Apertura di credito

Mattia Caputo

Inquadramento

Nell'ambito del “genus” dei contratti bancari, ed in particolare di quelli con funzione di finanziamento, il contratto di apertura di credito svolge da sempre un ruolo primario. Questo contratto, disciplinato dagli artt. 1842-1845 c.c. e dalla normativa settoriale destinata ai contratti conclusi dalle Banche nell'ottica di tutela dei “clienti” quali contraenti economicamente e contrattualmente deboli, è un motore fondamentale della moderna economia, consentendo da una parte a persone fisiche ed enti di ottenere credito dalle banche, dall'altra agli Istituti di credito di svolgere la funzione ad esse riservata dalla legge di esercizio del credito.

L'importanza centrale del contratto di apertura di credito sul piano economico e sociale implica il frequente utilizzo allo stesso nella prassi quotidiana, con la conseguenza che intorno a questo contratto tipico sono sorte nel tempo molteplici questioni giurisprudenziali particolarmente complesse, spesso scaturite dal rapido susseguirsi di interventi normativi e dallo stratificarsi di molteplici fonti di regolamentazione di rango diverso (Codice civile, Testo Unico Bancario, Decreti ministeriali).

Nell'ambito di queste problematiche ve ne sono due che hanno sollecitato in particolar modo l'attenzione della giurisprudenza: la prima riguarda l'esatta perimetrazione della natura giuridica della commissione di massimo scoperto e la sua inclusione oppure no al fine del calcolo del tasso-soglia per verificare la sussistenza del reato di usura ex art. 644 c.p. (ed i connessi profili civilistici sulla validità dei contratti ai sensi dell'art. 1815, comma 2 c.c.).

La seconda riguarda invece l'individuazione dei limiti che le banche incontrano nell'esercizio del diritto potestativo di recesso, ovvero il problema del c.d. “recesso brutale”.

Nella presente formula si analizzeranno proprio queste tematiche.

Formula

CONTRATTO DI APERTURA DI CREDITO

Spett.le ....

Filiale di ....

Il/la Sig./Sig.ra/la società ...., nato/a/iscritta nel R.I. il .... a .... e residente/con sede legale in ...., alla ...., C.F./P.IVA .... ha ricevuto la comunicazione della Banca il cui contenuto di seguito è integralmente trascritto:

In relazione alla Sua richiesta di affidamento ed alle successive trattative intercorse, con la presente abbiamo il piacere di comunicarle che è stato deliberato di:

ConcederLe la seguente linea di credito dell'importo di € ...., con validità fino alla data del ...., utilizzabile mediante apertura di credito regolata sul conto corrente n. .... acceso presso la Filiale di ...., a tasso variabile, di mese in mese, in funzione del parametro ..... 1

1 ConcederLe la seguente linea di credito dell'importo di € .... a tempo indeterminato, salvo il recesso delle parti ai sensi dell'art. 1845, comma 3 c.c., utilizzabile mediante apertura di credito regolata sul conto corrente n. .... acceso presso la Filiale di ...., a tasso variabile, di mese in mese, in funzione del parametro .....

A livello indicativo si precisa che, alla data odierna, il valore del parametro

.... è pari a .... % e che il parametro .... riferito al mese immediatamente precedente alla stipula del presente contratto (non essendo possibile l'indicazione della media relativa al mese in corso) è pari a .... %. Per effetto della capitalizzazione infrannuale il valore del Tasso rapportato su base Annua (T.A.N.), calcolato sulla base del valore della media relativa al mese precedente, è pari a .... % ed il Tasso Annuo Effettivo Globale (T.A.E.G.) è pari al .... %.

In caso di cessazione, a qualunque causa dovuta, della facilitazione creditizia e del conto corrente sul quale la stessa è utilizzabile, per il periodo intercorrente dal primo giorno del mese in corso alla data di effettiva cessazione, verrà applicato il tasso relativo al mese immediatamente precedente. Il tasso suddetto sarà applicato in caso di utilizzo dell'affidamento entro i limiti concessi.

In ipotesi di utilizzo dell'accordato oltre il limite concesso (c.d. “extra-fido”) sarà applicato il tasso di “extra fido” nominale annuo del .... %.

Pertanto il valore del Tasso rapportato su base Annua è pari al .... %.

Nel caso di sconfinamento (c.d. “extra fido”), ferma la piena discrezionalità della Banca nella relativa autorizzazione, è dovuta alla Banca una “Commissione di istruttoria veloce per rapporti affidati”, il cui ammontare è pari alla misura sotto indicata.

Tale Commissione è determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto e commisurata ai costi che la Banca mediamente sostiene per l'attività d'istruttoria comunque necessaria per valutare correttamente la concessione dello sconfinamento. In conformità alle procedure organizzative della Banca, la Commissione è percepita per ogni attività istruttoria effettuata per la valutazione della concessione dello sconfinamento, anche se ulteriore rispetto ad altri in precedenza accordati; a fronte di più sconfinamenti nella stessa giornata viene applicata una sola Commissione con riferimento al saldo finale. Resta fermo che la Commissione non è dovuta alla ricorrenza delle esenzioni previste dalla vigente normativa, applicate dalla Banca a tutti i clienti, nonché nelle altre ipotesi convenzionalmente pattuite e di seguito riportate.

CONDIZIONI ECONOMICHE

Commissione di Istruttoria Veloce per rapporti affidati (per fasce di sconfinamento)

Fino a € .... € ....

Da € .... a € .... € ....

Oltre i € .... € ....

Franchigia giornaliera di sconfinamento € ....

Commissione di istruttoria .... % Minimo € .... Max € ....

Commissione di revisione .... % Minimo € .... Max € ....

Commissione di nuove concessioni/modifiche concessioni

.... % Minimo € .... Max € ....

Il T.A.E.G. è comprensivo del Corrispettivo sull'accordato (di seguito C.A.), che sarà applicato in ragione del .... % per periodo .....

Tale corrispettivo omnicomprensivo è da computarsi in base all'importo ed all'effettiva durata dell'affidamento stesso.

Pertanto, in caso di risoluzione anticipata del rapporto di apertura di credito, il C.A. viene calcolato soltanto per la durata del periodo di concessione dell'affidamento ed in funzione dell'entità dello stesso. Il C.A. omnicomprensivo (che non si calcola, comunque, sull'eventuale sconfinamento che dovesse essere autorizzato) sarà oggetto di apposite evidenziazioni nell'ambito delle rendicontazioni periodiche inviate al Cliente, con indicazione dell'importo dell'affidamento concesso e della sua durata.

Restano regolate dalle relative disposizioni eventuali ulteriori facilitazioni creditizie concesse con atti separati.

Si precisa altresì che, nei casi in cui le concessioni siano regolate con tassi variabili in funzione di un dato parametro, nell'ipotesi in cui non sia possibile effettuare la rilevazione del detto parametro nel giorno previsto, verrà preso a riferimento il parametro rilevato nell'ultimo giorno utile antecedente al quale la rilevazione è avvenuta.

 

Resta inteso che l'operatività delle linee di credito sopra indicate è comunque subordinata, oltre che al perfezionamento del contratto specifico destinato a regolare le condizioni economiche e giuridiche delle aperture di credito, ove diversa dall'apertura di credito in conto corrente, dagli anticipi salvo buon fine su effetti e documenti e dal fido per disponibilità assegni di terzi (fermo restando che, anche in caso di fido promiscuo, l'intera concessione sarà operativa solo una volta che siano state adeguatamente contrattualizzate tutte le relative forme tecniche di utilizzo), all'acquisizione delle garanzie di seguito indicate:

a) garanzia di € .... prestata da .... per la linea di credito di cui sopra;

b) garanzia di € .... prestata da .... per la linea di credito di cui sopra.

Ed all'adempimento di ogni altra condizione preliminare concordata, così come di seguito indicato:

riduzione programmato del fido mediante versamenti mensili di € ...., da effettuarsi sul conto corrente n. .... a partire dal .... e fino al raggiungimento della somma complessiva di € ...., oltre al saldo di € ...., da effettuarsi in un'unica soluzione entro la scadenza prefissata del ...., salvo diverse disposizioni e/o accordi presi con la Banca.

