Sorveglianza speciale: incostituzionale il delitto di violazione degli obblighi di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”

Angelo Salerno
18 Marzo 2019

La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente in merito alla compatibilità del delitto di cui all'art. 75, comma secondo, cod. antimafia, con particolare riferimento alla rilevanza penale della violazione delle prescrizioni...
Massima

È incostituzionale l'art. 75, comma 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia), nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi; è altresì incostituzionale, in via consequenziale, l'art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi.

Il caso

La Corte di cassazione, Sezione II penale, con ordinanza del 26 ottobre 2017, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 75, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia), in riferimento agli artt. 25 e 117 della Costituzione, in relazione all'art. 7 Cedu e all'art. 2 del protocollo n. 4, interpretati alla luce della sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo, del 23 febbraio 2017, De Tommaso contro Italia, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione degli obblighi di vivere onestamente e rispettare le leggi connessi all'imposizione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno.

Nel giudizio di merito, la Corte d'appello di Bari aveva confermato la responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 75, comma 2, cod. antimafia, perché, pur sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, violava le prescrizioni di «vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato e non dare ragione alcuna di sospetto in ordine alla propria condotta», commettendo altro delitto.

La Corte di cassazione, adita dall'imputato, rilevata l'inammissibilità del ricorso presentato e non potendo quindi fare applicazione della recente sentenza delle Sezioni Unite in materia, che esclude la rilevanza penale dei fatti oggetto di causa, ha sollevato la predetta questione di legittimità costituzionale.

La questione

La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente in merito alla compatibilità del delitto di cui all'art. 75, comma secondo, cod. antimafia, con particolare riferimento alla rilevanza penale della violazione delle prescrizioni dell'honeste vivere e di rispettare le leggi, a seguito dell'intervento della Corte di Strasburgo, nel 2017, sulla materia, nel senso della violazione del principio di prevedibilità, sancito dalla Cedu.

Alla Corte costituzionale viene dunque posta questione di legittimità costituzionale nei seguenti: è compatibile con la Costituzione il disposto dell'art. 75, comma secondo, cit., nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi?

Ulteriore quesito che la sentenza in commento affronta, in punto di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, è il seguente: è necessario l'intervento della Corte Costituzionale a fronte dell'interpretazione che già la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha offerto della disposizione citata, in senso convenzionalmente e costituzionalmente orientato?

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75, comma 2, cit., sollevata dalla Corte di cassazione, dichiarando incostituzionale la norma, nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi; è stato altresì dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, l'art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi.

Preliminarmente la Corte ha vagliato la ammissibilità della questione, in termini di rilevanza della stessa nel giudizio a quo, alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, 5 settembre 2017, n. 40076, imputato Paternò, secondo cui non costituisce reato la violazione dei precetti del vivere onestamente e rispettare le leggi, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, con conseguente irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Pur facendo proprie, come si avrà modo di evidenziare, le conclusioni delle Sezioni unite, la Corte costituzionale ha evidenziato che il citato arresto non è equiparabile ad una abolitio criminis di fonte legislativa o derivante da una pronuncia di illegittimità costituzionale.

In tal senso si era già pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza n. 230 del 2012, in merito alla possibilità di revocare il giudicato penale di condanna, ex art. 673 c.p.p., a fronte di un'interpretazione sopravvenuta più favorevole, che escludesse la rilevanza penale del fatto.

Pertanto, rilevato che l'attività interpretativa, anche quando costituzionalmente orientata, che la Corte di cassazione svolge ha natura meramente dichiarativa, la Consulta ha escluso che possa equipararsi alle ipotesi normative di abolitio criminis, con la conseguenza che, a fronte di un ricorso per cassazione inammissibile, il giudice a quo non avrebbe potuto, d'ufficio, assolvere ex art. 129 c.p.p. il ricorrente.

