cosa”, per cui l'agente non acquisisce mai l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva.

Come è noto, poi, la Cass. pen., Sez. unite, n. 52117/2014 (seguita pedissequamente dalla Cass. pen., Sez. IV, n. 27151/2016) ha sposato questo secondo orientamento, tacciando il primo di “anacronismo”, in quanto sostanzialmente fondato sulla “teoria della amotio” recepita dall'art. 402 del codice Zanardelli del 1889, in cui si faceva espresso riferimento al fatto che la cosa dovesse essere tolta dal luogo di allocazione, ed appositamente espunta dal Codice in vigore, che introdusse il criterio personale o funzionale della sottrazione, eliminando quello c.d. spaziale.

Inoltre, le Sezioni unite confutano le principali argomentazioni a suffragio della consumazione, ossia che la sorveglianza non impedisca l'evento e che, al pari del recupero, sia estranea all'azione delittuosa; giacché, la prima, assume in premessa ciò che deve essere dimostrato, ossia la perdita del bene in capo all'offeso, la seconda, invece, trascura che il tentativo è caratterizzato proprio dalla mancata verificazione dell'evento per cause indipendenti dalla volontà dell'agente, ossia estranee a esso.

Infine, la Corte apicale ritiene che la conclusione optata sia confortata anche dall'oggetto giuridico del reato alla luce del principio di offensività, in base al quale la distinzione tra consumazione e tentativo, si fonda sulla compromissione dell'interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice, che non si produce laddove non vi sia anche la completa, benché istantanea, rescissione della signoria del detentore sul bene.

In forza di ciò le Sez. unite hanno sancito il seguente principio di diritto:

«Il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell'ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l'agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo».

Osservazioni

Alla luce di ciò, appare vistoso il tentativo della sentenza in commento di fare rivivere o sopravvivere l'orientamento cassato dalle Sez. unite, pur se in modo surrettizio, giacché l'arresto non si colloca in una posizione di espresso dissenso ma semplicemente in una condizione trasgressiva di fatto.

Non è chi non veda, infatti, come il presupposto da cui la sentenza parte, sia destituito di ogni fondamento, giacché non è assolutamente vero che il fatto considerato, così come emergente dagli atti, non rientri nella previsione del dictum del Collegio apicale.

La sentenza, infatti, è chiamata a giudicare una sottrazione non riuscita, ossia non sfociata in stabile possesso autonomo, unicamente per effetto di un tipo di dispositivo antitaccheggio costituito da un codice a barre collegato a un sensore che fa scattare un allarme sonoro al passaggio, il quale altro non è che un sistema di controllo strumentale mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, ossia esattamente uno dei modi di sorveglianza espressamente indicati dalla Sez. unite come idonei a impedire la consumazione.

Per, poi, tacere della chiara distonia con la ratio della discriminazione tra tentativo e consumazione, indicata dal Supremo Collegio, giacché, se quello che conta è l'interesse protetto, allora mai si potrà considerare consumato il furto, fintanto che il soggetto agente ed il bene restino nell'area signoreggiata, in qualsiasi modo, dalla persona offesa in tempo reale, se e in quanto ciò consenta a quest'ultima d'intervenire immediatamente a tutela dell'interesse stesso.

Lo “smarcamento” della sentenza in commento, appare, quindi, sconfortante, non solo per il goffo tentativo di non palesare la sua eterodossia rispetto alle SS.UU., ma pure perché rappresenta una tappa ulteriore, e per certi versi estrema, del patente fallimento della funzione nomofilattica della Cassazione, persino quando essa intervenga a SS.UU. (nel caso di specie, invero, non solo la Sezione semplice, ma tutta la filiera di merito si è tranquillamente discostata dall'insegnamento di legittimità).

Gli è che forse non è più rinviabile un apposito intervento normativo, anche a livello costituzionale, il quale preveda e disciplini la vincolatività generale dei principi di diritto sanciti dalla Cassazione a SS.UU., modificando in questo senso l'art. 101, comma 2, Cost., che oggi prevede la soggezione del giudice solo alla legge, ed elaborando un'apposita normativa ordinaria complementare che ne regoli la concreta dinamica in seno al procedimento.

Solo cosi, forse, potrà ricostituirsi, almeno in parte, quella chimera che è ormai la certezza del diritto, la cui assenza, unitamente ad altre forme di frantumazione giuridica, rappresenta uno dei principali problemi qualitativi, teorici e pratici, del nostro ordinamento giuridico, il quale si pone ormai ai limiti, se non oltre, dell'autentico Stato di diritto.

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