Assegno divorzile: il ruolo del “contributo alla vita familiare” nella valutazione del giudice

18 Marzo 2019

Negato l'assegno divorzile alla ex moglie quando la sua posizione economica e sociale non può più ritenersi legata causalmente né a quella del marito né tantomeno a quella della vita familiare.
Massima

Il Tribunale di Milano nega l'assegno divorzile alla ex moglie in quanto la sua posizione economica e sociale non può più ritenersi legata causalmente né a quella del marito né tantomeno a quella della vita familiare.

Il caso

Tizio presentava ricorso presso il Tribunale di Milano richiedendo la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La resistente, concordando con la richiesta del ricorrente, domandava, altresì, la corresponsione di un contributo mensile, a titolo di assegno divorzile.

La moglie resisteva adducendo non solo la mancanza di un reddito stabile e, di conseguenza, la difficoltà di mantenersi, ma altresì l'evidente disparità economica tra i coniugi.

Il Tribunale di Milano sottolinea innanzitutto che la moglie, una volta cessata l'attività lavorativa, ha intrattenuto due relazioni affettive senza mai richiedere alcun tipo di aiuto economico al marito e, in consequenzialità logica, conclude affermando ogni rescissione con la pregressa vita familiare.

La sentenza di merito ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e rigettato, viceversa, la domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile, non sussistendo alcun presupposto.

La questione

La questione controversa è relativa al riconoscimento dell'assegno divorzile e alla determinazione del quantum alla luce del recente revirement della Suprema Corte.

Quali sono gli indici rilevanti in sede di riconoscimento dell'assegno divorzile?

Le soluzioni giuridiche

Il continuo aggiornamento della questione in oggetto non può prescindere dal richiamo della norma di riferimento e del suo sviluppo interpretativo.

L'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 prescrive che può essere disposto a carico di un coniuge l'obbligo di somministrare periodicamente un assegno a favore dell'altro, tendendo in considerazione una serie di elementi: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune, il reddito di entrambi.

A livello giurisprudenziale non sono tardate interpretazioni della norma, a partire dalla sentenza di Cass. Civ. S.U., nn. 11490 e 11492/1990.

Le sentenze gemelle attribuiscono natura esclusivamente assistenziale all'assegno di divorzio, concesso al termine di un “giudizio bifasico” attinente all'an e al quantum.

Nella prima fase dell'an debeatur il giudice è tenuto ad indagare circa l'adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, sia con riferimento ai redditi sia ai cespiti immobiliari e, solamente nella fase del quantum debeatur, a determinare nel concreto la misura dell'assegno, tenendo conto dei vari parametri indicati dalla norma.

Ciò che risulta fondamentale, secondo la Suprema Corte, è il tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.

Dello stesso pensiero anche Cass. civ. sez. I, 12 febbraio 2003, n. 2076; Cass. civ. sez. I, 2 luglio 2007, n. 14965; Cass. civ. sez. I, 20 marzo 2010, n. 7145; Cass. civ. sez. I, 3 luglio 2013, n. 16597; Cass. civ. sez. I, 5 febbraio 2014, n. 2546.

Il leit motiv è quello di considerare di primaria importanza il tenore di vita goduto in precedenza, non rilevando uno stato di bisogno del richiedente, bensì un considerevole deterioramento rispetto alle precedenti condizioni economiche.

In contrapposizione a tale orientamento si possono rinvenire Cass. Civ. sez. I, 10 maggio 2017, n.11504, Cass. civ. sez. I, 11 maggio 2017, n. 11538, Tribunale Milano sez. IX, 22 maggio 2017, Cass. civ. sez. VI, 9 ottobre 2017, n. 23602, Cass. civ. sez. I, 25 ottobre 2017, n. 25327.

Il giudizio relativo alla richiesta dell'assegno dev'essere sì distinto nelle due fasi tradizionali, tuttavia, il criterio fondamentale appare, ora, l'esclusivo riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica.

Tale concetto deve essere inteso come la capacità per una persona adulta e sana, tenuto conto del contesto sociale in cui è inserita, di provvedere al proprio sostentamento, ossia la capacità di avere risorse sufficienti per le spese primarie quali, per esempio, vitto e alloggio (Trib. Milano sez. IX, 22 maggio 2017).

Il principio dell'autoresponsabilità economica viene delineato conferendo primaria importanza a ciascuno dei coniugi quali persone singole e, unicamente nel caso in cui fosse accertata l'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il giudice sarebbe tenuto a quantificare nel concreto la misura dell'assegno, secondo il principio sancito a livello costituzionale dall'art.2 della solidarietà economica dell'ex coniuge a favore di quello economicamente più debole.

Il riferimento ai singoli è tale per cui, abbandonata ogni logica di coppia e di vita matrimoniale con la proposizione della domanda giudiziale di divorzio, ogni nesso con il vincolo matrimoniale deve venire meno, ricomprendendosi evidentemente anche il tenore di vita.

Il revirement compiuto da Cass. Civ. S.U., 11 luglio 2018 n.18287 merita una disamina approfondita.

Il criterio dell'autosufficienza economica dell'avente diritto, punto di forza del precedente filone interpretativo, viene ritenuto dai giudici di legittimità «foriero di gravi ingiustizie sostanziali».

Con l'applicazione di tale principio, il coniuge che avesse rinunciato a realizzarsi professionalmente per dedicarsi agli impegni familiari si troverebbe in una situazione di grave disparità economica rispetto al consorte.

La natura assistenziale dell'assegno dev'essere necessariamente accompagnata da una funzione “compensativa-equilibratrice”, tale per cui il giudice deve tenere in debita considerazione l'età del richiedente, la durata del vincolo e l'apporto fornito nella realizzazione della vita familiare e nella creazione del patrimonio comune e personale.