Resta inteso che in caso di adesione del Cliente al contenuto della presente, da manifestare con la sottoscrizione della copia acclusa, e del correlativo perfezionamento del contratto, i rapporti con la Banca saranno regolati dalle seguenti:

CONDIZIONI GENERALI

ART. 1 - DISCIPLINA

1.1 Le linee di credito concesse, oltre che dalle presenti condizioni, se ed in quanto applicabili, sono disciplinate dalle clausole dei singoli contratti che il Cliente abbia stipulato o stipulerà con la Banca, ivi comprese, per quanto concerne le aperture di credito, le “Condizioni giuridiche - Sezione affidamenti in conto corrente”, eventualmente sottoscritte dal Cliente nel contratto di conto corrente.

1.2 Quanto trovino regolamento in conto corrente, le linee di credito sono altresì regolate dalle disposizioni che regolano il conto corrente bancario intrattenuto dal Cliente presso la Banca, disposizioni che devono intendersi qui integralmente richiamate ed approvate, inclusa la sezione “Condizioni giuridiche - Sezione servizio di incasso o di accettazione degli effetti, documenti ed assegni”.

1.3 Per tutto quanto non espressamente regolato nel presente contratto, all'apertura di credito si applicano, in quanto compatibili, le norme contenute nel Codice Civile e nelle leggi speciali.

ART. 2 - MODIFICA DEI TASSI DI INTERESSE E DELLE ALTRE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI

2.1 La Banca, qualora sussista un giustificato motivo, si riserva la facoltà di modificare le condizioni economiche e contrattuali del presente contratto ai sensi dell'art. 18 del d.lgs. n. 385/1993.

Se il contratto è a tempo determinato ed il Cliente non ha la qualifica di consumatore o microimpresa ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 206/2005, la modifica del tasso di interesse, in tutte o in alcune delle sue componenti, è possibile qualora ricorra uno dei seguenti eventi o condizioni:

a) aumento dei costi di provvista sostenuti dalla Banca relativamente alla forma di finanziamento contrattualizzata conseguente a decisioni di politica monetaria o rilevabile, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, da un incremento significativo dei seguenti indicatori:

- valore medio dei CDS (Credit Default Swap) delle principali Banche italiane per capitalizzazione o analoghi indici rappresentativi dello spread di credito di principali emittenti bancari italiani;

- differenziale di rendimento tra i titoli di Stato della Repubblica Italiana ed i titoli di Stato della Repubblica Federale di Germania (c.d. “spread BTP-BUND”);

- rendimento all'emissione (c.d. “asta”) dei titoli di Stato della Repubblica Italiana aventi durata equivalente o similare alla durata residua del contratto di finanziamento;

b) modifica della normativa (legislativa e regolamentare) o formulazione di interpretazioni da parte di autorità competenti, determinanti un aggravio del costo di provvista della Banca dal punto di vista degli obblighi di riserva o del trattamento fiscale;

c) aumento dei costi operativi sostenuti dalla Banca a seguito dell'aumento dell'inflazione rilevato dall'ISTAT per mezzo dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC) o altro indice equivalente;

d) peggioramento nel tempo del grado di affidabilità (c.d. “merito creditizio”) del cliente con conseguente necessità di maggiori accantonamenti di capitali da parte della Banca a copertura del maggior rischio di credito;

e) mancata canalizzazione verso la Banca dei flussi finanziari/commerciali eventualmente pattuiti tra le parti.

2.2 Le modifiche saranno rese note al Cliente mediante una comunicazione recante la scritta “Proposta di modifica unilaterale del contratto” con un preavviso di almeno 60 giorni, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente concordato ed accettato dal Cliente, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 118 del d.lgs. n. 385/1993. La modifica si intende approvata ove il Cliente non receda, senza spese, entro la data prevista per la sua applicazione. In caso di recesso, in sede di liquidazione del rapporto, il Cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni economiche e contrattuali precedentemente applicate.

ART. 3 - PATTO DI ANNOTAZIONE IN CONTO E COMPENSAZIONE

In caso di linea di credito utilizzabile ed utilizzata, in tutto o in parte, per anticipazione di crediti di qualunque genere vantati dal Cliente verso terzi, comprese quelli al salvo buon fine di effetti e ricevute bancarie ed anche se contabilizzate su conti di appoggio, resta inteso ed espressamente pattuito che la Banca è autorizzata ad annotare in conto e comunque a compensare – a soddisfazione del proprio credito per le anticipazioni erogate al cliente – le somme da essa incassate in esecuzione delle suddette operazioni di anticipazione.

ART. 4 - CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI

4.1 Gli interessi sono riconosciuti al correntista o dallo stesso corrisposti nella misura pattuita ed indicata nelle condizioni economiche applicate al rapporto. I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia con saldo debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità annuale. Il calcolo degli interessi ha luogo il 31 dicembre di ogni anno, anche laddove il presente contratto sia stato stipulato nel corso dell'anno.

4.2 Gli interessi maturati a debito del correntista sono contabilizzati separatamente rispetto al capitale e scadono il 1° marzo dell'anno successivo a quello di maturazione; essi divengono esigibili solo quando è trascorso il termine di 30 giorni dall'estratto conto periodico.

4.3 Il cliente estingue il debito nei confronti della banca per gli interessi passivi maturati con le modalità di cui sopra mediante versamento in contanti oppure mediante bonifico.

Le parti convengono che quando gli interessi diventano esigibili le somme confluite sul conto del cliente siano utilizzate per estinguere il debito del cliente.

Il cliente autorizza la banca ad addebitare gli interessi di cui sopra sul conto corrente; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale e, dunque, produce ulteriori interessi con capitalizzazione annuale. Il cliente può revocare l'autorizzazione all'addebito in conto fino al momento dell'addebito stesso.

ART. 5 - GARANZIA

5.1 Se per l'apertura di credito è stata concessa una garanzia reale o personale, questa non si estingue prima della fine del rapporto di apertura di credito per il solo fatto che il Cliente abbia cessato di essere debitore della Banca.

5.2 Se la garanzia reale o personale prestata diventa insufficiente, la Banca ha facoltà di chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione al garante. Se il Cliente non ottempera alla richiesta, la Banca ha facoltà di ridurre il credito proporzionalmente al valore diminuito della garanzia, oppure di recedere dal contratto.

ART. 6 - RECESSO DAL CONTRATTO

6.1 Nel caso di apertura di credito con termine finale, la Banca non potrà recedere prima della scadenza del termine pattuito, se non per giusta causa.2

2 Le parti convengono che, in caso di apertura di credito con termine finale, la Banca potrà recedere prima della scadenza del termine pattuito, anche in assenza di una giusta causa.

6.2 Il recesso della Banca sospende immediatamente l'utilizzo del credito concesso, ma la Banca è tenuta a concedere al Cliente un termine di almeno 15 giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori.

6.3 Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, la Banca ed il Cliente hanno facoltà di recedere dal contratto, con il preavviso di .....3

3 Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, la Banca ed il Cliente hanno facoltà di recedere dal contratto, in caso di mancata previsione contrattuale di un termine minimo, con il preavviso stabilito dagli usi o, in mancanza, in quello di 15 giorni.

ART. 7 - COMUNICAZIONI, INVIO DELLA CORRISPONDENZA DELLA BANCA AL CLIENTE

7.1. L'invio al Cliente di tutte le comunicazioni (p.e. lettere, rendiconti, variazioni contrattuali), le eventuali notifiche e qualunque altra dichiarazione o comunicazione della Banca relative al presente contratto avviene a tutti gli effetti all'ultimo indirizzo comunicato dal Cliente alla Banca per iscritto, secondo la modalità di invio convenuta.

7.2. Il Cliente ha il diritto di cambiare in qualsiasi momento anche successivamente alla stipula del presente contratto la forma di comunicazione salvo che ciò sia incompatibile con la natura dell'operazione o del servizio.

7.3. Anche se viene convenuta una forma di comunicazione elettronica, la Banca si riserva la facoltà di inviare le comunicazioni e le notifiche al Cliente in forma cartacea all'ultimo indirizzo comunicato, se ritenesse ciò utile o necessario per garantire l'effettiva ricezione della comunicazione da parte del Cliente. Il Cliente accetta sin d'ora le spese a suo carico legate all'invio in forma cartacea.

