Illegittimo il precetto di pagamento intimato al condominio in violazione del principio della preventiva escussione dei condomini morosi

25 Marzo 2019

Il Tribunale di Palermo, in contrasto con il prevalente orientamento della giurisprudenza di merito, statuisce l'illegittimità dell'azione esecutiva nei confronti del condominio (rectius, dei singoli condomini indistintamente coinvolti) in violazione del principio espresso dal novellato art. 63 disp. att. c.c., che impone la preventiva escussione dei condomini morosi...
Massima

I creditori del condominio prima di richiedere il pagamento a coloro che hanno già versato la propria quota devono, previo ottenimento della lista dei morosi da parte dell'amministratore, procedere con le azioni di recupero verso ciascun debitore in ragione della rispettiva quota, dimostrando di aver intrapreso tutte le procedure (mobiliari, immobiliari e presso terzi), in danno del condomino moroso, nonché seguirle con la dovuta diligenza e buona fede. Ne consegue l'illegittimità del precetto di pagamento intimato al condominio anziché ai singoli condomini morosi, e della conseguente azione esecutiva sul conto corrente condominiale, poiché il creditore agirebbe in concreto nei confronti dei condomini non morosi senza rispettare il beneficio della preventiva escussione loro riconosciuta ex lege.

Il caso

A conclusione di un procedimento contenzioso ordinario, il condominio veniva condannato a pagare una somma di denaro in favore di terzi. A seguito della notifica della sentenza di condanna, l'amministratore provvedeva ad effettuare la ripartizione delle somme, a corrispondere le quote riscosse e a comunicare, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., i dati dei condomini morosi nei confronti dei quali poter azionare il titolo esecutivo.

Nonostante le iniziative dell'amministratore, i creditori notificavano atto di precetto al condominio, intimando il pagamento della residua somma ancora vantata e preannunciando, quindi, l'azione esecutiva in danno del medesimo condominio.

Il condominio proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c. sostenendo che i creditori avrebbero dovuto agire nei confronti dei condomini morosi e non del condominio, per cui chiedevano dichiararsi l'illegittimità dell'atto di precetto.

Il Tribunale di Palermo, con la sentenza in commento, ha accolto l'opposizione ritenendo illegittimo l'intimato precetto di pagamento rivolto al condominio, perché in contrasto con il disposto dell'art. 63 disp. att. c.c., non tacendo il contrasto giurisprudenziale sulla interpretazione di tale norma e in particolare sul tema della pignorabilità del conto corrente condominiale.

La decisione consente, quindi, di fare il punto sulla questione controversa e di formulare alcune osservazioni critiche al prevalente e non condivisibile orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di merito.

La questione

Il caso deciso dal giudice palermitano riguarda la dibattuta questione del recupero dei crediti nei confronti del condominio, e in particolare della legittimità dell'azione esecutiva avviata nei confronti del condominio - con particolare riferimento al pignoramento delle somme depositate sul conto corrente condominiale - anziché nei confronti dei singoli condomini morosi.

Prima della riforma introdotta dalla l. n. 220/2012, la Suprema Corte, con la nota sentenza a Sezioni Unite (Cass. civ, sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148), aveva sovvertito il principio della solidarietà delle obbligazioni condominiali di natura contrattuale, statuendo il più rigoroso principio della parziarietà di tali obbligazioni, chiarendo e precisando alcuni principi fondamentali della materia.

La Corte precisò che nei confronti del singolo condomino, che ha assolto all'obbligo di corrispondere la sua quota, non è possibile eseguire l'intero in via solidale, affermando che «conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individuale nei confronti dei singoli secondo la quota di ciascuno».

La l. n. 220/2012 ha successivamente modificato l'art. 63 disp. att. c.c., introducendo, al comma 1, la seguente precisazione: «...l'amministratore...è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi»; ed al secondo comma «I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini».

La nuova disposizione non sembra, quindi, aver scalfito il principio di parziarietà, che anzi ne è risultato rafforzato nella sua valenza, potendosi ravvisare in tale disposizione una vera e propria traduzione in norma di un orientamento di diritto vivente.

È apparso chiaro, invero, come il disposto in questione abbia definitivamente sancito che i creditori del condominio potranno avviare azioni esecutive nei confronti dei soli condomini “morosi” e, solo in via sussidiaria, nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, trovando quindi conferma il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali, direttamente connesso al concetto di adempimento/inadempimento della quota condominiale di pertinenza di ciascun condomino.

