Conto corrente bancarioInquadramentoIl conto corrente bancario costituisce uno degli schemi negoziali di più frequente utilizzo nell'ambito dei moderni traffici economici, atteso che esso svolge la funzione fondamentale di regolare in via unitaria i rapporti di dare-avere tra banche e clienti e che a tale contratto accedono, di norma, una serie di ulteriori operazioni, sia “attive” che “passive”, tipicamente svolte dagli Istituti di credito (anticipazione bancaria, apertura di credito, deposito bancario, emissione e traenza di assegni, sconto bancario ecc.). L'importanza nevralgica di questo contratto, insorto nella prassi delle Norme bancarie uniformi e privo di una disciplina codicistica, ha fatto sì che intorno ad esso sorgessero molteplici questioni; in questa sede si esamineranno quelle relative ai rapporti tra l'autonomia negoziale e la regolamentazione degli interessi, analizzando i molteplici interventi normativi e giurisprudenziali che hanno interessato tale istituto le norme sull'anatocismo bancario, nonché la problematica dell'efficacia degli estratti conto e dello “ius variandi” della banca. Da ultimo si analizzerà la tematica della responsabilità della banca per l'erroneo pagamento degli assegni a soggetto diverso dall'intestatario. Formula
CONTRATTO DI CONTO CORRENTE BANCARIO Il/la/i sottoscritto/a/i /la società ...., nato/a /iscritta nel Registro delle Imprese di .... n ...., residente/con sede legale a .... alla ...., C.F./P.IVA: ..... dichiara/dichiariamo di ricevere copia del contratto relativo a: - Condizioni generali relative al rapporto Banca - cliente - Condizioni economiche - Sezione Conto Corrente Bancario - Condizioni giuridiche - Sezione Conto Corrente Bancario - Condizioni giuridiche - Sezione Servizio di incasso o di accettazione degli effetti documenti ed assegni - Condizioni giuridiche - Sezione Affidamenti in Conto Corrente - Condizioni giuridiche - Sezione Servizio BonificIl cliente .... lì .... .... Banca .... Sede di .... Agenzia .... Documento di Sintesi - Conto Corrente n. .... Il presente Documento di Sintesi è redatto in conformità alle disposizioni contenute nella delibera CICR del 4 marzo 2003 e relative disposizioni attuative, costituisce il frontespizio del CONTRATTO a cui è unito e reca di seguito le principali condizioni economiche e contrattuali che ne regolano il servizio. CONDIZIONI ECONOMICHE DEL SERVIZIO TASSI CREDITORI TASSO ANNUO NOMINALE AL LORDO DELLA RITENUTA FISCALE VALORE .... % TASSI DEBITORI SU SCOPERTI NON A FRONTE DI FIDO TASSO ANNUO NOMINALE .... % VALORE .... VALUTE GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO CONTANTI GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO ASSEGNI CIRCOLARI PROPRI GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO ASSEGNI CIRCOLARI ALTRI GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO ASSEGNI BANCARI PROPRI STESSO SPORTELLO GG .... LAVORATIVI SH VERSAMENTO ASSEGNI BANCARI PROPRI SU PIAZZA GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO ASSEGNI BANCARI ALTRI SU PIAZZA GG .... LAVORATIVI SU VERSAMENTO ASSEGNI BANCARI ALTRI FUORI PIAZZA GG .... LAVORATIVI SPESE TENUTA CONTO TIPO GESTIONE SPESE € .... OPERAZIONI DIVERSE/INTERNE € .... PRELEVAMENTI PER CASSA € .... TITOLI/ESTERO € .... INCASSI/PAGAMENTI € .... CARTE/SELF SERVICE € .... SPORTELLI AUTOMATICI € .... PORTAFOGLIO€ .... BONIFICI € .... ALTRE OPERAZIONI PER CASSA € .... MINIMO SPESE TENUTA CONTO AD OGNI LIQUIDAZIONE € .... SPESE FISSE AD OGNI LIQUIDAZIONE€ .... BONIFICI MAGNETICI/TELEMATICI A NOSTRE FILIALI COMMISS. UNITARIE BONIFICI SU SUPPORTO MAGNETICO € .... COMMISS. UNITARIE STIPENDI SU SUPPORTO MAGNETICO€ .... BONIFICI DA REMOTE BANKING A NOSTRE FILIALI COMMISS. UNITARIE BONIFICI DA FIL. AUTOMATICHE E ATM EURO € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA MOBILE BANKING € .... COMMISS. UNITARIE BONIFICI DA REMOTE BANKING RETAIL € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA R. B. CORPORATE € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA CALL CENTER€ .... BONIFICI DI SPORTELLO A NOSTRE FILIALI COMMISSIONI BONIFICO SINGOLO DA C/C € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI MULTIPLI DA C/C € .... COMMISSIONI UNITARIE STIPENDI MULTIPLI DA C/C € .... BONIFICI MAGNETICI/TELEMATICI A CORRISPONDENTI COMMISS. UNITARIE BONIFICI SU SUPPORTO MAGNETICO € .... COMMISS. UNITARIE STIPENDI SU SUPPORTO MAGNETICO€ .... BONIFICI DA REMOTE BANKING A CORRISPONDENTI COMMISS. UNITARIE BONIFICI DA FIL. AUTOMATICHE E ATM € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA MOBILE BANKING € .... COMMISS. UNITARIE BONIFICI DA REMOTE BANKING RETAIL € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA R. B. CORPORATE € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI DA CALL CENTER € .... BONIFICI DI SPORTELLO A CORRISPONDENTI COMM. UNIT. BONIF. IMP. RILEVANTE O URGENTI DA C/C € .... COMMISSIONI BONIFICO SINGOLO DA C/C € .... COMMISSIONI UNITARIE BONIFICI MULTIPLI DA C/C € .... COMMISSIONI UNITARIE STIPENDI MULTIPLI DA C/C € .... CONDIZIONI PARTICOLARI E ACCESSORIE COMMISSIONI COORDINATE BANCARIE ERRATE/INCOMPLETE € .... TASSO PENALE PER VALUTE ANTERGATE % .... IMPORTO MINIMO PENALE € .... CLAUSOLE CONTRATTUALI CHE REGOLANO IL SERVIZIO A) CONDIZIONI GENERALI RELATIVE AL RAPPORTO BANCA-CLIENTE DEPOSITO DELLE FIRME AUTORIZZATE. POTERI DI RAPPRESENTANZA Il titolare del conto (di seguito: il Cliente) è tenuto a depositare la propria firma e quella delle persone autorizzate a rappresentarlo nei suoi rapporti con la Banca, precisando per iscritto i limiti eventuali delle facoltà loro accordate. Le revoche e le modifiche delle facoltà concesse alle persone autorizzate e anche le rinunce effettuate da parte delle stesse persone autorizzate per avere effetto nei confronti della Banca devono essere a questa comunicate con lettera raccomandata, telegramma, telex, telefax oppure a mezzo presentazione allo sportello presso il quale è intrattenuto il rapporto e sia trascorso almeno 1 giorno dalla ricezione; le altre cause di cessazione delle facoltà di rappresentanza hanno effetto nei confronti della Banca solo dal momento in cui questa ne abbia avuto notizia legalmente certa. DIRITTO DI GARANZIA La Banca, in garanzia di qualunque suo credito, presente o futuro, anche se non liquido e/o esigibile ed anche se cambiario, verso il Cliente che non rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 3 del Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005), è investita del diritto di pegno e ritenzione su tutti i titoli o valori di pertinenza del Cliente medesimo che siano comunque e per qualsiasiragione detenuti dalla Banca o pervengano ad essa successivamente. COMPENSAZIONE Quando esistono tra la Banca ed il Cliente più rapporti di qualsiasi genere o natura, anche di deposito, ancorché intrattenuti presso altre dipendenze italiane ed estere, ha luogo in ogni caso la compensazione di legge. Al verificarsi di una delle ipotesi di cui all'art. 1186 c.c., o al prodursi di eventi che incidano negativamente sulla situazione patrimoniale o economica del correntista, in modo tale da porre in pericolo il recupero del credito vantato dalla Banca, quest'ultima ha altresì il diritto di valersi della compensazione ancorché i crediti, seppure in monete differenti, non siano, liquidi ed esigibili e ciò in qualunque momento, senza obbligo di preavviso e/o di formalità. La facoltà di compensazione sopra prevista è esclusa nei rapporti in cui il Cliente riveste la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 1469-bis comma 2 c.c., salvo successivo diverso specifico accordo con il Cliente stesso. Dell'avvenuta compensazione la Banca darà prontamente comunicazione al Cliente fermo restando che contro l'operata compensazione non potrà in nessun caso eccepirsi la convenzione d'assegno così come non potrà in nessun caso eccepirsi alcuna disposizione e incarico del Cliente ricevuti dalla Banca successivamente al momento in cui si è verificata la compensazione di legge o a quello in cui il Cliente ha ricevuto la comunicazione dell'operata compensazione volontaria. Se il conto è intestato a più persone, la Banca ha la facoltà di valersi dei diritti suddetti, sino alla concorrenza dell'intero credito, anche nei confronti di conti e di rapporti di pertinenza di alcuni soltanto dei cointestatari. SOLIDARIETÀ ED INDIVISIBILITÀ DELLE OBBLIGAZIONI ASSUNTE DALLA CLIENTELA ED IMPUTAZIONE DEI PAGAMENTI Tutte le obbligazioni del Cliente verso la Banca, ed in particolare quelle dipendenti da eventuali concessioni di fido, si intendono assunte in via indivisibile anche per i suoi aventi causa a qualsiasi titolo. Escluso il caso in cui il Cliente sia consumatore e salvo che il Cliente stesso non dichiari, al momento del pagamento, quale debito intenda soddisfare, tale imputazione sarà effettuata dalla Banca che ne darà comunicazione. POTERI DI RAPPRESENTANZA - COINTESTAZIONE DEL RAPPORTO CON FACOLTÀ DI UTILIZZO DISGIUNTO Quando il rapporto è intestato a più persone, le comunicazioni e l'invio degli estratti conto, possono essere fatti dalla Banca ad uno solo dei cointestatari e sono operanti a tutti gli effetti nei confronti degli altri. Le persone autorizzate a rappresentare i cointestatari dovranno essere nominate per iscritto da tutti. La revoca delle facoltà di rappresentanza potrà essere fatta anche da uno solo dei cointestatari, mentre la modifica di tali facoltà dovrà essere fatta da tutti. Quando il rapporto è intestato a più persone con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, le disposizioni sul rapporto stesso e la sua estinzione potranno essere effettuate da ciascun intestatario separatamente con piena liberazione della Banca anche nei confronti degli altri cointestatari. Tale disposizione separata sul rapporto potrà essere modificata o revocata solo su conformi istruzioni impartite per iscritto da tutti i cointestatari. In ogni caso delle eventuali esposizioni che si venissero a creare, per qualsiasi ragione, sul rapporto, anche per atto o fatto di un solo cointestatario risponderanno nei confronti della Banca tutti i cointestatari in solido tra loro. Nel caso di morte o di sopravvenuta incapacità di agire di uno dei cointestatari del rapporto ciascuno degli altri cointestatari conserva il diritto di disporre separatamente sul rapporto. Analogamente lo conservano gli eredi del cointestatario, che saranno però tenuti ad esercitarlo tutti insieme, ed il legale rappresentante dell'interdetto e dell'inabilitato. DETERMINAZIONE E MODIFICA DELLE CONDIZIONI La Banca, qualora sussista un giustificato motivo, si riserva la facoltaà di modificare le condizioni economiche applicate ai singoli contratti di durata posti in essere con il Cliente, al quale saranno rese note mediante ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto', con preavviso minimo di 30 giorni, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 118 del d.lgs. n. 385/1993. La modifica si intende approvata ove il Cliente non receda, senza spese, dal contratto entro 60 giorni dal ricevimento della ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto' con applicazione in sede di liquidazione del rapporto, delle condizioni precedentemente praticate. In ogni caso, nei contratti di durata, il Cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura. ESECUZIONE DEGLI INCARICHI CONFERITI DALLA CLIENTELA La Banca ha facoltà di assumere o meno specifici incarichi del Cliente, dando allo stesso comunicazione dell'eventuale rifiuto. Il Cliente ha facoltà di revocare ai sensi dell'art. 1373 c.c. l'incarico conferito alla Banca finché l'incarico stesso non abbia avuto un principio di esecuzione. B) CONDIZIONI GIURIDICHE CONTO CORRENTE BANCARIO CONVENZIONE DI ASSEGNO Il titolare del conto è tenuto a custodire con ogni cura i moduli di assegni ed i relativi moduli di richiesta, restando responsabile di ogni conseguenza dannosa derivante dalla loro perdita, sottrazione o dall'uso abusivo od illecito dei moduli stessi. La perdita o il furto degli assegni deve essere comunicato immediatamente alla Banca per lettera raccomandata, telegramma o fax. Nel caso in cui il Cliente sia titolare di più conti, la Banca non è tenuta al pagamento degli assegni tratti su conti con disponibilitaà insufficiente e questo anche se negli altri conti vi sia disponibilità. VERSAMENTO IN CONTO DI ASSEGNI BANCARI E CIRCOLARI ED ACCREDITO DI DISPOSIZIONI DI INCASSO COMMERCIALE (RIBA E RID) L'importo degli assegni bancari, assegni circolari, vaglia o altri titoli similari comunque versati, viene accreditato con riserva di verifica e salvo buon fine ed è disponibile appena decorsi i termini indicati nelle ‘Condizioni economiche-Sezione Conto Corrente'. La valuta applicata all'accreditamento determina unicamente la decorrenza degli interessi, e non conferisce al correntista la disponibilità dell'importo. Qualora tuttavia la Banca consentisse di disporre in tutto o in parte di tale importo prima dei termini sopra indicati ciò non significa che in futuro si avranno trattamenti simili. VERSAMENTO IN CONTO DI ALTRI TITOLI, EFFETTI, RICEVUTE E DOCUMENTI SIMILARI La Banca si riserva il diritto di addebitare in qualsiasi momento l'importo dei titoli accreditati anche prima della verifica o dell'incasso e ciò anche nel caso in cui abbia consentito al Cliente di disporre anticipatamente dell'importo medesimo (ad esempio, quando da successive verifiche emerga una irregolarità del titolo). In caso di mancato incasso, la Banca si riserva tutti i diritti e le azioni, compresi quelli di cui all'art. 1829 c.c., nonché la facoltà di effettuare, in qualsiasi momento, l'addebito in conto. Quanto sopra vale anche nel caso di effetti, ricevute e documenti similari, accreditati con riserva di verifica e salvo buon fine. CHIUSURA PERIODICA DEL CONTO E REGOLAMENTO DEGLI INTERESSI, COMMISSIONI E SPESE Gli interessi sono riconosciuti al correntista o dallo stesso corrisposti nella misura pattuita ed indicata nelle condizioni economiche applicate al rapporto. I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia con saldo debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità annuale. Il calcolo degli interessi ha luogo il 31 dicembre di ogni anno, anche laddove il presente contratto sia stato stipulato nel corso dell'anno. Gli interessi maturati a debito del correntista sono contabilizzati separatamente rispetto al capitale e scadono il 1° marzo dell'anno successivo a quello di maturazione; essi divengono esigibili solo quando è trascorso il termine di 30 giorni dall'estratto conto periodico. Il cliente estingue il debito nei confronti della banca per gli interessi passivi maturati con le modalità di cui sopra mediante versamento in contanti oppure mediante bonifico. Le parti convengono che quando gli interessi diventano esigibili le somme confluite sul conto del cliente siano utilizzate per estinguere il debito del cliente.
Il cliente autorizza la banca ad addebitare gli interessi di cui sopra sul conto corrente; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale e, dunque, produce ulteriori interessi con capitalizzazione annuale. Il cliente può revocare l'autorizzazione all'addebito in conto fino al momento dell'addebito stesso. APPROVAZIONE DELL'ESTRATTO CONTO L'invio degli estratti conto, ad ogni liquidazione, sarà effettuato dalla Banca entro il termine di 30 giorni dalla data di chiusura (art. 1713 e 1832 c.c. e art. 119 d.lgs. n. 385/1993). COMPENSAZIONE E PAGAMENTO DI ASSEGNI Il pagamento degli assegni emessi dal correntista, in caso di cessazione della relativa facoltà di disposizione, è regolato come segue: a) in caso di recesso da parte del correntista o della Banca dal contratto di conto corrente e/o dalla inerente convenzione di assegno, la Banca – prescindendo dall'esistenza o meno della provvista – non è tenuta ad onorare gli assegni emessi con data posteriore a quella in cui il recesso è divenuto operante; b) in caso di recesso da parte della Banca dall'apertura di credito, il correntista è tenuto a costituire immediatamente i fondi necessari per il pagamento degli assegni, emessi prima del ricevimento della comunicazione di recesso, dei quali non sia decorso il termine di presentazione; c) la Banca quando si avvale della compensazione non è tenuta ad onorare gli assegni emessi dal correntista in data posteriore alla ricezione da parte di quest'ultimo della comunicazione relativa alla volontà di valersi della compensazione volontaria, nei limiti in cui sia venuta meno la disponibilità esistente sul conto, così come la Banca non è tenuta ad onorare gli assegni emessi dal correntista in data successiva a quando si sono verificati i presupposti della compensazione legale, sempre nei limiti in cui sia venuta meno la disponibilità esistente sul conto. RECESSO Ognuna delle parti può recedere dal contratto di conto corrente e/o dalla inerente convenzione di assegno in qualsiasi momento, dandone comunicazione per scritto e con preavviso di 15 giorni a mezzo raccomandata a.r., ovvero senza preavviso in caso di giustificato motivo o giusta causa. La liquidazione definitiva del conto avviene entro il mese successivo alla data in cui il recesso è divenuto operante o il conto è altrimenti cessato. C) CONDIZIONI GIURIDICHE DEL SERVIZIO BONIFICI CONTENUTO DELLA RICHIESTA La Banca esegue il bonifico su presentazione o invio, da parte del Cliente, dell'apposito modulo di richiesta debitamente compilato o di sua disposizione scritta che deve recare tutte le indicazioni occorrenti all'esecuzione. Il Cliente è responsabile delle indicazioni erronee, non precise o insufficienti. SPETTANZE DELLA BANCA La Banca esegue il bonifico per l'intero importo; le spese e spettanze della Banca vengono corrisposte a parte dal Cliente. LIMITI DI RESPONSABILITÀ DELLA BANCA La Banca non risponde della mancata esecuzione per cause ad essa non imputabili quali, ad esempio, casi di forza maggiore, impedimenti od ostacoli determinati da normative vigenti nel luogo di esecuzione, da provvedimenti od atti di natura giudiziaria o da fatti di terzi. ESECUZIONE E RESPONSABILITÀ La Banca e gli enti che partecipano alla esecuzione di un ordine di bonifico rispondono della inosservanza degli obblighi previsti dal d.lgs. 253/2000 salvo i casi di forza maggiore così come previsto dall'art. 7 del medesimo decreto. Siamo lieti di comunicarVi l'apertura, a Vostra richiesta odierna ed in seguito alle intese intercorse, dei servizi di cui alle specifiche sezioni del presente atto. I medesimi saranno regolati, oltre che dalle leggi e dalla disciplina contrattuale relativa a ciascuno di essi e riportata in appresso nelle suddette sezioni, anche dalle sottoindicate “Condizioni generali”, nonché dagli usi contemplati dagli artt. 1, 8, 9 delle preleggi. Vi preghiamo cortesemente di volerci restituire, a conferma del presente atto, l'allegata copia munita della Vs. firma da apporre due volte negli spazi in calce, quale adesione alle Condizioni economiche e giuridiche in essa contenute e quale approvazione specifica delle clausole onerose. CONDIZIONI GENERALI RELATIVE AL RAPPORTO BANCA- CLIENTE ART. 1 - DILIGENZA DELLA BANCA NEI RAPPORTI CON LA CLIENTELA 1. Nei rapporti con la clientela, la banca è tenuta ad osservare criteri di diligenza adeguati alla sua condizione professionale ed alla natura dell'attività svolta, in conformità a quanto previsto dall'art. 1176 c.c. ART. 2 - PUBBLICITÀ E TRASPARENZA DELLE CONDIZIONI ED UFFICIO RECLAMI DELLA CLIENTELA 2.1. La banca osserva, nei rapporti con la clientela, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 385/1993 e sue successive integrazioni e modificazioni (Testo Unico delle Leggi bancarie e creditizie) e le relative disposizioni di attuazione. 