7.4. Il Cliente si impegna a comunicare tempestivamente e per iscritto eventuali modifiche dell'indirizzo. Eventuali modifiche di indirizzo non sono opponibili alla Banca finché questa non abbia ricevuto la relativa comunicazione a mezzo di lettera raccomandata o allo sportello. Quando il rapporto è intestato a più persone, tutte le comunicazioni e notifiche da parte della Banca vengono inoltrate solo ad uno/a di esse con pieno effetto nei confronti di tutti/e gli/le altri/e.

7.5. Se le comunicazioni avvengono attraverso il servizio online banking è convenuto che la Banca, nell'ambito delle sue capacità tecniche, metterà a disposizione del Cliente tutte le comunicazioni relative al presente contratto attraverso tale servizio, e cioè su supporto durevole non modificabile. Le comunicazioni saranno messe a disposizione in forma cifrata e saranno accessibili utilizzando le credenziali d'accesso consegnate al Cliente. Rimane inoltre inteso, che:

- il Cliente provvederà a scaricare personalmente tali comunicazioni;

- i termini per l'esercizio del diritto di recesso dal contratto e per ogni eventuale contestazione decorreranno dalla data

della messa a disposizione della corrispettiva comunicazione attraverso il servizio;

- sarà cura del Cliente conservare in luogo sicuro le credenziali di autenticazione, visionare regolarmente, se vi siano

comunicazioni da scaricare, comunicando tempestivamente alla Banca ogni irregolarità del servizio;

- sarà cura del Cliente memorizzare le informazioni trasmesse in modo tale da garantirne un agevole e sicuro recupero in

qualsiasi momento, essendo le comunicazioni disponibili attraverso il servizio solo per un periodo limitato.

- ad avvenuto scarico delle comunicazioni il Cliente stesso resta responsabile di ogni dannosa conseguenza che potesse

risultare dall'abusivo o illecito uso delle informazioni scaricate/memorizzate.

7.6. Se le comunicazioni avvengono via internet all'indirizzo e-mail/PEC, è convenuto che la Banca, nell'ambito delle sue capacità tecniche, trasmetterà tutte le comunicazioni relative al presente contratto unicamente con questa modalità. Rimane inoltre inteso, che:

- sarà cura del Cliente, visionare regolarmente la posta elettronica in entrata, comunicando tempestivamente alla Banca ogni irregolarità del servizio.

- sarà cura del Cliente memorizzare le informazioni trasmesse in modo tale da garantirne un agevole e sicuro recupero in qualsiasi momento.

- i termini per l'esercizio del diritto di recesso dal contratto e per ogni eventuale contestazione decorreranno dalla data della ricezione della corrispettiva comunicazione mediante posta elettronica.

- ad avvenuta trasmissione delle comunicazioni alla mail box/ all'indirizzo PEC del Cliente lo stesso resta responsabile di ogni dannosa conseguenza che potesse risultare dall'abusivo o illecito uso delle informazioni ricevute.

ART. 8 - PROCEDURE ALTERNATIVE PER LA COMPOSIZIONE DELLE CONTROVERSIE CON LA CLIENTELA

8.1. Nel caso in cui sorga una controversia tra il Cliente e la Banca, relativa all'interpretazione ed applicazione del presente contratto, il Cliente – prima di adire l'autorità giudiziaria – ha la possibilità di utilizzare gli strumenti di risoluzione delle controversie previsti nei successivi commi.

8.2. Il Cliente può presentare un reclamo alla Banca, anche per lettera raccomandata con ricevuta di ritorno all'indirizzo .... oppure per via telematica all'indirizzo ..... La Banca risponde entro .... giorni.

8.3. Se il Cliente non è soddisfatto o non ha ricevuto risposta, può rivolgersi all'Arbitro per le Controversie finanziarie (ACF) presso la Consob. L'arbitro offre possibilità dirette a risolvere controversie in materia di servizi di investimento fino ad un valore di € 500.000, insorte tra investitori e intermediari per la violazione degli obblighi di diligenza, informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela. Sono esclusi dalla cognizione dell'arbitro i danni che non sono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento o della violazione da parte dell'intermediario degli obblighi suddetti e quelli che non hanno natura patrimoniale. Per avere ulteriori informazioni su come rivolgersi all'Arbitro, sull'avvio e sullo svolgimento del procedimento si può consultare il sito istituzionale: acf.consob.it oppure chiedere alla Banca. Il diritto di ricorrere all'Arbitro non può formare oggetto di rinuncia da parte del Cliente ed è sempre esercitabile, anche in presenza di clausole di devoluzione delle controversie ad altri organismi di risoluzione extragiudiziale contenute nei contratti.

8.4. Il Cliente può inoltre – singolarmente o in forma congiunta con la Banca – attivare una procedura di conciliazione finalizzata al tentativo di conciliazione. Detto tentativo è esperito dall'Organismo di conciliazione Bancaria costituito dal Conciliatore BancarioFinanziario - Associazione per la soluzione delle controversie Bancarie, finanziarie e societarie - ADR (www.conciliatorebancario.it). Rimane in ogni caso impregiudicato il diritto del Cliente di rivolgersi in qualunque momento alla Banca d'Italia e all'autorità giudiziaria competente.

8.5. Qualora il Cliente intenda, per una controversia relativa all'interpretazione ed applicazione del presente contratto, rivolgersi all'autorità giudiziaria, deve preventivamente, pena l'improcedibilità della relativa domanda, esperire la procedura di mediazione innanzi all'organismo Conciliatore BancarioFinanziario di cui al comma 5, ovvero attivare il procedimento innanzi all'Arbitro per le controversie finanziarie presso la Consob di cui al comma 3 o il procedimento innanzi all'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) di cui al comma 4; ciò ai sensi dell'articolo 5 comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010. Rimane fermo che le parti possono concordare, anche successivamente alla conclusione del contratto, di rivolgersi ad un organismo di mediazione diverso dal Conciliatore BancarioFinanziario purché iscritto nell'apposito registro ministeriale. La procedura di mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente e con l'assistenza di un avvocato.

ART. 9 - LINGUA ADOTTATA, FORO COMPETENTE E LEGGE REGOLATRICE

9.1. Il presente rapporto è regolato dalla legge italiana.

9.2. Il presente contratto, gli ordini e le comunicazioni fra le parti sono redatti in lingua italiana, salvo diverso specifico accordo con il Cliente.

9.3. Per qualunque controversia che dovesse sorgere in dipendenza del presente contratto è competente il Foro stabilito per legge .....

Per qualunque controversia che dovesse sorgere in dipendenza del presente contratto è competente in via esclusiva il Foro di .... ove si trova la Filiale della Banca presso la quale è in essere il rapporto. Nel caso in cui l'Utente rivesta la qualifica di consumatore ai sensi dell'art. 3 d. lgs. n. 206/2005, sarà competente il Foro nella cui circoscrizione si trova la residenza o il domicilio elettivo dell'Utente stesso.

Luogo e data ....

Il Cliente ....

Il Cliente dichiara di aver preso visione e di approvare mediante sottoscrizione per iscritto, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1341 cod. civ., le pattuizioni relative al “Corrispettivo sull'Accordato” e di “Commissione di istruttoria veloce per rapporti affidati”, nonché l'art. 2 (Modifica dei tassi di interesse e delle altre condizioni economiche e contrattuali), l'art. 3 (Patto di annotazione in conto e compensazione), l'art. 4 (capitalizzazione degli interessi) e l'art. 8 (Procedure alternative per la composizione delle controversie con la clientela).

Luogo e data ....

Il Cliente ....

[1] [1]La presente clausola dovrà essere prevista nel caso in cui l'apertura di credito sia a tempo indeterminato.

[2] [2]La pattuizione in oggetto dovrà essere inserita nel corpo del contratto laddove si intenda attribuire alla Banca il diritto potestativo di recedere ad nutum nell'apertura di credito a tempo determinato.