Ogni condomino, infatti, risponde esclusivamente in misura proporzionale alla propria quota, sia nei confronti dell'amministratore, in via principale e diretta, sia nei confronti del creditore del condominio, in caso di inadempimento (morosità) e conseguente azione di recupero coattivo. Al solo fine di garantire il soddisfacimento del credito del terzo, il legislatore ha altresì previsto l'obbligo di pagamento in capo ai condomini in regola con i pagamenti per il residuo credito non soddisfatto, ma solo dopo l'escussione dei morosi.

Orbene, assodati i superiori principi, si è posta la questione, che in questa sede ci occupa, della possibilità di avviare comunque azioni esecutive nei confronti del condominio, anziché nei confronti dei singoli condomini morosi, laddove si possa rinvenire un “bene condominiale” aggredibile, quale, come da molti sostenuto, il denaro giacente in un conto corrente condominiale.

Il creditore insoddisfatto, invero, preferisce avviare l'azione esecutiva nei confronti di un unico “soggetto” (Condominio) anziché moltiplicare le azioni in ragione del numero dei condomini morosi: in concreto, quindi, già dopo l'arresto giurisprudenziale del 2008, sono notevolmente aumentati i procedimenti esecutivi sui conti correnti condominiali, che hanno animato accesi dibatti in dottrina e contrastanti decisioni fra i giudici di merito, oltre alle ovvie gravi difficoltà gestionali dei condominii medesimi.

L'orientamento prevalente vede molti Tribunali schierarsi in favore della pignorabilità del conto corrente condominiale, proprio sul presupposto dell'esistenza di un “patrimonio comune” aggredibile, ma a tali conclusioni si perviene in modo del tutto semplicistico e con motivazioni giuridiche alquanto discutibili, tanto ad aver indotto alcuni Tribunali, tra cui quello Palermitano in commento, a sostenere la tesi contraria, seppure con motivazioni anch'esse più o meno condivisibili, che impongono una più attenta riflessione.

Il caso posto all'attenzione del magistrato panormita, seppure non avente ad oggetto un'opposizione a pignoramento del conto corrente condominiale, bensì al precetto di pagamento rivolto al condominio, ha dato spunto al decidente per esprimere, incidentalmente, la propria contrarietà all'ammissibilità di tale azione esecutiva, ponendosi in espresso contrasto con le prevalenti decisioni degli altri Tribunali.

Le soluzioni giuridiche

La tesi favorevole alla pignorabilità del conto corrente condominiale, e quindi dell'azione esecutiva rivolta al “soggetto” condominio distinto dai singoli condòmini, fonda il proprio assunto sul fatto che a seguito della riforma introdotta dalla l. n. 220/2012 sembrerebbe rafforzata proprio quella soggettività autonoma del condominio, da cui discenderebbe una pur minima autonomia patrimoniale rispetto ai singoli partecipanti.

Tale assunto trae spunto dalle seguenti nuove previsioni dell'art. 1129 c.c.:

  • comma 7: «L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi...su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio...»;
  • comma 12: «Costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità: ... 4) la gestione secondo modalità che possono generare confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini».

Il riferimento al conto intestato al condominio e al patrimonio di quest'ultimo che il legislatore ha introdotto nelle riformate disposizioni codicistiche, secondo alcuni autori e la prevalente giurisprudenza di merito, costituiscono chiaro indice della rafforzata soggettività del condominio e della conseguente autonomia patrimoniale dell'Ente di gestione rispetto ai singoli partecipanti al condominio.

Così i vari giudici di merito hanno concluso che le quote versate dai condomini che affluiscono sul conto corrente intestato al Condominio si confondono in un'unica provvista utilizzabile dall'amministratore ex art. 1582 c.c. senza che sia possibile distinguere l'appartenenza all'uno o all'altro dei condomini che hanno provveduto al versamento.

Ne deriva, quindi, che il pignoramento su tale “patrimonio” del condominio non interferisce con il meccanismo del beneficio di escussione previsto dall'art. 63 disp. att. c.c., poiché il creditore non agisce nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, bensì, appunto, sul patrimonio indistinto del “soggetto” condominio. Il meccanismo del beneficio di escussione ex art. 63 sarebbe, quindi, posto a presidio soltanto dei distinti obblighi pro quota spettanti ai singoli proprietari esclusivi (Trib. Milano 27 maggio 2014; Trib. Reggio Emilia 16 maggio 2014; Trib. Taranto 13 luglio 2015 n. 2413; Trib. Milano 21 novembre 2017 n. 11878).

