Contratto di vendita con patto di prelazione

Andrea Penta
aggiornata da Nicola Rumìne

Inquadramento

Il patto di prelazione relativo alla vendita d'immobile non impegna il promittente a concludere il contratto, ma solo a preferire coeteris paribus il promissario se si deciderà a compierlo. Ne consegue che, in caso di inadempimento del promittente, il patto di prelazione ne comporta unicamente la responsabilità per danni, non essendo suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in quanto il bene oggetto della pattuita prelazione non può essere né trasferito al promissario dal disponente che lo ha oramai alienato, né restituito dal terzo acquirente che non è soggetto al riscatto, previsto soltanto per le prelazioni reali. Si tende a ritenere valido il patto di prelazione anche se stipulato senza apposizione di un termine finale, in quanto tale patto non comporta l'annullamento della facoltà di disporre dei suoi beni, restando sempre il proprietario perfettamente libero di disporre o meno dei suoi beni ed alle condizioni che meglio preferisce, bensì soltanto un limite riflettente la libera scelta della persona del compratore, la quale, almeno nella normalità dei casi, a parità di tutte le altre condizioni, è indifferente per il venditore. A differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l'immediata e definitiva assunzione dell'obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un'immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all'uopo concessogli, ed un'obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso.

Formula

CONTRATTO DI VENDITA CON PATTO DI PRELAZIONE

L'anno duemila ...., addì .... del mese di ....,

in ....

TRA

Il Sig. ...., nato a .... il ...., residente in .... alla via .... C.F. .... (in alternativa, la società .... con sede in .... alla via .... n. .... C.F. e P.I. ....), di seguito denominato Concedente;

E

Il Sig. ...., nato a .... il ...., residente in .... alla via .... C.F. .... (in alternativa la società ...., con sede in .... alla via .... n. .... C.F. e P.I. ....), di seguito denominato Prelazionario;

SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE.

Il Concedente attribuisce al Prelazionario, che accetta, il diritto di prelazione sull'acquisto dell'immobile ubicato in ...., alla via ...., civico ...., scala ...., interno ...., censito al NCEU al fg. .... mappale .... subalterno .... cat. .... cl. .... del Comune di .....

Dal presente patto di prelazione 1 non deriva un obbligo di concludere un successivo contratto: il Concedente rimane libero di decidere se stipularlo o meno. Resta, pertanto, inteso che la preferenza di cui alla presente scrittura verrà accordata al Prelazionario nel caso in cui il Concedente decida di alienare l'immobile sopra descritto ed alle condizioni che deciderà di praticare.

In caso di alienazione, per nulla obbligatoria né in termini di tempo né in termini di prezzo, il Concedente si impegna a comunicare la volontà di vendere l'immobile al Prelazionario. Nella comunicazione verranno riportati tutti i dati significativi, ovvero i tempi per l'alienazione, il prezzo a corpo o a misura, le modalità di pagamento, nonché ulteriori prescrizioni e/o condizioni.

Il Prelazionario, a sua volta, non sarà obbligato a contrarre e potrà, quindi, rifiutarsi di stipulare il successivo contratto con il promittente senza per questo incorrere in responsabilità.

Il Prelazionario si impegna a versare a titolo di corrispettivo per l'impegno assunto dal Concedente la complessiva somma di € ...., da versare entro il .... 2 .

Letto, approvato e sottoscritto a ...., il .....

[1] [1]Il patto di prelazione può essere autonomo oppure accessorio ad altro contratto: quest'ultima ipotesi ricorre, per es., nell'art. 1566 c.c., che prevede un caso di patto di prelazione accessorio al contratto di somministrazione. In questa fattispecie, l'avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, e il patto è valido purché la durata dell'obbligo non ecceda il termine di 5 anni; se è convenuto un termine maggiore, questo si riduce a 5.

[2] [2]La formula di cui sopra concerne i casi sottratti alla prelazione prevista per legge, la quale è, invece, sottratta ad ogni obbligo di corrispettivo o premio.

