Termine decadenziale per la proposizione del reclamo di cui all'art. 1 comma 58 l. n. 92/2012

Antonio Lombardi
27 Marzo 2019

La Suprema Corte si è occupata di esaminare la questione concernente la sussistenza di un potere in capo alla Cancelleria di comunicazione dei provvedimenti resi nel giudizio di reclamo ai sensi dell'art. 1 comma 58 l. 92/2012, utile alla decorrenza del termine perentorio previsto a pena di decadenza dalla stessa disposizione, nella misura di trenta giorni dalla “comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”.
Massima

Nel rito cd. Fornero, il termine breve per proporre reclamo contro la sentenza che decide il ricorso in opposizione decorre dalla comunicazione di cancelleria della sentenza a mezzo PEC, comunicazione che, dopo le modifiche apportate al comma 1 dell'art. 125 c.p.c. dalla l. n. 114/2014, di conversione del d.l. n. 90/2014 (applicabile ratione temporis), deve avvenire all'indirizzo PEC del difensore risultante da pubblici elenchi o da registri accessibili alla pubblica amministrazione, restando irrilevante l'eventuale indicazione nell'atto di un diverso indirizzo PEC.

Il caso

La Corte d'appello di Milano dichiarava inammissibile il reclamo ex lege n. 92/2012 proposto avverso la sentenza che decideva l'opposizione a ordinanza cd. Fornero, sull'assunto della tardività del ricorso rispetto al termine perentorio previsto dall'art. 1 comma 58 l. 92/2012, decorrente dalla comunicazione telematica inviata dalla Cancelleria ai procuratori costituiti all'indirizzo PEC risultante dall'Albo degli Avvocati.

La questione

La prima questione esaminata concerne la sussistenza di un potere in capo alla Cancelleria di comunicazione dei provvedimenti resi nel giudizio di reclamo ai sensi dell'art. 1 comma 58 l. 92/2012, utile alla decorrenza del termine perentorio previsto a pena di decadenza dalla stessa disposizione, nella misura di trenta giorni dalla “comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”.

La seconda questione attiene all'efficacia, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, della comunicazione della sentenza effettuata a mezzo PEC all'indirizzo di posta certificata risultante da pubblici elenchi o registri accessibili alla Pubblica Amministrazione, in luogo del diverso indirizzo PEC indicato dai difensori nel ricorso in opposizione per effetto del previgente dettato dell'art. 125 c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

La soluzione alla prima questione appare pienamente conforme al dettato letterale dell'art. 1 comma 58 l. 92 cit., oltre che rispondente ad un'interpretazione di sistema improntata a logica e coerenza.

Il comma 58 prevede, difatti, che il termine decadenziale di trenta giorni decorra dalla “comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”. Non può, difatti, dubitarsi come il termine “comunicazione” sia pacificamente riferibile alla divulgazione del contenuto del provvedimento giurisdizionale riconducibile ad attività della Cancelleria, disciplinata in via generale dall'art. 133 c.p.c., quale adempimento logicamente e cronologicamente successivo alla pubblicazione del provvedimento, mediante deposito da parte dell'organo giurisdizionale che l'ha pronunciata. Tale adempimento deve essere assolto mediante invio alle parti costituite del cd. biglietto di cancelleria, contenente il testo integrale della sentenza.

Fondamentale, ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione delle impugnazioni, appare l'allegazione del testo integrale della sentenza, non essendo sufficiente il mero avviso del deposito del provvedimento, dovendosi porre la parte in grado di conoscere le ragioni sulle quali la pronuncia è fondata, e di valutarne la correttezza, onde predisporre l'eventuale impugnazione (Cass. civ., sez. lav., 24 ottobre 2017, n. 25136).

La comunicazione integrale del provvedimento da parte della cancelleria, anche quando effettuata telematicamente, deve ritenersi oggetto di presunzione iuris tantum, vincibile soltanto con prova contraria a carico del soggetto destinatario della comunicazione.

Né, del resto, attesa la riconducibilità della comunicazione di cui all'art. 1 comma 58 l. cit. alla nozione generale ex art. 133 c.p.c., appare ostativa alla decorrenza dei termini di impugnazione l'inciso, introdotto dall'art. 45 comma 1 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui «la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325» trattandosi, per pacifica ed univoca interpretazione giurisprudenziale, di disposizione di carattere generale neutralizzata da specifiche disposizioni che regolamentino in maniera difforme la fattispecie, quali quelle di cui al comma 58 (relativamente al reclamo) ed al comma 62 (relativamente al ricorso per cassazione) (cfr. in tal senso Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2018, n. 6059).

In merito alla seconda questione si osserva come l'art. 45-bis del già citato d.l. n. 90/2014 (entrato in vigore il 19 agosto 2014), abbia modificato l'art. 125 c.p.c. eliminando, in calce al comma 1, relativamente agli elementi da indicare necessariamente nel ricorso introduttivo del giudizio, il riferimento all'indirizzo di posta elettronica certificata, in precedenza inserito dalle leggi nn. 24/2010 e 148/2011.

Ne consegue che, successivamente all'eliminazione di tale inciso, al fine di individuare l'indirizzo di posta certificata al quale indirizzare le notificazioni e comunicazioni, occorrerà fare privilegiato riferimento alle risultanze dei pubblici elenchi o registri accessibili alla Pubblica Amministrazione, previsti dall'art. 6-bis d.l. 7 marzo 2005, n. 82, ovvero presso il Reginde di cui al d.m. n. 44/2011, da considerarsi alla stregua di “domicilio digitale”, utile ai fini delle notificazioni degli atti, ai sensi dell'art. 16-sexies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. n. 221/2012.

