Compromesso per arbitrato ritualeInquadramentoMediante la convenzione d'arbitrato le parti possono devolvere una controversia già insorta o controversie che potrebbero insorgere in relazione ad una vicenda negoziale alla decisione di uno o più arbitri. Nell'esemplificazione proposta, la formula riguarda un compromesso per arbitrato rituale, ossia una convenzione arbitrale stipulata dopo che una determinata controversia è già insorta. L'arbitrato rituale è disciplinato dagli artt. 806 e ss. c.p.c.: il procedimento, tuttavia, è libero nelle e forme, purché venga rispettato il principio del contraddittorio. Il rapporto tra arbitri rituali ed autorità giudiziaria si pone, dopo la riforma del 2006, in termini di competenza. Il lodo rituale assume ex art. 824-bis c.p.c. gli stessi effetti di una sentenza al momento del deposito ed, una volta munito di exequatur, costituisce titolo per dare corso all'esecuzione forzata. Il principale strumento di gravame previsto contro il lodo è l'impugnazione per nullità dinanzi alla Corte d'appello nel cui distretto ha sede l'arbitrato per i motivi previsti dall'art. 829 c.p.c. FormulaI sottoscritti 1 : Sig. ... , nato a ... , residente in ... , codice fiscale ... E Sig. ... , nato a ... , residente in ... , codice fiscale ... 2 PREMESSO CHE con atto in data ... le parti stipulavano un contratto di ... ; successivamente è insorta controversia tra le stesse in relazione all'esecuzione del suddetto contratto; più precisamente, ... ; è intenzione delle parti far decidere da arbitri rituali la suddetta controversia; e quanto sopra premesso le parti convengono, ai sensi dell'art. 807 c.p.c., di devolvere la soluzione della controversia in oggetto alla cognizione di un collegio arbitrale, composto da tre membri ... , ... , ... . In particolare, gli arbitri dovranno decidere i seguenti quesiti: 1) - ... 2) - ... 3) - ... Il collegio arbitrale deciderà in via rituale e secondo ... 3 . La sede dell'arbitrato è fissata in ... . Gli arbitri potranno condurre il procedimento senza formalità di procedura, salva l'osservanza del principio del contraddittorio e, più in generale, delle disposizioni inderogabili di legge. Si applicano, per quanto espressamente qui non disposto, le disposizioni degli artt. 806 e ss. c.p.c.
Ove si vogliano dettare nel procedimento regole più puntuali dovrà essere redatta una clausola del seguente tenore: Per la regolamentazione del procedimento arbitrale, le parti stabiliscono, ai sensi dell'art. 816-bis c.p.c., le seguenti regole: - l'arbitro dovrà accettare la nomina per iscritto, con precisa indicazione della data e svolgere, dal momento dell'accettazione, le proprie funzioni con assoluta imparzialità; - la competenza degli arbitri sussisterà anche nell'ipotesi in cui sia messa in discussione la validità o l'efficacia della presente convenzione arbitrale; - l'arbitro potrà tentare la conciliazione delle parti, redigendo, in caso di esito positivo del tentativo, apposito verbale che dovrà essere sottoscritto da tutte le parti; - le parti avranno la facoltà, ma non l'obbligo, di farsi assistere o rappresentare da difensori; - nello svolgimento dell'attività istruttoria, l'arbitro potrà anche d'ufficio sentire testimoni, nominare consulenti tecnici, assumere informazioni da terzi, ordinare alle parti o richiedere a terzi documenti, effettuare interrogatori formali e liberi, assumere in genere qualsiasi mezzo di prova, anche se non espressamente previsto dalle vigenti norme procedurali; - le udienze gli atti istruttori, le deliberazioni dovranno essere posti in essere nel Comune di ... ; - è esclusa l'applicazione al giudizio arbitrale del giuramento della parte e dei testimoni; la perizia del consulente tecnico dovrà essere asseverata dinanzi al cancelliere del tribunale o dinanzi a notaio; - l'arbitro dovrà assegnare alle parti i termini - anche perentori - per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche; potrà fissare udienze di semplice audizione o di discussione, richiedere difese scritte od orali, comunicare con le parti ed i difensori in