Commento

Oggetto e effetti del patto di prelazione

Il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un'immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all'uopo concessogli, e un'obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso. In particolare, il soggetto vincolato dal patto di prelazione che intenda vendere il bene per il quale la prelazione è prevista ha un'obbligazione, di segno negativo, che lo vincola a non concludere il contratto con persone terze fino a che il titolare di tale diritto abbia dichiarato di non accettare, oppure non abbia accettato, entro il termine convenuto, le proposte fatte da terzi al proponente e che questi intenda dare a terzi, e un'obbligazione positiva che lo vincola a comunicare all'avente diritto alla prelazione le proposte da lui fatte o che intende proporre a terzi una volta determinatosi alla conclusione del contratto (Trib. Roma III, 16 gennaio 2007, n. 779).

La denuntiatio deve essere tale da permettere al prelazionario di comprendere concretamente il tenore dell'offerta e valutarne in tutti i suoi elementi la convenienza, così che si possa configurare una eventuale valida rinuncia al diritto di prelazione (Cass. II, n. 5874/2024, relativa al caso del c.d. retratto successorio).

In tema di prelazione immobiliare, la denuntiatio deve essere fatta, a pena di nullità, in forma scritta e, quindi, non può essere provata con testimoni (Cass. II, n. 15709/2013). La denuntiatio rappresenta la mera dichiarazione di un'intenzione a vendere ad un terzo, volta ad innescare un'eventuale proposta di acquisto da parte dell'oblato, alle medesime condizioni dichiarate nella denuntiatio, proposta alla quale dunque, per la conclusione del negozio di cessione, deve far seguito un'ulteriore accettazione del denunziante, solo in presenza della quale si può dire concluso il negozio. Non si può, dunque, accettare la configurazione della denuntiatio e del conseguente atto di esercizio della prelazione quali, rispettivamente, proposta contrattuale e correlativa accettazione, idonee a dar vita ad un negozio di cessione (Trib. Milano, Sez. spec. Impresa, 24 aprile 2013, n. 5705).

La prelazione convenzionale, analogamente a quella legale, non ha natura reale, ma obbligatoria e, non essendo riconducibile alla promessa di stipulare, è insuscettibile di esecuzione coattiva; inoltre, stante l'efficacia obbligatoria della stessa, il mancato esercizio del diritto di prelazione non comporta la nullità degli atti compiuti e dei negozi posti in essere ma dà diritto soltanto al risarcimento del danno Cass. III, n. 19928/2008).

Da tale inquadramento giuridico derivano importanti conseguenze sul piano pratico. La disposizione del comma 2 dell'art. 18 l. n. 47/1985, che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l'area interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che determinano l'effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita, sicché il preliminare e la denuntiatio in tema di prelazione agraria sono validi, pur non contenendo la dichiarazione di cui agli artt. 17 e 40 l. citata e l'allegazione del certificato di destinazione urbanistica, fatta salva l'esigenza di allegazione del detto certificato per la stipulazione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all'art. 2932 c.c. (Cass. III, n. 24460/2007).

Il patto di prelazione per il caso di vendita, stipulato senza limiti di tempo, non ricade nel divieto di rapporti obbligatori che tolgano senza limitazioni cronologiche al proprietario la facoltà di disporre dei suoi beni, in quanto tale patto non comporta l'annullamento dell'indicata facoltà, restando sempre il proprietario perfettamente libero di disporre o meno dei suoi beni ed alle condizioni che preferisce, bensì soltanto un limite relativo alla libera scelta della persona del compratore, la quale, nella normalità dei casi, a parità di condizioni per tutto il resto, è indifferente per il venditore. Tuttavia, ai sensi dell'art. 1183 c.c., deve ritenersi ammissibile un intervento del giudice che, su istanza di una delle parti, stabilisca un termine finale ritenuto congruo per l'esercizio del diritto di prelazione (Cass. II, n. 15709/2013, cit.).