[3] [3]La clausola ricalca la disciplina di cui all'art. 1845, comma 3, c.c., prevista per l'apertura di credito ed applicabile analogicamente anche all'anticipazione bancaria, che è norma suppletiva per il caso in cui le parti non abbiano previsto un termine di preavviso per il recesso.

Commento

Nozione e funzione dell'apertura di credito

L'art. 1842 c.c. definisce l'apertura di credito come “il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato”.

La definizione codicistica consente innanzitutto di inquadrare l'apertura di credito quale contratto tipico, poiché regolato da una serie di norme di carattere generale agli artt. 1842-1845 c.c., nonché da una serie di norme di carattere speciale, introdotte nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), dirette essenzialmente a rafforzare la tutela dei “clienti”, cioè di quei soggetti che si trovano in una posizione contrattuale ed economica di debolezza rispetto alle banche.

Il contratto di apertura di credito è bilaterale, consensuale, oneroso, ad effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive; si tratta inoltre di una fattispecie negoziale in cui vi è una forte rilevanza dell'elemento fiduciario, poiché la scelta degli Istituti di credito di concedere un'apertura di credito e la relativa misura – più o meno elevata – dipende dalle caratteristiche professionali e, soprattutto, economiche e patrimoniali, del “cliente”, come dimostra la valutazione da parte delle banche del c.d. “merito creditizio” del consumatore all'esito di un'apposita istruttoria, nonché la disciplina delle garanzie – personali e reali – che accedono al suddetto contratto di cui all'art. 1844 c.c.

Dalla nozione fornita dall'art. 1842 c.c. si evince chiaramente che la funzione tipica del contratto in esame è quella di consentire al cliente (anche detto “affidato”) di disporre di una somma di denaro per realizzare le più svariate finalità, da quelle strettamente personali e familiari a quelle, più spesso, di natura imprenditoriale (contribuendo così ad attuare il disposto dell'art. 41 della Costituzione).

La causa tipica dell'apertura di credito implica che questa si colloca nell'ambito delle operazioni c.d. “attive”, con cui cioè la banca svolge una delle funzioni ad esse riservate dall'art. 10, comma 1 TUB, ovvero l'esercizio del credito.

A fronte del diritto del cliente di disporre delle somme che la banca accreditante gli mette a disposizione vi è il corrispondente obbligo degli istituti di credito di tenere tali somme a disposizione, qualora l'accreditato ne faccia richiesta: da questo punto di vista, dunque, si coglie lo scopo tipico di finanziamento che il contratto di apertura di credito, similmente al mutuo.

Il contratto di apertura di credito si distingue però dal mutuo, poiché mentre il primo produce effetti obbligatori, facendo scaturire in capo al cliente il diritto potestativo di disporre (eventualmente) della provvista che la banca gli mette a disposizione (cui corrisponde l'obbligo della banca di tenere tale somma a disposizione dell'accreditato), il secondo genera invece effetti reali, comportando l'immediato trasferimento delle somme dall'Istituto mutuante al mutuatario.

L'apertura di credito potrebbe apparire molto simile al mutuo c.d. “di scopo”, atteso che entrambi i contratti si concludono consensualmente svolgono una funzione di finanziamento; tuttavia la circostanza che nel mutuo c.d. “di scopo” la finalità avuta di mira dal cliente rientri nella causa negoziale, tanto da comportare delle deviazioni rispetto al modello codicistico in ordine al momento perfezionativo (nel mutuo “ordinario”, infatti, si conclude con la consegna, ancorché non necessariamente materiale, del denaro) laddove nell'apertura di credito le ragioni per cui l'importo “accordato” e messo dalla banca a disposizione del cliente sono del tutto irrilevanti.

L'apertura di credito può essere semplice o in conto corrente.

Essa si dice “semplice” quando il cliente, pur potendo fare uno o più prelevamenti, può utilizzare il credito soltanto una volta.

L'apertura di credito è invece “in conto corrente” quando il cliente può fare più prelevamenti ed utilizzare più volte il credito, con la facoltà, mediante versamenti, di ripristinare in tutto o in parte la provvista che la banca gli mette a disposizione.

Il primo comma dell'art. 1843 c.c. stabilisce quale regola generale quella dell'apertura di credito in conto corrente, sempre che le parti, derogando a tale disposizione, non abbiano stabilito altrimenti, pattuendo dunque un'apertura di credito “semplice”. Ciò è quanto accade nella prassi di tutti i giorni, posto che la funzione di finanziamento propria dell'apertura di credito implica che esso acceda ad un contratto di conto corrente, destinato a regolare nel tempo e periodicamente i rapporti di credito e debito tra banca e cliente, consentendo a quest'ultimo di ripristinare la provvista mediante versamenti a carattere ripristinatorio.

La giurisprudenza prevalente (ex multis Cass. I, n. 26133/2013) ritiene che al fine di ritenere sussistente il contratto di apertura di credito (ed il corrispondente obbligo della banca di mettere le somme a disposizione del cliente) non è necessaria la conclusione di un apposito contratto né tantomeno la predeterminazione dell'importo massimo accreditabile, poiché questi elementi sono desumibili dal contratto di conto corrente validamente e liberamente sottoscritto dal cliente.

L'apertura di credito può essere conclusa con la concessione di una garanzia (personale o reale) oppure no: nel primo caso si parla di apertura di credito “garantita”, mentre nel secondo di apertura “allo scoperto”.

Sul punto l'art. 1844, comma 1 c.c. sancisce che in caso di apertura di credito assistita da una garanzia, questa non si estingue prima della fine del rapporto per il solo fatto che l'accreditato cessa di essere debitore della banca; il comma 2 della predetta norma prevede poi a tutela delle ragioni della banca che nel caso in cui la garanzia dovesse diventare insufficiente, l'accreditante può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante e, in mancanza, può ridurre proporzionalmente l'importo accordato o recedere dal contratto.

Quanto alla disciplina del diritto potestativo di recesso della banca (individuato nella prassi col termine “revoca” dell'affidamento, che evoca la originaria natura pubblicistica degli Istituti di credito e l'autoratatività dell'atto), ed ai limiti che la banca incontra nell'esercizio del diritto di recesso, si veda amplius infra.

Quanto alla forma del contratto di apertura di credito essa rinviene la sua regolamentazione nell'art. 117, comma 1, TUB riguardante in generale i contratti bancari, che stabilisce che questi devono essere redatti per iscritto e che un esemplare deve essere consegnato ai clienti: nel caso di inosservanza della forma (pre)scritta il legislatore prevede una nullità testuale a legittimazione relativa, come tale azionabile soltanto dal cliente, ancorché rilevabile d'ufficio dal giudice, come stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione Civile con le sentenze gemelle nn. 26242 e 26243/2014 sui rapporti tra poteri d'ufficio del giudice e rilievo della nullità.

Il legislatore, dando seguito ad una previsione di analogo tenore già contenuta nell'abrogata l. n. 154/1992, con la forma scritta “ad substantiam” dei contratti bancari ha inteso implementare la protezione dei “clienti” nella fase che precede la conclusione dei suddetti contratti, nella prospettiva di assicurare a quanti vengono a contatto con le banche la massima trasparenza delle condizioni economiche e contrattuali e, di conseguenza, la piena e consapevole determinazione negoziale dei clienti circa la portata, economica e giuridica, di quanto vanno a sottoscrivere.

Deve tuttavia registrarsi l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema della forma richiesta per la validità del contratto di apertura di credito.

Un primo orientamento, maggiormente rigoroso (tra cui, di recente, App. Torino 9 giugno 2017, n. 1277), ritiene indispensabile il requisito della forma ad validitatem actus, in ossequio al disposto dell'art. 117, comma 1, TUB che, riguardando tutti i contratti bancari, non può che applicarsi anche a quello di apertura di credito, che di questi costituisce una species.

La logica conseguenza di quest'impostazione è che non è possibile ritenere concluso un “fido di fatto”, cioè un affidamento concluso per facta concludentia per cui, anche nella prospettiva di individuare la natura (solutoria o ripristinatoria) degli eventuali versamenti effettuati dal cliente correntista sul conto, deve ritenersi in questo caso che esse siano tutte a carattere solutorio, mancando la messa a disposizione di somme di denaro a suo favore.

