Legittimazione attiva dell’amministratore del condominio e rispetto delle distanze legali

26 Marzo 2019

Il giudice monocratico della sezione distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli ha accolto la domanda giudiziale, proposta da un condominio, a mezzo del proprio amministratore pro tempore, nei confronti dei proprietari di immobili frontisti, volta al rispetto delle distanze tra fabbricati...
Massima

Va accolta la domanda con cui un condominio, a mezzo del proprio amministratore pro tempore, con riferimento al complesso condominiale ha lamentato, nei confronti dei proprietari frontisti, l'inosservanza delle prescrizioni relative alle distanze tra fabbricati ed ha, quindi, chiesto la demolizione di quanto edificato in violazione e il risarcimento del danno conseguito.

Il caso

Un condominio, a mezzo del proprio amministratore nonché alcuni condomini proprietari di unità immobiliari in esso comprese, lamentavano che in uno spazio contiguo ad uno dei fabbricati componenti il complesso condominiale era stato realizzato, senza il rispetto delle distanze legali ex art. 873 c.c., un manufatto con sottostante cisterna.

Inoltre, i singoli condomini sostenevano che gli immobili in loro proprietà erano stati attinti da infiltrazioni promananti da tale costrutto.

Agivano, pertanto, dinanzi il competente Tribunale chiedendo, nei confronti dei proprietari frontisti, la demolizione dei quanto abusivamente realizzato oltre che il risarcimento del danno conseguitone.

I convenuti, costituiti, contestavano la domanda.

La questione

La questione che si è presentata al tribunale partenopeo e che ha trovato, sia pure non in modo esplicito, risoluzione è quella della legittimazione del condominio, a mezzo del proprio amministratore, all'esercizio di azione reale a salvaguardia del complesso condominiale, distinta da quella, contestuale ed avente medesimo oggetto, fatta valere da singoli condomini a tutela delle unità immobiliari in proprietà solitaria.

La pretesa azionata nei confronti del proprietario frontista e diretta al rispetto delle distanze legali tra fabbricati si inscrive nel novero delle misure di tutela del diritto dominicale che potrebbe altrimenti trovare pregiudizio in concorrenti situazioni limitative, giuridicamente integranti servitù a vantaggio di terzi.

Le soluzioni giuridiche

L'adìto decidente, sulla scorta degli esiti di espletata C.T.U. che ha convalidato, in punto di fatto, la denuncia attorea, ha accolto la domanda e ha condannato parte convenuta alla demolizione del corpo di fabbrica laddove non rispettante la distanza legale oltre che al risarcimento del danno che, quanto al condominio, lo ha riscontrato quale effetto dell'accertata violazione e lo ha determinato equitativamente ai sensi dell'art. 1226 c.c., quando ai condomini attori lo ha, invece, rapportato agli esborsi sostenuti per elidere gli effetti delle infiltrazioni.

Osservazioni

La pronuncia richiamata s'impone all'attenzione dell'interprete perché stimola plurimi interrogativi su questioni proprie e peculiari della materia condominiale.

Il tribunale insulare ha ritenuto sussistente legittimazione del condominio a mezzo del proprio amministratore all'esercizio di azione reale di natura petitoria oltre che per la connessa richiesta risarcitoria.

È indubbio che la pretesa avente ad oggetto il rispetto delle distanze tra fabbricati si inserisce nello statuto del diritto dominicale perché volta ad affermare l'inesistenza di altrui ragioni che potrebbero comportare limitazioni sul bene e dare origine a servitù.

In ragione di tale natura giuridica, titolato al suo esperimento deve ritenersi il solo proprietario della costruzione fronteggiante l'edificio che si asserisce essere posto a distanza inferiore a quella legale, così come, dal lato passivo, legittimato può essere il solo proprietario dell'immobile posizionato contra legem (come precisato da Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2005, n. 18341)

In àmbito condominiale, l'amministratore, per dettato normativo - art.1131 c.c. - può promuovere, nei confronti di terzi, giudizi il cui oggetto rientra nelle proprie istituzionali attribuzioni che si traggono dalla previsione dell'art. 1130 c.c. e che possono ricevere integrazione da concorrente previsione del regolamento di condominio ovvero da decisione dell'assemblea.