2.2. Per eventuali contestazioni in ordine ai rapporti intrattenuti con la banca, il cliente può rivolgersi all'Ufficio Reclami della stessa e, ove ne ricorrano i presupposti, all'Ombudsman – “Giurì Bancario”, seguendo le modalità indicate nell'apposito Regolamento il cui testo è allegato al presente atto. 2.3. All'atto della sottoscrizione delle presenti condizioni generali la banca consegna fac-simili di lettere di reclamo. ART. 3 - ESECUZIONE DEGLI INCARICHI CONFERITI DALLA CLIENTELA 3.1. La banca è tenuta ad eseguire gli incarichi conferiti dal cliente nei limiti e secondo le previsioni contenute nei singoli contratti dallo stesso conclusi; tuttavia, qualora ricorra un giustificato motivo, essa può rifiutarsi di assumere l'incarico richiesto, dandone tempestiva comunicazione al cliente. 3.2. In assenza di particolari istruzioni del cliente, la banca determina le modalità di esecuzione degli incarichi con diligenza adeguata alla propria condizione professionale e comunque tenendo conto degli interessi del cliente e della natura degli incarichi stessi. 3.3. In relazione agli incarichi assunti, la banca, oltre alla facoltà ad essa attribuita dall'art. 1856 c.c. è comunque autorizzata, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1717 c.c., a farsi sostituire nell'esecuzione dell'incarico da un proprio corrispondente anche non bancario. 3.4. Il cliente ha facoltà di revocare, ai sensi dell'art. 1373 c.c., l'incarico conferito alla banca finché l'incarico stesso non abbia avuto un principio di esecuzione, compatibilmente con le modalità dell'esecuzione medesima. ART. 4 - INVIO DI CORRISPONDENZA ALLA BANCA 4.1. Le comunicazioni, gli ordini e qualunque altra dichiarazione del cliente, diretti alla banca, vanno fatti pervenire allo sportello presso il quale sono intrattenuti i rapporti. 4.2. Il cliente curerà che le comunicazioni e gli ordini redatti per iscritto, nonché i documenti in genere, diretti alla banca – ivi compresi i titoli di credito – siano compilati in modo chiaro e leggibile. ART. 5 - INVIO DELLA CORRISPONDENZA ALLA CLIENTELA 5.1. L'invio al cliente di lettere o di estratti conto, le eventuali notifiche e qualunque altra dichiarazione o comunicazione della banca – anche relativi alle presenti “Condizioni generali” – saranno fatti al cliente con pieno effetto all'ultimo indirizzo comunicato per iscritto. 5.2. In mancanza di diverso accordo scritto, quando un rapporto è intestato a più persone, le comunicazioni, le notifiche e l'invio degli estratti conto vanno fatti dalla banca ad uno solo dei cointestatari all'ultimo indirizzo da questi indicato per iscritto e sono operanti a tutti gli effetti anche nei confronti degli altri. ART. 6 - IDENTIFICAZIONE DELLA CLIENTELA E DI ALTRI SOGGETTI CHE ENTRANO IN RAPPORTO CON LA BANCA 6.1. All'atto della costituzione dei singoli rapporti, il cliente è tenuto a fornire alla banca i dati identificativi propri e delle persone eventualmente autorizzate a rappresentarlo, in conformità alla normativa vigente anche in materia di antiriciclaggio. 6.2. Al fine di tutelare il proprio cliente, la banca valuta, nello svolgimento delle operazioni comunque connesse ad atti di disposizione del medesimo l'idoneità dei documenti eventualmente prodotti come prova dell'identità personale dei soggetti che entrano in rapporto con essa (quali portatori di assegni, beneficiari di disposizioni di pagamento, ecc.). ART. 7 - DEPOSITO DELLE FIRME AUTORIZZATE 7.1. Le firme del cliente e dei soggetti a qualsiasi titolo autorizzati ad operare nei rapporti con la banca sono depositate presso lo sportello ove il relativo rapporto è intrattenuto. 7.2. Il cliente e i soggetti di cui al comma precedente sono tenuti ad utilizzare, nei rapporti con la banca, la propria sottoscrizione autografa in forma grafica corrispondente alla firma depositata, ovvero – previo accordo fra le parti – nelle altre forme consentite dalle vigenti leggi (es. firma elettronica). ART. 8 - POTERI DI RAPPRESENTANZA 8.1. Il cliente è tenuto a indicare per iscritto le persone autorizzate a rappresentarlo nei suoi rapporti con la banca, precisando gli eventuali limiti delle facoltà loro accordate. 8.2. Le revoche e le modifiche delle facoltà concesse alle persone autorizzate, nonché le rinunce da parte delle medesime, non saranno opponibili alla banca finché questa non abbia ricevuto la relativa comunicazione inviata a mezzo di lettera raccomandata, telegramma, telex, telefax, oppure la stessa sia stata presentata allo sportello presso il quale è intrattenuto il rapporto e non sia trascorso almeno .... giorno dalla ricezione; ciò anche quando dette revoche, modifiche e rinunce siano state rese di pubblica ragione. 8.3. Salvo disposizione contraria, l'autorizzazione a disporre sul rapporto, conferita successivamente, non determina revoca implicita delle precedenti autorizzazioni. 8.4. Quando il rapporto è intestato a più persone, i soggetti autorizzati a rappresentare i cointestatari devono essere nominati per iscritto da tutti. La revoca delle facoltà di rappresentanza può essere effettuata, in deroga all'art. 1726 c.c., anche da uno solo dei cointestatari mentre la modifica delle facoltà deve essere fatta da tutti. Per ciò che concerne la forma e gli effetti delle revoche, modifiche e rinunce, vale quanto stabilito al comma precedente. Il cointestatario che ha disposto la revoca è tenuto ad informarne gli altri cointestatari. 8.5. Le altre cause di cessazione delle facoltà di rappresentanza non sono opponibili alla banca sino a quando essa non ne abbia avuto notizia legalmente certa. Ciò vale anche nel caso in cui il rapporto sia intestato a più persone. ART. 9 - COINTESTAZIONE DEL RAPPORTO CON FACOLTÀ DI UTILIZZO DISGIUNTO 9.1. Quando il rapporto è intestato a più persone con facoltà per le medesime di compiere operazioni separatamente, le disposizioni relative al rapporto medesimo possono essere effettuate da ciascun intestatario separatamente con piena liberazione della banca anche nei confronti degli altri cointestatari. Tale facoltà di disposizione separata può essere modificata o revocata solo su conformi istruzioni impartite per iscritto alla banca da tutti i cointestatari. L'estinzione del rapporto può invece essere effettuata su richiesta anche di uno solo di essi, che dovrà avvertirne tempestivamente gli altri. 9.2. I cointestatari rispondono in solido fra loro nei confronti della banca per tutte le obbligazioni che si venissero a creare, per qualsiasi ragione, anche per atto o fatto di un solo cointestatario, ed in particolare per le obbligazioni derivanti da concessioni di fido ancorché accordate ad uno soltanto ed ignote agli altri. 9.3. Nel caso di morte o di sopravvenuta incapacità di agire di uno dei cointestatari del rapporto, ciascuno degli altri conserva il diritto di disporre separatamente sul rapporto. Analogamente lo conservano gli eredi del cointestatario, che sono però tenuti ad esercitarlo tutti insieme, ed il legale rappresentante dell'incapace. 9.4. Nei casi di cui al precedente comma, la banca deve pretendere il concorso di tutti i cointestatari e degli eventuali eredi e del legale rappresentante dell'incapace, quando da uno di essi le sia stata comunicata opposizione anche solo con lettera raccomandata. ART. 10 - DIRITTO DI GARANZIA La banca, verso il cliente che non rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 1469-bis comma secondo codice civile, è investita di diritto di pegno e di diritto di ritenzione sui titoli o valori di pertinenza del cliente comunque detenuti dalla banca stessa o che pervengano ad essa successivamente, a garanzia di qualunque suo credito – anche se non liquido ed esigibile ed anche se assistito da altra garanzia reale o personale – già in essere o che dovesse sorgere verso il cliente, rappresentato da saldo passivo di conto corrente e/o dipendente da qualunque operazione bancaria, quale ad esempio: finanziamenti sotto qualsiasi forma concessi, aperture di credito, aperture di crediti documentari, anticipazioni su titoli o su merci, anticipi su crediti, sconto o negoziazione di titoli o documenti, rilascio di garanzie a terzi, depositi cauzionali, riporti, compravendita titoli e cambi, operazioni di intermediazione o prestazioni di servizi. Il diritto di pegno e di ritenzione sono esercitati sugli anzidetti titoli o valori o loro parte per importi congruamente correlati ai crediti vantati dalla banca e comunque non superiore a due volte il predetto credito. In particolare, le cessioni di credito e le garanzie pignoratizie a qualsiasi titolo fatte o costituite a favore della banca stanno a garantire anche ogni altro credito, in qualsiasi momento sorto, pure se non liquido ed esigibile, della banca medesima, verso la stessa persona. ART. 11 - COMPENSAZIONE 11.1. Quando esistono tra la banca ed il cliente più rapporti o più conti di qualsiasi genere o natura, anche di deposito, ancorché intrattenuti presso dipendenze italiane ed estere della banca medesima, ha luogo in ogni caso la compensazione di Legge ad ogni suo effetto.1
1 1.1. Quando esistono tra la banca ed il cliente più rapporti o più conti di qualsiasi genere o natura, anche di deposito, anche intrattenuti presso dipendenze italiane ed estere della banca medesima, non opera la compensazione di Legge.
11.2. Al verificarsi di una delle ipotesi previste dall'art. 1186 c.c., o al prodursi di eventi che incidano negativamente sulla situazione patrimoniale, finanziaria o economica del cliente, in modo tale da porre palesemente in pericolo il recupero del credito vantato dalla banca, quest'ultima ha altresì il diritto di valersi della compensazione ancorché i crediti, seppure in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili e ciò in qualunque momento senza obbligo di preavviso e/o formalità, fermo restando che dell'intervenuta compensazione – contro la cui attuazione non potrà in nessun caso eccepirsi la convenzione di assegno – la banca darà pronta comunicazione scritta al cliente. 11.3. Se il rapporto è intestato a più persone, la banca ha facoltà di valersi dei diritti di cui al comma precedente ed all'art. 9, sino a concorrenza dell'intero credito risultante, anche nei confronti di conti e di rapporti di pertinenza di alcuni soltanto dei cointestatari. 11.4. La facoltà di compensazione prevista nel comma 2 è esclusa nei rapporti in cui il cliente riveste la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 1469-bis, comma 2, c.c., salvo successivo diverso specifico accordo con il cliente stesso. ART. 12 - SOLIDARIETÀ E INDIVISIBILITÀ DELLE OBBLIGAZIONI ASSUNTE DALLA CLIENTELA ED IMPUTAZIONE DEI PAGAMENTI 12.1. Tutte le obbligazioni del cliente verso la banca, ed in particolare quelle derivanti da concessioni di fido, si intendono assunte – pure in caso di cointestazione – in via solidale e indivisibile anche per gli eventuali aventi causa a qualsiasi titolo dal cliente stesso. 12.2. Qualora sussistano più rapporti di debito verso la banca, il cliente ha diritto di dichiarare – ai sensi e per gli effetti dell'art. 1193, comma 1, c.c. – nel momento del pagamento quale debito intende soddisfare. In mancanza di tale dichiarazione e salvo il caso che si tratti di consumatore, la banca può imputare – in deroga all'art. 1193, comma 2, c.c. – i pagamenti effettuati dal cliente, o le somme comunque incassate da terzi, ad estinzione o decurtazione di una o più delle obbligazioni assunte dal cliente medesimo dandone comunicazione a quest'ultimo. ART. 13 - DETERMINAZIONE E MODIFICA DELLE CONDIZIONI 13.1. Le condizioni economiche applicate ai rapporti posti in essere con il cliente sono indicate nelle specifiche Sezioni “Condizioni economiche” che costituiscono parte integrante del presente atto. 13.2. La banca, qualora sussista un giustificato motivo, si riserva la facoltà di modificare le condizioni economiche applicate ai singoli contratti di durata posti in essere con il cliente, al quale saranno rese note mediante “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di 30 giorni, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 118 d.lgs n. 385/1993. 13.3. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro 60 giorni dal ricevimento della “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con applicazione, in sede di liquidazione del rapporto, delle condizioni precedentemente praticate. 13.4. In ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura. ART. 14 - ONERI FISCALI Gli oneri fiscali, che la banca dovesse sostenere in relazione ai rapporti posti in essere con il cliente, sono a carico dello stesso. ART. 15 - LEGGE APPLICABILE E FORO COMPETENTE 15. 1. I rapporti con la clientela sono regolati, salvo accordi specifici, dalla Legge italiana. 15.2. Per ogni controversia che dovesse sorgere tra le parti in relazione al contratto il Foro competente è quello previsto dalla Legge italiana (cfr. artt. 1 e ss. c.p.c.). FORO CONVENZIONALE 15.2 Per ogni controversia che potesse sorgere tra le parti in relazione al contratto il Foro competente è quello .....
Condizioni economiche - Sezione CONTO CORRENTE BANCARIO CONTO CORRENTE BANCARIO Filiale: .... C/C numero .... Intestato a: .... Indirizzo: .... ELENCO DELLE CONDIZIONI - TASSO A CREDITO:CON CAPITALIZZAZIONE .... TAN .... % TAE .... % - TASSO A DEBITO: CON CAPITALIZZAZIONE .... TAN .... % TAE .... % PER SCONFINAMENTI E/O SCOPERTI SE AUTORIZZATI TAN .... % TAE .... % SCON.SBF - COMMMISSIONE OMNICOMPRENSIVA: ALIQUOTA .... % (ALIQUOTA AGG.VA .... % SU SCONFINAMENTO SE AUTORIZZATO) (LIMITE MASSIMO SOMMA COMMISSIONI APPLICATE .... %) - SPESE DI CONTO: TIPO GESTIONE SPESE: COSTI UNITARI A RAGGRUPPAMENTO CAUSALI OP. DIVERSE ED INTERNE € .... PRELEVAMENTI PER CASSA € .... OPERAZIONI ESENTI € .... OPERAZ.NI TITOLI/ESTERO € .... DISP.DIVERSE INC./PAG. € .... OPERAZ. CARTE SELF-SERV € .... OPERAZ. SPORT.AUTOMATICI € .... OPERAZ. PORTAFOGLIO € .... BONIFICI € .... VERS. E OP.NI PER CASSA € .... MINIMO SPESE TENUTA CONTO AD OGNI LIQUIDAZIONE € .... - CONDIZIONI ASSEGNI VARIE: COSTO ASSEGNI:(UNITARIO) € .... COMMISSIONI ASSEGNI INSOLUTI: € .... RIFUSIONE ONERI GESTIONE ASSEGNI: € .... COMMISSIONI ASSEGNI TRONCATI INSOLUTI: € .... COMMISSIONI PER RICHIAMO ASSEGNI PROTESTATI: € .... COMMISSIONI RICHIAMO ASSEGNI SU BANCHE CORRISPONDENTI: € .... COMMISSIONI RICHIAMO ASSEGNI SU BANCHE NON CORRISPONDENTI: € .... COMMISSIONI MINIME SU ASSEGNI PROTESTATI: € .... COMMISSIONI MASSIME SU ASSEGNI PROTESTATI: € .... COMMISSIONE PERCENTUALE SU ASSEGNI PROTESTATI: .... % - SPESE AMMINISTRAZIONE CONTI SCOPERTI E/O AFFIDATI: SCAGLIONI NUMERI DEBITORI MATURATI: FINO A ....: € .... DA .... A ....: € .... DA .... A ....: € .... -- SPESE FISSE AD OGNI LIQUIDAZIONE: € .... - REC. SPESE PROD. E/C DI SPORT: € .... (CIASCUNO) - IMPOSTA BOLLO PER PROD. E/C € .... (SU BASE ANNUA) SPESE INVIO E/C E CORRISPONDENZA: SECONDO LE TARIFFE POSTALI VIGENTI SPESE PRODUZIONE E/C PERIODICO: € .... - SPESE DI ESTINZIONE C/C: € .... -APPLICAZIONE VALUTE SUI VERSAMENTI DI: CONTANTI: GG .... ASS. CIRCOLARI GG .... ASS. CIRCOLARI ALTRI ISTITUTI GG .... ASSEGNI BANCARI (SU PIAZZA) GG .... ASSEGNI BANCARI (FUORI PIAZZA) GG .... ASSEGNI BANCARI ALTRI ISTITUTI (S.P.) GG .... ASSEGNI BANCARI ALTRI ISTITUTI (F.P.) GG .... - DISPONIBILITA SU VERSAMENTI DI: CONTANTI: GG .... ASS. CIRCOLARI GG .... ASS. CIRCOLARI ALTRI ISTITUTI GG .... ASSEGNI BANCARI (SU PIAZZA) GG .... ASSEGNI BANCARI (FUORI PIAZZA) GG .... ASSEGNI BANCARI ALTRI ISTITUTI (S.P.) GG .... ASSEGNI BANCARI ALTRI ISTITUTI (F.P.) GG .... - APPLICAZIONE VALUTE SU ADDEBITO ASSEGNI: DATA DI EMISSIONE AGGIUNTIN. .... GG PRELEVAMENTO MEZZO ASSEGNO INTERNO E/O ATM: .... Condizioni giuridiche - Sezione CONTO CORRENTE BANCARIO ART. 1 - CONVENZIONE DI ASSEGNO 1.1. Le disposizioni con assegni sul conto si effettuano mediante l'uso di moduli per assegni forniti dalla banca. Il cliente è tenuto a rilasciare la dichiarazione di cui all'art. 124 della legge assegni. 1.2. Il cliente è tenuto a custodire con ogni cura i moduli di assegni ed i relativi moduli di richiesta. Il cliente non è responsabile delle conseguenze dannose derivanti dall'uso abusivo od illecito dei predetti moduli dal momento in cui ha dato comunicazione per raccomandata, telegramma o fax alla banca della perdita o sottrazione degli stessi, ferma restando, anche anteriormente a tale momento, la responsabilità della banca nel pagamento degli assegni, secondo i principi di diligenza cui la stessa è tenuta in ragione della propria condizione professionale. La banca provvede ad informare il correntista, anche mediante comunicazioni impersonali (cartelli, moduli prestampati, ecc.), delle procedure che lo stesso può seguire per cautelarsi dall'illecita circolazione del titolo (sequestro, ammortamento, ecc.). 1.3. In caso di revoca della convenzione di assegno e comunque con la cessazione del rapporto di conto corrente, i moduli non utilizzati devono essere restituiti alla banca. 