qualunque modo ritenuto opportuno; - ogni atto compiuto dall'arbitro dovrà essere redatto per iscritto o verbalizzato a cura dello stesso che curerà, lungo tutto il procedimento, il rispetto del principio del contraddittorio; - il lodo dovrà essere pronunziato entro ... giorni dall'accettazione della nomina, o dall'ultima accettazione. Il termine potrà essere prorogato, dagli stessi arbitri, per analogo periodo e per una sola volta, nell'ipotesi in cui debbano essere assunte al procedimento prove indispensabili per la soluzione della controversia; - il lodo arbitrale dovrà essere redatto in più originali, di cui il primo da acquisirsi agli atti della procedura arbitrale, ed inoltre uno per ciascuna parte in lite; - salve le regole come sopra prescritte, e le disposizioni inderogabili di legge, l'arbitro potrà svolgere le funzioni allo stesso affidate senza vincoli di procedura 4 4 .
Il lodo dovrà essere depositato entro il termine ... . Il compenso degli arbitri viene sin d'ora pattuito in ... . Luogo e data ... Sottoscrizione ... Sottoscrizione ... [1] 1. La convenzione d'arbitrato deve intervenire tra i soggetti parte della lite già insorta. Le persone fisiche acquistano la capacità di compromettere in arbitri col compimento della maggiore età. Le persone giuridiche possono compromettere a mezzo dei loro rappresentanti, nel rispetto delle forme e alle condizioni stabilite da leggi speciali, statuti o regolamenti: a riguardo, è dominante la tesi secondo cui la stipula di una convenzione d'arbitrato è atto non eccedente l'ordinaria amministrazione e pertanto possa essere validamente sottoscritta anche dall'amministratore con poteri limitati. [2] 2. La necessità che la convenzione d'arbitrato venga redatta in forma scritta ad substantiam non implica, tuttavia, che la volontà negoziale debba essere espressa, come nell'esemplificazione proposta, in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo eventualmente realizzarsi anche in atti separati e non coevi purché la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento inscindibilmente collegato nei contenuti al primo (Cass. I, n. 20504/2010) e dagli scritti risulti in modo chiaro e univoco la volontà di compromettere (Cass. I, n. 10000/2014). [3] 3. Specificare se la decisione avverrà secondo diritto ovvero equità. [4] 4. In sostanza, le parti possono, anche nell'ipotesi considerata di arbitrato rituale non amministrato, prevedere in maniera più precisa le regole procedimentali che l'arbitro dovrà osservare sin dall'accettazione della nomina. Ovviamente le regole possono essere sia più limitate che maggiormente puntuali rispetto all'esemplificazione proposta. CommentoL'arbitrato si fonda sulla volontà delle parti che si manifesta mediante la convenzione d'arbitrato che ha le proprie forme principali nel compromesso, disciplinato dall'art. 807 c.p.c., e relativo ad una determinata controversia già insorta tra le stesse, e la clausola compromissoria, inserita in un contratto con riferimento, in genere, a tutte le controversie derivanti dall'interpretazione ed esecuzione del medesimo. In entrambe le ipotesi, la convenzione d'arbitrato è un negozio mediante il quale le parti deferiscono ad arbitri la decisione di una o più controversie che tra di esse siano insorte o possano insorgere in relazione ad un determinato rapporto giuridico sostanziale, di natura contrattuale o non contrattuale, e che preclude loro la possibilità di far ricorso alla giurisdizione statale per la risoluzione delle controversie che ne sono oggetto. La convenzione di arbitrato deve essere redatta in forma scritta ad substantiam (senza che sia necessario, tuttavia, che le parti esprimano la propria volontà mediante un unico atto: ex ceteris, Cass. II, n. 18579/2023). La determinazione delle controversie che si intendono deferire agli arbitri, è anch'essa richiesta a pena di nullità, al fine di poter individuare i limiti della cognizione arbitrale, sebbene le parti possano limitarsi ad un'indicazione generica, purché inequivoca, dell'oggetto della controversia e quindi specificarne