Riconosciuta così l'ammissibilità del ricorso, la Corte si pronuncia nel merito della questione sollevata, prendendo le mosse dal proprio precedente, con sentenza n. 282 del 2010, in cui era stata vagliato il rispetto del principio di tassatività, ricondotto all'art. 25, comma 2, Cost., da parte delle disposizioni dell'allora vigente legge 1423/1956, oggi confluita nel codice antimafia, oggi riprodotte, nella parte che in questa sede interessa, nel testo dell'art. 75.

In tale occasione, il giudice delle leggi aveva escluso la violazione dei canoni di tassatività e determinatezza, ritenendo che «la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tal[i] element[i]», mediante pertanto un'interpretazione sistematica. In particolare, era stato ritenuto che per legge dovessero intendersi le sole norme penali incriminatrici e che il precetto di honeste vivere dovesse collocarsi, in funzione di monito rafforzativo, «nel contesto di tutte le altre prescrizioni previste».

Richiamato il proprio precedente del 2010, la Consulta ha ritenuto di discostarsene, alla luce della sentenza De Tommaso, della Corte di Strasburgo, pronunciatasi in merito alle medesime disposizioni, con riferimento alla compatibilità delle stesse con il principio di prevedibilità e con il disposto dell'art. 2 del protocollo n. 4 della Convenzione, nella parte in cui prevede che libertà di circolazione possa subire solo le restrizioni «previste dalla legge».

Il giudice sovrannazionale ha rilevato che le disposizioni nazionali censurate sono formulate censurato «"in termini vaghi ed eccessivamente ampi" tali da non rispettare il criterio della "prevedibilità”», in violazione pertanto del principio di prevedibilità.

Tali conclusioni hanno orientato le Sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza già citata sentenza n. 40076 del 2017, le quali hanno statuito che «le prescrizioni del vivere onestamente e rispettare le leggi non possono integrare la norma incriminatrice di cui all'art. 75, comma 2, d.lgs. 159/2011», sebbene «ad esse tuttavia [possa] essere data indiretta rilevanza ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale».

Alla luce del ricostruito quadro giurisprudenziale, la Consulta rileva dunque che la giurisprudenza di legittimità ha già avviato un processo di adeguamento e maggiore conformità ai principi della Cedu della disciplina dettata dall'art. 75, comma 2.

Tale interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata, tuttavia, non è stata ritenuta, come anticipato, equiparabile a un'abolitio criminis di matrice legislativa o per intervento della Corte Costituzionale, sicché non può scalfire il giudicato penale, né tantomeno essere applicata, d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. a fronte di impugnazioni inammissibili (come nel caso del giudizio a quo).

La Consulta ha affermato pertanto che il processo di adeguamento avviato possa essere completato attraverso una propria pronuncia in merito alla legittimità costituzionale delle norme impugnate, quale unico strumento – in assenza di interventi legislativi – idoneo a rimuoverle dall'ordinamento.

Si evidenzia tuttavia che l'esito del giudizio di legittimità costituzionale non può ritenersi vincolato dall'affermazione, da parte del giudice di Strasburgo, dell'incompatibilità tra i precetti nazionali e quelli della Convenzione, in quanto «vi può essere uno scarto di tutele, rilevante soprattutto laddove la giurisprudenza della Corte Edu riconosca, in determinate fattispecie, una tutela più ampia».

La Corte afferma quindi l'assenza di alcun automatismo e rivendica il proprio margine di apprezzamento, tanto in merito al carattere di “approdo giurisprudenziale stabile” o di “diritto consolidato” del principio affermato dalla Corte EDU, quanto in relazione al bilanciamento dello stesso con gli altri principi presenti nella Costituzione nazionale, in funzione di c.d. contro-limiti.

Tali presupposti sono tuttavia ritenuti sussistenti nel caso di specie, dal momento che tanto la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, quanto la stessa Corte Costituzionale, con la coeva sentenza n. 24 del 2019, hanno condiviso le conclusioni cui è pervenuta la Corte Edu nella sentenza De Tommaso del 2017, le quali sono state inoltre ritenute compatibili con i valori costituzionali nazionali.