1.4. In caso di prelievi a mezzo carta Bancomat/PagoBancomat, in conformità alle condizioni che regolano detto servizio, riportate nelle “Condizioni giuridiche - Sezione Bancomat/Pagobancomat e Servizi Collegati”, la banca – qualora per effetto di tali prelievi le disponibilità in conto fossero divenute insufficienti – non provvede al pagamento degli eventuali assegni che ad essa pervengano per il pagamento, ancorché tratti in data anteriore a quella del prelievo ed ancorché del prelievo stesso la banca abbia notizia successivamente al ricevimento o alla presentazione degli assegni stessi, ma prima dell'addebito in conto. 1.5. In caso di pluralità di conti, la banca non è tenuta al pagamento degli assegni tratti su conti con disponibilità insufficiente, indipendentemente dalla eventuale presenza di fondi su altri conti di pertinenza dello stesso cliente, salvo che quest'ultimo e gli altri eventuali cointestatari del conto sul quale esistano le relative disponibilità diano istruzioni specifiche a valere per la singola operazione, disposte in un momento anteriore a quello della presentazione del titolo. 1.6. Ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 9-bis della l. 386/1990 e successive variazioni, il cliente elegge come domicilio l'indirizzo postale indicato, per ciascuno dei rapporti di conto corrente, nella rispettiva sezione “Condizioni economiche - Sezione Conto Corrente bancario”. ART. 2 - ADDEBITO IN CONTO DI ASSEGNI O CAMBIALI Il cliente autorizza la banca ad addebitare sul suo conto assegni o cambiali da lui tratti o emessi, ancorché recanti firme di girata illeggibili, incomplete o comunque non conformi ai requisiti di cui all'art. 11 della Legge assegni e dell'art. 8 della Legge cambiaria. ART. 3 - VERSAMENTO IN CONTO DI ASSEGNI BANCARI E CIRCOLARI ED ACCREDITO DI DISPOSIZIONI DI INCASSO COMMERCIALE (RIBA E RID) 3.1. L'importo degli assegni bancari e circolari è accreditato con riserva di verifica e salvo buon fine ed è disponibile appena decorsi i termini indicati nelle “Condizioni economiche – Sezione Conto Corrente Bancario”. La banca potrà prorogare detti termini solo in presenza di cause di forza maggiore – ivi compresi gli scioperi del personale – verificatesi presso la banca medesima e/o presso corrispondenti, anche non bancari. Di tale proroga la banca dà pronta notizia alla clientela, anche mediante comunicazioni impersonali (cartelli, moduli prestampati, ecc.). 3.2. La valuta applicata all'accreditamento determina unicamente la decorrenza degli interessi senza conferire al cliente alcun diritto circa la disponibilità dell'importo, come stabilita al precedente comma 1. 3.3. Qualora tuttavia la banca consentisse al cliente di utilizzare anticipatamente, in tutto o in parte, tale importo prima che siano decorsi i termini di cui al precedente comma 1 ed ancorché sull'importo sia iniziata la decorrenza degli interessi, ciò non comporterà affidamento di analoghe concessioni per il futuro. Prima del decorso di detti termini, la banca si riserva il diritto di addebitare in qualsiasi momento l'importo dei titoli accreditati, nonché di esercitare – in caso di mancato incasso – tutti i diritti ed azioni, compresi quelli di cui all'art. 1829 c.c., nonché la facoltà di effettuare l'addebito in conto. 3.4. Decorsi i termini di cui al precedente comma 1, resta inteso comunque che la banca trattaria – nel caso di assegni bancari – o la banca emittente – nel caso di assegni circolari – mantiene il diritto, ove ne ricorrano i presupposti, di agire direttamente nei confronti del cliente per il recupero dell'importo dei titoli indebitamente pagati. 3.5. Nel caso di disposizioni RiBa e RID inoltrate per l'incasso dal cliente valgono le previsioni di cui ai precedenti commi. Resta inteso che il diritto di agire direttamente nei confronti del cliente – nell'ipotesi prevista dal comma 4 – spetta alla banca domiciliataria della disposizione inoltrata per l'incasso. ART. 4 - VERSAMENTO IN CONTO DI ALTRI TITOLI, EFFETTI, RICEVUTE E DOCUMENTI SIMILARI 4.1. L'importo degli assegni diversi da quelli indicati nell'art. 3 (vaglia ed altri titoli similari) nonché degli effetti, ricevute e documenti similari, è accreditato con riserva di verifica – e salvo buon fine – e non è disponibile prima che la banca ne abbia effettuato la verifica o l'incasso e che dell'avvenuto incasso abbia avuto conoscenza la dipendenza accreditante. 4.2. La valuta applicata all'accreditamento determina unicamente la decorrenza degli interessi senza conferire al cliente alcun diritto circa la disponibilità dell'importo. 4.3. Qualora tuttavia la banca consentisse al cliente di utilizzare, in tutto o in parte, tale importo prima di averne effettuato l'incasso ed ancorché sull'importo sia iniziata la decorrenza degli interessi, ciò non comporterà affidamento di analoghe concessioni per il futuro. 4.4. La banca si riserva il diritto di addebitare in qualsiasi momento l'importo dei titoli accreditati anche prima della verifica o dell'incasso e ciò anche nel caso in cui abbia consentito al cliente di utilizzare anticipatamente l'importo medesimo. In caso di mancato incasso, la banca si riserva tutti i diritti ed azioni, compresi quelli di cui all'art. 1829 c.c., nonché la facoltà di effettuare, in qualsiasi momento, l'addebito in conto. ART. 5 - VERSAMENTO IN CONTO DI ASSEGNI SULL'ESTERO 5.1. In relazione al fatto che le banche degli Stati Uniti d'America e di altri Paesi esigono dai cedenti di assegni e di effetti cambiari la garanzia del rimborso qualora, successivamente al pagamento, venga comunque contestata la regolarità formale di detti titoli o l'autenticità e la completezza di una qualunque girata apposta sugli stessi, il cedente di assegni o di effetti su detti Paesi è tenuto a rimborsarli in qualunque tempo a semplice richiesta della banca nel caso che alla stessa pervenisse analoga domanda dal suo corrispondente o dal trattario. 5.2. Il cedente è tenuto altresì ad accettare, a legittimazione e prova della richiesta di rimborso, i documenti idonei a tale scopo secondo la rispettiva Legge estera, anche se sostitutivi del titolo di credito. ART. 6 - MOVIMENTAZIONI DEL CONTO 6.1. Salva espressa istruzione contraria e salvo che dalla natura dell'operazione emerga una diversa esigenza, tutti i rapporti di dare ed avere fra banca e cliente titolare del conto – ivi compresi i bonifici e le rimesse disposti da terzi a favore del cliente medesimo – sono regolati con annotazioni sul conto stesso. 6.2. Tenuto conto che per i bonifici da eseguire negli Stati Uniti d'America o in altri Paesi in cui le banche danno corso alle relative istruzioni facendo prevalere il codice di conto rispetto alla denominazione del beneficiario esplicitata in chiaro, qualsiasi inconveniente o danno che dovesse derivare dall'eventuale errato pagamento determinato dalla inesatta indicazione del codice da parte del cliente resta a completo carico dello stesso. È inoltre facoltà della banca addebitare in ogni momento gli importi reclamati dalle banche corrispondenti in relazione alle eventuali richieste risarcitorie alle stesse opposte dal beneficiario, nel caso di errata esecuzione degli ordini dipendente da inesatta indicazione del codice da parte del cliente; a tal fine la banca è tenuta a fornire al cliente copia della richiesta di rimborso pervenuta dalle banche corrispondenti. ART. 7 - UTILIZZABILITÀ DEL CONTO CORRENTE IN VALUTA ESTERA 7.1. Qualora la banca consenta di utilizzare il conto anche per operazioni da effettuarsi in valuta estera, il cliente può eseguire i versamenti in una qualsiasi delle valute concordate ed il relativo controvalore viene accreditato in conto, previa conversione in euro – o nella valuta pattuita – al cambio corrente pubblicizzato5 dalla banca alla data di esecuzione della disposizione. Con analoghe modalità sono accreditati in conto i bonifici e le rimesse disposti da terzi e sono altresì regolate tutte le disposizioni in valuta estera impartite dal cliente con qualsiasi mezzo, ivi compresi gli assegni. 7.2. Il cliente si obbliga a non apporre la clausola “effettivo” di cui all'art 1279 c.c. sulle disposizioni impartite in valuta estera. In caso di inadempimento di tale obbligo, qualora la disposizione impartita comporti per la banca pagamenti per cassa, la stessa non è tenuta a darvi corso. Pertanto, ove il beneficiario della disposizione non accetti modalità di pagamento alternative, la banca rifiuterà l'esecuzione della predetta disposizione, restando a carico del cliente ogni connessa conseguenza. ART. 8 - CHIUSURA PERIODICA DEL CONTO E REGOLAMENTO DEGLI INTERESSI, COMMISSIONI E SPESE 8.1. I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità, portando in conto, con valuta “data di regolamento” dell'operazione, gli interessi, le commissioni e le spese ed applicando le trattenute fiscali di legge. II saldo risultante dalla chiusura periodica così calcolato produce interessi secondo le medesime modalità. 8.2. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto produce interessi nella misura pattuita; su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. 8.3. Gli assegni pagati dalla banca vengono addebitati sul conto del cliente con la valuta pattuita. 4. Salvo diverso accordo, escludendo le ipotesi di apertura di credito o di altra sovvenzione disciplinate nelle “Condizioni giuridiche – Sezione Affidamenti in conto corrente”, ad ognuna delle parti è sempre riservato il diritto di esigere il pagamento di tutto quanto sia comunque dovuto. ART. 9 - CONTO NON MOVIMENTATO 9.1. Qualora il conto non abbia avuto movimenti da oltre un anno e presenti un saldo creditore non superiore ad € ...., la banca cessa di corrispondere gli interessi, di addebitare le spese di gestione del conto corrente e di inviare l'estratto conto. 9.2. Ai fini del comma precedente non si considerano movimenti, ancorché compiuti nel corso dell'anno ivi previsto, né le disposizioni impartite da terzi, né le operazioni che la banca effettua d'iniziativa (quali, ad esempio, l'accredito di interessi ed il recupero di spese) ovvero in forza di prescrizioni di Legge o amministrative. ART. 10 - APPROVAZIONE DELL'ESTRATTO CONTO 10.1. L'invio degli estratti conto, ad ogni chiusura contabile, sarà effettuato dalla banca, entro il termine di giorni 30 dalla data di chiusura, anche in adempimento degli obblighi di cui all'art. 1713 c.c. 10.2. Salvo quanto previsto al successivo comma 3, trascorsi 60 giorni dalla data di ricevimento degli estratti conto senza che sia pervenuto alla banca per iscritto un reclamo specifico, gli estratti conto si intenderanno senz'altro approvati dal cliente. 10.3. Nel caso di errori di scritturazione o di calcolo, omissioni o duplicazioni di partite, il cliente può esigere la rettifica di tali errori od omissioni nonché l'accreditamento con pari valuta degli importi erroneamente addebitati od omessi entro il termine di prescrizione ordinaria (dieci anni) decorrente dalla data di ricevimento dell'estratto conto; siffatta rettifica od accreditamento è fatta senza spese per il cliente. Entro il medesimo termine di prescrizione ed a decorrere dalla data di invio dell'estratto, la banca può ripetere quanto dovuto per le stesse causali e per indebiti accreditamenti. 10.4. Salvo quanto disposto in precedenza ai commi 2 e 3, gli eventuali reclami in merito alle operazioni effettuate dalla banca per conto del cliente dovranno essere fatti da questi dal momento in cui sia in possesso della comunicazione di esecuzione, per lettera o telegramma, a seconda che l'avviso gli sia stato dato per lettera o telegramma. Trascorsi .... giorni, l'operato della banca si intenderà approvato. ART. 11 - COMPENSAZIONE E PAGAMENTO DI ASSEGNI 11.1. Qualora la banca si avvalga della compensazione di Legge di cui all'art. 11, comma 1, delle “Condizioni generali relative al rapporto banca-cliente”, essa non è tenuta a pagare gli assegni tratti o presentati con data posteriore alla stessa, nei limiti in cui, per effetto dell'intervenuta compensazione, sia venuta meno la provvista. 11.2. Qualora la banca operi la compensazione per crediti non liquidi ed esigibili, prevista dall'art. 11, comma 2, delle condizioni generali di contratto, essa non è tenuta a pagare – nei limiti in cui sia venuta meno la provvista - gli assegni tratti o presentati con data posteriore al ricevimento da parte del cliente della comunicazione dell'intervenuta compensazione. 11.3. Nei casi previsti dai commi precedenti, il cliente è tenuto a costituire immediatamente i fondi necessari per il pagamento degli assegni tratti con data anteriore all'intervenuta compensazione, dei quali non sia ancora spirato il termine di presentazione, sul conto o sui conti a debito dei quali la compensazione medesima si è verificata e nei limiti in cui quest'ultima abbia fatto venire meno la disponibilità. 11.4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di conti intestati a più persone. ART. 12 - RECESSO 12.1. Il cliente e la banca hanno diritto di recedere in qualsiasi momento, dandone comunicazione per iscritto e con il preavviso di 15 giorni – a mezzo raccomandata a.r., ovvero senza preavviso in caso di giustificato motivo o giusta causa – dal contratto di conto corrente e/o dalla inerente convenzione di assegno, nonché di esigere il pagamento di tutto quanto sia reciprocamente dovuto. Il recesso dal contratto provoca la chiusura del conto. La liquidazione definitiva del conto avviene entro il mese successivo alla data in cui il recesso è divenuto operante o il conto è altrimenti cessato. 12.2. Qualora la banca receda dal contratto di conto corrente, essa non è tenuta ad eseguire gli ordini ricevuti ed a pagare gli assegni tratti con data posteriore a quella in cui il recesso è divenuto operante con la comunicazione di recesso di cui al comma precedente. Ove la revoca riguardi soltanto la convenzione di assegno, la banca non è tenuta a pagare gli assegni tratti con data posteriore a quella ora indicata. Resta salvo ogni diverso effetto della revoca dell'autorizzazione ad emettere assegni disposta ai sensi dell'art. 9 l. n. 386/1990 e successive integrazioni e/o modificazioni. 12.3. Qualora il cliente receda dal contratto di conto corrente, la banca, fermo restando quanto disposto al comma precedente, non è tenuta ad eseguire gli ordini ricevuti ed a pagare gli assegni tratti con data anteriore a quella in cui il recesso è divenuto operante con la comunicazione di recesso di cui al primo comma del presente articolo; ove la revoca riguardi soltanto la convenzione di assegno, la banca non è tenuta a pagare gli assegni tratti con data anteriore a quella ora indicata. 12.4. In deroga a quanto previsto, nel primo e nel terzo comma del presente articolo, il cliente, nell'esercitare il diritto di recedere dal contratto, può per iscritto – al fine di disciplinare secondo le proprie esigenze gli effetti del recesso sugli ordini impartiti e sugli assegni tratti – comunicare alla banca un termine di preavviso maggiore di quello indicato al predetto primo comma, ovvero indicare alla stessa gli ordini e gli assegni che intende siano onorati, purché impartiti o tratti in data anteriore al momento in cui il recesso medesimo è divenuto operante. 12.5. L'esecuzione degli ordini ed il pagamento degli assegni di cui ai commi precedenti vengono effettuati dalla banca entro i limiti di capienza del conto. 12.6. Il recesso dalla convenzione di assegno esercitato da uno dei cointestatari o dalla banca nei confronti dello stesso lascia integra la convenzione verso gli altri cointestatari, qualora sia prevista la facoltà per i contitolari di compiere operazioni separatamente. Condizioni giuridiche - Sezione SERVIZIO DI INCASSO O DI ACCETTAZIONE DEGLI EFFETTI, DOCUMENTI ED ASSEGNI ART. 1 - OGGETTO E LIMITI DEL SERVIZIO 1.1. I servizi di incasso e di accettazione di effetti, di documenti e di assegni sono svolti, per conto del cliente, sulla base delle norme di seguito previste; per le operazioni di incasso e di accettazione da effettuarsi sull'estero, si applicano anche le Norme della Camera di Commercio Internazionale vigenti in materia di incassi documentari. 1.2. La banca è tenuta a svolgere il servizio secondo i criteri di diligenza professionale richiamati nell'art. 1 delle “Condizioni generali relative al rapporto banca-cliente”; sono tuttavia a carico del cliente le eventuali conseguenze dannose derivanti da cause non imputabili alla banca, tra le quali vanno incluse, in via esemplificativa, quelle dipendenti da: - indicazioni erronee, non precise o insufficienti, specie di importo, di scadenza, di luogo di pagamento, di nomi, tanto sugli effetti, documenti ed assegni che sulle distinte di accompagnamento; - casi di forza maggiore, impedimenti ed ostacoli determinati da normative vigenti nel luogo di pagamento degli effetti, documenti ed assegni, siano essi stilati in moneta del Paese od in valuta estera; o da atti di autorità nazionali o estere, anche di fatto, o da provvedimenti od atti di natura giudiziaria (come sequestri, pignoramenti) o da fatti di terzi. 1.3. Qualora il cliente richieda di svolgere il servizio in relazione ad effetti, documenti o assegni da presentare su piazze non bancabili presso l'Istituto di emissione e, in genere, su piazze per le quali vi siano difficoltà di curare le incombenze relative al servizio medesimo, la banca non risponde della mancata presentazione per il pagamento o per l'accettazione o del mancato protesto in tempo utile di tali titoli e documenti. La clausola “incasso tramite” e ogni altra analoga non comportante domiciliazione non sono vincolanti per la banca che comunque non risponde del mancato protesto di effetti per i quali risulti richiesto l'incasso per il tramite di sportello situato in località diversa dal luogo di pagamento. 