la portata con la sola domanda di arbitrato. Vi è pertanto che, in caso di clausola compromissoria inesistente, il successivo comportamento delle parti non vale a sanare il vizio di carenza di potere degli arbitri (cfr. Cass. n. 2066/2022, la quale ha precisato che in senso contrario non può essere invocato il disposto dell'art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 817 c.p.c., atteso che tale disposizione si riferisce al superamento, da parte degli arbitri, dei limiti loro imposti dal compromesso e non alla diversa ipotesi di originaria e totale carenza di potere, e dovendo escludersi la possibilità di una sua applicazione analogica, ponendosi la competenza arbitrale come derogatoria alla competenza del giudice naturale). Le parti che sottoscrivono la convenzione d'arbitrato, oltre a dover coincidere con quelle titolari del rapporto controverso, devono essere titolari della capacità giuridica di esercitare il diritto sostanziale oggetto della lite e capaci di prendere parte all'eventuale e successivo procedimento arbitrale. È stato peraltro chiarito che, in tema di arbitrato, l'istituto della ratifica è applicabile anche alla clausola compromissoria inserita in un contratto da un soggetto che non ne aveva il potere, costituendo espressione di autonomia negoziale, in quanto tale meritevole di tutela, atteso che comporta, sul piano funzionale, la valutazione positiva da parte dell'ordinamento dell'interesse del soggetto legittimato a recuperare, nella propria sfera giuridica, il risultato dell'attività da altri compiuta senza esserne legittimato, così realizzando anche un'esigenza di economia giuridica, salvi i limiti desumibili dal sistema a tutela delle parti originarie e dei terzi (Cass. II, n. 21221/2014). Inoltre, come previsto dall'art. 806 c.p.c., le controversie demandabili alla decisione degli arbitri sono esclusivamente quelle concernenti diritti disponibili. È stato osservato che la disponibilità va riferita al diritto azionato e non alle questioni che possono porsi nell'iter logico-giuridico che conduce alla decisione, tranne il caso in cui si tratti di questioni che per legge devono essere decise con efficacia di giudicato (Merone, Arbitrato rituale, in Ilprocessocivile.it). Tuttavia, in tema di arbitrato, l'indisponibilità del diritto che costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria non va confusa con l'inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con il quale si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge (Cass. VI-1, n. 9344/2018). Le Sezioni Unite hanno recentemente chiarito che In tema di arbitrato rituale, la previsione dell'art. 817, comma 2, secondo periodo, c.p.c., non preclude l'eccezione e rilevazione d'ufficio della non arbitrabilità della controversia, perché avente ad oggetto diritti indisponibili o per l'esistenza di una espressa norma proibitiva, in sede di impugnazione del lodo per nullità, anche qualora la relativa eccezione non sia stata formulata in sede arbitrale (Cass., S.U., n. 19852/2022). La clausola compromissoria, come quella proposta nella formula in esame, riferita genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi causa petendi nel contratto medesimo. Peraltro, la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto non estende i propri effetti alle controversie relative ad altro contratto, ancorché collegato a quello principale (Cass. III, n. 941/2017). La questione, tradizionalmente discussa, afferente la natura dell'arbitrato rituale appare superata dalla riforma realizzata dal d.lgs. n. 40/2006, la quale ha previsto, mediante l'introduzione dell'art. 824-bis c.p.c., che il lodo rituale acquista, dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria. In dottrina si è osservato che pertanto l'arbitrato rituale è attività che ha natura oggettivamente giurisdizionale e sostitutiva della funzione dell'autorità giudiziaria (Merone, Arbitrato rituale, cit.). Nell'ipotesi considerata di arbitrato rituale con collegio arbitrale, ai fini della nomina dello stesso fondamentale rilevanza assume l'art. 