Di diverso avviso si mostra invece un altro orientamento giurisprudenziale, prevalente e diffuso presso la Suprema Corte (ex pluribusCass. I, n. 27836/2017), secondo cui non è affetto di nullità il contratto di apertura di credito concluso da un correntista, quando il contratto di conto corrente che regola i rapporti di dare-avere tra la banca ed il cliente sia stato regolarmente stipulato per iscritto ai sensi dell'art. 117, comma 1, TUB e questo disciplini in modo compiuto il contratto di apertura di credito.

Tale interpretazione si fonda sul disposto del secondo comma dell'art. 117 TUB che abilita la Banca d'Italia, su delibera conforme del CICR, a stabilire che “particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, per cui, al fine di agevolare particolari modalità della contrattazione (ad esempio telematiche) la forma scritta non viene in questo caso radicalmente obliterata, ma soltanto attenuata, dal momento che le condizioni economiche e contrattuali dell'apertura di credito (e le connesse esigenze di protezione del cliente, contraente debole) sono rinvenibili nel contratto “madre” o principale di conto corrente, cui è assoggettato anche quello “figlio” di apertura di credito.

Ad ogni modo, anche questo filone ermeneutico ha chiarito che la prova della conclusione di un contratto di apertura di credito non può essere fornita con la semplice produzione della delibera interna alla banca di concessione del fido registrata sul libro dei fidi, poiché si tratta di atto a rilevanza meramente interna ed organizzativa, né tantomeno può evincersi dalla mera tolleranza di fatto da parte dell'Istituto di credito all'uso dell'affidamento.

La commissione di massimo scoperto e la sua evoluzione giurisprudenziale e normativa

Quanto agli obblighi che scaturiscono dall'apertura di credito, si è detto che quello della banca accreditante è quello di tenere una certa somma a disposizione del cliente, qualora questi intenda utilizzarla.

Specularmente, sul cliente incombe – oltre all'obbligo di “rientrare” dell'esposizione debitoria derivante dall'eventuale utilizzo della provvista accordatagli – l'obbligo di corrispondere alla banca una provvigione, definita come “commissione di massimo scoperto”.

Proprio in relazione alla natura giuridica della commissione di massimo scoperto ed alla relativa inclusione al fine del calcolo del superamento o meno del tasso-soglia penalmente rilevante per l'integrazione del tasso-soglia usurario ai sensi dell'art. 644 c.p. si è sviluppato un acceso dibattito giurisprudenziale.

La commissione di massimo scoperto rappresenta, almeno astrattamente, la remunerazione a favore della banca per i costi che questa sostiene per tenere una certa somma a disposizione per il cliente, per l'eventualità che questi la utilizzi.

È questa la ricostruzione accolta dalla Corte di Cassazione Civile con la sentenza n. 870/2006 – poi seguita dalla giurisprudenza successiva –, secondo cui la commissione di massimo scoperto “costituisce una remunerazione che la banca si riserva per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo impiego della somma”.

Così ricostruita la commissione di massimo scoperto, quale onere per la semplice messa a disposizione di una certa liquidità da parte della banca, appare evidente in primo luogo la sua differenza con gli interessi passivi, dovuti dal cliente quale corrispettivo per il caso dell'effettivo utilizzo della somma accordata ed in proporzione alla stessa, laddove la C.M.S. è dovuta a titolo di remunerazione per la sola messa a disposizione dei fondi (a prescindere dal loro utilizzo) ed in misura fissa.

Tuttavia nella prassi bancaria è accaduto che le banche prevedessero pattiziamente due diverse tipologie di commissioni, ricondotte sotto la figura generale dei c.d. “oneri di messa a disposizione dei fondi” (anche detti O.D.F.).

Il primo tipo di commissione, più rara, era costituita dalla c.d. “commissione di mancato utilizzo” (C.M.U.), che veniva calcolata sull'importo accordato al netto dell'utilizzato, ed avrebbe dovuto remunerare gli oneri sopportati dagli Istituti di credito per tenere una certa somma a disposizione dei clienti.

La seconda tipologia di commissione era invece rappresentata dalla c.d. “commissione di massimo scoperto” (C.M.S.), conteggiata sull'ammontare o picco massimo dell'importo utilizzato nel periodo di riferimento (normalmente individuato nel trimestre), laddove l'utilizzo dell'accordato avesse superato un certo periodo di tempo.

In questa prospettiva la C.M.S. era funzionale a remunerare la banca non già dei costi sostenuti per mettere una certa somma a disposizione del cliente, bensì per il suo effettivo utilizzo.

Intesa in quest'ultima accezione e calcolata di conseguenza, la C.M.S. assumeva i contorni e la funzione tipica degli interessi passivi, dando in tal modo vita ad un'ingiustificata duplicazione di costi a carico del cliente per la stessa ragione, cioè l'utilizzo del denaro messogli a disposizione, con corrispondente ingiustificata locupletazione degli Istituti di credito.

Per questo motivo una parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, riteneva nulle le clausole contenute nel contratto di apertura di credito che prevedessero la commissione di massimo scoperto in base all'utilizzo del denaro, in quanto clausole spesso connotate dall'indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto ex art. 1346 c.c. oppure prive di un'adeguata giustificazione causale che sorreggesse lo spostamento patrimoniale dal cliente alla banca, salvo che vi fosse in concreto un utilizzo che comportasse lo sconfinamento dal fido.

Di diverso avviso si mostrava invece la giurisprudenza di legittimità, che riteneva valide le relative pattuizioni sull'assunto che la funzione della C.M.S. fosse quella di “remunerazione accordata dalla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma”.

I dubbi interpretativi e le connesse incertezze, dovuti anche alla carenza di una disciplina che regolamentasse quest'istituto, hanno indotto il legislatore ad intervenire con l'articolo 2-bis del d.l. n. 185/2008, poi convertito in l. n. 2/2009.

In particolare, l'articolo 2-bis, comma 1, della legge in esame, sanciva la nullità della C.M.S. solo qualora questa fosse applicata ad un conto corrente a debito per un periodo continuativo inferiore a 30 giorni, nonché in caso di utilizzo di denaro in assenza di fido.

L'intento sotteso all'intervento normativo del 2009, cioè quello di ridurre le incertezze in ordine alla validità della C.M.S. ed ai connessi limiti, è stato in realtà vanificato da una formulazione infelice della norma, che ha sortito l'effetto opposto di consentire agli Istituti di credito di aggravare ulteriormente la posizione economica dei clienti, ponendo a loro carico i costi della C.M.S. anche in caso di mancanza di un'apertura di credito, cioè nel caso in cui naturalmente era logico ipotizzare un siffatto onere per il correntista.

Inoltre l'art. 2-bis, comma 1, l. n. 2/2009 introduceva la “commissione di affidamento” (C.A.), efficaci al di là dei limiti di cui sopra qualora “ .... il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all'importo e alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente e sia specificamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l'indicazione dell'effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento”.

Tra le novità di maggior rilievo introdotte dall'articolo 2-bis, comma 2, della l. n. 2/2009, vi è poi l'introduzione di un regime transitorio per cui il Ministro dell'Economia e delle finanze, di concerto con la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'art. 2 della l. n. 108/1996, per stabilire che il limite previsto dall'art. 644, comma 3, c.p. oltre cui gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni.

Le perplessità attinenti la disciplina della C.M.S. anche a seguito dell'intervento novellatore del 2009 sono state superate con una serie di ulteriori modifiche normative, realizzate rispettivamente con il d.l. n. 201/2011 conv. in l. n. 214/2011, il d.l. n. 1/2012 conv. in l. n. 27/2012 e d.l. n. 29/2012 conv. in l. n. 62/2012.

In questo modo è stata ridisegnata la disciplina della C.M.S. contenuta nel nuovo art. 117-bis TUB, che stabilisce al primo comma: “I contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L'ammontare della commissione, determinata in coerenza con la delibera C.I.C.R. anche in relazione alle specifiche tipologie di apertura di credito e con particolare riguardo per i conti correnti, non può superare lo 0,5 %, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente”.

Il secondo comma della norma in oggetto stabilisce poi che “a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull'ammontare dello sconfinamento”.