1.4. La banca ha titolo per rivalersi sul cliente di tutte le spese relative o derivanti dall'espletamento del servizio, incluse quelle per la regolarizzazione nel bollo dei titoli ove la banca stessa vi provvedesse, e quelle per le pene pecuniarie eventualmente pagate. ART. 2 - AVVISI DI MANCATA ACCETTAZIONE E DI MANCATO PAGAMENTO DI TITOLI La banca è autorizzata a non inviare avvisi di mancata accettazione o di mancato pagamento degli effetti e degli assegni e si limita a restituire i titoli non appena ne abbia la disponibilità materiale. ART. 3 - EFFETTI CAMBIARI RECANTI CLAUSOLA SENZA SPESE O ALTRA EQUIVALENTE Per gli effetti cambiari, la banca non provvede alla materiale presentazione del titolo, ma invia al trattario un avviso con l'invito a recarsi ai propri sportelli per l'accettazione o per il pagamento, e ciò anche quando si tratti di effetti con clausola “senza spese”, “senza protesto” o altra equivalente, sia essa firmata o meno. 2. Nel caso di effetti con clausole “senza spese”, “senza protesto” o altra equivalente, non firmata a termini di Legge, la banca ha la facoltà di non far levare il protesto. ART. 4 - ORDINI DI PROROGA DI SCADENZA EFFETTI Nel caso di ordini di proroga di scadenza effetti, e in assenza di specifiche istruzioni fornite per iscritto, la banca provvede ad inviare al debitore cambiario un semplice avviso della concessione del nuovo termine, e ciò anche quando si tratti di effetti recanti più firme di girata o di cambiali tratte. Qualora l'effetto prorogato non venga pagato alla nuova scadenza, la banca non provvederà, stante il divieto di cui all'art. 9 l. n. 349/1973, a far elevare il protesto. ART. 5 - PAGAMENTO MEDIANTE ASSEGNI Nel caso di effetti pagabili mediante assegni di banca, la banca incaricata dell'incasso si riserva la facoltà di rimettere tali assegni al cedente, a titolo di ricavo, senza assumere alcuna garanzia anche se fossero stati da essa girati. ART. 6 - SCONTO O NEGOZIAZIONE DI EFFETTI, DOCUMENTI ED ASSEGNI 6.1 La presentazione per l'accettazione e/o il pagamento di effetti, documenti ed assegni scontati o negoziati o sui quali sia stato fatto, in qualsiasi forma, un anticipo, è eseguita dalla banca – direttamente o a mezzo di corrispondente, bancario o non – con applicazione di tutte le disposizioni contenute negli articoli della presente Sezione, ad esclusione di quelle previste dall'art. 4. 6.2. Fermo restando quanto previsto nel caso di versamento in conto di assegni, effetti ed altri titoli indicati negli articoli 4 e 5 delle “Condizioni giuridiche – Sezione Conto Corrente Bancario”, il cliente è tenuto a rimborsare la banca, entro il termine di .... giorni dalla richiesta, se – per fatto o circostanza non imputabile alla banca stessa a norma degli articoli precedenti – la presentazione e/o il protesto non siano stati effettuati nei termini di Legge; gli effetti, i documenti o gli assegni siano andati smarriti o distrutti o siano stati sottratti; la banca non sia in grado di conoscere l'esito o, in caso di avvenuta riscossione, non sia in grado di avere la disponibilità del ricavo. Condizioni giuridiche - Sezione SERVIZIO BONIFICI ART. 1 - CONTENUTO DELLA RICHIESTA La Banca esegue il bonifico su presentazione o invio, da parte del Cliente, dell'apposito modulo di richiesta debitamente compilato o di sua disposizione scritta che deve recare tutte le indicazioni occorrenti all'esecuzione. Il Cliente è responsabile delle indicazioni erronee, non precise o insufficienti. ART. 2 - SPETTANZE DELLA BANCA La Banca esegue il bonifico per l'intero importo; le spese e spettanze della Banca vengono corrisposte a parte dal cliente; per le spese incontrate nella esecuzione dell'ordine anche se non preventivamente determinabili essa ha titolo per l'addebito in conto, o comunque, per rivalersi nei confronti del cliente. ART. 3 - LIMITI DI RESPONSABILITÀ DELLA BANCA La Banca non risponde della mancata esecuzione per cause ad essa non imputabili quali, ad esempio, casi di forza maggiore, impedimenti od ostacoli determinati da normative vigenti nel luogo di esecuzione, da atti di autorità nazionali o estere, da provvedimenti od atti di natura giudiziaria (come sequestri, pignoramenti) o da fatti di terzi. ART. 4 - ESECUZIONE E RESPONSABILITÀ La Banca e gli enti che partecipano alla esecuzione di un ordine di bonifico rispondono della inosservanza degli obblighi previsti dagli articoli 3 (obbligo di informazione), 4 (esecuzione del bonifico nel rispetto dei termini), 5 (esecuzione del bonifico secondo le istruzioni), 6 (mancata esecuzione del bonifico) del Dlgs. 253/2000 salvo i casi di forza maggiore così come previsto dal successivo art. 7 del medesimo decreto. Luogo e data .... La Banca .... Il Cliente .... Il Cliente dichiara di aver preso visione e di approvare mediante sottoscrizione per iscritto, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1341 c.c., le pattuizioni relative alle CONDIZIONI GENERALI RELATIVE AL RAPPORTO BANCA-CLIENTE e in particolare art. 9 (comma 4 – Necessità dell'autorizzazione di tutti i cointestatari o di tutti gli eredi in caso di morte di un cointestatario o del titolare del conto), art. 10 (Diritto di garanzia), art. 11 (Compensazione), art. 13 (Determinazione e modifica delle condizioni), art. 15 (comma 3 – Deroga convenzionale alla competenza); CONDIZIONI GIURIDICHE - SEZIONE CONTO CORRENTE BANCARIO e in particolare art. 8 (Chiusura periodica del conto e regolamento degli interessi, commissioni e spese), art. 9 (Conto non movimentato), art. 10 (Approvazione dell'estratto conto), art. 12 (Recesso) Luogo e data .... Il Cliente .... [1] [1]La presente clausola è destinata ad operare soltanto nel caso in cui i contraenti intendano derogare al disposto dell'art. 1853 c.c. che prevede la regola della compensazione dei saldi attivi e passivi reciproci tra Banca e Cliente, laddove tra questi esistano pià rapporti o più conti. CommentoPremessa: struttura e funzione del contratto di conto corrente bancario La disamina del contratto di conto corrente bancario deve prendere le mosse da un dato, per così dire, “negativo”, ovvero l'assenza di una disciplina legislativa volta a regolamentare questo contratto; il Codice civile, infatti, non menziona mai il “contratto” di conto corrente, ma solo ed esclusivamente le “operazioni in conto corrente”. Questa circostanza ha indotto la dottrina dominante a ricondurre quello di conto corrente bancario nell'alveo dei contratti atipici o innominati, ma valido ed efficace poiché indubbiamente volto a realizzare un interesse meritevole di tutela per l'ordinamento secondo il parametro di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., ovvero quello di svolgere un servizio di cassa per conto del cliente e di regolare nel tempo i rapporti di dare-avere tra banca e cliente. All'assenza di una disciplina unitaria e compiuta di tale contratto hanno supplito una serie di fonti, tra cui gli Usi bancari elaborati dall'A.B.I., il ricorso ad alcune delle norme codicistiche, ovvero quelle che regolamentano il conto corrente c.d. “ordinario” (artt. 1823-1833 c.c.) e le operazioni bancarie in conto corrente (artt. 1852-1857 c.c.), peraltro in quest'ultimo caso soltanto laddove vi sia un'apertura di credito o un deposito bancario regolate sul conto corrente bancario. A completare la disciplina del conto corrente bancario vi sono poi le norme contenute nel Testo Unico Bancario (d.lgs. n. 385/1993), ispirate alla logica di rafforzare la tutela del cliente, contraente debole, a fronte di un soggetto “forte” quale è la banca: si pensi, ad esempio, alla disciplina sulle prescrizioni formali dei contratti bancari (art. 117 TUB) ed alla sanzione della nullità relativa per la loro eventuale violazione, nonché a quelle di cui all'art. 118 TUB che disciplinano il potere unilaterale di ius variandi della banca sulle condizioni contrattuali assoggettandolo a limiti stringenti. Discussa è poi la funzione svolta dal contratto di conto corrente bancario: si tratta di una questione non già meramente dogmatica, bensì foriera di importanti ricadute applicative, derivando dalla qualificazione dello stesso l'individuazione della disciplina applicabile. Secondo l'opinione nettamente prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, così come affermato dalla Corte di Cassazione Civile, I, con la sentenza n. 5843/2010 “il contratto di conto corrente bancario rappresenta un negozio innominato misto, avente natura complessa, alla cui costituzione e disciplina concorrono plurimi e distinti schemi negoziali i quali si fondono in ragione dell'unitarietà della causa”. Pertanto sarà possibile ravvisare nel contratto di conto corrente bancario profili tipici del mandato (ed in particolare per la sua funzione gestoria, obbligandosi la banca, alla stregua di un mandatario, a compiere uno o più atti giuridici per conto del cliente-mandante), come conferma peraltro l'art. 1856 c.c., laddove prevede che “la banca risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione di incarichi ricevuti dal correntista o da altro cliente”. Il contratto di conto corrente bancario può presentare però anche i segni distintivi di altri contratti bancari, come l'apertura di credito, l'anticipazione bancaria, il deposito bancario e così via, oppure delle operazioni regolate in conto corrente, che saranno disciplinate dagli artt. 1826,1829 e 1832 c.c. in virtù del rinvio che ad esse effettua il disposto dell'art. 1857 c.c. Una ricostruzione minoritaria, per lo più dottrinale, ritiene invece che il contratto di conto corrente bancario abbia comunque una sua tipicità, che si desume dai negozi giuridici ad esso collegati; dal punto di vista operativo, però, i risultati cui conduce questa tesi non sono diversi da quelli cui approda l'opinione prevalente, atteso che le norme in concreto applicabili saranno quelle relative alle singole operazioni di volta in volta poste in essere. Ad ogni modo la definizione più diffusa del contratto di conto corrente bancario lo qualifica come quel contratto con cui la banca si impegna ad effettuare i pagamenti disposti dal cliente (sia in contanti che mediante l'emissione di assegni bancari, nonché con mezzi informatici come il servizio di “home banking”), a ricevere in suo luogo le somme a lui dirette ed a registrare i rapporti credito-debito tra correntisti e banche. Tale nozione considera dunque quale caratteristica essenziale e costante del contratto bancario lo svolgimento da parte degli Istituti di credito di un servizio di cassa a favore del cliente. Il contratto di conto corrente bancario e le figure affini Il contratto di conto corrente bancario si distingue da quello di conto corrente c.d. “ordinario”. La prima differenza risiede nel fatto che mentre il contratto di conto corrente c.d. “ordinario” costituisce uno schema negoziale tipico, compiutamente disciplinato dagli artt. 1823-1833 c.c., quello di conto corrente bancario, come si è avuto modo di vedere, è sorto nella prassi negoziale e difetta di una regolamentazione legale unitaria. Al contempo, mentre il contratto di conto corrente “ordinario” non è un contratto “bancario”, potendo essere concluso da chiunque e non soltanto dalle banche, la stipulazione del contratto di conto corrente “bancario”, come rivela il dato letterale, è riservata agli Istituti di credito. Il secondo elemento di diversità tra i due contratti consiste nella circostanza che mentre in forza del disposto dell'art. 1823 c.c. nel conto corrente ordinario il credito del cliente è inesigibile ed indisponibile fino al momento della chiusura del conto, in virtù dell'art. 1852 c.c. (che regola le operazioni bancarie in conto corrente) il correntista può disporre in qualsiasi momento del saldo a suo favore, laddove il deposito o l'apertura di credito o altre operazioni bancarie siano regolate su conto corrente. L'ultimo profilo differenziale tra i due contratti si rinviene nel fatto che nel conto corrente ordinario si ha una compensazione in senso tecnico (ovvero come causa di estinzione delle obbligazioni reciproche a carattere satisfattorio diversa dall'adempimento) al momento della chiusura del conto, nel conto corrente bancario la compensazione integra una mera operazione contabile (ovvero un calcolo aritmetico) che si verifica periodicamente e costantemente. Il conto corrente bancario si differenzia anche dalle c.d. “operazioni bancarie in conto corrente”. Infatti, si è osservato come nelle operazioni in conto corrente la disponibilità di provvista iniziale a favore del cliente può scaturire solo da un deposito bancario o da un'apertura di credito, laddove il conto corrente bancario può essere continuamente accresciuto da ogni credito, pagamento, sovvenzione a favore del correntista. Inoltre nel contratto di conto corrente bancario la banca assume obblighi di natura più ampia e composita rispetto a quelli di cui alle operazioni regolate in conto corrente: nel primo caso, infatti, la banca deve non solo eseguire gli ordini di pagamento a terzi ad essa impartiti con l'emissione di assegni bancari, ma anche ogni altro ordine di pagamento, oltre a dover ricevere pagamenti per conto del correntista e ad eseguire gli incarichi di riscossione verso terzi che le sono conferiti. Diversamente, invece, nelle operazioni bancarie in conto corrente la banca si limita a disciplinare i risultati economici delle attività di deposito ed apertura di credito su un conto corrente e a consentire al correntista di disporre in qualsiasi momento della provvista eventualmente a vantaggio di quest'ultimo (sia pure con il rispetto di un termine di preavviso, ove pattuito). Quanto alle norme che regolano le operazioni bancarie in conto corrente, che sono applicabili anche al conto corrente bancario, l'art. 1853 c.c. stabilisce che “se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario”. L'art. 1854 c.c. stabilisce che in caso di cointestazione del conto corrente a più persone vi è la facoltà di ciascuna di esse di compiere operazioni anche separatamente e che gli intestatari sono considerati creditori e debitori in solido dei saldi del conto. La logica sottesa alla norma è che, poiché il contratto di conto corrente bancario ha essenzialmente una funzione di servizio di cassa (per ricevere e/o effettuare pagamenti), in caso di pluralità di titolari del conto non assume nessuna rilevanza chi sia effettivamente l'ordinante o il beneficiario del pagamento. Da qui, dunque, si è posto il problema di comprendere come possa essere superata questa presunzione legale relativa di contitolarità delle somme confluite sul conto corrente bancario: vale a dire che la giurisprudenza si è interrogata su quale sia l'onere della prova che grava sul cointestatario che voglia dimostrare di non aver effettuato un certo prelevamento. Sul punto l'orientamento dominante (ex pluribusCass. I, n. 13663/2004) ritiene che sia onere della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella legale della cointestazione di dover offrire la prova, anche mediante presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, di non aver effettuato un prelievo. La giurisprudenza (Cass. I, n. 19115/2012) si è assestata su un'analoga soluzione anche per quanto riguarda la presunzione di solidarietà attiva e passiva di cui all'art. 1854 c.c., dovendo essere il singolo cointestatario a dover dimostrare che non è debitore di una certa somma oppure che un altro correntista non è creditore di quanto affluito sul conto. Inoltre si è stabilito (Cass. I, n. 8718/1994) che la presunzione legale di uguaglianza delle parti del conto a favore dei cointestatari per cui in caso di chiusura del conto, ognuno di essi ha diritto ad ottenere quanto giace sul conto in parti uguali, può essere superata soltanto dimostrando non già la proprietà e la disponibilità del denaro immesso in costanza di rapporto nel conto, bensì dimostrando che il titolo di acquisto del denaro (poi versato sul conto) rendeva il cointestatario titolare esclusivo di quanto versato. L'art. 1855 c.c., in linea con la disciplina generale dei contratti a tempo indeterminato, stabilisce che se l'operazione in conto corrente è sine die, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza di questi, entro quindici giorni. La responsabilità della banca per l'esecuzione degli incarichi: il caso dell'uso dei servizi elettronici e del pagamento degli assegni Particolarmente importante è poi il disposto dell'art. 1856 c.c., ove si prevede che la banca risponde secondo le regole del mandato per l'esecuzione d'incarichi ricevuti dal correntista o da altro cliente. Il secondo comma, poi, consente alla banca, se l'incarico deve eseguirsi in una piazza dove non esistono filiali, di incaricare dell'esecuzione un'altra banca o un suo corrispondente. Si tratta evidentemente di una deroga all'art. 1717, comma 1, c.c., che in punto di contratto di mandato contempla la responsabilità del mandante per l'operato della persona sostituita, qualora nell'esecuzione del mandato sostituisca altri a sé stesso senza esservi stato autorizzato o senza che ciò sia necessario per la natura dell'incarico. Il richiamo legislativo al contratto di mandato, oltre ad avvalorare l'importanza della componente gestoria insita nel conto corrente “bancario”, rende applicabile a tale contratto l'art. 1710 c.c., rubricato “diligenza del mandatario”. Tale norma stabilisce che il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, dunque secondo il parametro della diligenza generica richiesto dall'art. 1176, comma 1, c.c. per l'adempimento delle obbligazioni. Il legislatore ha, dunque, almeno astrattamente, individuato una forma di responsabilità della banca nei confronti del correntista corrispondente a quella comune a qualsiasi contraente, richiedendo pertanto un grado di diligenza non superiore a quello del bonus pater familias nell'esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto di conto corrente bancario. Tuttavia, ancora una volta l'elaborazione giurisprudenziale, in considerazione della particolare professionalità delle banche e del loro personale, dell'onerosità dei servizi da esse offerti, nonché della fiducia che i clienti ripongono in un siffatto soggetto, ha accolto un'interpretazione maggiormente rigorosa delle norme di legge. Esempi significativi di questa tendenza pretoria sono quello della responsabilità della banca per l'utilizzo dei servizi informatici e per il pagamento degli assegni. In merito alla prima tematica è noto che nell'attuale era della tecnologia l'utilizzo alla moneta contante ed i pagamenti cash vanno sempre più scomparendo, e ciò sia per esigenze privatistiche di celerità e sicurezza nei traffici economici, sia per motivi pubblicistici di lotta al riciclaggio ed a forme di ricchezza di genesi illecita. In questa scia si colloca il ricorso da parte dei clienti, sempre più frequente nella quotidianità, ai canali c.d. “multimediali”, che comprendono cioè l'utilizzo di strumenti quali il telefono e internet per impartire alla banca ordini di pagamento. In linea di principio si ritiene che la banca debba operare in questo caso non già con la diligenza generica del mandatario di cui all'art. 1856 c.c., bensì con