810 c.p.c. In particolare, si prevede che ciascuna parte deve notificare in forma scritta all'altra l'arbitro o gli arbitri che nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri; a propria volta, la parte alla quale è rivolto l'invito, deve notificare, nei venti giorni successivi, le generalità dell'arbitro o degli arbitri da essa nominati. Nell'ipotesi in cui la parte alla quale è rivolto l'invito non indichi l'arbitro o gli arbitri che intende nominare entro il termine indicato, la parte che ha fatto l'invito può chiedere, con ricorso, che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nella cui circoscrizione si trova la sede dell'arbitrato. Provvede parimenti il Presidente del Tribunale alla nomina di uno o più arbitri demandata dalla convenzione di arbitrato direttamente allo stesso (come talvolta avviene per il cd. terzo arbitro) ovvero qualora tale decisione fosse stata nella convenzione rimessa ad un terzo che non vi abbia provveduto. In ogni caso, almeno secondo la più recente impostazione invalsa nella giurisprudenza di legittimità, la nomina dell'arbitro in sede giudiziale, ai sensi dell'art. 810, comma 2 c.p.c., deve essere effettuata, in assenza di ragioni impeditive, tenendo conto della volontà manifestata dalle parti nella clausola compromissoria in relazione alla designazione di soggetti dotati di particolari qualità o appartenenti a determinate categorie, atteso che l'intervento del presidente del tribunale è di tipo integrativo-sostitutivo della volontà negoziale, ove questa non sia cont ra legem o non più concretamente attuabile (Cass. I, n. 7956/2016; in senso diverso si veda, tuttavia, Cass. I, n. 7450/2012). Il procedimento arbitrale ha inizio con l'accettazione degli arbitri del mandato ricevuto (ovvero al momento del deposito del ricorso al Presidente del tribunale per la nomina del terzo arbitro: cfr. Trib. Velletri 5 dicembre 2017, in il P rocessocivile.it), purché preceduta da una completa enunciazione della cd. domanda arbitrale, che, individuando il petitum e la causa petendi consente la produzione di effetti sostanziali, ad esempio ai fini dell'interruzione del termine di prescrizione (v., per tutti, Verde, Effetti processuali e sostanziali dell'atto di nomina di arbitro, in Riv. arb., 1991, 296), equivalenti a quelli correlati alla proposizione della domanda giudiziale (Cass., n. 2472/2003). L'istruttoria è disciplinata dall'art. 816-ter c.p.c., che, tra l'altro, prevede la possibilità per gli arbitri di delegare l'intera istruzione o i singoli atti a un solo componente del collegio; di assumere testimonianza, anche scritta, ovvero di acquisire la deposizione del testimone presso la residenza o l'ufficio di questi; di ricorrere, quando considerato opportuno, al presidente del tribunale competente affinché ordini la comparizione del testimone che si rifiuti di presenziare, con conseguente sospensione del termine per la pronuncia del lodo fino alla data fissata per l'assunzione della testimonianza; di farsi assistere da consulenti tecnici, siano esse persone fisiche o enti; di chiedere alla p.a. le informazioni scritte in suo possesso necessarie ai fini del giudizio. Nel procedimento arbitrale non possono essere utilizzati mezzi di prova che implichino l'esercizio di poteri imperativi che presuppongono l'autorità propria del giudice, di talché vanno esclusi, ad esempio, l'ordine di esibizione a un terzo, il giuramento e la querela di falso (cfr. Cavallini, Arbitrato rituale. Il procedimento, cit.). È tuttavia previsto, pur nella libertà delle forme del procedimento, il rispetto del principio del contraddittorio che si estrinseca, essenzialmente, nel dovere degli arbitri di assegnare alle parti dei termini per la presentazione di documenti, il deposito di memorie e l'esposizione di eventuali repliche, dando piena attuazione al costituzionale diritto alla prova ed al principio della parità delle armi tra le parti. Il lodo definitivo deve essere pronunciato entro il termine convenuto dalle parti e reso noto all'arbitro prima dell'accettazione della nomina o, in assenza di accordo, non oltre 240 giorni dall'accettazione medesima, ai sensi dell'art. 820 c.p.c. (che disciplina, pur rimettendosi ad una diversa decisione delle parti, i casi, le modalità ed i tempi di proroga del termine per il deposito del lodo). L'inutile decorso del termine fissato per la decisione non solo costituisce inadempimento all'obbligazione assunta dagli arbitri con l'accettazione della nomina, determinandone la responsabilità qualora l'omessa o impedita pronuncia dipenda da dolo o colpa grave di essi, ma si riflette altresì sulla validità del lodo eventualmente emesso fuori termine, anche se il relativo vizio deve essere tempestivamente eccepito dalla parte interessata (cfr. Cavallini, Arbitrato rituale. Il procedimento, cit.). Il lodo deve essere reso secondo diritto, salvo che risulti in qualsiasi modo manifestata la volontà delle parti di avvalersi di un giudizio di equità. Con la pronuncia del lodo gli arbitri possono provvedere direttamente alla liquidazione delle spese e degli onorari, con una determinazione che è tuttavia vincolante solo se accettata dalle parti mentre, in difetto, è rimessa al Presidente del tribunale competente. Ai sensi dell'art. 824-bis c.p.c., dalla data della sua ultima sottoscrizione, il lodo rituale acquisisce gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria. La parte che intenda dare esecuzione coattiva al lodo può, in ogni tempo, proporre istanza di exequatur al tribunale competente, previo deposito del lodo e della convenzione arbitrale, affinché il giudice, previo controllo sulla regolarità formale della pronuncia, ne dichiari l'esecutività, rendendo così il lodo anche suscettibile di trascrizione o annotazione alla stregua di una sentenza giudiziale avente il medesimo contenuto. Ai sensi dell'art. 827 c.p.c., il lodo, che decide anche solo parzialmente il merito della controversia, indipendentemente dal suo deposito, è suscettibile di impugnazione per nullità, revocazione e opposizione di terzo in via immediata; mentre il lodo che risolve alcune delle questioni insorte, senza però definire il giudizio, è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. Tali rimedi sono esperibili davanti alla corte d'appello nel cui distretto l'arbitrato ha sede (ne deriva che il giudice ordinario è il giudice “naturale” di tale gravame, senza che rilevi che sulla controversia la giurisdizione fosse demandata ad un giudice speciale: Cass. I, n. 646/2018). Il termine per impugnare il lodo per nullità è di 90 giorni dalla notifica dello stesso ovvero un anno dalla data della sua ultima sottoscrizione (per la relativa decorrenza v. le precisazioni di Cass., S.U., n. 8776/2021). L'atto di impugnazione del lodo per nullità deve contenere l'indicazione di almeno uno dei motivi tassativamente indicati dall'art. 829 c.p.c. (cfr., ex ceteris, Cass. I, n. 8049/2011). Il lodo rituale è invero impugnabile dinanzi alla Corte d'appello per i motivi previsti dall'art. 829 c.p.c., ossia: 1) se la convenzione d'arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell'art. 817, comma 3; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'art. 812; 4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d'arbitrato, ferma la disposizione dell'art. 817; 5) se il lodo non contiene i requisiti indicati nei numeri 5), 6) e 7) dell'art. 823; 6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell'art. 821; 7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata; 8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento; 9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio; 10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; 11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie; 12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato (in arg., ampiamente, E. Marinucci, L'impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, Milano, 2009). La norma precisa che, tuttavia, la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo. Inoltre l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge, ferma in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito, a