Di contro, alcuni Tribunali - tra cui quello palermitano in commento - ritengono che il principio di parziarietà sancito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nel 2008 si stato in toto recepito nella riforma del 2013, stante la chiara formulazione del novellato art. 63 disp. att. c.c., che impone al creditore del Condominio di agire esecutivamente nei confronti dei condomini morosi e, in via sussidiaria, nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti. Tale formulazione viene ritenuta coerente con il principio espresso dalle Sezioni Unite circa la diretta imputazione in capo ai condomini delle obbligazioni condominiali contratte dall'amministratore verso i terzi, da cui consegue che il creditore dovrà agire nei confronti dei “singoli condomini debitori”, pro quota, e non nei confronti di un inesistente terzo soggetto condominio.

Da ciò la dichiarata inammissibilità delle azioni esecutive avviate indistintamente nei confronti del condominio, già nella fase della intimazione del precetto, come nella sentenza in commento.

Osservazioni

Ad avviso di chi scrive, la dibattuta questione non può trovare soluzione univoca finché non verrà fatta definitiva chiarezza sulla questione madre del diritto condominiale, che ha animato anche il dibattito parlamentare, cioè la questione sulla natura giuridica del condomino e sulla sua soggettività autonoma o meno.

È chiaro, infatti, come dalla più o meno riconosciuta soggettività del condominio potrà discendere una diversa soluzione alla questione che ci occupa, fondata appunto sulla imputazione delle obbligazioni assunte dall'amministratore e sulla individuazione della relativa responsabilità nei confronti dei terzi creditori; cioè se le obbligazioni assunte dall'amministratore possano essere imputate anche al “soggetto condominio”, il quale ne risponderà con il proprio “patrimonio” o se tali obbligazioni vanno imputate esclusivamente ai singoli condomini, unici responsabili nei confronti dei terzi.

Ebbene, se non si vuole considerare del tutto vana la recente riforma del diritto condominiale, non possiamo che ricercare concreta risposta e definitiva soluzione al superiore contrasto nelle modifiche e integrazioni apportate dal legislatore con la l. n. 220/2012.

Prima della riforma la Suprema Corte, con la cennata sentenza a Sezioni Unite (Cass. civ, sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148), aveva fatto definitiva chiarezza sull'argomento, prendendo netta posizione sulla configurazione giuridica del condominio, per confermarne l'assenza di qualsiasi soggettività distinta da quella dei singoli condòmini nella loro veste di collettività organizzata.

Lo stesso estensore della sentenza (Corona), chiarisce nei suoi scritti successivi che il condominio non è un'entità unitaria, non è un soggetto di diritto e non è neppure un Ente di gestione. Esso raffigura un'organizzazione pluralistica dei proprietari dei piani o delle porzioni di piano siti nell'edificio.

Conseguentemente l'amministratore non è un “organo” del condominio e quando stipula contratti con i terzi non lo fa per conto del “soggetto condominio” ma per conto dei singoli condomini, in capo ai quali, quindi, nascono le relative obbligazioni; obbligazioni che si trasferiscono ai condomini proprio in virtù del mandato con rappresentanza ex lege che intercorre tra questi e l'amministratore.

L'obbligazione in capo al singolo condomino nasce quindi parziaria, cioè ogni condomino è responsabile per l'adempimento delle obbligazioni condominiali limitatamente alla quota di propria competenza (art. 1123 c.c.), quella quota che costituisce il diritto sulle parti comuni ragguagliato al valore proporzionale dell'unità immobiliare che gli appartiene (art. 1118 c.c.).

Si tratta, invero, di obbligazione propter rem, cioè di obbligazione che nasce, in astratto, proprio come conseguenza delle contitolarità del diritto sulle cose, impianti e servizi comuni, e proprio in ragione e nella misura del valore proporzionale del diritto di ciascun condomino su tali beni, e che, in concreto, viene adempiuta, sempre nella stessa misura, nelle mani dell'amministratore. Questi, a sua volta, nella qualità di mandatario con rappresentanza, seppur ex lege, dei singoli obbligati, assume l'obbligazione e la estingue per conto dei singoli condomini nei confronti dei terzi. Egli, infatti agisce in rappresentanza di una organizzazione e non di un soggetto terzo rispetto ai condomini (non si può ravvisare quindi una rappresentanza organica), e lo fa nei limiti dei poteri conferiti dai singoli, il cui contenuto è predeterminato dalla legge ed è definito dal sistema delle quote di ciascuno, alle quali è commisurato: eventuali atti posti in essere dall'amministratore che dovessero impegnare i singoli condomini oltre il valore della propria quota sarebbero certamente contrari ed eccedenti rispetto al mandato conferito e, quindi, inefficaci nei confronti dei medesimi condomini mandanti.

