La cartella clinica fonte di obblighi e responsabilità per l'operatore sanitario

15 Marzo 2019

Attraverso un'attenta analisi della responsabilità medica nascente dalla redazione e conservazione della cartella clinica, con il presente elaborato si è voluto evidenziare il sorgere del diritto al risarcimento del danno facente capo al paziente anche nel caso in cui l'operatore sanitario provveda ad effettuare aggiunte e modificazioni al solo scopo di renderlo più aderente possibile alla realtà dei fatti.
Introduzione

Attraverso un'attenta analisi della responsabilità medica nascente dalla redazione e conservazione della cartella clinica, con il presente elaborato si è voluto evidenziare il sorgere del diritto al risarcimento del danno facente capo al paziente anche nel caso in cui l'operatore sanitario provveda ad effettuare aggiunte e modificazioni ad un documento da considerarsi già definito al solo scopo di renderlo più aderente possibile alla realtà dei fatti. Ciò giustifica una rilevanza determinante della cartella clinica non solo dal punto di vista informativo ma anche probatorio, nel caso in cui si ravvisi una qualsivoglia responsabilità per l'operatore sanitario riconducibile alla difettosa tenuta e conservazione della cartella clinica stessa. In alcuni casi, infatti,tali comportamenti possono integrare fattispecie criminose, come ad esempio la falsità in atto pubblico ex artt. 476 e 479 c.p. Sul punto la stessa giurisprudenza di legittimità, con recenti pronunce, ha più volte affermato l'esistenza di un nesso eziologico presunto tra la condotta omissiva del medico, in riferimento alla corretta compilazione della cartella clinica, ed il danno patito dal paziente.

La Suprema Corte ha precisato che costituisce obbligo del medico ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell'esecuzione delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale (ex art. 1176 c.c.), controllare la completezza ed esattezza delle cartelle cliniche e dei referti ad esse allegati (Cass. civ., 26 gennaio 2010 n. 1538; Cass. civ., 18 settembre 2009 n. 20101).

La cartella clinica assurge dunque ad atto pubblico ed il medico responsabile della sua corretta compilazione, tenuta e conservazione, assume la qualifica di pubblico ufficiale qualora operi nell'ambito di una struttura sanitaria pubblica o convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano giuridico.

La cartella clinica: natura giuridica

Prima di compiere un esame disciplinare della cartella clinica, è utile soffermarsi nell'analisi della natura giuridica di questo documento, utilizzato sia in ambienti ospedalieri convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale e sia in strutture private.

Giuridicamente, la cartella clinica può definirsi come un atto pubblico solo nel caso in cui venga redatta da un pubblico ufficiale, e quindi da un medico operante all'interno di una struttura ospedaliera pubblica o privata purché convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale. Qualora l'operatore intervenga all'interno di una struttura privata, la cartella clinica dovrà considerarsi alla stessa stregua di un qualsiasi documento privato, il quale avrà sic et simpliciter la sola funzione di promemoria di tutte le attività diagnostiche e terapeutiche alle quali si è sottoposto il paziente durante la degenza ospedaliera.

È chiaro, quindi, che nel caso in cui la cartella clinica possa definirsi quale atto pubblico avente fede privilegiata, poiché formata da un pubblico ufficiale od incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni, farà piena prova fino a querela di falso di tutto ciò che è in essa contenuto.

Data l'importanza che assume la cartella clinica in relazione alla raccolta di tutti i dati riguardanti il paziente (anamnesi, decorso clinico, terapie somministrate) si richiede un certo grado di completezza, chiarezza, contestualità nelle annotazioni e soprattutto veridicità.

Pertanto, al fine di soddisfare le esigenze sopra specificate, è indispensabile che il documento sanitario sia leggibile e comprensibile oltreché completo in ogni sua parte, in modo tale da assolvere alle usuali funzioni informative sia per il medico ospedaliero ed il personale infermieristico, sia per il medico di medicina generale nei confronti del quale la cartella clinica funge da importante veicolo di informazione in ordine agli interventi eseguiti e gli obiettivi raggiunti in relazione al decorso clinico di ogni paziente.

Assume fondamentale importanza la parte della cartella clinica dedicata alla tutela della privacy ed al consenso informato. Per tutto ciò che riguarda il primo aspetto, l'obiettivo è di tutelare e gestire i c.d. dati sensibili del paziente rispettandone la riservatezza, per limitarne l'uso al solo scopo cui è diretta l'attività degli operatori sanitari: diagnostico e terapeutico. Per quanto riguarda invece il c.d. consenso informato, è determinante la sua importanza in ambito sanitario, poichè rende legittimo l'intervento del medico una volta che il paziente sia stato esaustivamente informato in relazione ai rischi e benefici connessi ad una certa prestazione sanitaria. Resta sottinteso che un'eventuale assenza del consenso informato determina il sorgere di una responsabilità professionale e pretesa risarcitoria da parte del paziente nei confronti dell'operatore sanitario stesso.

Dalle predette argomentazioni, si può desumere che il medico non sarà da ritenersi responsabile solo in relazione ad una corretta compilazione della cartella clinica, ma anche in riferimento a tutto ciò che attiene alla sua corretta conservazione ed archiviazione.

La responsabilità del medico nella tenuta e conservazione della cartella clinica: smarrimento ed omissioni

Rappresenta dunque un onere incombente sul professionista sanitario controllare la completezza e l'esattezza delle informazioni contenute nella cartella clinica e nei relativi allegati, in attuazione di quanto previsto dall'art. 1176 c.c.

Pertanto, qualsiasi negligenza che denota un'inesatta conservazione della cartella clinica o che renda palese l'esistenza di eventuali omissioni e/o lacune nel contenuto della stessa, giustifica la nascita di una responsabilità professionale dell'operatore sanitario, fondata sull'esistenza di un nesso eziologico presente tra la condotta negligente del medico ed il danno che ne è conseguito al paziente. Sul punto la stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 12218 (Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015 n. 12218) ha affermato che: «l'incompletezza della cartella clinica assurge a circostanza di fatto che il Giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico ed il danno patito dal paziente essendo però, a tale fine necessario che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente, non possa essere accertata proprio a causa dell'incompletezza della cartella, sia che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a cagionarne il danno».

È bene precisare che esistono, allo stato, dei limiti in relazione all'esistenza di una responsabilità professionale del medico in termini di corretta e completa tenuta e conservazione della cartella clinica. Infatti, con ordinanza n. 18567 del 13 luglio 2018, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione pronunciandosi nuovamente in materia di smarrimento e di omessa tenuta della cartella clinica, ha ritenuto opportuno fare un distinguo tra l'obbligo di compilazione e quello di conservazione della cartella clinica.

Durante la permanenza del paziente nella struttura ospedaliera, il medico è tenuto ad una corretta conservazione della cartella clinica, ma tale obbligo si esaurisce nel momento in cui avviene la consegna della cartella clinica stessa all'archivio centrale; tale passaggio determina il trasferimento della responsabilità per omessa conservazione della cartella clinica dall'operatore sanitario alla struttura sanitaria.

È chiaro, quindi, che la presenza di eventuali vizi in relazione alla regolare e completa tenuta della cartella clinica non possono ricadere a pieno titolo sul medico stesso. Tutto ciò, seppur non esima l'operatore sanitario dall'assolvere all'onere probatorio dettato dal principio di vicinanza della prova, sicuramente lo mitiga.

I professionisti sanitari devono articolare le proprie difese chiedendo la disponibilità della cartella clinica alla struttura sanitaria di appartenenza, documento che deve essere stato redatto scrupolosamente e diligentemente per rappresentare una prova inconfutabile di corretto adempimento e assolvimento dei propri doveri professionali durante la presa in carico del paziente.

La cartella clinica: quale responsabilità penale per il medico certificatore?

I casi più ricorrenti di responsabilità penale del medico, possono ricondursi principalmente a due ipotesi di reato previste e disciplinate dal nostro Codice Penale e cioè la fattispecie criminosa della contraffazione e quella dell'alterazione della cartella clinica. La redazione di una cartella clinica da parte di una persona diversa da quella cui spettava realizza la fattispecie criminosa di contraffazione della cartella clinica. In tale circostanza, la condotta del sanitario pregiudica la stessa autenticità del documento impedendo di risalire all'autore della compilazione della stessa. Al contrario, l'alterazione del predetto documento sanitario, si realizza laddove vengano apportate delle modificazioni dopo la redazione definitiva dello stesso e quindi in tempi successivi alla compilazione quando oramai qualsiasi aggiunta e/o modificazione deve ritenersi non solo ingiustificata, ma anche illegittima.

In entrambe le ipotesi sopra descritte, si configura la c.d. falsità materiale in atto pubblico prevista e disciplinata dall'art. 476 c.p.

L'art. 479 c.p. disciplina l'ipotesi del falso ideologico, che ricorre qualora il medico, chiamato a redigere la cartella clinica, attesti fatti non conformi al vero. In tale caso, il Legislatore ha voluto tutelare la genuinità e veridicità del documento sanitario.

Le summenzionate ipotesi di reato si configurano laddove colui che compie l'attività illecita, meglio descritta negli artt. 476 e 479 c.p., sia qualificabile come un pubblico ufficiale, ossia un soggetto con capacità di esteriorizzare la volontà della Pubblica Amministrazione.

Da tali argomentazioni è facile intuire come vi sia una stretta correlazione tra condotta delittuosa ed esercizio di pubbliche funzioni. L'elemento psicologico richiesto dalle normative in commento, ai fini della configurazione di entrambe le fattispecie criminose, è il dolo, ossia la coscienza e volontà, del singolo autore del reato, di compiere l'azione delittuosa volta a minare il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione.

Conclusioni

In riferimento alle evidenti correlazioni esistenti tra l'attività del singolo operatore sanitario concretizzantesi nella certificazione dell'attività diagnostica e terapeutica e trasfusa nella cartella clinica ed il diritto del paziente a conoscere gli interventi praticati dai medici durante la degenza ospedaliera, è dunque in conclusione possibile affermare che la cartella clinica, oltre ad essere un documento sanitario informativo, può costituire, in alcuni casi, fonte di responsabilità sia civile che penale per l'operatore sanitario.

Il Legislatore ha cercato di garantire autenticità, genuinità e veridicità ai dati contenuti nella cartella clinica, predisponendo anche una compiuta regolamentazione delle singole modalità di richiesta e rilascio della documentazione sanitaria in commento anche al fine di tutelare i dati sensibili del paziente in ricovero ospedaliero.

La cartella clinica può essere dunque considerata un documento volto a comprovare gli interventi di tipo sanitario praticati, le terapie seguite, l'andamento della malattia; di conseguenza, risulta chiaramente comprensibile che la cartella clinica abbia tutti i requisiti essenziali affinché possa comprovare quanto realmente accaduto, rendendo illegittima qualsiasi aggiunta o modificazione effettuata dopo la sua formazione, anche se questi ultimi interventi siano giustificati dalla necessità per il medico di renderla più aderente possibile alla verità, determinando dunque il sorgere di una responsabilità di natura civilistica e/o penalistica per il medico certificatore.

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