Logico corollario di tale impostazione è che, nel contrasto tra tali risultanze e l'indicazione eventualmente contenuta negli atti, successivamente alla modifica dell'art. 125 c.p.c., non può che prevalere la prima, non potendosi considerare la diversa indicazione contenuta nell'atto alla stregua di revoca o modifica del domicilio digitale (in questo senso Cass. civ., sez. VI, 17 ottobre 2018, n. 25948, che assume l'irrilevanza, ai fini della comunicazione, del diverso indirizzo PEC contenuto negli atti introduttivi).

Osservazioni

Nel caso di specie, la comunicazione eseguita dalla cancelleria in data 24 novembre 2014, è stata ritenuta assoggettata alla nuova disciplina, entrata in vigore il 19 agosto 2014, immediatamente applicabile ai giudizi in corso, con la conseguenza che sono stati ritenuti fidefacenti i riferimenti al domicilio digitale contenuti nei pubblici registri, con prevalenza rispetto alla diversa indicazione contenuta nell'atto introduttivo dell'opposizione.

Tutt'altro che scontata appare, tuttavia, la conclusione cui la Corte addiviene in punto di applicazione ratione temporis dell'art. 16-sexies, a seguito della modifica dell'art. 125 c.p.c.. Il Collegio ha, difatti, ritenuto la modifica operante per i giudizi in corso, dando prevalenza all'art. 16-sexies sull'elezione di domicilio contenuta nell'atto introduttivo per effetto del disposto di cui all'art. 125 c.p.c., come vigente all'epoca della proposizione del giudizio ex art. 1 comma 47 e ss. l. 92 cit..

Le norme di modifica dell'art. 125 c.p.c., id est l'art. 45 comma 1 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, e la legge di conversione (11 agosto 2014, n. 114), contengono esclusivamente disposizioni che regolamentano l'entrata in vigore, ma non la disciplina di diritto intertemporale occorrendo, pertanto, sul punto, rifarsi ai principi di carattere generale.

Nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2011, n 3688).

Siffatto principio va, tuttavia, correttamente inteso nel senso che gli atti perfezionatisi prima dell'entrata in vigore di una novella in materia processuale, ancorché applicabile al processo in corso, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, restino regolati, anche negli effetti, dalla norma sotto il cui imperio sono stati posti in essere (Comm. Trib. Reg., Roma, sez. VI, 24 marzo 2017, n. 1593).

Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi come la modifica dell'art. 125 c.p.c. concerna una norma, di carattere processuale, che regolamenta l'elezione di domicilio telematico e non già il consequenziale aspetto della comunicazione di provvedimenti. Deve, pertanto, logicamente conseguire che, ferma restando la sua applicazione ai processi in corso all'atto della sua entrata in vigore, le elezioni di domicilio compiute nel vigore della norma successivamente modificata dovrebbero, a rigore, in assenza di contrarie disposizioni, restare regolamentate dalla norma sotto il cui imperio è stata effettuata l'elezione stessa, e non la comunicazione processuale.

L'elezione di domicilio telematico, in seno al ricorso ex art. 1, comma 47 e ss. l. 92/2012 risulta, nel caso di specie, compiuta nel 2013, in vigenza della formulazione dell'art. 125 c.p.c. prima della modifica del 2014, con l'eliminazione del riferimento all'indirizzo PEC.

Né, del resto, il riferimento all'elezione di domicilio contenuta nella fase a cognizione deformalizzata, operata dalla difesa del ricorrente per cassazione, appare fuori luogo, risultando compatibile con la struttura del procedimento speciale congegnato dall'art. 1 comma 47 e ss. l. n. 92/2012.

Se, difatti, il reclamo ex art. 1 comma 58 l. cit. va, pacificamente, considerato un mezzo di impugnazione, sostanzialmente assimilabile all'appello, con la conseguenza che per tutti i profili non regolati dalle disposizioni specifiche trova applicazione la disciplina dell'appello nel processo con rito lavoro (Cass. civ., sez. lav., 9 settembre 2016, n. 17863), il procedimento che si svolge dinanzi al giudice di prime cure può essere considerato unitario a struttura bifasica, in quanto articolato in una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una, oppositiva a cognizione piena, la quale, per quanto autonoma ed eventuale, interviene in un contesto in cui è già instaurato il contraddittorio tra le parti, che legittimamente sono rappresentate dai procuratori costituiti (Cass. civ., sez. lav., 6 settembre 2018, n. 21720).

Resta, pertanto, seriamente discutibile l'assunto secondo cui la notificazione della sentenza resa all'esito del giudizio di opposizione, effettuata all'indirizzo PEC risultante dai pubblici registri, in luogo di quello indicato nell'elezione di domicilio effettuata ai sensi dell'art. 125 c.p.c., nella vigenza della prescrizione successivamente eliminata, possa dirsi validamente effettuata, e pertanto astrattamente idonea a far decorrere il termine per la proposizione del reclamo ai sensi dell'art. 1 comma 58 l. 92/2012.

Non può, tuttavia, sotto altro profilo, sottacersi come a conclusioni analoghe a quelle cui è pervenuta la Corte si sarebbe potuti addivenire applicando il principio di conservazione degli atti, nella sua declinazione della sanatoria della nullità della notificazione in caso di raggiungimento dello scopo di conoscenza del contenuto dell'atto, verosimilmente perseguito attraverso la notificazione a diverso indirizzo PEC riconducibile al medesimo difensore.

Afferma, difatti, la Cassazione che la notifica della sentenza presso il procuratore domiciliatario, effettuata in luogo diverso da quello indicato in sede di elezione di domicilio, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione, nel caso di conservazione della relazione con la parte interessata e con il procuratore costituito, con soddisfacimento dell'esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a valutare, nei termini prescritti, l'opportunità dell'impugnazione (Cass. civ., sez. lav., 4 febbraio 2016, n. 2220).

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