Da ciò la necessaria conseguenza della natura parziaria delle obbligazioni condominiali: cioè ogni condomino è responsabile dell'adempimento delle obbligazioni assunte dall'amministratore limitatamente alla propria quota, ciò sia nei confronti dello stesso amministratore che nei confronti dei terzi, ai quali quindi è posto il divieto di chiedere il pagamento dell'intero al singolo.

Nel 2013, entra in vigore la legge di riforma, che nulla precisa sul tema della soggettività del condominio, ma che viene diversamente interpretata da una parte della dottrina e della giurisprudenza: alcuni riferimenti al “patrimonio del condominio”, distinto da quello dei singoli condomini, farebbero propendere, secondo tale interpretazione, per una pur minima e attenuata soggettività del condominio.

Ebbene - ad avviso di chi scrive - una tale interpretazione delle norme è frutto di una lettura parziale e certamente non sistematica della riformata disciplina condominiale, dalla quale, invece, non può che desumersi la riaffermazione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali e di tutti i principi ad esso sottesi, così come chiariti ed espressi nella più volte citata sentenza a Sezioni Unite del 2008.

Non v'è dubbio, infatti che la riforma abbia confermato l'assenza di soggettività giuridica propria del condominio, distinta da quella dei singoli partecipanti, e abbia, di conseguenza, dato veste normativa al principio della parziarietà delle obbligazioni condominiali e del relativo divieto per i creditori del condominio di agire indistintamente contro ciascun condomino per il recupero integrale dei propri crediti.

Ricordiamo che il legislatore ha espressamente espunto dal testo di legge di riforma qualsiasi riferimento alla personalità giuridica del condominio, presente nel progetto originario, e ha, di contro, rafforzato la figura dei singoli partecipanti al condominio, unici soggetti titolari di diritti ed obblighi, introducendo varie disposizioni tendenti a sollecitare una maggiore partecipazione e responsabilità di tali soggetti per la gestione della cosa comune (v. artt. 1117-quater, 1122, comma 2, 1129, comma 11, c.c., e artt. 67 e 70 disp. att. c.c.).

È stata altresì definitivamente sancita l'applicazione delle norme sul mandato al rapporto tra condomini e amministratore (comma 15 dell'art. 1129 c.c.), mantenendo ogni riferimento alla “rappresentanza dei singoli partecipanti” (comma 1 dell'art. 1131 c.c.).

In linea con tale impostazione, il legislatore non poteva che tradurre in norma il principio della natura parziaria delle obbligazioni condominiali, introducendo apposite disposizioni che imponessero ai creditori del condominio non ancora soddisfatti di agire preventivamente nei confronti dei condomini morosi, previo interpello dell'amministratore per la consegna dei relativi dati, e, solo dopo la comprovata escussione di questi, di rivolgersi ai condomini in regola con i pagamenti (art. 63 disp. att. c.c.).

Tali disposizioni non troverebbero di certo alcuna giustificazionequalora i creditori avessero, come sostenuto da alcuni, diretta azione nei confronti dei “condomini indistintamente”, attraverso l'azione esecutiva rivolta al condominio rappresentato dall'amministratore.

La chiarezza di una tale impostazione sembra però ignorarsi da coloro che ravvisano nelle nuove norme codicistiche un'affermata soggettività del condominio, ciò sulla scorta del semplice e unico riferimento al “patrimonio del condominio” indicato nel n. 4) del comma 12 dell'art. 1129 c.c.

Come detto, tale riferimento, insieme all'obbligo di “far transitare le somme...” su uno specifico “conto corrente, postale o bancario intestato al condominio”, farebbe desumere, secondo tale non condivisibile interpretazione, l'esistenza di un patrimonio del soggetto condominio, distinto da quello dei singoli condomini; da ciò, come affermato dal Tribunale di Milano (Trib. Milano, 21 novembre 2017 n. 11878), si evincerebbe che la riforma ha dato un'accelerata al processo di “entificazione” del condominio!

