Indagini difensive. Natura ed effetti degli atti redatti dal difensore ex artt. 391-bis e -ter c.p.p.

14 Marzo 2019

Con la sentenza in commento, il giudice di legittimità ha ritenuto di doversi soffermare sulla disciplina legislativa codificata circa la natura e le modalità delle investigazioni condotte dal difensore, con particolare riguardo alla documentazione dei risultati conseguiti.
Massima

L'atto redatto dal difensore, ex art. 391-bis e 391-ter c.p.p., ha la stessa natura e gli stessi effetti processuali del corrispondente verbale redatto dal pubblico ministero e può ritenersi nullo solo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione dell'Avvocato o del sostituto che lo ha redatto, e non anche se l'informatore dichiarante non ha sottoscritto l'atto foglio per foglio.

Il caso

L'imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello, confermativa di quella di condanna emessa in primo grado dal giudice preliminare in esito al giudizio abbreviato per il reato continuato di violenza sessuale, lamentando in sintesi la violazione degli artt. 391-bis e 391-ter c.p.p.

Era accaduto che il difensore, dopo aver assunto e documentato le informazioni resegli in sede di attività investigativa da tre persone informate in quanto presenti all'accadimento dei fatti, aveva depositato i verbali nel fascicolo del P.M. e aveva quindi formulato in sede processuale la richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla acquisizione di tale materiale ai fini probatori.

Tuttavia entrambi i giudici del merito avevano ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni così raccolte dal difensore perché ciascuno dei verbali era risultato privo della sottoscrizione del dichiarante in ogni foglio, ma solo firmato in quello finale.

Per quanto qui rileva, il ricorrente, nel dolersi per la indicata violazione della legge processuale, ha osservato che nel codice di procedura penale non è rinvenibile una specifica previsione di nullità per il verbale che risulti sottoscritto solo in chiusura ancorché nelle altre pagine; tanto più, quando si è in presenza di verbali di dichiarazioni assunte nel corso di investigazioni dal difensore che secondo la giurisprudenza di legittimità quando documenta è da considerarsi pubblico ufficiale.

La questione

Per entrambi i giudici del merito, il dato formale della mancata sottoscrizione, da parte dei dichiaranti, in ciascuno dei fogli formanti l'atto, avrebbe determinato l'inutilizzabilità della prova in essi racchiusa.

Con la sentenza in commento, il giudice di legittimità ha anzitutto ritenuto di premettere all'esame del quesito posto con il ricorso per cassazione, un sintetico inquadramento della disciplina legislativa codificata circa la natura e le modalità delle investigazioni condotte dal difensore, con particolare riguardo alla documentazione dei risultati conseguiti.

A tal proposito, non ha mancato di richiamare il principio affermato nel 2006 dal collegio esteso (Cass. pen.,27 giugno 2006, n. 32006, Schera) secondo cui il difensore, pur essendo persona esercente un servizio di pubblica necessità per quanto espressamente previsto dall'art. 359 c.p., allorchè svolgendo investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore della persona difesa, ritiene di documentare e quindi utilizzare nel processo le informazioni resegli dalla persona in grado di riferirle, diviene pubblico ufficiale così operando; perciò se le verbalizza parzialmente o infedelmente, commette il delitto di falsità ideologica in atto pubblico.

Principio da ultimo ripreso dalla corte di cassazione qualificando in termini di falso materiale in atto pubblico il caso della contraffazione, attribuita al difensore redigente, della firma del dichiarante apposta in calce al verbale investigativo, falsificazione accertata in seguito alla utilizzazione dell'atto (Cass. pen., Sez. V, 17 febbraio 2017, n. 7615) .

Le soluzioni giuridiche

La Corte, affrontando il quesito posto dal ricorrente riafferma la equiparabilità – proprio alla luce della qualifica pubblicistica dell'operato del difensore e del relativo statuto penale che ne consegue - sul piano della valenza probatoria degli elementi di fonte dichiarativa acquisiti e introdotti nel processo dal difensore, a quelli raccolti dal pubblico ministero, naturalmente pubblico ufficiale.

Tuttavia, allorchè emerga la carenza, come rilevata nel caso di specie, della sottoscrizione del dichiarante in ogni foglio del verbale delle indagini difensive, occorre considerare che l'osservanza ai fini della documentazione delle dichiarazioni ricevute delle disposizioni contenute nel titolo III del libro secondo risulta prescritta per il difensore redigente dal terzo comma dell'art. 391-ter c.p.p. in quanto applicabili.

Pertanto il dato normativo dirimente viene individuato non già nella indicazione prescrittiva di cui all'art. 137 c.p.p., la cui inosservanza risulta priva di sanzione processuale, bensì nella disposizione contenuta nell'art. 142 c.p.p., circa la previsione della nullità dei verbali ai casi tassativi della incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto.

Alla stregua di tanto con la soluzione giuridica adottata nei termini di cui alla massima in epigrafe, è stata al contempo correttamente esclusa la ricorrenza di una ipotesi di nullità (peraltro, neppure prospettata nel corso del giudizio) dei verbali dichiarativi formati dal difensore e tempestivamente utilizzati versandoli in atti e, quindi, affermata come doverosa la valutazione da parte del giudice del merito, degli elementi probatori ricavabili dal contenuto degli stessi.

Valutazione, nel caso di specie, del tutto mancata in sede di merito perché apparentemente giustificata ricorrendo ad una erronea e fuorviante qualificazione di inutilizzabilità dei verbali, attribuita alla forma dell'atto ancorchè alla prova in esso documentata.

Perciò l'ineludibilità dell'annullamento con rinvio alfine disposto.