Al terzo comma si prevede poi la sanzione della nullità per le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito nei commi primo e secondo; nullità parziale, che non si estende all'intero contratto.

La l. n. 62/2012 ha poi risolto i difetti di coordinamento di tale norma con quella introdotta dall'art. 27-bis, comma 1 l. n. 27/2012, colpendo con la nullità “tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, stipulate in violazione delle disposizioni applicative dell'art. 117-bis del t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al d.lgs. n. 385/1993, adottate dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio al fine di rendere i conti trasparenti ed immediatamente comparabili”.

Alla luce della novella normativa oggi sono valide soltanto le commissioni di affidamento (C.A.), mentre sono nulle sia le C.M.S. che le C.M.U.

Commissione di massimo scoperto e usura nei rapporti anteriori al 2009: l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione civile

Il disposto del primo comma dell'art. 2-bis del d.l. n. 185/2008, poi convertito con legge n. 2 del 2009, ha posto all'attenzione degli interpreti la questione della rilevanza delle commissioni di massimo scoperto agli effetti del superamento del tasso-soglia dell'usura di cui all'art. 644, comma 3 c.p.

Tale norma, infatti, stabilisce: “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e della l. n. 108/1996, artt. 2 e 3”.

La giurisprudenza si è così divisa circa la portata della norma introdotta nel 2009 dal legislatore; questione, questa, di grande rilievo pratico per i rapporti anteriori all'agosto del 2009, mese di entrata in vigore della novella normativa, potendo avere riflessi sia sul piano penalistico, con l'integrazione della fattispecie criminosa dell'usura presunta di cui all'art. 644, comma 1, c.p., sia sul piano civilistico con la patologia della nullità parziale ex art. 1815, comma 2 c.c. dei contratti di apertura di credito (e bancari in generale) usurari, con conseguente diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate dai clienti alla banca.

Secondo un primo orientamento, fatto proprio dalla Seconda Sezione della Cassazione Penale (Cass. pen., II, n. 12028/2010), il tenore letterale inequivocabile dell'articolo 644, comma 4, c.p., secondo cui per la determinazione del tasso d'interesse usurario penalmente rilevante si tiene conto delle “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito”, comporta che devono essere necessariamente ritenuti rilevanti tutti gli oneri sostenuti dal cliente in connessione con l'utilizzo del credito, tra cui rientra senza alcun dubbio la commissione di massimo scoperto, attesa la sua tradizionale funzione di corrispettivo per l'onere, sostenuto dall'intermediario finanziario, di procurarsi la provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente.

Quest'orientamento si fonda poi anche sul dato normativo dell'art. 2-bis, comma 1, d.l. n. 185/2008, dove stabilisce che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e della l. n. 108/1996, artt. 2 e 3”.

Per la Corte di Cassazione Penale la norma di cui all'articolo 2-bis, comma 1, d.l. n. 185/2008 deve essere qualificata come di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 4, c.p., con la conseguenza che essa ha portata retroattiva e, quindi, si applica anche ai contratti di apertura di credito conclusi ed esauritisi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Per un'altra ricostruzione interpretativa, accolta dalla Prima Sezione della Cassazione civile (Cass. I, n. 22270/2016), l'art. 2-bis, comma 1, d.l. n. 185/2008, non avrebbe carattere interpretativo, bensì innovativo e, dunque, irretroattivo.

Tale impostazione approda dunque al risultato di non tenere in considerazione la C.M.S. ai fini della verifica del superamento in concreto del tasso-soglia dell'usura presunta, anche per necessità di simmetria ed omogeneità tra i criteri di determinazione: da un lato, infatti, il Tasso Effettivo Globale (TEG) applicato in concreto nel rapporto controverso ai sensi dell'art. 644, comma 4, c.p. e dall'altro il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), rilevante al fine dell'accertamento della definizione in astratto del tasso-soglia, cui confrontare quello applicato in concreto.

Il contrasto interpretativo è culminato nell'ordinanza del 20 giugno 2017, n. 15188, con cui la Prima Sezione della Cassazione civile ha chiesto la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite Civili sono intervenute con la sentenza n. 16303/ 2018, escludendo innanzitutto il disposto dell'art. 2-bis, comma 1, d.l. n. 185/2008 possa essere qualificato come norma di interpretazione autentica e, dunque retroattiva.

Ciò si deve alla circostanza che il tenore letterale di questa norma non consente di ravvisarne la natura interpretativa, contenendo al contrario dei chiari segni in senso opposto.

Il primo segno di quanto esposto è rappresentato dalla previsione espressa, al secondo comma dell'art. 2-bis, di una disciplina di carattere transitorio da emanarsi in via amministrativa, in attesa della quale il modo di determinazione del tasso-soglia “resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.

La necessità di una disciplina transitoria ed il riferimento alla disciplina già vigente costituiscono chiari sintomi del fatto che la precedente regolamentazione fosse diversa da quella introdotta dal legislatore con il d.l. n. 185/2008.

Il secondo segno della natura innovativa della suddetta norma sta nel disposto dell'art. 2-bis, comma 3, d.l. n. 185/2008 (poi abrogato con il d.l. n. 1/2012), che dispone: “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data”.

La necessità di adeguamento dei contratti di apertura di credito già conclusi è dovuta all'evidente discontinuità tra la disciplina anteriore e quella successiva all'entrata in vigore del d.l. n. 185/2008.

Ad ogni modo le Sezioni Unite Civili hanno chiarito che la natura innovativa e non interpretativa della norma in esame non è decisiva al fine della soluzione del contrasto giurisprudenziale insorto tra la Cassazione Civile e quella Penale.

Infatti, ad avviso delle Sezioni Unite la C.M.S., intesa dalla giurisprudenza consolidata quale “corrispettivo pagato dal cliente per compensare l'intermediario dell'onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell'utilizzo dello scoperto del conto .... calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento” deve indubbiamente e necessariamente rientrare nell'area delle “commissioni” o “remunerazioni” del credito menzionate dall'art. 644, comma 4 c.p. (determinazione del tasso praticato in concreto) e dall'art. 2, comma 1 l. n. 108/1996 (determinazione del TEGM).

Né vale obiettare, secondo le Sezioni Unite, che siano illegittimi i Decreti Ministeriali adottati in passato dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, allorquando non hanno computato la C.M.S. nel calcolo del TEG, bensì separatamente: sul punto, infatti, proprio il disposto dell'art. 2, comma 1 l. n. 108/1996 stabilisce che “il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari .... nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura”, confermando in tal modo la legittimità dei decreti ministeriali e del loro “modus operandi”.

Anche nei suddetti decreti ministeriali (anteriori all'art. 2-bis d.l. n. 185/2008) viene rilevata l'entità della C.M.S., ancorché separatamente dal TEGM, ma si tratta di un mero dato formale, che non incide sulla possibilità di comparare precise quantità e valori per verificare il superamento del tasso-soglia dell'usura presunta, anche tenuto conto del fondamentale principio di conservazione degli atti giuridici, che impone di adottare interpretazioni, se possibile, che salvaguardino gli atti che sono espressione dell'autonomia privata.

Vale a dire che la C.M.S., pur non rientrando nel calcolo del T.E.G.M. per i rapporti anteriori all'entrata in vigore dell'art. 2-bis del d.l. n. 185/2008, è comunque suscettibile di essere controllata rispetto al parametro, diverso, della C.M.S.-soglia.

D'altra parte, hanno chiarito le Sezioni Unite, la differenza di parametri per verificare il superamento del tasso-soglia dell'usura penalmente rilevante e della C.M.S. soglia per i rapporti esauriti – in tutto o in parte – prima dell'entrata in vigore della novella normativa del 2009 si deve alla circostanza che la C.M.S. si calcola sull'ammontare della somma corrispondente al massimo scoperto raggiunto in un certo periodo di riferimento e senza proporzione con la durata del suo utilizzo.

Tanto è confermato anche dalla circostanza che la Banca d'Italia nel Bollettino di Vigilanza n. 12 del dicembre 2005 ha indicato modalità di comparazione che tengono conto anche delle C.M.S.

