La sentenza non definitiva che condanna un amministratore per finanziamento illecito ai partiti non è sufficiente per ottenere la sua revoca

15 Marzo 2019

Con una recente decisione, il Tribunale meneghino ha specificato che, per ottenere la revoca giudiziale dell'amministratore di condominio, non è sufficiente che questi sia stato in passato condannato per finanziamento illecito ai partiti, dato che...
Massima

L'art. 1129 c.c. prevede alcune ipotesi di condotte gravemente irregolari le quali, ove tenute dall'amministratore di condominio, comportano la revocabilità dello stesso; tali condotte, tuttavia, non costituiscono la totalità dei casi di revoca, dato che si può agire giudizialmente per ottenere la stessa in caso di sentenze di condanna (sentenze definitive) che abbiano riguardato reati contro il patrimonio.

Il caso

Alcuni condomini agivano giudizialmente per ottenere la revoca del proprio amministratore.

A seguito della nomina del mandatario alcuni proprietari si accorgevano che lo stesso era stato in passato condannato in quanto amministratore di una società che aveva agito in modo illegittimo procurando illeciti vantaggi ad un candidato politico.

All'esito di quel giudizio l'amministratore era stato condannato per illecito finanziamento ai partiti, condanna poi confermata in appello.

A detta dei condomini, quindi, questa condanna comportava la revocabilità dell'amministratore, per la quale agivano giudizialmente.

La questione

La riforma del condominio apportata dalla l. n. 220/2012 ha comportato una grande innovazione in tema di responsabilità dell'amministratore di condominio.

Nella fattispecie, l'art. 1129 c.c. elenca una serie di gravi irregolarità che, ove commesse, costituiscono una tale problematica da rendere incompatibile la persona con il mandato ricevuto e legittimano quindi la revoca dell'amministratore.

La norma specifica infatti che «Costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità:

1) l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;

2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea;

3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma;

4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini;

5) l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;

6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;

7) l'inottemperanza agli obblighi di cui all'articolo 1130, numeri 6), 7) e 9);

8) l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo».

Come ben sottolineato dalla sentenza in commento, però, le gravi irregolarità ivi elencate non sono un elenco tassativo, consentendo la revoca in tutti gli altri casi che consentono di sospettare in una possibile malversazione nella gestione della cosa comune.

L'art. 71-bis disp. att. c.c. prevede, altresì, che possano svolgere la professione di amministratore di condominio coloro che: «b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni».

Nel predetto quadro normativo, ci si interroga se l'amministratore oggetto del giudizio, condannato in secondo grado per finanziamento illecito ai partiti, possa essere revocato dal condominio.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano rigettava il ricorso dei condomini.

Secondo il giudice, difatti, la precedente condanna dell'amministratore per finanziamento illecito ad esponenti politici, reato previsto e condannato dall'art. 7, comma 3, l. n. 195/1974 e art. 4 l. n. 659/1981, non era di per sé sufficiente a comportare la revoca dell'amministratore.

Era parere del decidente infatti che tale condanna fosse motivata da una violazione del bene primario della trasparenza e democrazia dello stato, ma non integrasse una violazione dei principi posti alla base del buon andamento condominiale o costituisse un reato contro il patrimonio, o - ancora - che la condanna fosse per un periodo superiore a quanto previsto dall'art. 1129 c.c.

Affermava il giudice meneghino, infatti, che «se è dunque da escludersi che il delitto per il quale è stato condannato il Sig. Omissis sia riconducibile ad un reato contro il patrimonio, destituita di fondamento risulta, per l'effetto, la pretesa sussistenza, nel caso di specie, di cause ostative allo svolgimento dell'incarico di amministratore ex art. 71-bis, comma 1, lett. b), disp. att. c.c., non sussistendo, allo stato, alcuna sentenza di condanna emessa nei confronti dell'amministratore per un “reato contro il patrimonio”. Né può ritenersi che tale delitto rientri nell'ipotesi di cui all'art. 71-bis, comma 1, lett. b), disp. att. c.c. a livello sanzionatorio: il reato di finanziamento illecito ascritto al Sig. Omissis risulta punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e, dunque, prevede una cornice edittale di pena inferiore rispetto a quella contemplata dall'articolo in esame (“ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni”)».

Da ultimo, poi, rilevava il giudice come la norma trattasse in ogni caso di “condanne” e con una interpretazione costituzionalmente orientata questo termine fosse da interpretare come una condanna passata in giudicato.

Stante il fatto che il giudizio in oggetto era fermo al grado d'appello - a parere del Tribunale - non si poteva trattare di una “condanna” in senso proprio e quindi questo costituiva un altro motivo per respingere la richiesta di revoca dei condomini.

Il giudizio, quindi, si concludeva con il rigetto della domanda attorea e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

Osservazioni

La sentenza in questione non pare interamente apprezzabile.

Pur condividendo l'intento garantista del Tribunale, l'autore rileva come nel caso in questione la distanza tra la condanna ricevuta dall'amministratore e i casi tipizzati dalla legge per la revoca pare minima.

È pur vero che la condanna ricevuta non era definitiva, ma questa era già stata affermata in ben due gradi di giudizio.

È parimenti vero che il caso della violazione delle norme sul finanziamento ai candidati politici non è tipizzato negli artt. 1129 c.c. e 71-bis disp. att. c.c., tuttavia - come ben sottolinea il giudice - questi non sono elenchi cristallizzati, e lasciano spazio a tutte quelle altre condotte suscettibili di costituire un vulnus nel rapporto fiduciario con l'amministratore.

Orbene, il fatto che un amministratore abbia commesso un fatto tanto grave da comportare una condanna penale per violazione di una norma riguardante la trasparenza e il buon andamento delle elezioni è - a parere di chi scrive - un fatto tanto grave da comportare, alla sua scoperta, quanto meno la facoltà per i condomini di chiedere la revoca del professionista.

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