Il patto di preferenza nella vendita ha ad oggetto una prestazione che si sostanzia nel contenuto tipico di un diritto di credito, sicché non deve essere trascritto e, se trascritto, la sua efficacia meramente obbligatoria non muta in efficacia reale (Cass. III, n. 14645/2002).

Il patto di prelazione, comportando solo l'obbligo di preferire, a parità di condizioni, l'altra parte nella conclusione di un eventuale contratto di alienazione del bene che ne è oggetto, limita solo le modalità di esercizio del potere di alienazione del soggetto vincolato (senza alcun pregiudizio per la sua libertà di decidere l'alienazione o meno del bene) e non anche le facoltà dello stesso di godimento della cosa, che può essere, pertanto, liberamente trasformata o modificata dal proprietario. In questi termini si è espressa Cass. II, n. 8199/1993, in una fattispecie in cui il concedente aveva trasformato un ampio appartamento oggetto del patto di prelazione in due piccoli appartamenti.

L'interesse del promettente acquirente all'inesistenza di terzi aventi diritto alla prelazione sul bene promesso in vendita è tutelato dal comportamento secondo correttezza e buona fede tenuto dal promittente alienante durante la fase di esecuzione del contratto (Trib. Verona 13 settembre 2004).

Conseguenze dell'inadempimento al patto di prelazione

L'obbligazione assunta, nel caso di vendita a un terzo del bene predetto, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento, sì che il promissario non può chiederne l'adempimento in forma specifica, per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo (Cass. III, n. 25052/2013). In particolare, il patto di prelazione relativo alla vendita d'immobile non impegna il promittente a concludere il contratto, ma solo a preferire coeteris paribus il promissario se si deciderà a compierlo. Ne consegue che, in caso di inadempimento del promittente, il patto di prelazione ne comporta unicamente la responsabilità per danni, non essendo suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., in quanto il bene oggetto della pattuita prelazione non può essere né trasferito al promissario dal disponente che lo ha oramai alienato, né restituito dal terzo acquirente che non è soggetto al riscatto, previsto soltanto per le prelazioni reali. Va altresì rimarcato che il patto di prelazione è valido anche in assenza del termine finale.

A differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l'immediata e definitiva assunzione dell'obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, le descritte due obbligazioni. Mentre nel caso di vendita ad un terzo del bene predetto il promissario non può chiederne l'adempimento in forma specifica (per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo), ma soltanto il risarcimento del danno, nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene l'obbligazione assunta è ugualmente incoercibile, ai sensi dell'art. 2932 c.c., non configurando un preliminare (Cass. II, n. 3571/1999).

In presenza di un patto convenzionale di prelazione, la rinuncia a coltivare l'azione reale di riscatto non preclude, né assorbe, la distinta domanda risarcitoria per violazione del patto di prelazione. Non sussiste, infatti, alcun rapporto di pregiudizialità-dipendenza, o di alternatività, tra l'effetto reale e quello risarcitorio allegati in distinti giudizi: tale che electa una via non datur recursus ad alteram (Cass. I, n. 1895/2014).

La violazione del patto di prelazione, avendo natura obbligatoria, comporta solo il risarcimento dei danni. Il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dall'inadempimento – in tema di responsabilità contrattuale – deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da ricomprendere nel risarcimento i danni indiretti e mediati, che si presentino come effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarità causale (Cass. II, n. 6474/2012). Per determinare una causalità giuridicamente rilevante, occorre altresì che all'interno delle serie causali si dia rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante non appaiono inverosimili (c.d. teoria della causalità adeguata).