Poiché l'ente di gestione condominiale si caratterizza, quanto a contenuto e funzione, come organizzazione predisposta per la conservazione delle parti comuni dello stabile e per garantire la prestazione dei servizi di interesse collettivo, le attività di governo al cui esercizio è preposto l'amministratore vengono, di conseguenza, a delinearsi in vista e in funzione del concreto assolvimento di tali scopi.

In logica e giuridica coerenza con detti presupposti si esclude che l'amministratore possa dare inizio, in nome e per conto del condominio gestito, a procedimenti volti al perseguimento di risultati che esulino e non siano riconducibili a tali finalità.

Laddove, pertanto, si controverta dell'esistenza e contenuto del diritto dominicale, sia sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva comprese nello stabile condominiale, sia sulle parti comuni dell'edificio, l'amministratore, di regola, non potrà rendersi promotore del relativo giudizio poiché la legittimazione deve ascriversi in capo ai singoli condomini in quanto ciascuno contitolare sostanziale della relativa pretesa proprietaria.

Diverso ordine di considerazione deve farsi nel caso in cui vi sia una deliberazione dell'assemblea o una clausola del regolamento di condominio che abiliti l'amministratore all'abbrivio di tale tipologia di procedimenti.

In simili evenienze, va precisato, il deliberato assembleare deve essere supportato dall'unanimità dei consensi di tutti i condomini qualora l'azione abbia finalità ampliativa del diritto proprietario - quale potrebbe essere la domanda di acquisto per usucapione di uno spazio immobiliare - nel mentre è sufficiente la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, comma 4, c.c. per l'esercizio delle ulteriori ragioni di contenuto petitorio (come sottolineato dal giudice di legittimità, Cass. civ., sez II, 3 aprile 2003, n. 5147, e Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2015, n. 40).

Quanto alla previsione regolamentare, deve ritenersi necessaria la sua allocazione in un testo di natura contrattuale, e non già meramente deliberativo ex art. 1138, comma 3, c.c., poiché solamente un atto negoziale potrebbe attribuire, a un terzo, l'esercizio di facoltà inerenti a diritti in aliena appartenenza.

Se, invece, il condominio é fatto destinatario di avverse pretese di natura petitoria inerenti alle parti comuni dell'edificio si riscontra piena ed esclusiva legittimazione passiva dell'amministratore, in capo al quale residua un solo dovere informativo, nei confronti dell'assemblea, laddove trattasi di atto introduttivo di un procedimento il cui oggetto esula dalle proprie attribuzioni.

In tal senso si esprime l'art. 1131, comma 2, c.c. che - come evidenziato in giurisprudenza - ha eminente funzione semplificatoria, volta ad agevolare l'instaurazione di giudizi che interessano il condominio quale convenuto (in tal senso, v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 22911).

Ricorrendo tale situazione l'amministratore potrà, quindi, costituirsi in causa ma qualora articoli domanda riconvenzionale di natura petitoria dovranno ricorrere gli evidenziati presupposti - deliberativi o di regolamento - di ampliamento della propria fisiologica legittimazione attiva.

Con specifico riferimento all'azione giudiziale volta al rispetto delle distanze tra costruzioni ex art. 873 c.c., poiché diretta ad accertare l'effettiva esistenza e contenuto del diritto di comproprietà che fa capo a ciascun condomino in riferimento a contrapposte pretese di terzi espressesi in senso di sua limitazione e compromissione, deve escludersi che l'amministratore possa darvi impulso in difetto di preventiva autorizzazione assembleare ovvero di previsione permissiva del regolamento di condominio.

In tal senso, peraltro, si è pronunciata, costantemente, l'interpretazione di legittimità che, dando rilievo al contenuto petitorio e non annoverandola, in conseguenza, tra gli atti conservativi il cui adempimento rientra nel suo ordinario mancipio ai sensi dell'art. 1130, n. 4), c.c., ha escluso che siffatto giudizio possa essere autonomamente compulsato dal gestore laddove non ricorrano gli evidenziati presupposti abilitanti (Cass. civ., sez. un., 28 novembre 1996, n. 10615).

Nel contempo, e in coerenza, ha riconosciuto la legittimazione in capo a ciascun condomino e non solamente in capo a quelli proprietari di unità immobiliari che siano immediatamente e direttamente pregiudicate dalla violazione delle distanze in ragione della collocazione del manufatto prospiciente (in tal senso, v. Cass. civ., sez II, 30 novembre 2012, n. 21486).