la diligenza tecnica dell'”accorto banchiere” (così Trib. Verona 2 ottobre 2012; Trib. Firenze 20 maggio 2014) da un lato predisponendo, aggiornando e monitorando i sistemi informatici in modo tale da impedire la possibilità di truffe da parte di terzi, dall'altro verificando, in concreto, che l'ordine ad essa impartito con modalità informatiche, telematiche o telefoniche, sia effettivamente riconducibile alla volontà del cliente. Così la giurisprudenza (cfr. Trib. Asti 3 settembre 2012) ha stabilito che, in caso di utilizzo del servizio c.d. “home banking”, condizione necessaria e sufficiente perché possa configurarsi una responsabilità dell'Istituto di credito è che il cliente abbia rispettato le norme minimali di custodia e sicurezza delle credenziali per accedere al servizio. Pertanto, laddove il cliente agisca in giudizio invocando la tutela risarcitoria nei confronti della banca per l'illegittimo esborso di somme dovuto all'utilizzo da parte di terzi del servizio “home banking”, graverà sulla banca l'onere di dimostrare che il cliente abbia violato le norme di custodia delle credenziali di accesso oppure di aver adottato tutti gli accorgimenti tecnici idonei e necessari ad assicurare la sicurezza del correntista. Di contro, laddove, ad esempio, il cliente abbia lasciato incustodita la c.d. “chiavetta” su cui vengono generati i codici temporanei per accedere al suddetto servizio o, addirittura, la abbia consegnata a terzi, non sarà ravvisabile alcuna responsabilità della banca. Recentemente, la Corte di Cassazione Civile I, n. 2950/2017, confermando l'orientamento più rigoroso circa gli obblighi incombenti sugli Istituti di credito rispetto ad ordini di pagamento impartiti con sistemi informatici, ha stabilito che in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta peraltro anche interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Da ciò consegue che, anche prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 11/2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente. Dello stesso avviso è anche la Suprema Corte (Sez. VI), che valorizzando anche la natura intrinsecamente pericolosa dell'attività legata al servizio “home banking”, in quanto naturalmente esposta al rischio di commissione di reati (truffe come il phishing) ed attacchi da parte di terzi, con l'ordinanza n. 9158/2018 ha sancito: «Nel caso di operazioni effettuate con strumenti elettronici (home banking), spetta all'istituto di credito verificare la riconducibilità delle stesse alla volontà del cliente, impiegando la diligenza dell'“accorto banchiere”. L'eventuale uso dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi rientra nel rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure tecniche, volte a verificare la riferibilità delle operazioni suddette alla volontà del correntista. La banca non risponde del danno patito dal cliente, solo qualora dimostri che il fatto sia attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo». Altra ipotesi molto ricorrente nella prassi è quella in cui la banca effettui il pagamento di assegni bancari alterati, contraffatti o falsificati: in questo caso il problema che si è posto all'attenzione della giurisprudenza è quello di comprendere fino a che punto debbano spingersi i controlli e le verifiche che la banca è tenuta ad effettuare nel momento in cui provveda a pagare l'assegno a colui che si presenti come il legittimo titolare. In un primo momento la giurisprudenza, accogliendo un'interpretazione particolarmente rigorosa, ha ritenuto che la banca debba essere considerata sempre responsabile nei confronti del cliente con cui ha in essere una c.d. “convenzione di assegno” per il pagamento del titolo di credito a soggetto diverso da quello legittimato oppure nel caso in cui l'assegno sia stato contraffatto o falsificato. Ciò a meno che la banca convenuta nel giudizio risarcitorio non dimostrasse la sussistenza in concreto di situazioni particolari ascrivibili al correntisa (es. smarrimento o furto del carnet di assegni non denunciato). Più di recente è prevalso invece un orientamento (cfr, Cass. III, n. 6513/2014) che ha temperato il rigore dell'originaria interpretazione, ponendo al centro di qualsiasi valutazione non già un criterio astratto ed aprioristico che vede, di fatto, la banca soggetta ad una sorta di responsabilità “di posizione”; ma che impone all'interprete di vagliare, in concreto e con metodo casistico, tenuto conto di tutte le circostanze e peculiarità del singolo caso, quale sia stata effettivamente la diligenza impiegata dall'Istituto di credito al momento del pagamento dell'assegno. Diligenza che, come noto, è quella professionale o tecnica di cui al secondo comma dell'art. 1176 c.c., come tale da valutare avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata. Così, ad esempio, la Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso in cui abbia avuto luogo il pagamento di assegni di conto corrente che il cliente assuma essere alterati o falsificati, la banca non può essere ritenuta sempre responsabile, dovendo di contro la sua diligenza (per tramite dei suoi funzionari ed impiegati) fermarsi alla verifica della corrispondenza delle firme di traenza rispetto allo specimen depositato dal correntista, secondo un raffronto delle sottoscrizioni immediato e meramente visivo. Pertanto laddove da un mero riscontro o controllo visivo non emerga immediatamente, ictu oculi, la diversità tra le sottoscrizioni, dovrà ritenersi che la banca abbia adempiuto adeguatamente il proprio obbligo di diligenza, non essendo tenuta ad ulteriori verifiche (anche con apparecchiature tecnologiche o chimiche) circa la falsità o alterazione delle firme, anche tenuto conto che gli impiegati non hanno di regola competenze in ambito grafologico. In buona sostanza, dunque, superando la precedente interpretazione pretoria particolarmente rigorosa e rigida nei confronti delle banche, la giurisprudenza attualmente ritiene che la banca non si liberi della propria responsabilità per aver pagato un assegno alterato, falsificato o contraffatto soltanto laddove, a fronte di una alterazione o falsificazione di immediata percezione, palmare, abbia comunque proceduto ad effettuare il pagamento. Non è invece considerato esigibile che la banca predisponga strumenti chimici, meccanici o che si doti di personale esperto in grafologia e falsità documentali, per cui l'assenza di tali cautele non potrà comportare la condanna dell'Istituto di credito che abbia eseguito il pagamento di un assegno falso. Rispetto a quella in oggetto si presenta invece diversa la problematica, da tempo al vaglio della giurisprudenza, che riguarda la responsabilità della banca per il pagamento di assegno munito della clausola c.d. “di non trasferibilità” in favore di persona del beneficiario. Il dubbio che si è posto all'attenzione degli interpreti è quello relativo alla natura giuridica, contrattuale o extracontrattuale, della responsabilità della banca in questi casi; aspetto, questo, non privo di rilevanza pratica, atteso che dal diverso inquadramento della suddetta responsabilità deriva l'applicazione di un differente regime giuridico, ed in particolare in punto di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (decennale in caso di responsabilità contrattuale e quinquennale in caso di responsabilità aquiliana) e rispetto al riparto dell'onere della prova, notevolmente più leggero per il cliente in caso di natura contrattuale, secondo l'interpretazione consolidata circa il riparto dell'onere della prova a far data dalla storica pronuncia n. 13533/2001 delle Sezioni Unite Civili. Profilo ancor più importante, poi, è quello riguardante la possibilità per chi invochi l'illegittimo o erroneo pagamento di assegno non trasferibile a soggetto diverso dall'effettivo intestatario, di avvalersi della disciplina della responsabilità contrattuale anche nei confronti della banca negoziatrice, con la quale non intrattiene nessun rapporto contrattuale, con un notevole alleggerimento dell'onere della prova, anche tenuto conto che l'Istituto di credito è tenuto alla diligenza dell'”accorto banchiere” ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. La questione in esame è scaturita dalla formulazione letterale dell'art. 43, comma 2, della c.d. “legge assegni” (r.d. n. 1736/1993), che stabilisce: “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso, risponde del pagamento”. Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente (ribadito da Cass. III, n. 10534/2015), cristallizzato nella sentenza n. 14712/2007 con cui la Cassazione intervenne a Sezioni Unite a comporre il contrasto di giurisprudenza relativo alla natura della responsabilità della banca nel pagamento di assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, questa forma di responsabilità ha natura contrattuale da “contatto sociale qualificato”, che ricorre ogni qualvolta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l'affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto. Secondo quest'impostazione la locuzione “colui che paga”, di cui all'art. 43, comma 2, della legge assegni, andava interpretata in un'accezione lata, risultando così applicabile non solo alla banca trattaria, ma anche a quella negoziatrice, che in concreto è l'unico soggetto effettivamente in grado di operare i controlli del caso sull'autenticità dell'assegno e sull'identità del soggetto che lo gira per l'incasso. Inoltre le Sezioni Unite hanno valorizzato l'argomento telelologico, evidenziando che le norme sulla circolazione ed il pagamento degli assegni non trasferibili, ancorché volte indirettamente a rafforzare l'interesse pubblico e generale alla corretta circolazione dei titoli di credito, mirano in via diretta alla protezione dei soggetti che sono in concreto interessati alla circolazione di quello specifico titolo. In effetti, ognuno di questi confida sul fatto che l'assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge prevede e la cui concreta esecuzione è rimessa ad un soggetto, il banchiere, dotato di specifica professionalità al riguardo. Da ciò dipende, da un lato, l'affidamento di tutti gli interessati alla corretta esecuzione dei compiti inerenti al servizio bancario, e dall'altro, la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che entrano in contatto con lui per avvalersi di quel servizio, qualora, al contrario, egli non dovesse rispettare le regole stabilite dalla legge al riguardo. Dalla natura contrattuale della responsabilità della banca deriva, dunque, un'attenuazione dell' “onus probandi” di chi assuma l'illegittimità o erroneità del pagamento dell'assegno non trasferibile, cui corrisponde la responsabilità della banca trattaria, salvo che questa dimostri di aver adempiuto ai propri obblighi con la diligenza professionale ad essa demandata dalla legge: diligenza che implica non solo l'obbligo di verificare l'identità di colui che materialmente presenta l'assegno non trasferibile per l'incasso e la corrispondenza tra le sue generalità e quelle risultanti dall'intestatario dell'assegno, ma anche il controllo sulla regolare continuità delle girate eventualmente apposte e delle firme in calce ad esse. Di recente, però, la Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile, con sentenza n. 10079/2016, discostandosi dall'orientamento consolidato, ha accolto la tesi della natura extracontrattuale della responsabilità della banca negoziatrice, sull'assunto per cui tra questa e chi invoca la tutela giurisdizionale non ricorre alcun rapporto di tipo contrattuale, con l'effetto di ritenere che in capo alla banca, non essendo questa tenuta alla diligenza del “bonus argentarius” incombe il solo obbligo di identificare il soggetto che presenta l'assegno al momento in cui questo viene presentato ai suoi sportelli, mentre la responsabilità per il controllo della regolare continuità delle girate e la verifica delle sottoscrizioni ad esse apposte grava solo sulla banca trattaria ai sensi degli artt. 11 e 38 della legge assegni (r.d. n. 1736/1933). La natura aquiliana della responsabilità della banca girataria non esclude, però secondo la Suprema Corte, la possibilità di una sua responsabilità in solido con quella della banca trattaria, laddove l'attore dimostri in giudizio che la sua condotta, dolosa o colposa, abbia causato o contribuito a causare il danno, consistente nel pagamento indebito di assegni a soggetto non legittimato ad incassarli. L'esistenza di un contrasto giurisprudenziale ha comportato (nuovamente) la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla natura giuridica della responsabilità della banca girataria nel pagamento di assegno non trasferibile a persona diversa da quella legittimata ad incassarlo. Le Sezioni Unite sono così intervenute a comporre il contrasto interpretativo con la sentenza n. 12477/2018, confermando l'orientamento tradizionale e, dunque, ribadendo la natura contrattuale della responsabilità in oggetto. Facendo in buona sostanza proprie le ragioni già espresse nel 2007 dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte nella sua composizione allargata ha confermato che, poiché la banca in virtù della sua posizione, delle funzioni da essa svolte e dei suoi poteri, su di essa incombe un obbligo istituzionale e professionale di protezione di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, dovendo garantire che il titolo di credito venga introdotto (e circoli) nel circuito bancario nel pieno rispetto delle regole legali che ne disciplinano la circolazione e l'incasso. Dalla particolare posizione che la banca riveste nell'ordinamento deriva la natura contrattuale della responsabilità della banca negoziatrice, perché, pur difettando qualsiasi rapporto negoziale tra chi si assuma danneggiato dalla condotta della banca girataria che paghi l'assegno ad un soggetto non legittimato, dagli obblighi di buona fede oggettiva che informano l'intero ordinamento ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. scaturisce una responsabilità dell'Istituto di credito negoziatore da “contatto sociale qualificato”. L'accoglimento della tesi della responsabilità da contatto sociale qualificato della banca girataria, dunque, riconducibile sotto l'alveo della responsabilità contrattuale di cui al combinato disposto degli articoli 1176, comma 2 e 1218 c.c., implica che, la banca negoziatrice che abbia pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore deve provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, in quanto operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve. Il valore probatorio degli estratti conto La disciplina degli estratti conto, per tali intendendosi quei prospetti riepilogativi delle movimentazioni di dare e avere annotate sul conto corrente bancario in un determinato periodo, è contenuta negli artt. 119 TUB e 1832 c.c. L'art. 119 del Testo Unico Bancario (d.lgs. n. 385/1993) stabilisce: “per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento”. L'art. 1832 c.c. prevede poi che “l'estratto conto trasmesso da un correntista all'altro si intende approvato, se non è contestato, nel termine pattuito o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze. L'approvazione del conto non preclude il diritto di impugnarlo per errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o duplicazioni. L'impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di ricezione, dell'estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura, che deve essere spedito per mezzo di raccomandata”. Dal tenore letterale delle norme appena esposte dovrebbe evincersi che l'estratto conto è dotato “ex lege” di una efficacia probatoria rinforzata, poiché la sua mancata contestazione da parte del correntista entro i brevi termini decadenziali di legge dovrebbe costituire la prova in sede giudiziaria sia dell'esistenza di un credito della banca, sia del suo ammontare. Di diverso avviso si è mostrata però la giurisprudenza prevalente (ex multisCass. VI, n. 17479/2017), secondo cui la mancata contestazione dell'estratto conto (e, dunque, dei dati in esso riportati) non preclude al correntista eventuali contestazioni aventi ad oggetto la validità e l'efficacia dei rapporti contrattuali sottesi ai prospetti riepilogativi. Vale a dire che gli estratti conto non contestati dimostrano l'esistenza storica e contabile degli accrediti e degli addebiti in essi indicati, ma non anche la validità ed efficacia dei contratti o dei rapporti da cui tali accrediti ed addebiti hanno avuto origine (che, altrimenti, risulterebbero inammissibilmente sanati): pertanto ben potrà il correntista eccepire, fornendone la prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., che le partite a debito riportate negli estratti conto (non contestati) scaturiscono in realtà da un contratto nullo ad esempio perché privo della forma o perché derivanti dal calcolo di interessi non pattuiti o addirittura usurari, oppure potrà provare di aver adempiuto il debito risultante dall'estratto conto. In giurisprudenza (cfr. Cass. I, 18 settembre 2008, n. 23807/2008) si ritiene poi che la contestazione degli estratti conto, perché sia validamente effettuata ai sensi degli artt. 119 TUB e 1832 c.c., debba essere specifica, dovendo appuntarsi sulle singole voci di dare ed avere ed indicando le causali della contestazione; non basta, invece, una generica affermazione del cliente che dichiari di non dover corrispondere nulla all'Istituto di credito. Inoltre una questione di particolare importanza che si manifesta di frequente nelle aule giudiziarie riguarda l'efficacia probatoria degli estratti conto, indipendentemente dalla sua approvazione (sia pure mediante non contestazione entro i termini decadenziali) per ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo. Il problema nasce perché l'art. 50 TUB (d.lgs. n. 385/1993) stabilisce che “la Banca d'Italia e le banche possono chiedere il decreto di ingiunzione previsto dall'art. 633 c.p.c. anche in base all'estratto conto certificato come conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido”. In virtù di tale norma, dunque, la banca “autocertifica” mediante il c.d. “salda-conto” l'esistenza, (verità) e l'ammontare del proprio credito (liquidità) al fine di ottenere l'emissione del decreto ingiuntivo. e la sua verità e liquidità. La questione che si è posta, dunque, è se questo particolare estratto conto, detto appunto “salda-conto”, possa avere piena efficacia probatoria non solo nell'ambito del procedimento monitorio (naturalmente connotato da una cognizione superficiale ed “inaudita altera parte”) ma anche nell'eventuale giudizio di opposizione intrapreso dal correntista-ingiunto. Sul punto l'orientamento dominante e consolidato della Corte di Cassazione, iniziato con la sentenza n. 6707/1994 delle Sezioni Unite ha sancito che la speciale efficacia probatoria che il legislatore attribuisce al salda-conto vale soltanto nel procedimento monitorio, mentre nel giudizio ordinario di opposizione la banca deve dimostrare l'esistenza ed il “quantum” del suo credito producendo tutti gli estratti conto non contestati dal cliente senza soluzione di continuità. Altra questione che ha investito i rapporti tra estratti conto e prova del credito della banca sul terreno processuale è quella relativa all'esatta perimetrazione del riparto degli oneri probatori in caso di azione di accertamento negativo del credito proposta dal correntista nei confronti della banca che risulti in base a tali prospetti creditrice; nonché nell'ipotesi, per vero frequentissima, in cui il correntista avanzi nei confronti della banca azione di ripetizione dell'indebito oggettivo, prospettando di aver corrisposto un importo maggiore rispetto a quello dovuto (ad esempio a titolo di interessi non pattuiti, di anatocismo o di usura). Orbene, appare evidente che in entrambi i casi l'attore-correntista postula la non debenza, da parte sua, di determinate somme a favore della banca, ragion per cui la pronuncia cui questi mira è di natura dichiarativa, con il giudice chiamato ad accertare, in negativo, l'inesistenza (o la minore consistenza) del saldo creditore. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, minoritario, l'onere di produrre in giudizio gli estratti conto relativi al rapporto (o ai rapporti) di conto corrente bancario in contestazione incombe sull'Istituto di credito convenuto, e ciò perché, in primo luogo, la natura “negativa” dell'azione di accertamento, con cui l'attore postula l'assenza del suo debito risultante dalla contabilità della banca, impone alla banca di dimostrare, “in positivo”, l'esistenza e l'ammontare del suo credito. In secondo luogo, poi, si ritiene che secondo il principio di vicinanza o riferibilità dell'onere della prova sancito dalla giurisprudenza fin dalla sentenza n. 13533/2001 delle Sezioni Unite Civili, risulterebbe più agevole per la banca produrre in giudizio gli estratti conto, considerato che è questa a redigerli ed inviarli periodicamente e, dunque, a conservarli. Di contrario avviso, però, è la giurisprudenza largamente maggioritaria (ex multisCass. I, n. 9201/2015), secondo cui il principio del riparto dell'onere della prova fotografato dall'art. 2697 c.c., in base al quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento .... ” non subisce alcuna deroga nel caso in cui l'azione giudiziaria abbia ad oggetto l'accertamento di fatti “negativi”, dal momento che producendo gli estratti conto il cliente ben può dimostrare di non dovere alla banca nulla o, comunque, meno di quanto risultante dagli estratti stessi. Né tantomeno, secondo quest'orientamento, assume rilevanza la necessità di tutelare maggiormente il cliente per la sua posizione contrattuale ed economica debole, o il principio di vicinanza o riferibilità dell'onere della prova; rispetto a quest'ultimo, infatti, si è osservato che il cliente riceve periodicamente dalla banca gli estratti conto e, inoltre, considerato che la banca è obbligata ai sensi dell'art. 119 TUB (d.lgs. n. 385/1993) a consegnare al cliente che ne faccia eventualmente richiesta tutta la documentazione relativa alle singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Nel caso in cui la banca non riscontri tale richiesta entro 90 giorni o non vi ottemperi, il cliente potrà esperire un'azione giudiziale volta ad ottenere la condanna della banca alla consegna dei documenti di cui ha chiesto la consegna, e ciò con il procedimento monitorio di ingiunzione, con il rito ordinario o sommario di cognizione, nonché con la richiesta dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. Pertanto il cliente che intenda proporre domanda di accertamento negativo del credito o di ripetizione dell'indebito nei confronti della banca è tenuto a conservare gli estratti conto ricevuti o, comunque, a procurarseli in via stragiudiziale mediante lo strumento legislativo di cui all'art. 119 TUB; è invece inammissibile l'eventuale richiesta di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c. o la richiesta di nomina di consulente tecnico d'ufficio “percipiente”, che cioè richieda alla banca convenuta la consegna degli estratti conto relativi ai rapporti contrattuali in contestazione, poiché diversamente opinando il C.T.U. assumerebbe un ruolo “esplorativo”, passando da ausiliario del giudice ad ausiliare “di parte”, con conseguente violazione del principio costituzionale di parità delle armi di cui all'art. 101 Cost. Da ciò consegue che laddove il correntista che proponga le domande giudiziali di cui sopra deve produrre tutti gli estratti conto relativi al rapporto oggetto di contestazione, senza soluzioni di continuità, a far data dal c.d. “saldo zero”. Quanto alla posizione della banca convenuta, qualora essa assuma un atteggiamento meramente “passivo”, limitandosi ad eccepire l'infondatezza dell'altrui domanda senza vantare alcuna pretesa, laddove vi sia stata la mancata produzione degli estratti conto da parte del cliente che agisce in giudizio – sempre però che li abbia ricevuti da parte della banca e non li abbia custoditi e non si sia adoperato stragiudizialmente per ottenerli ex art. 119 T.U.B. – la domanda attorea dovrà essere rigettata per difetto di prova. Nell'ipotesi in cui gli estratti conto prodotti dal correntista siano incompleti, con dei vuoti temporali, la giurisprudenza più recente (così App. Milano 5 gennaio 2017; Cass. I, n. 500/2017) ritiene che non possa applicarsi la regola del c.d. “saldo zero”, per la quale cioè si assume, in un'ottica di “favor debitoris” che il saldo contabile del conto contestato sia pari a zero alla data da cui parte l'estratto conto più vecchio prodotto in giudizio, dovendosi invece procedere al calcolo dei rapporti di dare-avere tra le parti a partire dal saldo risultante dal primo estratto conto disponibile. Qualora, invece, la banca convenuta in giudizio di accertamento negativo del suo credito oppure di ripetizione dell'indebito, intenda far valere le sue pretese creditorie proponendo domanda riconvenzionale allora, assumendo la veste formale e sostanziale di attore, dovrà anch'essa produrre tutti gli estratti conto concernenti i rapporti “sub iudice” a partire dal c.d. “saldo zero” per tutta la durata del rapporto di conto corrente e senza soluzioni di continuità. Lo “ius variandi” della banca L'art. 118 del Testo Unico Bancario regolamenta lo “ius variandi” della banca, per tale intendendosi quel diritto potestativo attribuito in via negoziale ad uno dei contraenti, che permette a questi di modificare unilateralmente le condizioni originarie dell'accordo nei contratti a tempo indeterminato, dandone comunicazione all'altra parte. L'art. 118 TUB stabilisce: “Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificatamente dal cliente la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo le modalità contenenti in modo evidenziato la formula “proposta di modifica unilaterale del contratto” con preavviso minimo di due mesi in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente ( ....). Le variazioni contrattuali per le quali non sono state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci se sfavorevoli per il cliente. Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisione di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente”. Lo “ius variandi” o “diritto di variare” costituisce un potere negoziale attribuito eccezionalmente ad una delle parti (solitamente quella contrattualmente ed economicamente più forte), che consente a quest'ultima di modificare il contenuto contrattuale in deroga al principio di immodificabilità unilaterale del contratto di cui all'art. 1372 c.c. L'ammissibilità dello “ius variandi” della banca ed il relativo esercizio sono stati però circondati da una serie di limiti, formali e sostanziali, da parte del legislatore, preoccupato dalla necessità di predisporre una disciplina volta a rafforzare la tutela del cliente, onde evitare abusi nei suoi confronti. Così la banca può avvalersi del diritto di variare le condizioni economico-contrattuali soltanto laddove tale diritto potestativo sia stato attribuito ad essa per effetto di una clausola contrattuale che deve essere approvata in modo specifico dal cliente, così che questi possa accettarla in modo consapevole e conoscerne le conseguenze; tuttavia la circostanza che tale clausola viene di norma predisposta unilateralmente dagli Istituti di credito in modo seriale nei contratti e, di fatto, imposta ai clienti, comporta che i clienti sottoscrivano sempre e a prescindere da una loro effettiva condivisione del contenuto la pattuizione che riconosce alla banca tale diritto di modifica unilaterale. Alla tutela solo formale consistente nella necessità di una specifica sottoscrizione della clausola in oggetto da parte del cliente si affiancano così delle limitazioni sostanziali all'esercizio del diritto potestativo di “ius variandi” della banca. Innanzitutto le modifiche unilaterali operate dalla banca non possono risolversi nell'introduzione di clausole mai previste nell'originaria regolamentazione convenzionale, ma soltanto nella variazione di tassi, prezzi e altre condizioni “già previste” dal contratto: ciò si desume dal raffronto letterale tra la formulazione dell'art. 118 TUB anteriore al d.lgs. n. 141/2010, ove si parlava de “le altre condizioni di contratto”, mentre la norma così come modificata utilizza l'espressione “già previste” che sta a specificare che le clausole possono essere soltanto mutate, ma mai introdotte unilateralmente “ex novo”. Con il d.l. n. 223/2006 poi conv. in l. n. 248/2006 (c.d. “Decreto Bersani”) ed il d.lgs. n. 141/2010 il legislatore ha modificato ulteriormente il disposto dell'art. 118 TUB, assoggettando il potere della banca di mutare in maniera unilaterale le condizioni contrattuali all'ulteriore limite della sussistenza di un “giustificato motivo”. Non è pertanto valida una modificazione unilaterale delle originarie condizioni patrimoniali ad nutum, cioè non sorretta da alcuna giustificazione, occorrendo di contro un “giustificato motivo”: sulla controversa nozione di questa locuzione è intervenuto il Ministero dello Sviluppo Economico, che ha chiarito che in tale espressione rientrano tutti quegli eventi che possono avere delle ripercussioni sul rapporto bancario. Questi accadimenti possono riguardare cioè la posizione del cliente, come ad esempio il suo grado di affidabilità nella prospettiva del “merito creditizio”. Al contrario si ritiene (così l'Arbitro Bancario e Finanziario con decisione n. 2419/2011) che non integri il “giustificato motivo” il richiamo generico a quelli che sono gli effetti prodotti dalla crisi economica e finanziaria. Inoltre il Ministero dello Sviluppo Economico ha precisato che la banca deve mettere il cliente a conoscenza in modo chiaro e preciso di quale sia il “giustificato motivo” che legittima la modifica unilaterale, così che in un'ottica di trasparenza dei rapporti bancari il cliente possa adeguatamente soppesare l'impianto motivazionale che sorregge l'esercizio del diritto potestativo da parte dell'Istituto di credito e, dunque, valutare adeguatamente se esercitare il diritto di recesso di pentimento oppure restare vincolato al contratto. L'articolo 118 TUB prevede poi, sempre a tutela del cliente, ulteriori limiti di tipo formale-procedurale: così la banca deve comunicare al cliente l'esercizio dello ius variandi con una comunicazione che rechi nell'intestazione la formula “proposta di modifica unilaterale del contratto” e con un preavviso di almeno due mesi (laddove prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 248/2006 era di un mese), con il cliente che, a fronte della variazione delle condizioni economico-contrattuali può a sua volta recedere gratuitamente entro due mesi dalla comunicazione o decidere di accettare tacitamente (cioè per effetto del mancato esercizio tempestivo del recesso di pentimento) le suddette modifiche. Quanto all'ambito applicativo della disposizione di cui all'art. 118 TUB, che nella sua formulazione originaria aveva ad oggetto soltanto i contratti a tempo indeterminato, essendo questi, per la loro caratteristica di essere privi di una scadenza predeterminata, suscettibili di risentire nel tempo di alcune vicende che possono indurre gli Istituti di credito a mutare le condizioni contrattuali, le modifiche recate dal d.lgs. n. 141/2010 hanno comportato che esso si applichi anche “negli altri contratti di durata” (tra cui secondo la Corte di Cassazione Civile possono rientrare i mutui) ancorché a tempo determinato, purché però la modifica non abbia ad oggetto i tassi d‘interesse. Per ciò che concerne le modalità di invio della comunicazione delle modifiche contrattuali da parte della banca, l'art. 118 TUB prevede che questa possa essere fatta sia con forma scritta sia mediante ricorso ad altro supporto durevole, purché preventivamente accettato dal cliente (ad es. sul servizio di banca online). Infine, i commi 3 e 4 dell'art. 118 TUB fissano due regole evidentemente ispirate alla logica del favor per il cliente: così il terzo comma della norma in esame colpisce con l'inefficacia le variazioni contrattuali per cui non siano state osservate le prescrizioni (formali e sostanziali) di cui ai commi precedenti, soltanto se queste sono sfavorevoli per il cliente. Da una lettura a contrario della norma si evince dunque che laddove le modifiche contrattuali, ancorché non rispettose dei limiti legali, siano più favorevoli per il cliente, queste saranno comunque efficaci, atteso che non risulta frustrata la “ratio” di tutela del cliente. Il comma quarto dell'art. 118 TUB in un'ottica di equilibrio delle posizioni contrattuali delle parti prevede poi che le variazioni dei tassi d'interesse adottate dalla banca in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente. La regolamentazione convenzionale degli interessi tra autonomia privata e limiti legali: l'anatocismo bancario Un ruolo di primaria rilevanza nell'economia del contratto di conto corrente bancario – e, più in generale, dei contratti bancari – rivestono gli interessi. Essi costituiscono naturalmente frutti civili ed il costo che il cliente corrisponde alla banca come remunerazione (calcolata in percentuale) del denaro che questa gli mette a disposizione. Tuttavia la circostanza che nella prassi dei contratti bancari gli Istituti di credito predispongano quasi sempre clausole che prevedono interessi superiori a quelli legali, con notevoli rischi per l'esposizione debitoria del cliente e per l'effettiva comprensibilità per questo del costo del denaro, ha comportato la previsione da parte del legislatore di una serie di limiti legali all'autonomia privata in questo ambito. Gli interessi sono dovuti di regola per legge a titolo di corrispettivo (art. 1284 c.c.) o di risarcimento del danno forfetario (cioè moratori ex art. 1224 c.c.) e, in questo caso, sono definiti “legali”. Gli interessi si definiscono invece “convenzionali” quando sono dovuti per effetto di una pattuizione intercorsa tra le parti del rapporto. Le parti possono determinare in via convenzionale gli interessi in misura superiore a quella legale ex art. 1284, comma 3, c.c., purché la determinazione pattizia sia fatta per iscritto (altrimenti restano comunque dovuti nella misura legale). Il primo limite che il legislatore appronta per tutelare i clienti nella determinazione convenzionale degli interessi è, dunque, di natura formale: la forma scritta ad substantiam delle clausole che prevedono interessi superiori, in mancanza della quale l'eventuale pattuizione è invalida e, dunque, priva di efficacia. Da questa previsione legale è dipesa, ad esempio, la nullità delle clausole c.d. “uso piazza” predisposte dalle banche nei formulari contrattuali, cioè di quelle pattuizioni che determinavano l'ammontare degli interessi dovuti dal cliente in base al rinvio generico agli usi che gli Istituti di credito praticavano su piazza. La nullità di tali clausole si deve al contratto con l'art. 1346 c.c. perché il suo oggetto è indeterminato ed indeterminabile, e a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 385/1993 esse sono nulle anche per contrasto con l'articolo 117 TUB. Innanzitutto, quindi, il legislatore prevede un controllo di carattere formale sull'autonomia delle parti, richiedendo la forma scritta per la determinazione degli interessi in misura ultralegale, per ragioni di certezza sostanziale e per richiamare il contraente-debitore in ordine all'operazione che sta ponendo in essere. Ma i “paletti “che il legislatore pone alla regolazione convenzionale degli interessi non si arrestano a mere garanzie formali, prevedendo altresì dei limiti di ordine sostanziale: in quest'ultimo ambito rientrano il divieto di pattuire interessi in misura usuraria (peraltro punito anche penalmente ex art. 644 c.p.) ed i confini particolarmente stretti e rigidi della disciplina legale dell'anatocismo contenuta nell'art. 1283 c.c. Con il termine anatocismo si indica la produzione di interessi da parte di interessi scaduti, cioè da parte di interessi che sono venuti a scadenza e, dunque, sono esigibili da parte del creditore. Tradizionalmente si è ritenuto che l'anatocismo possa avere ad oggetto sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, ma deve rilevarsi che la disciplina attuativa di recente introdotta con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze quale presidente del CICR n. 343/2016 fa rientrare nel divieto di anatocismo bancario soltanto gli interessi corrispettivi e non anche quelli di mora. Si discute circa la possibilità di far rientrare sotto il divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c. anche le commissioni di massimo scoperto (C.M.S.). L'orientamento tradizionale della giurisprudenza (Trib. Nocera Inferiore 12 dicembre 2012) ritiene che il divieto di anatocismo non possa