La prefata lettura esegetica, indice di evidente assenza di una lettura sistematica delle norme, non è per nulla condivisibile per le seguenti ulteriori ragioni.

Il termine “patrimonio del condominio”, inserito fra le norme regolanti il procedimento di revoca dell'amministratore per gravi irregolarità, deve essere inteso come semplice riferimento ai principi che regolano le modalità di esercizio dell'attività contabile-amministrativa della gestione condominiale, improntata ai criteri di correttezza e trasparenza, ai quali tutta la riforma dedica particolare attenzione.

Ricordiamo, infatti, che prima della riforma la stessa Corte di Cassazione, proprio in tema di conto corrente condominiale e di revoca dell'amministratore, aveva statuito che «..pur in assenza di specifiche norme che ne facciano obbligo, l'amministratore è tenuto a far affluire i versamenti di quote condominiali su apposito e separato conto corrente intestato al condominio. E ciò per evitare confusioni e sovrapposizioni tra il patrimonio del condominio e il suo personale, oltre che per una esigenza di trasparenza e di informazione di tutti i condomini che intendano verificare la destinazione dei propri esborsi e la gestione condominiale» (Cass. civ., sez. II, 1 maggio 2012, n. 7162).

Anche in questo caso, quindi, il legislatore della riforma ha tradotto in norma il diritto vivente, forse in modo troppo frettoloso e poco attento, mantenendo alcune espressioni che, però, non possono avere alcuna portata ulteriore rispetto al tema cui si riferiscono: nella fattispecie al solo scopo di rimarcare la necessità di trasparenza nella gestione del denaro, in modo da non creare confusione tra le somme (patrimonio) che l'amministratore gestisce per conto dei condomini e quelle personali.

Si rileva, altresì, che nel nostro ordinamento laddove si è voluto dare autonomia al “patrimonio” di un gruppo non personificato, rispetto ai singoli partecipanti, è stato espressamente previsto dalla norma, anche ai fini delle relative responsabilità nei confronti dei creditori (ad esempio, v. artt. 37 e 38 c.c. per le associazioni e art. 5 l. n. 383/2000 per le associazioni di promozione sociale).

Nessuna norma si rinviene, invece, nella disciplina del condominio riferita espressamente ad un patrimonio autonomo aggredibile dai creditori.

Né un tale riferimento può ravvisarsi nell'art. 1135, n. 4), c.c., laddove viene usata l'espressione “fondo speciale”, poiché anche tale espressione, così come quella di “fondo per le spese ordinarie” di cui all'art. 70 disp. att. c.c., è certamente utilizzato ai soli fini della distinzione contabile e di imputazione che l'amministrazione deve garantire per una corretta e trasparente rendicontazione.

Si ricorda che le somme che i condomini versano nel “fondo ordinario” e nei vari “fondi straordinari”, che costituiscono la provvista da mettere a disposizione del mandatario per l'erogazione delle spese, andranno distinte nella rappresentazione numerica della rendicontazione annuale e nella “situazione patrimoniale” (anche qui si fa riferimento ad una situazione del “patrimonio” del Condominio ma solo ai fini contabili) che l'amministratore deve predisporre ai sensi del nuovo art. 1130-bis c.c., a mente del quale i “fondi disponibili ... devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica”.

Anche in questo caso il termine “fondi”, lungi dall'assumere una connotazione di patrimonio autonomo del condominio, è utilizzato al semplice scopo di distinguere contabilmente le somme erogate dai singoli condomini in base alla specifica destinazione, onde garantire una corretta e trasparente tenuta dei conti. Le somme che affluiscono nei singoli fondi avranno quindi una propria destinazione (spese ordinarie e straordinarie) e andranno a “transitare” nell'unico obbligatorio conto corrente condominiale a disposizione dell'amministratore (ai sensi del comma 7 dell'art. 1129 c.c.).

E non a caso il legislatore ha utilizzato il termine “transitare”, proprio a voler indicare un passaggio di denaro tracciabile che consenta ai condomini un controllo trasparente delle operazioni contabili effettuate dall'amministratore, posto ad esclusiva garanzia di una chiara e comprensibile tenuta dei conti. Un transito che, tra l'altro, dovrà corrispondere alle annotazioni contabili, da effettuare entro 30 giorni nel relativo registro di contabilità (comma 7 art. 1130 c.c.) e che dovrà essere rendicontato annualmente in modo da consentire l'immediata verifica dei fondi disponibili e delle eventuali riserve a disposizione dell'amministratore (art. 1130-bis c.c.).