Chi conclude un patto di prelazione relativo alla vendita di un proprio bene immobile sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determinata autorizzazione amministrativa, ha il dovere, in pendenza dell'avveramento della condizione, di comportarsi secondo buona fede astenendosi dal compiere atti pregiudizievoli degli interessi dell'altro contraente, sia con riferimento all'oggetto della prestazione, che con riferimento all'avveramento della condizione (tra i quali può rientrare la vendita a terzi dell'immobile, in quanto atto compiuto sull'oggetto della prestazione del negozio prelatizio sottoposto a condizione e tale da vanificare il possibile futuro esercizio del diritto di prelazione; Cass. II, n. 9568/2002).

Figure affini

La prelazione convenzionale pattuita dai contraenti nell'ambito di un contratto di divisione, per l'ipotesi di vendita da parte di uno dei condividenti ad un terzo, può essere configurata come mero interpello, con la conseguenza che la comunicazione dovuta al prelazionario potrebbe in tale caso non richiedere necessariamente la forma scritta. Ne consegue che il giudice di merito è tenuto a svolgere un'esauriente interpretazione del patto di prelazione – al lume degli artt. 1362 ss. c.c. – per determinare se nella fattispecie la denuntiatio debba essere formulata per iscritto o possa essere data oralmente (Cass. II, n. 22589/2010).

Il coerede che intende alienare la propria quota parte dell'asse ereditario, laddove questo comprenda beni immobili, deve comunicare ai restati comunisti, necessariamente per iscritto, la proposta di vendita. Tale proposta di alienazione non può esaurirsi in un mero intento generico di vendere la propria quota palesato agli altri coeredi, di per sé invero insufficiente ad integrare gli estremi dell'oggetto della notificazione richiesta dall'art. 732 c.c. per l'esercizio del diritto di prelazione da parte dei coeredi; a tal fine è infatti necessario comunicare l'effettiva decisione con una proposta di alienazione a determinate condizioni che il terzo sia pronto ad accettare, perché solo in tal caso può decorrere il termine di due mesi assegnato dalla legge al coerede destinatario della proposta per l'esercizio del diritto di prelazione (Trib. Grosseto, 3 novembre 2016, n. 872).

In tema di affitto d'azienda, presupposto necessario perché l'affittuario eserciti il diritto di prelazione all'acquisto, previsto dall'art. 3, comma 4, n. 223/1991 (ora abrogato), nel caso in cui il concedente sia assoggettato a procedura concorsuale, è la sussistenza della qualità di affittuario, de jure, al momento della definitiva determinazione del prezzo di vendita: dovendosi, per contro, escludere quando il contratto di affitto sia cessato, pur se l'affittuario sia rimasto nella materiale detenzione dell'azienda, in carenza di un diritto di proroga ex lege del contratto (Cass. I, n. 7753/2015).

Il diritto di prelazione del proprietario coltivatore diretto di fondi rustici confinanti con fondi venduti e il conseguente diritto di riscatto, ai sensi degli artt. 7 l. n. 817/1971 e 8 l. n. 590/1965, sono facoltà personali del soggetto richiedente, condizionate alla sussistenza di specifici requisiti soggettivi e oggettivi, la dimostrazione dei quali spetta al retraente (Cass. III, n. 12249/2007).

Secondo la disciplina di cui all'art. 38 l. n. 392/1978, la comunicazione della volontà di trasferire il bene a titolo oneroso non è qualificabile come proposta contrattuale, e nemmeno come mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative negoziali, ma si inserisce in un particolare meccanismo predisposto da detta norma per assicurare al conduttore l'esercizio del diritto di prelazione, quale atto di interpello, dovuto dal proprietario, nonché vincolato nella forma e nel contenuto; correlativamente, la dichiarazione del conduttore di esercizio della prelazione medesima non costituisce accettazione di proposta e non comporta immediato acquisto dell'immobile, ma determina l'insorgenza per entrambe le parti dell'obbligo di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del previsto contratto, con contestuale pagamento del prezzo (Cass. I, n. 17373/2012). In caso di vendita di immobile a uso diverso da quello abitativo senza porre il conduttore nelle condizioni di esercitare la prelazione, il diritto di riscatto (in capo al prelazionante) sorge nel momento e per effetto della vendita fatta dal proprietario al terzo in violazione del diritto di prelazione (Cass. III, n. 4816/2012).

Al fine di stabilire se ricorra l'ipotesi della c.d. vendita in blocco di più immobili, tale da escludere il diritto di prelazione del conduttore, occorre avere riguardo non solo al criterio di carattere oggettivo determinato dalla frazionabilità e divisibilità dei beni promessi in vendita, di per sé non sufficiente in quanto assume rilievo nelle singole ipotesi il criterio soggettivo relativo alla concreta volontà delle parti, desumibile dal contenuto del contratto di vendita, in base al quale il giudice deve determinare la volontà dei contraenti di addivenire ad una vendita unitaria del complesso immobiliare e non frazionabile e ciò al fine di ottenere il venditore un maggiore corrispettivo e l'acquirente l'interesse ad un acquisto e utilizzazione unitaria dei beni (App. Bologna, III, 7 ottobre 2014).

Il conduttore titolare del diritto di prelazione ex art. 38 l. n. 392/1978, non può unilateralmente rendere più gravosa la posizione del proprietario protraendo nel tempo l'obbligo dello stesso di concludere il contratto, tanto più, quando quest'ultimo si sia precedentemente vincolato con un preliminare di vendita con un terzo, sicché l'efficacia di tale negozio può essere travolta solo dal legittimo esercizio della prelazione nei modi e termini contemplati nella denuntiatio (App. Bari, III, n. 1055/2012).

Il contratto preliminare di vendita stipulato prima della locazione con un soggetto a questa estraneo non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione derivante al conduttore dal rapporto locativo successivamente venuto ad esistenza (Cass. III, n. 8288/2008). Non vale ad escludere la configurabilità del diritto di riscatto ex art. 39 l. n. 392/1978 in capo al conduttore che non abbia ricevuto la comunicazione di cui all'art. 38 della stessa legge, la circostanza che la vendita dell'immobile al terzo si sia perfezionata dopo la cessazione de iure del contratto di locazione, qualora il trasferimento della proprietà sia avvenuto in esecuzione di un contratto preliminare stipulato prima della scadenza della locazione (App. Genova 3 giugno 2003).

Profili fiscali

In tema di avviso di accertamento di maggior valore ai fini INVIM, a cui è applicabile la disciplina dell'imposta di registro, il termine biennale di decadenza decorre sempre dalla data dell'avvenuta registrazione, perché è quello il momento a cominciare dal quale l'Amministrazione è resa edotta dell'esistenza dell'atto e della dichiarazione di valore operata dal contribuente. Ne consegue che, in caso di vendita d'immobile di particolare interesse storico, non opera alcun differimento del dies a quo di tale termine in ragione della condizione sospensiva legata al diritto di prelazione dello Stato, che attiene solo all'identificazione dell'acquirente ed è, pertanto, irrilevante ai fini del presupposto impositivo (Cass. trib., n. 23060/2015).

Il diritto di prelazione dei conduttori di immobili appartenenti ad enti previdenziali (nella specie l'Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti), riconosciuto dal d.lgs. n. 104/1996, è esercitabile esclusivamente quando l'ente abbia validamente ed adeguatamente manifestato la specifica volontà di porre in vendita gli immobili, in attuazione del dettato normativo, attraverso una specifica proposta di alienazione, consistente in una determinazione negoziale dell'Ente di cedere l'immobile. Ne consegue che non può configurarsi un obbligo di dismettere il patrimonio immobiliare di tali enti discendente direttamente dalla legge che si configuri come una peculiare offerta pubblica imposta dal legislatore, in quanto tale prospettazione si porrebbe in insanabile contrasto con la disciplina del procedimento di alienazione e stravolgerebbe la natura giuridica degli atti di dismissione, trasformandoli in anomale e sistematiche procedure ablative (Cass. III, n. 21988/2011).

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