Osservazioni

Pur se trattasi di decisione condivisibile, sia quanto alla premessa concernente il corretto inquadramento nella irregolarità formale del difetto di sottoscrizione intermedia riscontrato in ciascuno dei verbali investigativi formati dalla difesa, sia quanto alla soluzione adottata nel decidere la questione di diritto posta dall'impugnante, tuttavia, il passaggio motivazionale concernente la riaffermazione della veste pubblica del difensore verbalizzante, in quanto collegata all'oggettività dell'atto e non alla funzione espletata dal privato redigente, pure se ancorata all'indirizzo espresso dalle Sezioni unite 2006 Schera, continua a non persuadere .

È anzitutto il caso di considerare che la formulazione del principio si deve ad una decisione del collegio esteso in relazione ad un contrasto sorto in seno alla giurisprudenza di legittimità (dalle risalenti Cass. pen., Sez. I, 9 ottobre 1964, De Angelis e Cass. pen., Sez. VI, 29 maggio 1996 n. 10973, Piersanti e sviluppatosi sino alle più recenti Cass. pen., Sez. II, 9 aprile 2002, n. 13952, Pedi; Cass., Sez. lavoro 16 aprile 2003, n. 6047; Cass. pen., Sez. V, 28 aprile 2005 n. 22496, Benvestito). Il contrasto oscillava tra la valorizzazione del dato soggettivo offerto dall'art. 359 c.p., per approdare all'applicabilità dell'art. 481 c.p. nel caso di verbalizzazione infedele da parte del difensore; così la considerazione della preminenza della c.d. concezione oggettiva offerta dalla natura pubblicistica dell'atto, indipendentemente dalla qualificazione privatistica di chi lo ha redatto, ha finito per costruire per via giurisprudenziale una nuova fattispecie di reato di falso in atto pubblico. Figura oltremodo occasionale, a tempo ed addirittura sottoposta alla condizione sospensiva che si verifichi l'uso processuale dell'atto in odore di falsità ideologica o materiale.

Principio di recente così riaffermato, peraltro in assenza di specifica analisi di alcune delle premesse giuridiche e del pur articolato ricorso sul punto dell'imputato, in tema di falsificazione materiale della sottoscrizione del dichiarante ad opera del difensore verbalizzante (Cass. Sez. V 17 febbraio 2017, n. 7615, C.P.) e quindi testualmente riprodotto dalla sentenza in commento.

Una prima incongruenza emerge dalla lettera e dalla stessa ratio degli artt. 476 e 479 c.p. Le figure del soggetto agente in entrambe le previsioni normative presuppongono la preesistenza della qualità di pubblico ufficiale in capo a colui che nell'esercizio delle sue funzioni forma l'atto.

Secondo SU 2006, invece, deve ritenersi l'acquisizione momentanea in capo al difensore, che indiscutibilmente è un soggetto privato, della veste di pubblico ufficiale allorché forma e poi utilizza il verbale nel quale trasfonde le informazioni ricevute ai sensi degli artt. 391-bis e -ter del codice di rito.

Nel secondo caso l'acquisto della funzione si è preteso di fissarla in capo al difensore addirittura a posteriori, collegandola al momento in cui risulta avvenuta la utilizzazione dell'atto nel processo.

Se il difensore decide di non optare per tale uso, la natura giuridica dell'atto risulterebbe relegata in un limbo non ben definito tra scrittura privata e certificazione da parte dell'esercente un servizio di pubblica utilità.

E tanto dipenderebbe addirittura dall'esercizio nel tempo futuro di un potere dispositivo circa la destinazione dell'atto che è falso sin dal momento del confezionamento.

Una seconda incongruenza affiora allorché si ha riguardo al collegamento della rilevanza giuridica del falso al momento della presentazione al giudice o al pubblico ministero, secondo le modalità e le scansioni previste dall'art. 391-octies c.p.p. .

Pur dovendo ritenersi ex post l'atto come ideologicamente falso che tale è ab imis, tuttavia, secondo il collegio esteso ciò non sarebbe rilevante «non potendovi essere falsificazione ideologica punibile fino a quando l'atto rimane nell'ambito della facoltà di disposizione dell'agente».

E ancora, ponendo come condivisibile l'asserto valorizzato dalla più volte richiamata decisione secondo cui la legge penale tutela il documento non per il suo contenuto e la sua validità intrinseca ma per la sua funzione attestativa e per le sue attitudini probatorie, come sarebbe possibile al contempo ritenere che una tutela siffatta non operi ab imis, ma sopravvenga solo con l'uso che, come ben noto, è un postfatto rispetto alla pacifica istantaneità del delitto di falso sia nella forma materiale che, soprattutto, in quella ideologica?

Forse la soluzione ritenuta “innovativa” apprestata nel 2006 dalle Sezioni unite del Supremo Collegio in quanto premurosamente costruita al fine di prevenire un possibile “contrasto potenziale” nella evoluzione giurisprudenziale in fieri,meriterebbe oggi di essere rimeditata, anche partendo dalla considerazione del dato normativo offerto dall'art. 391-ter, comma 3, c.p.p. che, per la documentazione dei verbali di investigazione difensiva impone al difensore redigente di osservare le disposizioni contenute nel titolo III del libro secondo, in quanto applicabili.

Al contempo, non trascurando la pur grave sanzione di inutilizzabilità della prova così formata in violazione delle disposizioni poste a presidio della genuinità della stessa, va osservato come la predetta violazione, in disparte dalla responsabilità penale per avere certificato come vero un atto falso, esponga comunque il difensore - su segnalazione dell'organo giurisdizionale che procedendo la rilevi - a quella disciplinare ed alle relative e non trascurabili sanzioni amministrative comminabili sul versante professionale.

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