La Cassazione torna sui limiti di operatività dello strumento della 'revisione europea'

21 Marzo 2019

La questione sottoposta alla Cassazione riguardava la possibilità di estendere gli effetti di una pronuncia del giudice di Strasburgo (Lorefice c. Italia) a casi analoghi a quello deciso. Il ricorrente pretendeva l'applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel caso Ercolano, caso in cui la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di estendere gli effetti della sentenza...
Massima

La c.d. revisione europea introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011, è inammissibile se proposta in relazione a casi non esaminati dalla Corte Edu, ciò a prescindere dalla natura “pilota” o ordinaria della sentenza europea invocata a giustificazione della istanza di revisione.

Il caso

La vicenda che ha condotto alla pronuncia di legittimità in esame traeva origine dall'istanza di revisione “europea” proposta da un soggetto che, pur non avendo presentato nessun ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, chiedeva di applicare nei suoi confronti i principi di diritto sanciti dai giudici di Strasburgo nella sentenza Lorefice (Corte edu, Sez. I, 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia), in quanto sosteneva che anche il processo a suo carico si fosse svolto senza rispettare le garanzie previste in materia di contraddittorio dall'art. 6 Cedu. Nello specifico la sua condanna, intervenuta in grado di appello in riforma di una sentenza di proscioglimento si era fondata esclusivamente sulle dichiarazioni di un testimone assistito, diversamente apprezzate nei giudizi di merito e ritenuti attendibili dalla Corte d'appello senza procedere al (ri)esame del dichiarante. La Corte territoriale investita dall'istanza l'aveva tuttavia respinta, rilevando il difetto dei presupposti della revisione europea, secondo il consolidato orientamento di legittimità che esclude la possibilità di accedere al rimedio processuale ove non sia intervenuta pronuncia della Corte di Strasburgo nel caso specifico e la sentenza richiamata non sia qualificabile come 'pilota'. Il difensore del condannato ricorreva, dunque, in Cassazione contro il provvedimento di rigetto, denunciando una scorretta applicazione da parte dei giudici della revisione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza Ercolano. La Cassazione ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, non potendo essere avanzata richiesta di revisione in relazione a una situazione processuale esaurita e coperta da giudicato, in assenza di un esito favorevole dinanzi alla Corte di Strasburgo da eseguire in Italia, a prescindere dalla natura 'pilota' o ordinaria della sentenza europea richiamata a sostegno dell'istanza.

La questione

La questione sottoposta alla Cassazione riguardava la possibilità di estendere gli effetti di una pronuncia del giudice di Strasburgo (Lorefice c. Italia) a casi analoghi a quello deciso. Il ricorrente pretendeva l'applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel caso Ercolano, caso in cui la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di estendere gli effetti della sentenza pronunciata a Strasburgo ai soggetti che si trovavano nelle medesime condizioni sostanziali del ricorrente anche se non avevano presentato ricorso alla Corte di Strasburgo. Sennonché tale estensione degli effetti trovava fondamento nella natura della violazione riscontrata. Invero, nel caso Scoppola (Corte Edu, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia) la Corte di Strasburgo aveva riconosciuto l'illegittimità convenzionale (per contrasto con l'art. 7 Cedu) della pena, la quale, laddove sia ancora in esecuzione, non può mai considerarsi una situazione “esaurita”. Tale vicenda si era, peraltro, caratterizzata per l'intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 210 del 2013 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma interna per contrasto con il parametro convenzionale, generando così la necessità di riallineare ‘tutte' le sanzioni in corso di esecuzione ai parametri di legalità convenzionale e costituzionale, anche se la loro violazione era stata accertata dopo la conclusione della progressione processuale, cioè dopo la formazione del c.d. ‘giudicato' (in questo senso Cass. pen., Sez. Unite, 19 aprile 2012, n. 34472, Ercolano).

Tale soluzione piuttosto pacifica quando viene in rilievo una violazione che riverbera i suoi effetti sulla fase esecutiva della pena, non lo è altrettanto nei casi in cui l'iniquità del giudizio dipenda dall'accertamento di un errores in procedendo o in generale di una violazione il cui accertamento implica valutazioni correlate alla fattispecie specifica e la cui emenda postula una riapertura e/o riesame del giudizio, ormai coperto da giudicato.

La questione sottoposta all'apprezzamento della Cassazione nel caso in esame nasce proprio dall'esistenza di un contrasto in giurisprudenza sul punto.

Le soluzioni giuridiche

Con la recente sentenza riportata in epigrafe, la Cassazione ha ribadito che l'istituto della “revisione europea” – introdotto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011 – non può essere utilizzato da coloro che, pur non essendo direttamente destinatari di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, adducano di ritrovarsi nelle medesime condizioni sostanziali di un diverso ricorrente risultato vittorioso e chiedano quindi la riapertura del processo per rimuovere una violazione della Convenzione accertata dai giudici di Strasburgo in un caso distinto ma analogo.

A tale conclusione la Corte perviene muovendo dalla considerazione che per definire gli esatti confini dell'obbligo di estendere il rimedio ai casi analoghi occorre guardare alla natura della violazione accertata: mentre l'irrogazione di una pena illegittima, come tale riconosciuta sulla base di un apprezzamento della legalità convenzionale avente valore generale comporta che quell'apprezzamento non può che avere a sua volta portata generale, diversamente deve opinarsi qualora la pena illegittima sia la risultante di un giudizio non equo, ipotesi nella quale l'apprezzamento verte su eventuali errores in procedendo e implica valutazioni correlate alla fattispecie specifica, ipotesi in cui occorre un dictum vincolante della Corte di Strasburgo avente per oggetto quella fattispecie specifica. Chiarito ciò, la Corte si sofferma su un altro profilo valorizzato dal ricorrente al fine di ottenere l'applicazione nei suoi confronti dei principi di diritto sanciti dai giudici di Strasburgo : la natura 'pilota' della sentenza Lorefice, la quale – a detta del soggetto istante - sarebbe all'origine dell'introduzione, con legge 103 del 2017, nel corpo dell'art. 603 c.p.p. del comma 3bis, che prevede il generalizzato obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva su cui sia stata fondata la pronuncia assolutoria in primo grado. Secondo i giudici di legittimità, premesso che la genesi della riforma normativa va rintracciata nel recepimento dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Un. 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta; Cass. Sez. Un. 19 gennaio 2017, n. 18620, Patalano; Cass. Sez. Un. 21 dicembre 2017, n. 14800, Troise0), a sua volta permeata all'orientamento espresso dalla Corte di Strasburgo, e non già nella necessità di adeguarsi ad un dictum vincolante per lo Stato italiano della Corte edu, non è possibile riconoscere a tale sentenza il carattere di provvedimento 'pilota' non potendo ciò evincersi né dal tenore del dispositivo – limitato al riconoscimento della sola tutela risarcitoria – né dall'ordito motivazionale, esclusivamente incentrato sulla disamina dello specifico caso sottoposto alla Corte edu. In ogni caso, anche quando alla base dell'istanza di revisione vi sia una sentenza 'pilota', deve escludersi l'esperibilità generalizzata del rimedio, fuori dei limiti del giudicato convenzionale, non potendosi condividere gli approdi giurisprudenziali che estendono la revisione europea oltre gli stretti limiti segnati dalla sentenza additiva della Corte costituzionale, suggerendone l'utilizzo anche per la riapertura di processi coperti da giudicato relativi a casi non esaminati dalla Corte di Strasburgo e che presentino vizi processuali asseritamente analoghi a quelli rilevati dalla Corte in uno specifico caso.

Le soluzioni giuridiche

Quello dell'esecuzione delle sentenze della Corte Edu è un tema che nel tempo si è fatto particolarmente complesso, essendo cambiato il contenuto dispositivo di tali pronunce - che non si limitano più ad accertare la violazione denuciata e a imporre per questa un indennizzo pecuniario - ma impongono di ripristinare il diritto leso, così ponendo agli ordinamenti il problema di individuare o di introdurre un rimedio da adottare nel caso concreto per incidere sul giudicato. Dopo un lungo silenzio del legislatore, nel nostro ordinamento tale problema è stato risolto dalla Corte costituzionale che con la sentenza n. 113/2010 ha introdotto una nuova ipotesi di revisione c.d. europea. Sennonché tale pronuncia additiva ha solo parzialmente superato il problema, avendo 'piegato' la disciplina della revisione ad esigenze e finalità che non le sono proprie. Non a caso, dottrina e giurisprudenza si sono divise in merito all'ambito di operatività di tale rimedio. La giurisprudenza prevalente ne limita l'esperibilità alle sole violazioni processuali (Cass. Sez. II, 6 luglio 2016, Contrada, in Cass. pen. 2017, 1427; Cass. Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 46067, Scandurra), muovendo dalla considerazione che solo l'accertamento di una violazione processuale, in specie dell'art. 6 Cedu, determina sempre l'esigenza della riapertura del processo, con eventuale rinnovazione dell'istruzione probatoria, ai fini di una completa restitutio ad integrum; viceversa, in presenza di violazioni sostanziali, siffatta riapertura non è necessaria, essendo sufficiente intervenire nella fase esecutiva. Secondo altro orientamento, diffuso soprattutto in dottrina, invece, la revisione è un rimedio generale, esperibile per ogni violazione della Cedu, sia essa processuale o sostanziale, per la cui riparazione occorra incidere sul giudicato penale. In particolare, si evidenzia che non essendoci corrispondenza biunivoca tra violazione sostanziale e sufficienza dell'intervento in esecutivis, non si può escludere a priori l'esperibilità della revisione anche per conformarsi a decisioni della Corte di Strasburgo che abbiano riscontrato una violazione di natura sostanziale, ben potendo profilarsi anche in questi casi la necessità di riaprire il processo (E. Aprile, I 'meccanismi' di adeguamento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo nella giurisprudenza penale di legittimità, in Cass. pen. 2011, 3229; A. Bigiarini, Il caso Contrada e l'esecuzione delle sentenze della Cedu. Il punto di vista del processualista, in Dir. pen. proc. 2018, 239; F. Callari, La revisione. La giustizia penale tra forma e sostanza, Torino, 2012, 286; F.P. Lasalvia, Il giudice italiano e la (di)sapplicazione del dictum Contrada: problemi in vista del “dialogo tra Corti”, in Arch. pen. 2016, 3, 8; B. Lavarini, I rimedi post iudicatum alla violazione dei canoni europei,in A. Gaito (a cura di), I principi europei del processo penale, Roma, 2016, 96; in tal senso in giurisprudenza v. Cass. Sez. I, 11 ottobre 2016, n. 44193, Dell'Utri in cui si legge che dalla decisione della Corte costituzionale (113/2019) “non emerge alcuna valida ragione per ritenere l'intervento additivo operato in rapporto all'art. 630 - come limitato ai casi di accertata violazione dell'art. 6 della Convenzione (con assoluta esclusione dell'art. 7), esprimendosi la Corte Costituzionale in termini assolutamente generali e facendo riferimento solo in chiave esemplificativa (ed in rapporto al caso scrutinato) alle necessarie eliminazioni dei vizi procedurali riscontrati”).

Distinto ma collegato problema è quello relativo alla possibilità di consentire di accedere alla revisione europea anche a coloro che, pur non avendo presentato ricorso individuale alla Corte di Strasburgo, si trovino nella medesima posizione del ricorrente connazionale per avere subìto una identica lesione.

Anche su tale punto la giurisprudenza appare divisa. Mentre vi è una certa unanimità di vedute quanto alla possibilità di estendere anche ai non ricorrenti a Strasburgo gli effetti di una pronuncia che abbia accertato una violazione sostanziale, capace di incidere solo sulla fase esecutiva e quindi tale da non richiedere una riapertura del processo, situazioni in cui, peraltro, si ritiene che lo strumento di adeguamento non sia la revisione bensì l'incidente di esecuzione, molto più controversa è la possibilità di estendere, ai non ricorrenti che lamentino la medesima violazione, gli effetti di una pronuncia del giudice di Strasburgo che accerti un error in procedendo, giacché l'accertamento di tale violazione implica valutazioni correlate alla fattispecie specifica e l'emenda del vizio postula una riapertura del giudizio. Ed è proprio muovendo da tali considerazioni che la Cassazione nel caso in esame ha affermato che è inammissibile l'istanza di revisione proposta in relazione a casi non esaminati dalla Corte EDU, ciò a prescindere dalla natura “pilota” o ordinaria della sentenza europea invocata a giustificazione della stessa.

Si tratta di soluzione, conforme al prevalente orientamento giurisprudenziale (Cass. Sez. VI, 29 maggio 2014, n. 39925; Cass. Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 46067, Scandurra; Cass. Sez. III, 23 settembre 2014, n. 8358, Guarino, RV 262639; Cass. Sez. VI, 17 giugno 2016, n. 29167, RV 267621; Cass. Sez. II, 20 giugno 2017, n. 40889, Cariolo, RV 271197; Cass. Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 21365, Barbieri; contra Cass. Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 21635 ), che pare condivisibile. Il meccanismo della revisione europea è stato introdotto per sopperire a una lacuna esistente nel nostro ordinamento, e più nello specifico, per garantire un'effettiva restitutio in integrum alla persona condannata all'esito di un processo che la stessa Corte di Strasburgo abbia riconosciuto come iniquo. Si tratta di un rimedio finalizzato all'emenda di vizi (più spesso) procedurali che secondo la Corte europea contrastano con la Convenzione, i quali non potrebbero essere eliminati con un intervento “diretto” sul titolo esecutivo, ma solo mediante la riapertura o la rinnovazione del giudizio di merito. Se questa è la natura del rimedio, non paiono sostenibili interpretazioni estensive finalizzate a consentirne l'applicazione in casi asseritamente analoghi, poiché connotati dal medesimo vizio procedurale. L'esigenza di una lettura restrittiva trova fondamento nella necessità di difendere “le situazioni processuali esaurite”, ovvero il giudicato, ancora oggi “presidio ineludibile della certezza del diritto”, situazioni sulle quali le sentenze di Strasburgo non hanno alcuna capacità di incidere e ciò a prescindere dalla ricognizione o meno della natura di sentenza “pilota” o “quasi pilota” della pronuncia di cui si chiede l'applicazione. Invero, le decisione della Corte Edu non hanno efficacia diretta ma impongono un obbligo di interpretazione conforme quando, come chiarito dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 49/2015) alle loro statuizioni può riconoscersi valore di giurisprudenza consolidata. L'avere la Corte di Strasburgo qualificato una sentenza come “pilota” in senso formale, o il dover comunque considerare una certa pronuncia come “pilota” in senso sostanziale (per essere rivelatrice di una violazione di tipo sistemico esistente all'interno dell'ordinamento) non attribuisce, infatti, alcun potere ai giudici interni sulle situazioni ormai interamente esaurite, ma può riverberarsi unicamente sulle violazioni della Convenzione ancora “attuali”. Tale lettura non pare contraddetta neppure dalle affermazioni contenute nella pronuncia delle Sezioni Unite Ercolano. L'estensione della efficacia della sentenza della Corte europea emessa nel caso Scoppola c. Italia a tutti i casi analoghi (ossia a tutti i soggetti condannati con sentenza passata in giudicato che si trovassero nelle medesime condizioni sostanziali del ricorrente), consegue infatti alla natura della violazione riscontrata, una violazione i cui effetti si riverberano esclusivamente sulla fase esecutiva che non può mai considerarsi una situazione “esaurita”. Nel caso di specie, invece, la Corte interviene a confermare che lo strumento della revisione europea non può essere utilizzato per far valere una violazione delle garanzie del “giusto processo” di cui all'art. 6 Cedu sulla base di un accertamento compiuto dai giudici di Strasburgo nei confronti di un soggetto diverso: e questo perché, solo violazioni di carattere sostanziale possono avere un effettivo carattere di sistematicità all'interno dell'ordinamento, mentre l'accertamento di violazioni di carattere processuale non può che dipendere, nel giudizio davanti alla Corte europea, dalle specificità della situazione concreta del ricorrente, sicché esso appare di per sé insuscettibile di estensione a soggetti che, pur lamentando una violazione dello stesso tipo, non abbiano personalmente adito il giudizio di Strasburgo. Del resto, anche nella sentenza dell'Utri, in cui la Cassazione ha preso posizione in favore di un'applicazione generalizzata – tanto da parte del soggetto vincitore in sede europea, quanto in favore dei suoi “fratelli minori” – del meccanismo della revisione europea, che a suo giudizio costituisce il principale canale di adeguamento dell'ordinamento interno alle pronunce definitive di condanna della Corte di Strasburgo, non solo con riguardo ai casi di violazione delle garanzie di cui all'