Ritenuto pertanto, nel merito, che dall'applicazione delle disposizioni censurate discende «l'effetto abnorme di sanzionare come reato qualsivoglia violazione amministrativa e, dall'altra parte, comporta, ove la violazione dell'obbligo costituisca di per sé reato, di aggravare indistintamente la pena», la Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale, ravvisando la violazione del canone di prevedibilità della condotta sanzionata con la limitazione della libertà personale, come sancito dall'art. 7 Cedu e in particolare nell'art. 2 del Protocollo n. 4, e rilevante come parametro interposto ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost.

La Corte, inoltre, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato, in via conseguenziale e per le stesse ragioni, l'illegittimità costituzionale dell'art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno, ove consistente nell'obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi.

Osservazioni

Diversi i profili di rilevanza e attualità della sentenza in commento che, nel portare a completamento il percorso di adeguamento della disciplina nazionale impugnata rispetto alle garanzie e ai principi affermati nella Convenzione Edu, prende in esame due ulteriori e altrettanto importanti profili, attinenti all'istituto dell'abolitio criminis e ai rapporti tra ordinamento nazionale e Cedu.

In merito al primo profilo va evidenziato che la Consulta richiama e conferma quanto già affermato, dallo stesso giudice, con la succitata sentenza n. 230 del 2012, con cui era stata esclusa l'illegittimità costituzionale dell'art. 673 c.p.p., nella parte in cui non consentiva di revocare il giudicato di condanna, a fronte di un mutamento giurisprudenziale, sebbene determinato da una pronuncia delle Sezioni unite della Corte di cassazione, tale da escludere la rilevanza penale del fatto per il quale fosse intervenuta condanna.

Si evidenzia infatti la diversa natura del fenomeno, a seconda che l'abolitio criminis derivi da un mutamento legislativo ovvero da una sentenza di illegittimità costituzionale, invece che da una interpretazione, per quanto autorevole, operata dal giudice ordinario: solo nei primi due casi infatti l'effetto abolitivo sarebbe dotato della necessaria stabilità, tale da imporre la revoca del giudicato.

Deve tuttavia rilevarsi che, nel caso di specie, l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel 2017, era scaturito per vero da una sentenza della Corte di Strasburgo, alla quale spetta una funzione di “interpretazione autentica” della Convenzione, tale per cui era stata prospettata in dottrina la possibilità che la Consulta potesse mutare il proprio orientamento in merito all'efficacia della sopravvenienza giurisprudenziale, così determinata, equiparandola alle tradizionali ipotesi di abolitio criminis.

Sul punto, tuttavia, la Corte costituzionale ha affermato che non esiste alcun automatismo tra la rilevata incompatibilità, da parte della Corte Edu, di una norma nazionale con la Convenzione e la illegittimità costituzionale della stessa, per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost.

Come già evidenziato, pertanto, viene ribadita, con la sentenza in commento, l'autonomia di giudizio della Corte Costituzionale, nel valutare se i principi affermati dalla Corte di Strasburgo siano dotati del carattere di necessaria stabilità e, soprattutto, se siano compatibili con i valori costituzionali nazionali, in funzione di contro limiti.

Guida all'approfondimento

BALSAMO, voce Codice Antimafia, in Dig. Pen., Aggiornamento, Torino, 2014;

BASILE, Le misure di prevenzione dopo il cd. Codice antimafia. Aspetti sostanziali e aspetti procedurali, in Giurisprudenza italiana, Vol. 6, giugno 2015;

CORSO, Profili costituzionali delle misure di prevenzione, in La legge antimafia tre anni dopo, a cura di Fiandaca-Costantino, Milano, 1986, 125;

FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig.Pen., Vol. VIII, Torino, 1987.

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