Secondo queste indicazioni, dunque, occorre effettuare “il confronto tra l'ammontare percentuale della CMS praticata e l'entità massima della CMS applicabile (c.d. C.M.S.-soglia), desunta aumentando del 50% l'entità della C.M.S. media pubblicata nelle tabelle”. Inoltre, sempre secondo le indicazioni della Banca d'Italia, “l'applicazione di commissioni che superano l'entità della “C.M.S.-soglia” non determina di per sé l'usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l'importo della C.M.S. percepita in eccesso va confrontato con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto applicati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”). Qualora l'eccedenza della commissione rispetto alla “C.M.S.-soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge”.

Ad ogni modo la soluzione accolta dalle Sezioni Unite è valida soltanto per i rapporti bancari, ivi compresi quelli di apertura di credito, cui normalmente accedono le clausole che prevedono le C.M.S. svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entra in vigore delle disposizioni di cui all'art. 2-bis d.l. n. 185/2008, inserito dalla legge di conversione n. 2/2009.

Il diritto di recesso della banca tra libertà negoziale e rispetto della buona fede contrattuale

La disciplina del recesso, anche definita contrattualmente come “revoca”, con una terminologia che evoca la disciplina risalente ai tempi in cui le banche erano soggetti di diritto pubblico, riveste una particolare importanza nell'ambito del contratto di apertura di credito e del rapporto che ne scaturisce.

Esso integra, infatti, l'unica causa di estinzione del contratto di apertura di credito espressamente disciplinata dal legislatore e, comportando la chiusura del rapporto tra la banca accreditante ed il cliente, produce significative ripercussioni economiche di non poco momento.

La regolamentazione del recesso costituisce il risultato di due discipline, una di ordine generale, contenuta nell'art. 1845 c.c. e valida per qualsiasi tipologia di “cliente”, ed una di carattere speciale di cui agli artt. 121 e seguenti T.U.B., relativi al solo credito al consumo e, dunque, ai casi in cui vi è un soggetto finanziato che rivesta agli effetti di legge la qualifica di “consumatore”.

Per quest'ultima ipotesi l'art. 125-quater T.U.B. stabilisce che i contratti di credito a tempo indeterminato possono prevedere il diritto del finanziatore di recedere dal contratto con un preavviso di almeno due mesi, comunicato al consumatore su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, nonché per il consumatore il diritto di recedere in ogni momento senza penalità e senza spese, con preavviso non superiore ad un mese.

Quanto alla disciplina di carattere generale del recesso, prevista dall'art. 1845 c.c., occorre distinguere a seconda che l'apertura di credito sia a tempo determinato o indeterminato.

Nel caso di apertura di credito a tempo determinato, cioè soggetta ad un termine finale, il primo comma dell'art. 1845 c.c. prevede quale regola – salvo patto contrario – che la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa.

Tale norma si spiega nella prospettiva di tutelare l'aspettativa del cliente affidato, che dal momento della stipulazione del contratto di apertura di credito confida nel fatto che questo arriverà alla sua scadenza naturale; si pensi, ad esempio, al caso di un imprenditore che deve compiere uno o più affari entro un certo lasso di tempo entro cui la banca si obbliga a mettergli a disposizione una certa liquidità. Il legislatore, nel delicato equilibrio degli interessi, tutela in linea di principio l'affidamento del cliente accreditato, ma lascia anche uno spazio per salvaguardare la banca, facendo in via derogatoria salva l'ipotesi in cui ricorra una giusta causa che giustifichi lo scioglimento anzitempo del contratto a termine.

Completa la disciplina il secondo comma dell'art. 1845 c.c. che regola gli effetti del recesso, prevedendo che il suo esercizio abbia efficacia immediata, sospendendo subito l'utilizzazione del credito da parte del cliente, ma che la banca accreditante deve comunque concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori.

Laddove l'apertura di credito sia invece a tempo indeterminato, come accade più frequentemente nella prassi quotidiana, il disposto dell'art. 1845, comma 3, c.c., attribuisce ad entrambi i contraenti il diritto potestativo di recedere ad nutum, purché essi forniscano il preavviso pattuito contrattualmente, dagli usi o, in mancanza, di quindici giorni.

Si tratta di una disposizione che costituisce la naturale esplicazione del principio generale del divieto di perpetuità dei vincoli obbligatori, consentendo tanto all'Istituto di credito accreditante, quanto al cliente accreditato di sciogliersi unilateralmente dal contratto, ancorché nel rispetto dell'obbligo di preavviso.

Ad ogni modo deve rilevarsi che la norma di cui all'art. 1845 c.c., sia laddove richiede la sussistenza di una “giusta causa” per il recesso da parte della banca nell'apertura di credito a tempo determinato, sia laddove contempla il recesso “libero” di entrambi i contraenti nell'apertura di credito a tempo indeterminato, deve comunque essere interpretata, in una prospettiva costituzionalmente rilevante, in ossequio al principio di giustizia superiore della buona fede oggettiva, che è a sua volta espressione del principio costituzionale di solidarietà di cui all'art. 2 Costituzione.

Come chiarito dalla giurisprudenza più recente (Cass. III, n. 20106/2009), infatti, il principio di buona fede oggettiva permea l'intero ordinamento e tutti i rapporti giuridici, dalla fase precontrattuale (art. 1337 c.c.) a quella esecutiva (artt. 1175,1375 c.c.), imponendo una serie di obblighi bilaterali e mutevoli in capo ai contraenti: in questa prospettiva, dunque, è fatto divieto di abusare del diritto, ivi compreso quello potestativo di recedere ad nutum, cioè di farne un uso non corrispondente alle ragioni sottese al suo riconoscimento da parte dell'ordinamento, con finalità ultronee, eccessive o, comunque, con modalità arbitrarie ed illegittime.

Da ciò consegue per la giurisprudenza consolidata che nell'ambito di un contratto di apertura di credito – anche a tempo determinato – la banca, pur in presenza di una giusta causa tipizzata pattiziamente dalle parti, non può recedere con modalità del tutto impreviste o arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa del cliente che, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia in tempo previsto.

L'obbligo per le parti di comportarsi conformemente alla buona fede oggettiva nel rapporto che scaturisce dall'apertura di credito fa sì che nell'ambito del recesso nel contratto a tempo determinato debba sussistere una “giusta causa”, la cui sussistenza deve comunque essere provata in un eventuale giudizio dalla banca che la invoca e che deve essere quindi suscettibile di controllo da parte del giudice, onde consentire a quest'ultimo di verificare la legittimità del recesso da parte dell'Istituto di credito.

Al fine di individuare l'effettivo ricorso di una “giusta causa” si ritiene che si debba guardare in primo luogo alla volontà negoziale delle parti, le quali ben possono predeterminare in via convenzionale che alcuni fatti o vicende siano considerati come giusta causa di recesso.

Laddove manchi una siffatta pattuizione e, comunque, oltre alla stessa, la giurisprudenza ritiene che debbano essere considerati alla stregua di una “giusta causa” quei fatti, quelle circostanze che comportano una modifica radicale delle basi essenziali del contratto, tale da impedire la prosecuzione del rapporto, con una valutazione caso per caso da parte del giudice del merito, che è insuscettibile di essere censurata in Cassazione, ove adeguatamente motivata.

Perché il recesso dai contratti di apertura di credito a tempo determinato sia legittimo è necessaria la ricorrenza di una giusta causa (art. 1845 c.c.) nella cui valutazione – a detta della più recente giurisprudenza (Cass. I, n. 17291/2016) – assume rilevanza centrale la circostanza che il recesso non sia esercitato in modo imprevisto o arbitrario, in modo tale da non ledere la “ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate”.

Sotto questo angolo visuale rivestono importanza nevralgica nella prassi dei rapporti bancari il mutamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell'accreditato e/o dei suoi eventuali garanti: così, ad esempio, il fatto che il cliente abbia una forte esposizione debitoria con più Istituti di credito, oppure la circostanza che il cliente ponga atti dispositivi volti a spogliarsi della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. legittima la banca a recedere per “giusta causa”, essendo in questi casi pregiudicate le sue ragioni creditorie.