quest'ultimo riguardo, che, in applicazione della disciplina transitoria dettata dall'art. 27 d.lgs. n. 40/2006, l'art. 829, comma 3 c.p.c., come riformulato dall'art. 24 dello stesso decreto legislativo ("l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico") si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo la entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829, comma 3 c.p.c. rinvia, per stabilire se è ammessa la impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato (Cass. S.U., n. 9284/2016). Quanto alla ricorrente denuncia, in sede di impugnazione del lodo arbitrale, del difetto di motivazione, quale vizio riconducibile all'art. 829 n. 5 c.p.c., in relazione all'art. 823 n. 3 stesso codice, la S.C. ha precisato che lo stesso è ravvisabile soltanto nell'ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l'individuazione della ratio della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un iter argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, tanto da risolversi in una non-motivazione (Cass. VI-1, n. 12321/2018). È stato precisato che nel giudizio d'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, l'intervento del terzo rimasto estraneo al procedimento arbitrale è sempre ammissibile quando il lodo potrebbe pregiudicare i suoi diritti ai sensi degli artt. 344 e 404 c.p.c., avendo l'art. 816-quinquies c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 40/2006, previsto e disciplinato tale intervento proprio con riferimento al giudizio arbitrale e trovando anche applicazione in materia, in mancanza di una diversa disciplina, gli istituti ordinari previsti dal codice di procedura civile (cfr. Cass. I, n. 28827/2017). Il giudizio di impugnazione delle pronunce arbitrali si compone di due fasi, nella prima delle quali, di carattere rescindente, non è consentito alla Corte d'appello procedere ad accertamenti di fatto, dovendo il giudice dell'impugnazione limitarsi ad accertare eventuali cause di nullità del lodo, che possono essere dichiarate soltanto in conseguenza di determinati errores in procedendo, nonché per inosservanza delle regole di diritto, nei limiti previsti dall'art. 829 c.p.c. (Cass. VI-1, n. 9387/2018). Tuttavia anche ove venga dichiarata l'invalidità del lodo, permane il diritto degli arbitri di ricevere il pagamento dell'onorario, che sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico conferito, nell'ambito del rapporto di mandato intercorrente con le parti (Cass. VI-1, n. 15420/2018). La decisione resa dalla Corte d'Appello in sede di impugnazione per nullità del lodo rituale è suscettibile di ricorso per cassazione: tuttavia, la S.C. non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (Cass. VI-1, n. 2985/2018). L'art. 831 c.p.c. prevede, poi, l'impugnazione del lodo per revocazione e opposizione di terzo, quali rimedi straordinari avverso il lodo passato in giudicato, non più impugnabile per nullità. I motivi di revocazione sono limitati alle ipotesi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c. e, se si verificano durante il giudizio di nullità del lodo, il termine per la proposizione della domanda di revocazione sarà sospeso fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla nullità. In dottrina si è osservato che nonostante il richiamo sic et simpliciter all'art. 404 c.p.c., che espressamente accenna a un requisito di esecutività della sentenza da impugnare, l'opposizione di terzo sarà proponibile a prescindere dal deposito del lodo, perché così statuisce la stessa legge all'art. 827 c.p.c. senza operare alcun distinguo tra i mezzi di impugnazione (Cavallini, Arbitrato rituale. Il procedimento, cit.). A seguito della riforma del 2006, il rapporto tra autorità giudiziaria ed arbitri rituali si pone in termini di competenza, sicché l'eccezione di compromesso ha natura processuale ed inerisce a questione di competenza non rilevabile d'ufficio, in quanto di natura non funzionale e non attinente a diritti indisponibili (Cass. VI-1, n. 22748/2015, la quale ha precisato che dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria trova applicazione, quanto al termine di proposizione di tale eccezione, l'art. 38 c.p.c.). È stato poi chiarito, sempre in sede di legittimità, che la statuizione resa nel procedimento arbitrale, che pronunci sulla propria competenza a decidere la controversia sottopostagli, non è impugnabile con il regolamento di competenza, sia alla stregua della novella introdotta dal d.lgs. n. 40/2006, sia nel regime previgente, emergendo chiaramente dal tenore letterale dell'art. 819-ter c.p.c. che il legislatore, ne ha consentito l'utilizzo esclusivamente avverso la pronuncia del medesimo tenore resa da un giudice ordinario (Cass. VI-1, n. 23473/2017). Inoltre, l'art. 819-ter c.p.c., introdotto dall'art. 22 del d.lgs. n. 40/2006, il quale prevede l'impugnabilità con il solo regolamento di competenza delle pronunce affermative o negative della competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato, si applica a tutte le sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore della citata disposizione (2 marzo 2006), a prescindere dalla data di instaurazione del relativo processo. La S.C. ha evidenziato che tale soluzione interpretativa si impone in ragione della riconosciuta natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale ed in applicazione del principio tempus regit actum, per il quale, in assenza di diversa disposizione transitoria, il regime di impugnabilità dei provvedimenti va desunto dalla disciplina vigente quando essi sono venuti a giuridica esistenza (Cass. I, n. 21523/2016). Sotto un distinto ma correlato profilo, una recente decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazion ha affermato che l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. n. 25 del 1994 e dal d.lgs. n.40 del 2006, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione. Di conseguenza la questione circa l'eventuale non compromettibilità ad arbitri della controversia, per essere la stessa riservata alla giurisdizione del giudice amministrativo, integra una questione di giurisdizione che, ove venga in rilievo, il giudice dell'impugnazione del lodo arbitrale è tenuto ad esaminare e decidere anche d'ufficio (Cass., S.U., n. 23418/2020). Profili fiscali Il compromesso e la clausola compromissoria assumono rilevanza sia ai fini dell'imposta di registro sia ai fini dell'imposta di bollo. Con riferimento all'imposta di registro, occorre fare riferimento, in mancanza di una specifica disciplina, alle norme generali del TU sull'imposta di registro. In virtù di tali previsioni, non avendo natura patrimoniale, compromesso e clausola compromissoria sono soggetti a tassazione in misura fissa. Inoltre, in base alla forma dell'atto in questione, varia la modalità con cui adempiere all'imposta (in misura fissa se l'atto è contenuto in una scrittura privata autenticata o in un atto pubblico; oppure, in caso d'uso se l'atto è contenuto in scrittura privata, formato per corrispondenza o in un atto formato all'estero). Quanto invece all'imposta di bollo, occorre distinguere tra compromesso e clausola compromissoria. Infatti, sul compromesso, l'imposta è dovuta in generale, fin dall'origine e in misura fissa (artt. 1-2, Allegato A, Tariffa, parte I d.P.R. n. 642/1972), ma solo in caso d'uso se formato all'estero (art. 30, Allegato A, Tariffa, parte II d.P.R. n. 642/1972) o mediante corrispondenza (art. 24, Allegato A, Tariffa, parte II d.P.R. n. 642/1972). Invece, la clausola compromissoria è soggetta all'imposta in base alla disciplina applicabile all'atto in cui è inserita (art. 13, comma 3, n. 15 d.P.R. n. 642/1972). Gli atti del procedimento redatti dalle parti e dagli arbitri rilevano esclusivamente ai fini dell'imposta di bollo, senza essere considerati atti giudiziari. Gli atti del procedimento non rilevano invece ai fini dell'imposta di registro, in quanto consistono in atti privati non aventi contenuto patrimoniale. Nel caso in cui la nomina dell'arbitro venga effettuata con atto autonomo, deve essere assoggettata all'imposta di bollo quale atto del procedimento arbitrale. |