Il Tribunale di Milano, in linea con il nuovo indirizzo giurisprudenziale, ha ritenuto che la moglie non avesse i requisiti per ottenere l'assegno di divorzio, in quanto la sperequazione accertata tra le due posizioni economiche si era già colmata con la compensazione, in sede di separazione, dell'apporto iniziale fornito dalla medesima per l'acquisto di un furgone, utilizzato dal marito per la sua attività lavorativa.

A fronte di questa corresponsione il Giudice della separazione aveva stabilito a carico del marito unicamente l'obbligo di pagare alla moglie «le cambiali sottoscritte per l'acquisto dell'attività artigianale» a lei intestata.

La posizione economica e sociale della moglie, pertanto, non poteva ora più ritenersi legata causalmente né a quella del marito né tantomeno a quella della vita familiare.

Osservazioni

Nulla quaestio in ordine al filo logico seguito dal Tribunale di merito alla luce dell'intervenuto cambio di rotta da parte della Corte di Cassazione.

I Giudici di merito hanno motivato in modo lineare, senza procedere ad una rigida distinzione tra fase attributiva dell'assegno e fase determinativa del quantum.

La questione in esame proietta nel panorama giuridico l'evoluzione dei concetti di matrimonio e di divorzio.

Nel 1970, anno d'introduzione della Legge Fortuna-Baslini, la fine di un matrimonio rappresentava innanzitutto avvenimento più raro rispetto al momento in cui scrive e, inoltre, presupponeva la necessità di mantenere, da parte del coniuge economicamente più debole, il medesimo tenore di vita assunto in costanza di matrimonio.

Si pensi al modello tradizionale di famiglia in cui la donna si occupava quasi esclusivamente della crescita dei figli ed era il marito ad interessarsi dei guadagni.

Si può ritenere che la complessità interpretativa della questione sia dipesa anzitutto dalla terminologia utilizzata dal legislatore e da un'insufficiente chiarezza argomentativa in merito alla stessa. Il sintagma “mezzi adeguati”, sebbene posto in relazione con gli indici più volte ricordati nella trattazione, non è mai stato oggetto di una definizione esplicita e universale; questo ha dato origine a diversi e contrastanti orientamenti giurisprudenziali.

È utile ricordare che il matrimonio è un negozio giuridico personalissimo e libero, giacché nessuno può essere giuridicamente vincolato a sposarsi.

La stessa libertà riconosciuta nel momento iniziale del vincolo deve sussistere ovviamente anche nell'ipotesi in cui uno dei due coniugi, o entrambi, desiderano porre fine a tale rapporto.

È proprio per tale motivo che assume fondamentale importanza il principio dell'autodeterminazione e dell'autoresponsabilità, più volte ribadito anche nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite.

La scelta di unirsi in matrimonio, così come quella di svincolarsi dal legame affettivo, non può prescindere da quanto espresso nell'art.29 Cost., il quale sancisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

Attribuendo un ruolo essenziale al contributo fornito da uno dei coniugi, si conferisce, giustamente, rilevanza a tutte quelle scelte assunte nella massima libertà dai singoli partecipanti al vincolo.

Nel momento in cui viene meno la comunione materiale e spirituale tra i coniugi dovrebbe sorgere una solidarietà post-matrimoniale; tuttavia non sempre il clima che si è instaurato consente di ragionare con lucidità e ammettere, con riconoscenza, quanto conferito dal coniuge economicamente più debole, specie qualora quest'ultimo abbia tralasciato le aspirazioni lavorative per dedicarsi interamente al mènage familiare.

Sorge in tal senso, senza dubbio, il dovere in capo ai giudici di analizzare con estrema attenzione il pregresso della vita familiare dei coniugi.

Le situazioni familiari, tuttavia, si diversificano per le peculiarità e le sfaccettature che ciascuna coppia conferisce alla propria relazione e, di questo, il giudice deve esserne cosciente.

Chi si trova a decidere le sorti patrimoniali di due persone deve analizzare nello specifico il vissuto delle medesime e tenere in debita considerazione che il mercato del lavoro, nel momento storico in cui si scrive, non consente ad una donna che ha dedicato un'intera vita al benessere della famiglia e alla crescita dei figli, di inserirsi agevolmente nel mondo lavorativo.

Il compito dei giudici non può arrestarsi ad una mera operazione di controllo patrimoniale dei redditi dichiarati, bensì deve sempre essere sorretto da uno sguardo al contesto storico e culturale di riferimento.

Tutto ciò premesso, il Tribunale di Milano ha giustamente negato la concessione dell'assegno divorzile, in quanto i parametri, in tale sede, sono ben più ristretti rispetto a quelli sussistenti al momento della separazione.

Già anzitempo il Giudice della separazione non aveva ritenuto esistente un divario economico tra i coniugi tale da impedire alla donna di mantenere lo stesso tenore di vita.

Ora, in sede di divorzio, i parametri sopra esposti (natura assistenziale e funzione “compensativa-equilibratrice”) non possono dirsi superati, in ragione delle due relazioni affettive instaurate dalla moglie di cui in premessa e dell'assenza di mutamenti economici dei coniugi.

L'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite ha finalmente regolamentato la questione dell'assegno divorzile, fugando ogni incertezza che regnava in materia dagli anni '90 ad oggi, e la statuizione del Tribunale di Milano si è correttamente uniformata nel merito.

Guida all'approfondimento

Pesce R., Assegno divorzile e giudizio prognostico sulle aspettative sacrificate dal coniuge richiedente, ilfamiliarista.it, 19 novembre 2018

Simeone A., Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro?, ilfamiliarista.it, Milano, 17 luglio 2018

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario