Consenso informato: modalità e contenuto ai fini della configurabilità della causa di giustificazione ex art. 50 c.p.

Giovanni Caspani
22 Marzo 2019

La legge 219/2017 ha disciplinato la materia del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento. In considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi dieci anni, che ha individuato il consenso come requisito di liceità dell'attività sanitaria, s'individuano i principi che si sono consolidati e li si confronta con la novella legislativa, per valutarne la portata nel quadro dell'ordinamento. Il tema della rilevanza del consenso del paziente nel qualificare giuridicamente la condotta del sanitario...
Abstract

La legge 219/2017 ha disciplinato la materia del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento. In considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi dieci anni, che ha individuato il consenso come requisito di liceità dell'attività sanitaria, s'individuano i principi che si sono consolidati e li si confronta con la novella legislativa, per valutarne la portata nel quadro dell'ordinamento.

Il consenso informato, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario

Il tema della rilevanza del consenso del paziente nel qualificare giuridicamente la condotta del sanitario nei suoi confronti, è stato risolto per molti anni nel considerare il trattamento sanitario come atto tipico, riconducibile all'elemento oggettivo di fattispecie penale (575582 c.p.) ma scriminato dal consenso, quindi non antigiuridico.

Si tratta di un orientamento ormai superato ed un apporto determinante è derivato dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni unite n. 2437 del 2008 nella quale il consenso viene indicato come presupposto di liceità del trattamento sanitario.

Norma di riferimento è l'art. 32, comma 1, Cost. che pone il bene della salute «non solo come interesse della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo», che richiede piena ed esaustiva tutela, in quanto «diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati».

Il diritto ai trattamenti sanitari «è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato alla attuazione che il legislatore ordinario ne dà, attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento». Ciò comporta che, al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto ai trattamenti sanitari diviene per il cittadino pieno e incondizionato nei limiti in cui lo stesso legislatore predisponga adeguate possibilità di fruizione delle prestazioni sanitarie.

Ne discende che l'attività sanitaria, proprio perché destinata a realizzare in concreto il diritto fondamentale di ciascuno alla salute, attuando la prescrizione dettata dall'art. 2 Cost., trova la sua legittimazione direttamente nelle norme costituzionali che tratteggiano il bene della salute come diritto inviolabile dell'individuo. Ne discende che si può qualificare tale attività come “costituzionalmente imposta”.

Allo stesso tempo il comma 2 del medesimo art. 32 vieta «i trattamenti sanitari obbligatori, salvo i casi previsti dalla legge» e così declina il diritto alla salute anche come diritto disponibile, quale libertà di curarsi. Ne «discende che il presupposto indefettibile che giustifica il trattamento sanitario va rinvenuto nella scelta, libera e consapevole – salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere – della persona che a quel trattamento si sottopone» (Cass. 18.12.2008 – 21.1.2009 nr. 2437). Tale scelta, secondo il Giudice delle Leggi (Corte Cost. n. 438/2008) esprime un diritto individuale. Si legge: «il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che la libertà personale è inviolabile, e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Il consenso quindi come sintesi di due diritti fondamentali della persona: «quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale».

Ora il consenso informato ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale conclusione significa che il parametro fondamentale che disciplina la relazione medico - malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario (Cass. pen. Sez. 4, n. 37077 del 24.6.2008e Cass sez. IV 27.11.2013-20.1.2014 n. 2347).

Si tratta di principio ribadito chiaramente anche dalla sentenza della Cassazione sezione III civile del 15.9.2008 nr. 23676 in relazione al dissenso a subire trasfusioni di sangue espresso da un testimone di Geova: «Il collegio non intenda punto negare il più generale principio in forza del quale va riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita. Né pare seriamente contestabile quanto sostenuto da un'attenta dottrina in tema di consenso informato nella trasfusione di sangue, e cioè che, in subiecta materia, deve ritenersi diversa, rispetto ai casi ordinari, la fattispecie in cui sia il testimone di Geova, maggiorenne e pienamente capace, a negare il consenso alla terapia trasfusionale, essendo in tal caso il medico obbligato alla desistenza da qualsiasi atto diagnostico e terapeutico.

E ciò perché il conflitto tra due beni – entrambi costituzionalmente tutelati - della salute e della libertà di coscienza non può essere risolto sic et simpliciter a favore del primo, sicché ogni ipotesi di emotrasfusione obbligatoria diverrebbe per ciò solo illegittima perché in violazione delle norme costituzionali sulla libertà di coscienza e della incoercibilità dei trattamenti sanitari individuali (così, un rifiuto "autentico" della emotrasfusione da parte del testimone di Geova capace - avendo, in base al principio personalistico, ogni individuo il diritto di scegliere tra salvezza del corpo e salvezza dell'anima – esclude che qualsiasi autorità statuale - legislativa, amministrativa, giudiziaria - possa imporre tale trattamento: il medico deve fermarsi)». (n.d.a. Si noti che nel caso concreto il sanitario aveva ottenuto un'autorizzazione a sottoporre il paziente a trasfusione emessa dalla Procura della Repubblica. Correttamente, a parere di chi scrive, tale intervento è stato definito “anomalo”)

Oltre agli articoli della Costituzione numerose norme internazionali prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell'ambito dei trattamenti medici.
L'art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, premesso che gli Stati «riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione», dispone che «tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore».
L'art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, prevede che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato»;

L'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce, poi, che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e che nell'ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge».

La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evinceva, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche: dall'art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati); dall'art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonché dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge.

Ma è con l'entrata in vigore della legge 22 dicembre 2017 n. 219, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento che viene disciplinato in un testo organico il tema del consenso informato, recependo espressamente in norme primarie i principi espressi ormai da un decennio dalla giurisprudenza. La formulazione dell'art. 1 comma 1 conferma l'individuazione del consenso informato quale requisito di liceità del trattamento sanitario, prevedendo espressamente che quest'ultimo non «può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata».

Il consenso informato, contenuto e forma

Come si è già visto la Corte Costituzionale nel 2008 ha tratteggiato il contenuto del consenso informato, scrivendo che il paziente ha: «Altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente».

L'informazione al paziente, secondo l'elaborazione giurisprudenziale, sia civile che penale, deve comprendere diversi profili relativi al trattamento sanitario: la natura dell'intervento o dell'esame, i rischi che comporta, anche se ridotti, la percentuale verosimile di successo, la possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi ed i rischi di questi ultimi, nonché le eventuali inadeguatezze della struttura.

In altri termini il paziente deve essere messo in condizioni di valutare ogni possibile rischio ed alternativa. Sicuramente non comprende i rischi anomali, cioè quelli ascrivibili a circostanze imprevedibili. Peraltro secondo una sentenza del 2014: «Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell'evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731.

Il consenso inoltre essere anche reiterato in occasione del compimento di ogni singolo atto diagnostico o terapeutico.

Peraltro il codice deontologico del maggio 2014 dell'ordine dei medici indica esplicitamente, all'art. 33, quale ne deve essere il contenuto, specificando in cosa consista l'informazione al paziente e disciplinandone anche le modalità di manifestazione.

Emerge chiaro il convincimento che sia ormai superata la configurazione della attività del medico come promanante da soggetto detentore di una “potestà” di curare, dovendosi invece inquadrare il rapporto medico-paziente nel contesto di una sorta di “alleanza terapeutica”.

Non solo perché il comma 3 dell'art. 35 vieta al medico di intraprendere o proseguire procedure diagnostiche e terapeutiche senza la preliminare acquisizione del consenso informato o quando vi sia addirittura un dissenso esplicito, così confermando la rilevanza della volontà del paziente come limite all'esercizio dell'attività medica.

L'art. 1 comma 3 della novella legislativa del 2017 ha recepito le indicazioni pervenute dalla giurisprudenza degli ultimi anni, esplicitando il contenuto informativo che deve precedere l'espressione del consenso (o del dissenso). Si richiede che il paziente (ma, ancora prima: ogni persona) deve conoscere e quindi essere informato dal sanitario, in ordine alle proprie condizioni di salute; «alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati» ma anche «alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento e dell'accertamento diagnostico».

Il legislatore non si ferma solo al contenuto dell'informazione, richiedendo che la stessa sia veicolata dal medico al paziente in modo completo, aggiornato e comprensibile, lasciando libertà circa l'individuazione del canale informativo di cui servirsi (il comma 4 richiede che: «il consenso sia acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente»), tuttavia imponendo in ogni caso la forma scritta o la videoregistrazione d, ovviamente, l'inserimento in cartella clinica.

Come già anticipato dall'art. 33 comma 2 del menzionato codice deontologico, è ora previsto dalla legge (art. 1 comma 3) il diritto del paziente a: «rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle o di esprimere il consenso in sua vece». Parrebbe doversi ritenere che una volta espresso tale rifiuto il paziente non possa che delegare a terzi la manifestazione del consenso. Diversamente quest'ultimo sarebbe privo del suo presupposto, cioè del necessario contenuto informativo indispensabile perché la scelta sia consapevole.

Sempre il legislatore del 2017 ha recepito l'interpretazione delle norme costituzionali che ha portato a riconoscere il diritto dell'individuo a sottrarsi alle cure, fino a lasciarsi morire.

Il diritto al rifiuto è espressamente previsto dal comma 5, riguarda sia gli accertamenti diagnostici che i trattamenti sanitari ed è esteso anche a quelli necessari alla propria sopravvivenza. Non si tratta affatto del diritto al suicidio, ma a scegliere se e come farsi curare.

Si tratta di una scelta che deve essere attuale e che può mutare nel tempo. Infatti il comma 5 riconosce anche ad «ogni persona capace di agire […] il diritto di revocare in qualsiasi momento, il consenso prestato».

L'ovvio corollario delle varie forme, sopra viste, in cui si declina il diritto all'autodeterminazione in materia di salute è, e non potrebbe che essere, l'esenzione da responsabilità sia civile che penale del medico «tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo» (comma 6). Tale rispetto diviene, come anticipato all'inizio del presente elaborato, condizione di liceità del trattamento sanitario, che esclude la stessa riconducibilità delle condotte al fatto tipico descritto dalle norme penali.

Dissenso e assenza di consenso

Si tratta di due situazioni profondamente diverse. L'assenza di consenso non è equiparabile al dissenso.

Si può verificare che il soggetto si trovi in situazioni di temporanea incapacità di intendere e volere, ad esempio perché ha subito un sinistro o versi in condizioni di salute che lo hanno reso incosciente.

In tali casi il consenso non potrà essere raccolto dal paziente.

La sottoposizione a trattamento sanitario, qualora si concretizzi in atti urgenti, non differibili, se non a pregiudizio della salute o, peggio, della vita, sarà scriminata ex art. 54 c.p.p. (stato di necessità) e/o ex art. 51 c.p. (adempimento di un dovere).

La ricorrenza di tali cause di giustificazione esclude l'antigiuridicità della condotta, sia sotto il profilo penale che sotto quello civilistico, impedendo non solo che sia considerata penalmente rilevante, ma anche il risarcimento di eventuali danni. Ciò vale, beninteso, rispetto all'ipotetica violazione del diritto ad esprimere un consenso informato e, quindi, a scegliere se e come essere curati. Nulla quindi a che vedere con la rilevanza penale o la risarcibilità di un danno qualora la condotta del sanitario cagioni per colpa il decesso o lesioni personali.

Oggi tale causa di giustificazione “speciale” è prevista dal comma 7 dell'articolo 1 che prevede: «Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'équipe sanitaria assicurano le cure necessarie” aggiungendo “nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla».

Diverse le situazioni in cui il paziente non presti il consenso o, meglio, rifiuti gli accertamenti o le cure esercitando il diritto previsto dal citato comma 5. In tali casi la condotta del sanitario che lo sottoponesse a trattamento non potrebbe considerarsi scriminata.

Peraltro anche il dissenso, per essere valido, deve presentare gli stessi requisiti richiesti per il consenso; sia in relazione al contenuto delle informazioni, preliminari alla manifestazione di volontà, si estrinsechi essa in consenso o dissenso, che con riguardo alla forma (come espressamente disciplinato dal comma 5).

Inoltre il paziente che ha espresso il consenso/dissenso deve essere, nel momento in cui ha manifestato questo suo diritto, in grado di esercitarlo compiutamente e, quindi, pienamente capace d'intendere e di volere. Sul punto l'art. 3 disciplina i casi di persona minore o incapace.

In conclusione
  • Il consenso informato, quale sintesi di due diritti fondamentali della persona, quello all'autodeterminazione e quello alla salute, si pone come presupposto di liceità dei trattamenti sanitari.
  • Il consenso deve essere espresso in ordine sia agli accertamenti diagnostici che ai trattamenti sanitari e presuppone un'informazione completa e comprensibile al paziente.
  • Tale diritto si estende fino al rifiuto delle cure “salva vita” e la sua valida espressione esenta da responsabilità il sanitario.
  • La legge 22 dicembre 2017 n. 219 ha tradotto in legge le indicazioni giurisprudenziali che si sono formate sul tema almeno negli ultimi dieci anni.
Guida all'approfondimento

M. Fasan, Consenso informato e rapporto di cura: una nuova centralità per il paziente alla luce della legge 22 dicembre 2017 nr. 219, in Giurisprudenza Penale, 2019, 1-bis.

G. Buffon, Il consenso informato coinvolge paziente, sanitari e familiari, in Guida al Diritto nr. 8 del 2018.

S. Corso, La cassazione chiarisce estensione e confini del diritto del paziente al consenso informato, in rivistaresponsabilitamedica.it articolo del 23.4.2018.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.