Ed ancora, è stato ritenuto rispettoso del principio di buona fede il recesso esercitato dalla banca a fronte di una situazione di manifesta insolvenza dell'accreditato.

Analogamente all'ipotesi del recesso nell'apertura di credito a tempo determinato, ove la sussistenza in concreto di una “giusta causa” è indispensabile affinché il recesso esercitato anzitempo dalla banca possa essere considerato legittimo, l'interpretazione pretoria che impone di rispettare il canone di buona fede nell'attuazione dei rapporti obbligatori fa sì che anche nell'apertura di credito a tempo indeterminato il recesso debba essere esercitato con modalità non arbitrarie, impreviste o, comunque, contrarie a buona fede.

Nel caso in cui venga invocata in giudizio la natura “brutale” del recesso, in base al principio di vicinanza dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. incombe su chi invoca l'illegittimità del recesso (cioè di fatto sul cliente) l'onere di provare la natura arbitraria e contraria a buona fede dell'altrui recesso.

In questa prospettiva la Corte di Cassazione civile, I, sentenza n. 15066/2000, richiamandosi al disposto dell'articolo 1845, comma 2, c.c., che prevede un termine minimo di quindici giorni per il recesso delle parti, ha stabilito che il “termine, di carattere dilatorio, è previsto dalla legge a favore del debitore accreditato, onde metterlo in condizione di reperire la somma necessaria per ripianare la propria esposizione verso l'istituto stesso, con la conseguenza che prima della scadenza di detto termine il credito della banca non è esigibile, salvo nelle ipotesi di compensazione di detto credito con debiti che, a diverso titolo, l'istituto abbia verso l'accreditato .... ”.

Con la conseguenza che per la Suprema Corte sorge l'obbligo di risarcire il danno in capo alla banca che, con un comportamento arbitrario ed imprevisto, contrario alle legittime aspettative del debitore, recede dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato e, in pendenza del termine di preavviso, fissato per la restituzione del termine di preavviso, in modo temerario e comunque senza la dovuta prudenza, propone ricorso per decreto ingiuntivo ad ottenutolo provvisoriamente, iscrive immediatamente ipoteca sui beni della società e dei fideiussori che nelle more adempiono.

Infine, in merito alle conseguenze derivanti dall'accertamento in sede giudiziaria della illegittimità del recesso – sia nel contratto di apertura di credito a tempo determinato in cui difetti una “giusta causa”, sia in quello a tempo indeterminato –, il giudice dichiarerà inefficace il recesso esercitato illegittimamente e condannerà la parte che abbia receduto in modo “arbitrario” e “brutale” a risarcire i danni.

In caso di condanna al risarcimento dei danni, questi potranno essere tanto patrimoniali (comprensivi del danno emergente e del lucro cessante) quanto non patrimoniali (si pensi, ad esempio, al danno da discredito commerciale derivante dalla revoca delle linee di credito nei confronti di un'impresa).

Inoltre la giurisprudenza consolidata (di recente Trib. Roma 2 dicembre 2016) ritiene che il cliente ha la possibilità, sussistendone i presupposti, di esperire in questo caso il rimedio cautelare atipico di cui all'art. 700 c.p.c. onde ottenere una pronuncia inibitoria degli effetti del recesso.

COVID-19 e apertura di credito

La drammatica diffusione della pandemia del virus COVID-19 durante il 2020 ha comportato, come è noto, drammatiche ripercussioni sull'economia mondiale e, di conseguenza, anche sui contratti bancari in essere e, in particolare, su quelli aventi una funzione di “finanziamento”, come l'apertura di credito. Le restrizioni adottate dallo Stato italiano, infatti, hanno comportato una significativa contrazione delle attività economiche e produttive, con l'effetto che sono sorte notevoli difficoltà – se non, addirittura, una vera e propria impossibilità, in taluni casi – per i debitori di provvedere ad onorare le obbligazioni precedentemente assunte.

Onde cercare di risolvere o, quantomeno, attenuare tali criticità, il legislatore è intervenuto con il Decreto Legge n. 18 del 17 Marzo 2020 (convertito con modificazioni con Legge n. 27 del 2020) rubricato “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”, anche noto come “Decreto cura Italia”. Il suddetto decreto, all'articolo 56, comma 2, prevede che “Al fine di sostenere le  attività  imprenditoriali  danneggiate dall'epidemia di COVID-19 le  Imprese,  come  definite  al  comma  5, possono  avvalersi  dietro  comunicazione   -   in   relazione   alle esposizioni  debitorie  nei  confronti  di  banche,  di  intermediari finanziari previsti dall'art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1°  settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli  altri  soggetti  abilitati  alla concessione di credito in Italia - delle seguenti misure di  sostegno finanziario: a) per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del  29  febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto  o  in  parte fino al 30 settembre 2020”. Dunque, laddove le imprese, così come definite al quinto comma dell'art. 56 del D.L. n. 18/2020, si trovino in una situazione di esposizione debitoria che, alla data della pubblicazione del D.L. (cioè il 29/4/2020) non sia classificata come “esposizioni creditizie deteriorate” (comma 4) e formulino la comunicazione alla Banca o all'Intermediario finanziario ex art. 106 T.U.B., della volontà di avvalersi del beneficio di legge di non vedere revocate le aperture di credito “a revoca” (in tutto o in parte) fino al 30 Settembre del 2020, mediante invio di comunicazione contenente la dichiarazione con la quale l'Impresa autocertifica ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 (dunque sotto la propria penale responsabilità)  di  aver  subito  in  via  temporanea  carenze  di liquidità quale conseguenza diretta della  diffusione  dell'epidemia da COVID-19, potranno ottenere il beneficio legale di non vedere revocate – totalmente o parzialmente – le aperture di credito loro concesse. Tale rimedio, dunque, volto ad ovviare alle criticità che hanno colpito il settore imprenditoriale, non opera in modo automatico, ma presuppone l'esistenza di alcuni presupposti formali (comunicazione ed autodichiarazione in ordine alla carenza di liquidità riconducibile alla diffusione della pandemia) e sostanziali (l'assenza di situazione debitoria classificabile come “deteriorata”) e, previa verifica di tali presupposti, la Banca o l'Intermediario finanziario dovrà astenersi dal revocare, in tutto o in parte, le aperture di credito concesse alle imprese che abbiano richiesto di avvalersi di tale beneficio.

Con il Decreto Legge n. 104 del 14 Agosto 2020, avente rubrica “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia”, convertito con modificazioni con Legge n. 126 del 2020, all'articolo 65, comma 1, è stato poi prorogato il termine ultimo per le misure a sostegno delle imprese previste dall'articolo 56, co. 2, del D.L. n. 18/2020, originariamente individuato nella data del 30 Settembre del 2020, al 31 Gennaio 2021. Inoltre il secondo comma dell'art. 65 succitato stabilisce che la proroga del divieto di revoca dell'apertura di credito operi automaticamente, senza necessità di alcuna formalità, fatta salva l'ipotesi di rinuncia espressa da parte dell'impresa beneficiaria, da far pervenire al  soggetto  finanziatore  entro  il  termine  del  30 Settembre 2020. L'articolo 65, co. 2, del D.L. n. 104/2020 ha poi ampliato la finestra temporale in cui è possibile avvalersi dell'esenzione dalla revoca delle aperture di credito “a revoca” di cui sopra, sancendo che le imprese che, alla data di entrata  in  vigore  del decreto stesso, presentino esposizioni che non siano  ancora  state ammesse alle misure  di  sostegno  di  cui  al  comma  2  dell'art. 56 del D.L. n. 18 del 2020, possono comunque essere ammesse, entro il  31  Dicembre  2020,  alle predette  misure  di  sostegno  finanziario   alle stesse  condizioni e modalità previste dall'articolo 56.

Profili fiscali

Il contratto di apertura di credito, pure da stipularsi in forma scritta in virtù della normativa sulla trasparenza bancaria trasfusa nell'art. 117 TUB, non è soggetto a registrazione obbligatoria e, dunque, soggiace a registrazione soltanto in caso d'uso con imposta in misura fissa.

Se l'apertura di credito integra un finanziamento a medio lungo termine può beneficiare dell'agevolazione ex art. 15 del d.P.R. n. 601/1973.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario