Richiesta di comparire all'udienza de libertate da parte dell'indagato detenuto. La rigorosa interpretazione della S.C.

11 Marzo 2019

La questione affrontata dalla Cassazione con la sentenza in commento è la seguente: entro quale termine l'indagato/imputato sottoposto a misura cautelare detentiva può chiedere di esercitare il proprio diritto di partecipare personalmente all'udienza camerale de libertate?
Massima

Nel contesto di una procedura scandita da ritmi serrati come quella delineata dall'art. 309 c.p.p., tale rigorosa disposizione (art. 309, comma 6, c.p.p.) riveste una sua precisa coerenza, in quanto appare finalizzata a dirimere ogni incertezza, eliminando la relativa discrezionalità in capo ai giudici de libertate, in ordine alla individuazione della concreta nozione di “tempestività” (della richiesta a comparire), sulla quale la giurisprudenza di questa Corte è stata, finora, costretta a intervenire per individuare il punto di bilanciamento tra diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l'esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell'imputato maliziose o non giustificate.

Il caso

Il difensore di Tizio ha proposto richiesta di riesame al tribunale di Palermo avverso l'ordinanza emessa dal Gip di Agrigento che aveva applicato al proprio assistito la custodia cautelare in carcere per vari delitti, fra i quali quello di tentato omicidio. A seguito della fissazione dell'udienza camerale davanti al tribunale del riesame di Palermo, l'indagato, con dichiarazione resa alla'ufficio matricola della casa circondariale di Sciacca, aveva espresso la propria volontà di essere presente all'udienza. Il Presidente del tribunale aveva negato la traduzione dell'indagato e, all'esito dell'udienza camerale, la richiesta di riesame era stata rigettata.

La difesa di Tizio ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del tribunale del riesame, richiedendone l'annullamento, in quanto la mancata traduzione all'udienza camerale dell'indagato aveva determinato la nullità assoluta ed insanabile del giudizio camerale e del conseguente provvedimento per violazione degli artt. 178, lett. c) e 179 c.p.p..

In motivazione:

«[…] la mancata traduzione di […] all'udienza davanti al tribunale del riesame di Palermo fu conseguenza di un decreto del Presidente, motivato sulla circostanza che la relativa richiesta non era stata avanzata nell'ambito della richiesta di riesame, ma successivamente ad essa.

In effetti, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 6), così come modificato dalla l. 47 del 2015, con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l'imputato può chiedere di comparire personalmente.; ai sensi del comma 8-bis, l'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente.

Numerose sentenze di questa Corte successive alla riforma hanno stabilito il principio per cui nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, il soggetto sottoposto a misura privativa o limitativa della libertà personale, che intenda esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale ai sensi dell'art. 309,comma 8-bis,c.p.p., deve formularne istanza, personalmente o a mezzo del difensore, nella richiesta di riesame (da ultimo, Cass. pen., Sez. II, 15 gennaio 2018, n. 12854, Mirenda), in quanto non sono più applicabili le disposizioni di cui all'art. 127 c.p.p., comma 3 e art. 101 disp. att. c.p.p., che prevedono il diritto dell'interessato detenuto o internato fuori circondario ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (Sez. I, n. 49882 del 6/10/2015 – dep. 17/12/2015. Pernagallo, Rv. 265546).

[…] la novità normativa si innesta in un sistema precedentemente regolato dall'art. 309 c.p.p., comma 8, mediante rinvio alle disposizioni dell'art. 127 dello stesso codice, che disegna un modello generale a partecipazione non necessaria: in tale modello, l'interessato ha diritto ad essere sentito se compare, mentre, qualora sia detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione e ne fa richiesta, ha diritto di essere sentito prima dell'udienza camerale dal magistrato di sorveglianza del luogo (art. 127, comma 3, c.p.p.).

Quanto allo specifico profilo della necessaria tempestività della richiesta di traduzione, si è posto in evidenza che essa non deve pregiudicare la celerità del procedimento e che la sua presentazione deve avvenire nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell'avviso della data fissata per l'udienza camerale dinanzi al tribunale (Cass. pen., Sez. VI, n. 42710/2011, Ventrici; Cass. pen., Sez. II, n. 20883/2013, Campo). A tal proposito, si è precisato che, in considerazione della peculiarità della procedura di riesame, caratterizzata dalla ristrettezza dei tempi e dalla rilevanza determinante della loro osservanza ai fini dell'efficacia stessa della decisione, solo tale ragionevole immediatezza (che dovrà essere oggetto di specifica argomentazione dove necessario) individua il punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l'esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell'imputato maliziose o non giustificate (n. 42710/2011 cit.).

In tale contesto, dunque,sono intervenute le modifiche normative in esame, il senso delle quali sembra quello di affermare, in modo inequivoco, il diritto del ricorrente di comparire all'udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto; la possibilità di esercitare tale diritto, peraltro, risulta strettamente correlata, per l'impugnante detenuto o internato, alla formulazione della richiesta nell'atto di riesame».

La Corte di cassazione ha, quindi, dichiarato inammissibile il ricorso.

La questione

La questione in esame è la seguente: entro quale termine l'indagato/imputato sottoposto a misura cautelare detentiva può chiedere di esercitare il proprio diritto di partecipare personalmente all'udienza camerale de libertate?

Le soluzioni giuridiche

Il diritto della persona sottoposta a procedimento penale di poter partecipare personalmente alle varie fasi del processo è garantito sia dall'art. 111 della Costituzione che dai trattati internazionali (art. 6 Cedu, art. 48 Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea), tanto che il codice di rito prevede la nullità del giudizio ogni volta che tale diritto venga violato (artt. 178 lett. c) e 179 c.p.p.).

Anche nel giudizio de libertate davanti al tribunale del riesame l'imputato/indagato ha diritto a comparire personalmente.

Prima della legge 47/2015, si distingueva fra il detenuto (o internato) nell'ambito della circoscrizione del tribunale del riesame (distretto di Corte d'appello) e quello ristretto fuori da tale ambito. Previa la necessità, in entrambi i casi, di espressa richiesta, il primo aveva diritto a essere tradotto davanti al tribunale del riesame, il secondo, in applicazione di quanto disposto dagli artt. 309, comma 8, 127, comma 4, c.p.p. e art. 101, comma 2, disp. att. c.p.p. aveva diritto di essere sentito dal Magistrato di sorveglianza del luogo, all'uopo delegato. In entrambi i casi, la giurisprudenza maggioritaria prevedeva che la mancata traduzione comportasse la nullità assoluta ed insanabile del relativo giudizio, senza che da ciò derivasse, tuttavia, la perdita di efficacia della misura (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 21849/2015, Farina; Cass. pen., Sez. VI, n. 44415/2013, Blam; Cass. pen., Sez. unite, n. 35399/2010, F.). Alcune pronunce subordinavano il diritto del detenuto fuori distretto di presenziare alla necessità che la relativa richiesta contenesse la «manifesta volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta» (Cass. pen., Sez. II, n. 6023/2014, Di Tella). Come si legge nella sentenza in commento, la richiesta di traduzione doveva, comunque, intervenire tempestivamente, ovvero nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell'avviso della data fissata per l'udienza camerale.

L'intento espresso della riforma del 2015 è stato quello di restituire centralità ai diritti dell'individuo, strettamente connesso con l'obiettivo di rendere residuale il ricorso alla carcerazione preventiva. In tale prospettiva, sono stati modificati i commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p., prevedendo espressamente che il soggetto sottoposto a misura cautelare, anche detenuto fuori distretto, possa chiedere di comparire personalmente e debba essere tradotto dinanzi al tribunale del riesame. Il comma 6, recita: «Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione e l'imputato può chiedere di comparire personalmente», mentre il successivo comma 8-bis, prevede: «Il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura può partecipare all'udienza in luogo del pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7. L'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente». Le norme non indicano obblighi né decadenze ma esprimono facoltà e diritti. Si dovrebbe ritenere che se la richiesta sia stata avanzata con la richiesta di riesame, sussista una presunzione di tempestività della stessa e il conseguente diritto alla traduzione sia assicurato. In difetto, tuttavia, dovrebbe poter residuare in capo al giudice la possibilità di valutare, caso per caso, la tempestività in concreto della richiesta rispetto all'organizzazione della traduzione, nel rispetto dei tempi serrati della procedura.

Secondo i primi commentatori della riforma tali statuizioni avrebbero, infatti, dovuto risolvere in maniera tranchant il contrasto esistente in Cassazione circa l'esistenza e l'ampiezza del diritto del detenuto o internato fuori distretto di presenziare, su sua richiesta, nei termini e modi previsti dalla nuova norma, all'udienza dinanzi al tribunale della libertà. In tale ipotesi (ma non in senso assoluto…), non avrebbe più, trovato applicazione, l'art. 127 c.p.p., commi 3 e 4. «Il senso delle nuove disposizioni sembra essere quello di affermare, in modo inequivoco, il diritto del ricorrente di comparire all'udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto; la possibilità di esercitare tale diritto, peraltro, appare strettamente correlata, per l'impugnante detenuto o internato, alla formulazione della relativa richiesta nell'atto di riesame» (cfr. V. Pazienza, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, Relazione dell'Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, n. III/03/2015, pag. 26)

La sentenza in commento, seguendo l'orientamento già tracciato dalle precedenti pronunce, ivi citate, giunge, invece, per ragioni espressamente ricondotte all'esigenza dell'osservanza dei tempi ristretti della procedura, a generalizzare la necessità che la richiesta di comparire venga formulata con la presentazione dell'atto di riesame per tutti i detenuti, indistintamente, siano essi nell'ambito o fuori dal distretto del tribunale del riesame competente. Nel caso di specie, infatti, il soggetto sottoposto a misura cautelare era ristretto presso la casa circondariale di Sciacca, ricompresa nell'ambito del circondario (distretto di Corte d'appello) del tribunale del riesame di Palermo. Secondo la Corte, nella massima evidenziata, infatti: «nel contesto di una procedura scandita da ritmi serrati come quella delineata dall'art. 309 c.p.p., tale rigorosa disposizione (art. 309, comma 6, c.p.p.) riveste una sua precisa coerenza, in quanto appare finalizzata a dirimere ogni incertezza, eliminando la relativa discrezionalità in capo ai giudici de libertate, in ordine alla individuazione della concreta nozione di “tempestività” (della richiesta a comparire), sulla quale la giurisprudenza di questa Corte è stata, finora, costretta a intervenire per individuare il punto di bilanciamento tra diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l'esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell'imputato maliziose o non giustificate». Anche in questo caso, i diritti e le garanzie vengono piegate alle esigenze di efficienza e celerità processuali.

Ma non basta. Si giunge ad affermare, in spregio alla centralità del diritto dell'imputato di comparire personalmente al processo, quale espressione ed esecuzione del principio del giusto processo sancito anche dall'art. 6 Cedu e dalla relativa giurisprudenza, che tale opzione ermeneutica non comporterebbe alcuna lesione ai diritti di difesa dell'imputato/indagato. Il diritto di difesa sarebbe, infatti, già sufficientemente assicurato dalla possibilità di rendere dichiarazioni in sede d'interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p., considerato atto di natura eminentemente difensiva rispetto alla successiva, solo eventuale, partecipazione dell'indagato all'udienza di riesame. La scelta legislativa, pertanto, non avrebbe ignorato che prima della proposizione della richiesta di riesame vi sia già stato un contatto tra l'indagato ed il proprio difensore (all'udienza di convalida dell'arresto o del fermo o in sede d'interrogatorio di garanzia dopo l'esecuzione dell'ordinanza cautelare non preceduta da arresto in flagranza o fermo) e che la relativa richiesta di comparire possa essere inserita dal difensore “tecnico” nell'istanza di riesame.

Osservazioni

Come evidenziato, la sentenza non presenta alcun elemento di novità, dal momento che gran parte dell'apparato argomentativo è ripreso da una delle prime pronunce rese dalla medesima Sezione all'indomani dall'entrata in vigore della novella del 2015 (Sez. I, n. 49882 del 6 ottobre 2015, anch'essa relativa ad un detenuto nell'ambito del medesimo distretto del tribunale del riesame); purtroppo duole constatare che l'originario indirizzo non ha subito contrasti ed è andato consolidandosi.

L'interpretazione giurisprudenziale sembra aver tradito, di fatto, lo spirito riformatore della legge 47/2015, volto al rafforzamento delle garanzie di partecipazione del soggetto sottoposto a misura cautelare.

Intervenendo sui commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p., il legislatore ha voluto parificare la posizione del detenuto fuori distretto, rispetto a quello del detenuto nell'ambito del distretto in cui ha sede il competente tribunale del riesame, garantendogli la possibilità di poter comparire e rendere dichiarazioni davanti a tale giudice invece che al magistrato di sorveglianza. Come è stato giustamente osservato dalla Dottrina, per quanto il riferimento alla persona dell'imputato, senza specificazione alcuna, possa legittimare conclusioni decisamente e pericolosamente diverse (quali quelle in commento ), l'esame dei lavori preparatori consente di ritenere che il legislatore abbia inteso far riferimento solo alla condizione dell'imputato detenuto fuori distretto, escludendo che si possa ipotizzare l'equiparazione della trasmissione di un verbale da parte del magistrato di sorveglianza all'audizione effettuata dal giudice chiamato a decidere de libertate. Ovviamente, la traduzione di un detenuto fuori distretto, rispetto alle esigenze di celerità del rito, richiede una maggiore e tempestiva organizzazione, da qui l'esigenza di prevedere che la relativa istanza, solo se presentata contestualmente alla richiesta di riesame, garantisca sempre, anche al detenuto fuori distretto, il diritto a comparire. Non pare, invece, condivisibile prevedere una generalizzata decadenza da tale fondamentale diritto, sempre e comunque, allorché tale modalità non venga rispettata, soprattutto per il detenuto nell'ambito del distretto, stante il minor sforzo organizzativo richiesto per la sua traduzione, laddove, peraltro, vi sia in concreto la possibilità pratica di assicurare la sua presenza in udienza; la lettura rigorosa della norma proposta dalla Giurisprudenza comporterebbe, per il detenuto nell'ambito del distretto, un trattamento peggiore rispetto a quello ante riforma. La novella non è, peraltro, intervenuta né sul comma 8 dell'art. 309 c.p.p., nè sull'art. 101 disp. att. c.p.p., la cui previsione dovrà necessariamente coordinarsi con i novellati commi 6 e 8 – bis dell'art. 309 c.p.p.. Parrebbe, pertanto, legittimo e certamente garantista poter ritenere che qualora il detenuto fuori distretto non presenti richiesta di comparizione dinanzi al tribunale del riesame contestualmente all'istanza di riesame, ben possa residuargli il diritto ad essere, comunque, ascoltato alle condizioni indicate dall'art. 101, comma 2 disp. att. c.p.p., ovvero, dal magistrato di sorveglianza, così come previsto anche in precedenza.

La soluzione Giurisprudenziale, fondata sul dato letterale (certamente “non felice” e che, come detto, resta scoordinato rispetto ad altre norme non abrogate) non convince. L'art. 309, comma 6 c.p.p. non ricollega il diritto dell'imputato di chiedere di comparire personalmente alla sua condizione detentiva, pertanto, l'interpretazione letterale offerta potrebbe portare all' ulteriore paradossale conseguenza per la quale anche il soggetto raggiunto da misura coercitiva, non carceraria, sarebbe costretto a dover formulare la richiesta di partecipazione con l'istanza di riesame, invece di poter partecipare, se compare, senza limite alcuno.

Non paiono, inoltre, condivisibili le argomentazioni della sentenza laddove ritiene che la rigorosa lettura delle norme in oggetto, non leda il diritto di difesa dell'indagato che sarebbe maggiormente assicurato in sede d'interrogatorio di garanzia, e, comunque, dal previo contatto con il difensore e dalla possibilità che sia questi a presentare istanza di riesame. La tesi non tiene in debito conto delle difficoltà del soggetto colpito da misura cautelare e del suo difensore, di poter comprendere la vicenda processuale ed organizzare una compiuta ed efficace difesa negli strettissimi tempi dell'interrogatorio di garanzia dove, spesso, sarà più vantaggioso avvalersi della facoltà di non rispondere rimandando proprio alla successiva, seppur sempre contratta, fase del riesame la possibilità di meglio esplicare il diritto di difesa, potendo anche enunciare nuovi motivi di gravame all'udienza stessa.

Guida all'approfondimento

N. D'Ascola, in Atti parlamentari, Senato della Repubblica, XVII legislatura, Aula res.sten. seduta 1.04.15;

P. Borrelli, Una prima lettura delle novità della legge47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in www.penalecontemporaneo.it;

K. La Regina, Partecipazione all'udienza del riesame: scelta del detenuto o del giudice?, in DPP 2005, pagg. 1132 e ss;

E. Marzaduri, Verso una maggiore tutela dell'imputato nel procedimento di riesame: luci ed ombre della nuova disciplina, in Studi, Commento alla l. 47/2015, www.lalegislazionepenale.eu;

V. Pazienza, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, Corte di Cassazione, Ufficio del massimario, Rel. N. III/03/2915;

P. Spagnolo, Il tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano 2008;

G. Spangher, Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la l. n. 47 del 2015, in www.penalecontemporaneo.it, 6.07.15,5;

Corte Cost. sent. n. 45/199;

Cass. S.U., F, 24.06.2010, in CED Cass. m.247836.

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