Nel caso di specie, l'apparato motivo della pronuncia in esame non reca indicazione alcuna dell'esistenza di deliberazione assembleare o di previsione del regolamento che avrebbero autorizzato l'amministratore alla proposta azione; nel contempo, deve, però, ritenersi che il contraddittorio processuale sia stato comunque ritualmente instaurato poiché, come detto, unitamente al condominio, anche due singoli condomini, proprietari di unità immobiliari in esso comprese, davano impulso al procedimento.

Quanto alla posizione del condominio, la carenza di legitimatio ad processum, conseguente al difetto di titolarità sostanziale del diritto azionato, avrebbe dovuto determinarne il rilievo ufficioso - proprio perché negativamente incidente sulla costituzione del relativo rapporto, come ritenuto da Cass. civ., sez. un., 16 novembre 2009, n. 24179 - cui avrebbe dovuto far seguito, in applicazione del meccanismo di sanatoria previsto dall'art. 182 c.p.c., la concessione di termine per la sua regolarizzazione.

In mancanza, il riconoscimento, in favore del condominio, di risarcimento determinato in via equitativa e causalmente ricondotto alla denunciata violazione di distanze tra edifici sarebbe stato reso in favore di soggetto non legittimamente abilitato a far valere la relativa pretesa.

L'impostazione fatta propria dalla pronuncia di merito suggerisce, poi, un'ulteriore chiave di lettura.

Il decidente partenopeo sembrerebbe aver fatta propria la nozione del condominio quale soggetto autonomo e distinto rispetto ai proprietari delle unità immobiliari in esso comprese, titolare di relativo patrimonio - immobiliare - e di pretesa risarcitoria volta al ristoro del pregiudizio ad esso arrecato da terzi.

A tale ermeneutica inducono alcune espressioni che si rinvengono nel testo della sentenza - quali “danno da risarcirsi a favore del condominio”, ovvero il riferimento al “fabbricato attoreo” per dare evidenza all'accertata violazione delle distanze tra fabbricati - e che si coordinano con le statuizioni finali rese in dispositivo, che ha visto separate decisioni in favore di ciascuno degli attori in giudizio, condominio e singoli condomini.

Ciò posto, deve darsi conto della recente opinione, elaborata in dottrina, per la quale, con la legge di riforma della materia condominiale dell'11 dicembre 2012, n. 220, il condominio avrebbe conseguito il riconoscimento normativo della propria soggettività giuridica poiché il novellato art. 1129, comma 11, n. 4), nel prevedere il “patrimonio del condominio” - che, qualora “confuso” con altri patrimoni, può determinare la revoca giudiziale dell'amministratore - ne avrebbe sancito l'autonomia patrimoniale e il riformato art. 2659 c.c., relativo alle formalità compilative della nota di trascrizione per gli adempimenti di pubblicità immobiliare, nella parte in cui fa espresso riferimento a denominazione, ubicazione e codice fiscale del condominio e non già dei singoli condomini, avrebbe ulteriormente convalidato tale individualizzazione.

In tale trend interpretativo potrebbe, poi, collocarsi anche la pronuncia del giudice nomofilattico che nell'attribuire al solo condominio impersonato dal suo amministratore la legittimazione ad agire in giudizio per conseguire l'indennizzo ex l. n. 89/2001 per la violazione del termine di ragione durata dei processi nei quali era presente e costituito il solo condominio e non anche i singoli condomini, ciò ha motivato ritenendolo autonomo soggetto giuridico (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663).

La decisione del tribunale di Napoli potrebbe, pertanto, ritenersi aver fatto propria e coerentemente dato pretoria applicazione a tale alternativa - rispetto alla tradizionale - giuridica lettura del condominio.

Guida all'approfondimento

Palombella, L'amministratore di condominio può rivendicare i beni comuni, in Dir. & giust., 2015, fasc. 2, 1;

Greco, L'amministratore di condominio non può far valere in giudizio un diritto spettante in modo esclusivo a ciascun condomino, in Dir. & giust., 2014, fasc. 1, 159;

Petrolati, Il potere di agire di ciascun condomino di fronte al nodo della soggettività del condominio, in Ilprocessocivile.it.

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