Rileviamo che, anche prima della riforma, la stessa Cassazione, con la cennata sentenza (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2012, n. 7162), statuiva che «..il conto corrente dedicato risponde anche a un'esigenza di trasparenza e informazione, in modo che ciascun condomino possa costantemente verificare la destinazione dei propri esborsi e la chiarezza e facile comprensibilità della gestione condominiale».

Il legislatore ha quindi fatto propri i suggerimenti della giurisprudenza rendendo obbligatorio il conto corrente condominiale e utilizzando il termine “transitare”, allo scopo di sottolineare la finalità di semplice tracciabilità delle operazioni contabili effettuate dall'amministratore, ai fini di una trasparente e comprensibile rendicontazione.

D'altra parte, è da sottolineare come l'obbligatorietà del conto corrente condominiale, prevista dall'art. 1129 c.c. tra gli obblighi dell'amministratore, sembra sia proprio riferita alla presenza di un amministratore, la cui figura, ricordiamo, non è obbligatoria nei condominii con meno di 9 partecipanti; ciò a conferma della finalità di mera trasparenza dei conti e controllo dell'operato dell'amministratore che tale strumento tende a soddisfare.

E ancora, non v'è dubbio che le somme che transitano sul conto corrente condominiale, oltre ad avere una propria e specifica destinazione (già solo per questo motivo non soggette ad indiscriminata aggressione da parte dei creditori), sono proprio quelle dei condomini in regola con i pagamenti, riferite alle gestioni ordinarie e straordinarie immediatamente verificabili dalla documentazione contabile tenuta dall'amministratore, e solo a quei soggetti riferibili.

Ammettere un pignoramento su tali somme significa, quindi, consentire ai creditori di agire direttamente nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, in chiara violazione del divieto imposto dall'art. 63 disp. att. c.c.

Anche per tale motivo, oltre che per quanto sopra esposto in merito all'assenza di autonomia patrimoniale del condominio, deve ritenersi illegittima l'azione esecutiva sul conto corrente condominiale, come correttamente rilevato dal Giudice Palermitano nella sentenza in commento.

Sia consentita un'ultima notazione di carattere valoriale, per trovare coerenza tra la scelta della parziarietà delle obbligazioni condominiali operata dalla giurisprudenza e fatta propria dal legislatore della riforma, e la ratio del nuovo impianto normativo voluto dallo stesso legislatore.

Come precisato dallo stesso Autore (Corona), la responsabilità parziaria delle obbligazioni condominiali risponde ai “valori sociali dell'impegno e della responsabilità personale e patrimoniale dei soggetti obbligati (ogni componente del gruppo si impegna a collaborare e cooperare, per far fronte agli impegni nei confronti dei terzi), valori che certamente sono da prediligere rispetto a quelli fondanti la responsabilità solidale, cioè i “valori economici” della celerità della riscossione del credito (i condebitori solidali non collaborano per adempiere ma subiscono la scelta del creditore, al quale bisogna garantire la rapidità del soddisfacimento del credito).

Medesimo privilegio di valori possiamo riscontrare nella scelta operata nella legge di riforma, laddove, come sopra soltanto accennato e come la presente breve disamina non permette di approfondire, il legislatore ha cercato di spostare l'attenzione dal gruppo indistintamente considerato e governato dal ruolo centrale dell'amministratore, ai singoli partecipanti al condominio, ai quali è stato dato maggiore stimolo alla partecipazione e alla gestione diretta della cosa comune, proprio al fine di sottolineare, da un lato, la loro esclusiva titolarità di ogni diritto e obbligo sui beni comuni, e, dall'altro, la conseguente responsabilità personale e patrimoniale che ad ognuno di essi compete, ma che viene spesso egoisticamente accantonata in danno degli altri, in spregio ai basilari principi di solidarietà sociale che devono essere posti a fondamento di ogni sana comunità civile.

Guida all'approfondimento

Corona, Le obbligazioni dei condomini. Per farla finita con la solidarietà, Milano, 2013;

Izzo, Le cause condominiali, Milano, 2010, 313;

Izzo, L'esecuzione dell'obbligazione condominiale parziaria e i punti controversi, in Corr. giur., 2012, fasc. 7, 941;

Lazzaro - Di Marzio - Petrolati, Codice del condominio, Milano, 2014, 537.

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