art. 6 Cedu

ma anche in rapporto all'accertamento di violazioni di carattere sostanziale, si afferma che seppure 'l'alterità soggettiva' del promotore della revisione non possa essere di ostacolo all'estensione degli effetti di una pronuncia della Corte di Strasburgo, anche a soggetti diversi dal 'vittorioso' a Strasburgo, tale estensione postula che vi sia assoluta identità di posizione con il ricorrente e che la violazione accertata derivi dall'applicazione di una norma di legge ovvero che l'intervento di rimozione o modifica del giudicato non presenti nessun contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto. Ne deriva una indiretta conferma del fatto che, al di fuori di queste situazioni, considerato il carattere eminentemente equitativo e casistico del giudizio sovranazionale, legato alle peculiarità della vicenda concreta, non è possibile riconoscere legittimazione alla proposizione della revisione europea a quei soggetti che si trovino nella medesima posizione del ricorrente 'vittorioso' a Strasburgo, i quali non abbiano però presentato ricorso alla Corte Edu.

Guida all'approfondimento

Geraci, Sentenze della Corte E.D.U. e revisione del processo penale. I. Dall'autarchia giudiziaria al rimedio straordinario, Roma, 2012; Geraci, L'impugnativa straordinaria per la violazione della Cedu accertata a Strasburgo: le ipotesi, le procedure, gli effetti, in (a cura di P. Corvi), Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, Torino, 2016, 69; Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen. 2011, p. 3308; Grasso-Giuffrida, L'incidenza sul giudicato interno delle sentenze della Corte di Strasburgo, in Dir. pen. cont., 25 maggio 2015, 15; Lattanzi, Aspetti problematici dell'esecuzione delle sentenze della Corte edu in materia penale, in Cass. pen. 2014, 3200; Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento per adempiere all'obbligo di conformarsi alle condanne europee: l'inserimento delle sentenza della Corte europea tra i casi di revisione, in Giur. cost., 2011, p. 1557 ss.; Lorenzetto, Violazioni convenzionali e tutela post iudicatum dei diritti umani, in Leg. pen., Approfondimenti, 25 novembre 2016, 16; Maggio, Nella “revisione infinita” del processo Contrada i nodi irrisolti dell'esecuzione delle sentenze Cedu e del concorso esterno nel reato associativo, in Cass. pen. 2016, 3424; Repetto, Corte costituzionale e CEDU al tempo dei conflitti sistemici, in Giur. cost., 2011, p. 1548; Romeo, L'orizzonte dei giuristi e i figli di un dio minore, in Dir. pen. cont., 16 aprile 2012; Ubertis, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo, in Giur. cost., 2011, p. 1542; Ubertis, Diritti umani e il mito del giudicato, in Dir. pen. cont., 5 luglio 2012, 6; Viganò, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all'ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte edu in Scoppola c. Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 10 aprile 2012, 23.

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