applicarsi alla C.M.S., atteso che essa ha una propria giustificazione causale, quale “remunerazione che la banca si riserva per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo impiego della somma” che la differenzia dagli interessi e, pertanto, impedisce di equiparlarle quoad legem. Più di recente la giurisprudenza (Trib. Roma 25 giugno 2013) ha ritenuto che il divieto di cui all'art. 1283 c.c. si applichi anche alla commissione di massimo scoperto, perché la sua giustificazione causale è analoga a quella degli interessi, dal momento che entrambi gli istituti svolgono la funzione di remunerare, sia pure per diversi motivi ed in diversa misura, la banca. Il fenomeno contabile e finanziario dell'anatocismo, che implica l'insorgere di interessi c.d. “composti” non va però confuso con quello della capitalizzazione in senso stretto, in cui gli interessi già maturati vengono automaticamente sommati al capitale, con la conseguenza che nel periodo successivo di computo degli interessi, questi si calcoleranno relativamente ad una somma costituita dalla misura originaria, aumentata da quella degli interessi prodotti, con conseguente aggravamento della posizione debitoria. Deve comunque evidenziarsi che la giurisprudenza utilizza i termini “anatocismo” e “capitalizzazione” come sinonimi. L'art. 1283 c.c. prevede una disciplina particolarmente rigorosa dell'istituto in esame, sancendo un divieto generale di anatocismo e, dunque, della produzione di interessi da parte degli interessi già scaduti, al fine di evitare che la produzione di interessi su interessi possa portare ad un progressivo aumento dell'esposizione debitoria del cliente e stabilendo, al comtempo, delle deroghe al divieto di natura eccezionale che, come tali, vanno interpretate restrittivamente. Tali deroghe sono costituite in primo luogo dall'anatocismo c.d. “legale”, che ha luogo nel caso in cui vi sia una domanda giudiziale del creditore, sempreché gli interessi siano già dovuti da almeno sei mesi, l'anatocismo convenzionale, per il caso in cui vi sia una convenzione scritta tra le parti e gli interessi siano dovuti da almeno sei mesi e, infine, l'anatocismo c.d. usuario, nel caso in cui vi siano usi contrari (da intendersi come le consuetudini o gli usi normativi di cui agli artt. 1 e 8 delle dispp. prell. c.c. e non quelli negoziali di cui all'articolo 1340 c.c.), a prescindere da qualsivoglia convenzione e/o dal fatto che gli interessi siano dovuti da un certo periodo di tempo. Per molti anni si è ritenuto in giurisprudenza (ex multisCass. III, n. 7571/1992) che tra questi “usi contrari” rientrassero quelli praticati dall'Associazione Bancaria Italiana nelle Norme Bancarie Uniformi cui la clientela si conformava, che prevedevano la capitalizzazione trimestrale per gli interessi c.d. “passivi” o a debito (dovuti cioè dai clienti-debitori) ed annuale per quelli c.d. “attivi” o a credito (dovuti cioè ai clienti-debitori). Si riteneva cioè che l'uso bancario configurasse un uso normativo contrario al divieto generale di anatocismo, tale da consentire l'anatocismo in virtù della mera capitalizzazione trimestrale: si parlava così di anatocismo c.d. “bancario”. Tale posizione, condivisa dal tradizionale orientamento giurisprudenziale, è stata sconfessata da diverse pronounce della Cassazione sul finire degli anni ‘90. Con la sentenza della Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile n. 2374/1999, le cose cambiarono: la Suprema Corte, infatti, operando uno storico mutamento giurisprudenziale, ritenne che le clausole dei contratti di conto correte bancario che, in ossequio alla prassi dell'anatocismo “bancario” prevedevano la c.d. capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori fossero nulle. La nuova interpretazione si basava su un ragionamento di tipo sillogistico, la cui premessa maggiore è espressa, appunto, dall'affermazione che gli “usi contrari”, in grado di derogare alla regola dell'art. 1283 c.c. che vieta in generale la produzione di interessi da parte degli interessi scaduti, non sono i meri usi negoziali di cui all'art. 1340 c.c., ma esclusivamente i veri e propri propri “usi normativi” di cui agli artt. 1 e 8 delle preleggi, consistenti nella ripetizione generale, uniforme e costante di un comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico. La premessa minore del ragionamento seguito dalla Cassazione Civile era rappresentata dalla circostanza che, secondo la comune esperienza emerge chiaramente come i clienti si sono nel tempo adeguati all'inserimento delle clausole anatocistiche non in quanto le ritenessero conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile esistessero nell'ordinamento, ma solo in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Quest'atteggiamento psicologico era dunque ben lontano dalla libera e spontanea adesione da parte dei cittadini ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio iuris ac necessitatis, essendo ciò chiaro a partire dal dato che queste clausole introducono un diverso – ed iniquo – trattamento tra gli interessi dovuti dalla banca e quelli dovuti dal cliente. Il révirement giurisprudenziale della Suprema Corte indusse quindi il legislatore ad intervenire con un'apposita disciplina per l'anatocismo bancario, fino a quel momento regolato solo dagli usi bancari. Così con l'introduzione dell'art. 25 d.lgs. n. 342/1999 fu modificato l'art. 120 T.U.B. (d.lgs. n. 385/93), prevedendosi per la prima volta l'ammissibilità della stipulazione di convenzioni anatocistiche in deroga all'art. 1283 c.c. “nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”; la novella normativa al secondo comma dell'art. 120 TUB demandava al CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio) la definizione di modalità e criteri per la produzione degli interessi su interessi, purché i periodi di capitalizzazione fossero identici per i rapporti bancari passivi ed attivi (ossia contro e a favore del correntista). In questo modo il legislatore introdusse una vera e propria sanatoria postuma, prevedendo che i contratti stipulati prima della data di adozione della delibera CICR fossero da ritenersi validi ed efficaci fino a tale data. Il CICR con la delibera del 9 febbraio 2000 diede attuazione alla delega legislativa, determinando i criteri per il computo degli interessi su interessi e differenziandoli in base alla diversa tipologia di contratti relativamente ai contratti che sarebbero stati conclusi a far data dal 22 aprile 2000. Tuttavia la Corte Costituzionale con la sentenza n. 425/2000 dichiarò l'illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 342/1999 per eccesso di delega. In questo modo la sanatoria legale introdotta con l'art. 25, comma 3 d.lgs. n. 342/1999 venne meno, riaprendo la strada alla possibilità per i correntisti di agire in giudizio per ottenere una sentenza che dichiarasse nulle le clausole contrattuali che prevedessero la capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti “a debito” con conseguente restituzione delle somme da essi indebitamente versati alle banche. Questa disciplina vigeva però soltanto per i contratti stipulati anteriormente al 22 aprile 2000 (secondo la disciplina attuativa adottata dal CICR) per i quali vigeva un divieto assoluto di anatocismo, mentre i contratti conclusi successivamente erano validi, purché rispettosi di tre requisiti: approvazione specifica da parte del cliente della clausola che preveda la produzione di interessi sugli interessi, il rispetto di alcuni di requisiti di trasparenza al fine di assiicuare l'effettiva consapevolezza del cliente in ordine alle condizioni economico-contrattuali (come sanciscono anche gli artt. 116 e 117, comma 6 TUB) ed il rispetto della pari periodicità della capitalizzazione degl interessi passivi ed attivi. Sulla questione dell'anatocismo bancario intervennero ancora le Sezioni Unite della Cassazione Civile con la sentenza n. 21095/2004, confermando la natura negoziale dell'uso di introdurre clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi “a debito” del cliente e la loro conseguente nullità, in mancanza di altra valida deroga ammessa dall'art. 1283 c.c. A fronte del vuoto normativo relativo ai contratti di conto corrente contenenti clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per i correntisti, il contenzioso nei confronti delle banche si sviluppava sempre di più. Ciò anche rispetto a quanto accaduto nel frattempo nell'interpretazione pretoria in merito all'esatta individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole anatocistiche, la cui decorrenza veniva da taluni fissata al momento della chiusura del rapporto bancario (spostando così in avanti il momento di decorrenza della prescrizione), da altri veniva invece determinata a partire dalle singole operazioni di riscossione degli interessi anatocistici illegittimi, ovvero dalle singole rimesse e pagamenti in conto corrente effettuati in costanza di rapporto (con conseguente arretramento del dies a quo di decorrenza della prescrizione). Si rese dunque necessario l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione Civile che in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di ripetizione di interessi indebitamente pagati dal correntista, con la sentenza n. 24418/2010, stabilirono che esso dovesse essere fissato al momento della chiusura definitiva del conto corrente e non invece delle singole annotazioni di debito o credito; infatti, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, soltanto la chiusura dello stesso determina di regola l'attualizzazione dei rapporti di credito-debito intercorrenti tra banca e cliente, con l'effetto che è solo a partire da questo momento che può concretizzarsi tecnicamente un vero e proprio “pagamento” a carattere solutorio, giuridicamente valido ed efficace, di cui è possibile chiederne eventualmente la restituzione. Le singole rimesse (ovvero i versamenti) effettuate in conto corrente bancario in costanza di rapporto hanno, infatti, natura semplicemente ripristinatoria della provvista messa dalla banca a disposizione del cliente, per cui esse non consistono tecnicamente in “pagamenti”, suscettibili di essere ripetuti ove non dovuti. Per le Sezioni Unite l'unica eccezione a questa regola è rappresentata dal caso in cui vi fosse la prova che in costanza di rapporto i versamenti effettuati dal cliente sul conto corrente non avessero natura ripristinatoria, bensì solutoria, consistendo in quest'ultimo caso in autentici pagamenti e, dunque, adempimenti di un debito: ciò accade, secondo le Sezioni Unite, nel caso in cui si accerti l'assenza di un'apertura di credito a favore del correntista (nel qual caso con ogni evidenza nessuna provvista di liquidità può essere ripristinata, in tutto o in parte) o quando il fido concesso venga utilizzato oltre i suoi limiti. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite ebbe come effetto quello di favorire i clienti, i quali non rischiavano in sede giudiziaria di incorrere in un rigetto della loro domanda di ripetizione per effetto dell'intervenuta prescrizione. Inoltre l'accoglimento di questa ricostruzione interpretativa diede la stura ad un sensibile aumento del contenzioso nei confronti delle banche che condusse il legislatore ad introdurre l'art. 2, comma 61, d.l. n. 225/2010, poi convertito con la l n. 10/2011 (c.d. “salva-banche”), con cui stabilì che in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa (legge di interpretazione autentica). In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Anche questa norma fu dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 78/2012 per violazione dell'art. 3 della Costituzione quale canone di ragionevolezza, essendo questa intervenuta a fornire un'interpretazione autentica sull'art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, considerato che in giurisprudenza (eccettuato un minoritario indirizzo) si era ormai formato un orientamento consolidato che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del termine prescrizionale. La disposizione introdotta nel 2011, inoltre, secondo la Corte Costituzionale violava anche il diritto inviolabile di difesa di cui all'art. 24 Costituzione: “l'efficacia retroattiva della deroga al divieto di anatocismo rende asimmetrico il rapport contrattuale di conto corrente, perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l'arco temporale disponibile per l'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico dell'entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente addebitate”. Dopo l'intervento delle Sezioni Unite del 2010 e la declaratoria di incostituzionalità della legge c.d. “salva-banche” del 2011 ad opera della Corte Costituzionale lo scenario normativo è rimasto per qualche tempo invariato. Una grossa novità si è avuta soltanto con la legge n. 147/2013 (c.d. “legge di stabilità per il 2014”) che all'art. 1, comma 629, intervenne a modificare in maniera significativa la disciplina dell'anatocismo bancario, novellando l'art. 120, comma 2 ,TUB. L'art. 120, comma 2, così come modificato dalla legge di stabilità di cui sopra a far data dal 1° gennaio 2014 stabiliva: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Il significato della nuova formulazione dell'art. 120, comma 2, TUB, specie relativamente alla lettera b) appariva però poco chiaro e, secondo i primi commentatori, avrebbe dovuto decretare la fine dell'anatocismo bancario, come emergeva chiaramente dai lavori preparatori alla legge stessa: lo scopo della nuova disposizione appariva essere quello di vietare che gli interessi, una volta capitalizzati, potessero produrre ulteriori interessi. Secondo un'altra interpretazione, invece, il legislatore aveva voluto utilizzare la parola “capitalizzare” nel senso di “contabilizzare”, “computare”: per cui la nuova disposizione normativa avrebbe avuto l'effetto non già di impedire radicalmente l'anatocismo bancario, quanto piuttosto di impedire che gli interessi scaduti venissero aggiunti al capitale per il calcolo degli interessi dovuti successivamente, dovendo questi essere conteggiati separatamente. Inoltre il tenore della norma, laddove si riferiva agli interessi “periodicamente conteggiati” sembrava evocare, secondo un'impostazione restrittiva, soltanto l'ambito dei contratti di conto corrente bancario ove vi è una quantificazione periodica degli interessi attivi e passivi. Per un'altra ricostruzione, più ampia, la novella normativa avrebbe dovuto applicarsi a tutti i contratti bancari, atteso che né dai lavori preparatori né dal dato letterale della norma si evincono elementi di segno contrario. Il problema maggiore che poneva la nuova formulazione dell'art. 120, comma 2, TUB laddove richiedeva al CICR di fissare “modalità e criteri di produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria” era però quello della sua efficacia: vale a dire che gli interpreti si affaticarono per capire se la disposizione si applicasse immediatamente o in un momento successivo. Un primo orientamento (Trib. Bologna 9 dicembre 2015; Trib. Torino 16 giugno 2015) optò per la tesi dell'efficacia differita della norma, evidenziando che questa era sostanzialmente priva di qualsiasi efficacia precettiva, dovendo di contro essere necessairamente attuata dalla delibera del CICR, non ancora adottata. Per un altro filone emeneutico (Trib. Milano 25 maggio 2015; Arbitro Bancario Finanziario, Coll. Coord., n. 7854/2015), invece, il nuovo art. 120 T.U.B. era destinato ad operare immediatamente, considerato che tale norma era già munita di tutti gli elemento costitutivi tipici delle norme e, pertanto, le banche già dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge di stabilità per il 2014) non avrebbero più potuto stipulare validamente clausole anatocistiche. Non era stata ancora formalmente adottata la nuova delibera attuativa del disposto dell'art. 120 TUB da parte del CICR che il legislatore intervenne nuovamente su questa norma, con l'articolo 17-bis del d.l. n. 18/2016 introdotto con la legge di conversione n. 49/2016. Questa nuova norma da un lato ha confermato l'abolizione dell'anatocismo e dall'altro ha stabilito maggiori limiti per la disciplina attuativa che il CICR avrebbe dovuto emanare per regolare la “produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”. Quanto alla volontà legislativa di porre fine all'anatocismo bancario, la novella del 2016, fugando ogni dubbio rispetto alla formulazione ambigua dell'art. 120 T.U.B. dovuta alle modifiche del 2014, ha preso nettamente posizione sul punto, stabilendo che “gli interessi debitori ( ....) non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. La disciplina dell'anatocismo bancario così come risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 18/2016 è stata poi integrata dalle norme attuative adottate dal Ministro dell'Economia e delle Finanze quale presidente del CICR con il decreto n. 343/2016. Questo decreto ha individuato il 30 settembre 2016 come termine ultimo per adeguare i contratti bancari alla disciplina sopravvenuta. Il decreto del 3 agosto 2016 individua l'ambito applicativo oggettivo della nuova disciplina dell'anatocismo bancario, stabilendo da una parte che essa si applica al contratto di conto corrente bancario ed ai conti di pagamento (così come defniti dall'art. 1, comm 1, lett. l) d.lgs. n. 11/2010), dall'altra che essa non riguarda gli interessi moratori, soggetti alle norme del codice civile. La nuova delibera CICR conferma integralmente il principio fondamentale della pari periodicità nel calcolo degli interessi attivi e passivi, cui aggiunge per la prima volta la regola della loro cadenza almeno annuale che, quindi, non può mai essere inferiore. La data di calcolo degli interessi viene legislativamente fissata al 31 dicembre di ogni anno anche se il contratto è stato stipulato nel corso dell'anno. Con l'obiettivo di evitare possibili aggiramenti del divieto di anatocismo con conseguente aggravamento della posizione debitoria del correntista, la delibera CICR del 2016 sancisce che “gli interessi debitori maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale”; tale divieto di computo degli interessi maturati insieme alla sorte capitale è destinato ad operare anche oltre la chiusura del rapporto, dal momento che ora il saldo finale può produrre interessi a carico del cliente solo nella misura della quota capitale, mentre gli interessi dovuti a quella data non possono generare ulteriori interessi. Gli interessi “a debito” non scadono al momento del loro conteggio – cioè il 31 dicembre di ogni anno – bensì il 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati (o, eventualmente, alla data di chiusura del rapporto); essi divengono esigibili solo quando è trascorso il termine di 30 giorni dalla data di ricevimento dell'estratto conto periodico, cioè da quando il cliente ne ha avuto conoscenza. Il decreto del CICR n. 343/2016 prevede tre modalità con cui il cliente può pagare il proprio debito: se ha le risorse necessarie può effettuare un versamento in contanti o un bonifico da un altro conto oppure può, mediante pattuizione contrattuale, stabilirsi che quando gli interessi diventano esigibili le somme confluite sul suo conto siano utilizzate per estinguere il debito. Infine, nel caso in cui non abbia le risorse necessarie ad onorare il proprio debito, il cliente può autorizzare (con autorizzazione sempre revocabile fino al momento dell'addebito), anche in via preventiva, l'addebito degli interessi sul conto ed in tale caso la somma addebitata è considerata sorte capitale (come tale suscettibile di produrre ulteriori interessi, in deroga al divieto generale di anatocismo bancario). L'intervenuta adozione della disciplina attuativa di cui all'art. 120 TUB da parte del CICR non ha però eliminato ogni dubbio di carattere applicativo, ponendosi in particolare all'attenzione degli interpreti il problema della disciplina applicabile “ratione temporis” ai contratti conclusi tra il 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge di stabilità per il 2014 che ha modificato l'art. 120, comma 2 TUB) ed il 30 settembre 2016 (data ultima individuata dalla delibera CICR n. 343/2016 per l'adeguamento dei contratti alla nuova regolamentazione). La soluzione del problema passa dall'individuazione di quale sia l'efficacia della disciplina entrata in vigore il 1° gennaio 2014: con maggiore impegno esplicativo, laddove si accolga la tesi dell'efficacia immediatamente precettiva del nuovo art. 120 TUB, allora ai contratti conclusi medio tempore tra il 1° gennaio 2014 ed il 30 settembre 2016 si applicherà la disciplina introdotta dal legislatore con l'art. 1, comma 629 l. n. 147/2013. Qualora, invece, si acceda alla tesi della natura solo programmatica del disposto dell'art. 120 TUB come novellato nel 2014, allora i contratti stipulati tra il 1° gennaio 2014 ed il 30 settembre 2016 saranno regolati dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000. Quest'ultima interpretazione appare, ad oggi, maggiormente condivisibile, attese le criticità relative alla formulazione dell'art. 120, comma 2, TUB così come modificato dalla legge di stabilità per il 2014, che non consentono di ritenere tale norma immediatamente applicativa, come del resto dimostra il fatto che il legislatore sia intervenuto su questa materia dopo breve tempo, ovvero nel 2016. Ad ogni modo ciò che emerge dalla disamina finora svolta del complesso e tortuoso percorso che l'istituto dell'anatocismo bancario ha attraversato nella giurisprudenza e negli interventi normativi – sia legislativi che di fonti secondarie come le delibere CICR – è che allorquando l'interprete si trova al cospetto di controversie aventi ad oggetto i contratti bancari, ed in particolare quelli di conto corrente bancario, deve prestare grande attenzione alle date di conclusione dei contratti stessi ed alla disciplina (primaria e secondaria) ratione temporis ad essi di volta in volta applicabile. Così, in via di estrema sintesi, può dirsi che i contratti di conto corrente bancario stipulati anteriormente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000) sono affetti da nullità parziale per quanto riguarda le clausole che prevedono la capitalizzazione di interessi anatocistici “passivi” a scadenza trimestrale ed “attivi” con periodicità annuale, atteso che per questo periodo vigeva il divieto assoluto di anatocismo bancario in forza dell'art. 1283 c.c. Relativamente ai contratti conclusi dal 22 aprile 2000, data di entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000 che, attuando il disposto dell'art. 120 T.U.B., ammetteva la validità delle clausole che prevedevano l'anatocismo bancario purché queste rispettose della regola della pari periodicità di capitalizzazione degli interessi sugli interessi, deve invece ritenersi che i contratti di conto corrente bancario saranno validi anche per le clausole che prevedono l'anatocismo bancario, purché redatte per iscritto e con la statuizione della medesima periodicità di capitalizzazione per gli interessi tanto “a debito” quanto “a credito”. Tale disciplina, inoltre, laddove si accolga la tesi dell'efficacia non immediatamente precettiva dell'art. 120, comma 2, TUB così come modificato dall'art. 1, comma 629, l. n. 147/2013, opererà anche per i contratti conclusi fino al 30 settembre 2016, cioè il termine ultimo fissato dalla delibera CICR del 3 agosto 2016 per l'adeguamento dei contratti alle nuove regole attuative da essa adottate. Qualora si ritenga invece che la novella normativa di cui alla legge di stabilità per il 2014 (l. n. 147/2013) abbia efficacia immediatamente precettiva, le regole contenute nella delibera CICR del 9 febbraio del 2000 si applicheranno ai contratti di conto corrente bancario conclusi tra il 9 febbraio 2000 ed il 1° gennaio 2014. Per quanto riguarda i contratti stipulati tra il 1° gennaio 2014 e l'8 aprile 2016 (data di entrata in vigore dell'art. 17-bis del d.l. n. 18/2016, introdotto con la legge di conversione n. 49 che ha modificato nuovamente l'art. 120, comma 2 TUB dell'8 aprile 2016), vale il discorso di cui sopra: se si accoglie la tesi dell'efficacia immediata della l. n. 147/2013, allora questi saranno regolati dalla disciplina da questa introdotta, altrimenti saranno assoggettati alle regole contenute nella delibera CICR del 9 febbraio 2000. Quanto ai contratti conclusi dall'8 aprile 2016, essi saranno soggetti alla nuova formulazione dell'art. 120 TUB così come risultante dalle modifiche ad esso apportate dall'art. 17-bis del d.l. n. 18/2016, introdotto con la legge di conversione n. 49. Il riparto dell'onere della prova della intervenuta prescrizione nelle azioni di ripetizione dell'indebito proposte contro la banca Si è visto in precedenza come, a far data dalla pronuncia n. 24410/ 2010 delle Sezioni Unite Civili la giurisprudenza si sia assestata (di recente Cass. I, n. 28819/2017) nel ritenere che nel rapporto di conto corrente bancario il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2947 c.c. per l'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito proposta dal cliente per aver corrisposto interessi anatocistici o, comunque, non dovuti decorre normalmente dalla chiusura del rapporto di conto corrente bancario. Tale contratto, infatti, in quanto destinato funzionalmente a regolare in modo unitario i rapporti di dare-avere tra la banca ed il correntista, non può che avere un esito unitario, che si verifica con la sua chiusura, momento in cui si attualizzano e divengono definitivi i reciproci rapporti di credito e debito. Non è invece soggetta ad alcun termine di prescrizione l'azione volta ad ottenere una sentenza che accerti e dichiara la nullità delle clausole che prevedono l'anatocismo, dal momento che l'art. 1422 c.c. sancisce l'imprescrittibilità di tale azione. Da ciò consegue che il termine di dieci anni entro cui si prescrive il diritto di credito del correntista per ottenere la restituzione di pagamenti effettuati in costanza del rapporto di conto corrente inizierà di regola a correre dalla sua chiusura; ciò a meno che, in concreto, durante la vigenza del contratto di conto corrente bancario il cliente non abbia effettuato delle rimesse (ovvero dei versamenti) aventi natura strettamente “solutoria”, che integrano cioè dei pagamenti che, in quanto privi di una “causa debendi”, legittimano immediatamente l'esercizio dell'azione di ripetizione nei confronti della banca. Se la giurisprudenza è chiara nell'individuare il momento da cui decorre il termine di prescrizione per esercitare l'azione di ripetizione, nella prassi l'interprete si imbatte di frequente nel problema di comprendere su chi gravi l'onere di provare i fatti costitutivi dell'intervenuta prescrizione. Con maggiore impegno esplicativo, occorre individuare se, nel caso in cui sia stata proposta dal cliente l'azione di ripetizione dell'indebito nei confronti della banca, quest'ultima eccepisca l'infondatezza della domanda attorea per intervenuta prescrizione del diritto di credito del correntista, sia l'attore oppure l'Istituto di credito a dover fornire la prova della prescrizione. Secondo un primo orientamento, invero minoritario (Trib. Torino n. 3595/2016; Cass. VI, n. 18581/2017), nell'ipotesi in cui in un giudizio di ripetizione di indebito la banca eccepisca l'intervenuta prescrizione del conto corrente assistito da apertura di credito, il correntista attore deve fornire la prova che tali versamenti abbiano carattere ripristinatorio e non solutorio, comportanti addebito di interessi passivi ed illegittima capitalizzazione degli interessi: in mancanza di questa prova la domanda deve considerarsi prescritta. Sul punto la Suprema Corte ha così affermato: “d'altro canto, ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione non si richiede che il correntista specifichi una ad una le rimesse, da lui eseguite, che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti a norma dell'art. 2033 c.c. Non si vede, in conseguenza, perché debba essere la banca che eccepisca la prescrizione ad essere gravata dell'onere di indicare i detti versamenti solutori (su cui la detta prescrizione possa, poi, in concreto operare)“. In base a tale impostazione, dunque, l'eccezione di prescrizione ritualmente sollevata con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata è da ritenersi valida ancorché “generica”, cioè anche laddove la banca si limiti “genericamente” ad allegare che il diritto di credito del correntista alla restituzione delle somme versate si è prescritto, senza provare ed indicare specificamente le singole rimesse che avrebbero natura solutoria e, dunque, rispetto alle quali il dies a quo prescrizionale decorrerebbe da un momento più risalente rispetto a quello della chiusura del conto. Tale impostazione non è però seguita dalla giurisprudenza prevalente (Cass. I, n. 4518/2014; Cass. I, ord. n. 28819/2017), secondo la quale, in ossequio al principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697, comma 2 c.c. in base al quale “chi eccepisce ( ....) che il diritto si è ( ....) estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda” incombe sulla banca convenuta che eccepisca tempestivamente l'intervenuta prescrizione del credito vantato dall'attore di provare in modo specifico e puntuale che le rimesse effettuare dal correntista sul conto corrente in costanza di rapporto fossero solutorie e non ripristinatorie. Seguendo quest'interpretazione, dunque, la giurisprudenza ritiene irritualmente proposta l'eccezione di prescrizione “generica” sollevata dalla banca che, limitandosi a chiedere il rigetto della domanda di parte attrice per intervenuta prescrizione, non indichi analiticamente le singole rimesse che abbiano natura solutoria e, dunque, rispetto alle quali il dies a quo della prescrizione arretra cronologicamente rispetto al momento della chiusura del conto. La banca, ad ogni modo, potrà dimostrare in modo più agevole la natura solutoria dei versamenti effettuati dal correntista in costanza di rapporto provando che il contratto di conto corrente bancario con saldo negativo non era assistito da alcuna apertura di credito (e, dunque, che ogni versamento del cliente era volto a rientrare del debito) oppure che, pur in presenza di un “fido”, il cliente abbia sconfinato oltre il limite massimo di accordato. In tempi più recenti, (Cass. I, n. 4518/2014; Cass. II, n. 20222/2018) poi, si va anche affermando l'ulteriore principio per cui nei rapporti di conto corrente bancario vige una presunzione relativa della natura ripristinatoria dei versamenti eseguiti in costanza di rapporto, poiché il rapporto di conto corrente è fisiologicamente un contratto di durata e non si esaurisce in un'unica operazione. Per la Suprema Corte, dunque, di fronte a questa presunzione sia pure solo iuris tantum incombe sulla banca convenuta allegare e provare che i versamenti, naturaliter connotati da una funzione ripristinatoria, abbiano avuto una diversa finalità rispetto a quella normale, e cioè che essi siano solutori. A fronte di questo dibattito giurisprudenziale la Prima Sezione della Corte di Cassazione con l'ordinanza interlocutoria n. 27680 del 30 Ottobre 2018, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando l'esistenza di un contrasto interpretativo in ordine alla questione relativa alle modalità con le quali deve essere formulata, per essere ammissibile, l'eccezione di prescrizione da parte della banca. Sul punto le Sezioni Unite con la sentenza n. 15896 del 2019 hanno risolto la “quaestio iuris” sottoposta al loro vaglio, richiamando la sentenza n. 24410 del 2010 delle Sezioni Unite, ripercorrendone i punti salienti e dichiarando espressamente di dover confermare la soluzione elaborata in quella sede, per ragioni di coerenza sistematica, in relazione alla revocatoria di rimesse bancarie ad opera del correntista poi fallito ex art. 67 della Legge Fallimentare nel testo antecedente alla formulazione dal D.L. n. 35/2005. Le Sezioni Unite evidenziano che il problema dell’onere della prova non si pone per quello incombente sul cliente che agisca in giudizio proponendo azione di accertamento negativo del credito e condanna alla ripetizione dell’indebito, evidenziando sul quale per la giurisprudenza consolidata non incombe l’onere di indicare – tantomeno in modo specifico – i versamenti effettuati e di specificarne la natura (“solutoria” o “ripristinatoria”), trattandosi di un fatto “negativo”, estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto azionato. Il problema dell’onere della prova si pone invece per quello incombente sulla Banca, convenuta in giudizio di accertamento negativo del credito e condanna alla ripetizione dell’indebito, che eccepisca la intervenuta prescrizione del diritto del cliente alla restituzione di somme indebitamente versate. Le Sezioni Unite passano quindi ad esporre le le tre tesi (quelle “estreme” dell’eccezione di prescrizione c.d. “generica” e “specifica” e quella “mediana” dell’eccezione “specifica ma attenuata”): “Per la composizione del contrasto, il Collegio ritiene opportuno ricordare che, in generale, la nozione di allegazione "in senso proprio", che è quella che qui rileva, si identifica con l'affermazione dei fatti processualmente rilevanti, posti a base dell'azione o dell'eccezione: essa individua i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi dei diritti fatti valere in giudizio, sinteticamente definiti come fatti principali (per distinguerli dai c.d. fatti secondari, dedotti in funzione di prova di quelli principali). E', poi, necessario precisare che non rientra nell'ambito dell'onere di allegazione la qualificazione dei fatti allegati, che costituisce, invece, attività riservata al giudice, che, nel provvedere al riguardo, non è vincolato da quella eventualmente offerta dalle parti”. Ed ancora: “L'art. 163 c.p.c., n. 4, impone all'attore l'allegazione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, e ne sanziona con la nullità, ex art. 164 c.p.c., comma 4, l'omessa esposizione”; “L'onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di eccezioni in senso stretto, o eccezioni in senso lato: nel primo caso, i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, possono esser introdotti nel processo solo dalla parte, mentre nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell'Ufficio”. Per le Sezioni Unite, “E', quindi, necessario rimarcare che, pur nella loro indiscutibile connessione, l'onere di allegazione è concettualmente distinto dall'onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell'eccezione, costituisce per il giudice regola di definizione del processo. Non è ozioso, infatti, rilevare che l'aver assolto all'onere di allegazione non significa avere proposto una domanda o un'eccezione fondata, in quanto l'allegazione deve, poi, esser provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono, infine, esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice”. Dunque, richiamando il precedente della sentenza n. 10955 del 2002 con cui le Sezioni Unite (questione relativa alla questione della configurabilità in capo al Giudice del potere ufficioso di rilevare l’intervenuta prescrizione in base ad un altro titolo o norma, sempre che essa sia stata tempestivamente eccepita dalla parte) avevano chiarito che il relativo elemento costitutivo è rappresentato dall'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di detta inerzia, necessaria per il verificarsi dell'effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l'identificazione del diritto e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Pertanto, la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo (dell’inerzia rispetto all’esercizio del diritto) e di manifestare la volontà di profittare di quell'effetto, e non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell'inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l'identificazione delle quali spetta al giudice. Del resto, proseguono le Sezioni Unite “...la giurisprudenza, che ha ritenuto necessaria l'indicazione delle rimesse solutorie, fa leva su di un argomento - e cioè la presunta natura ripristinatoria dei versamenti, secondo un andamento fisiologico del rapporto - che, riferendosi allo schema delle presunzioni, attiene al profilo probatorio (art. 2727 c.c. e segg.), che, come si è detto, va distinto dal profilo allegatorio, che è, appunto, quello rilevante ai fini dell'ammissibilità dell'eccezione”. L’impianto motivazionale seguito dalla Sezioni Unite, dunque, si basa su tre argomenti. Il primo consiste nella distinzione tra “onere di allegazione” (che individua il “thema decidendum”) ed “onere della prova” (che individua la fondatezza o infondatezza della domanda, secondo la regola di cui all’art. 2697 c.c.); il secondo è che il “fatto principale” su cui si basa la prescrizione è l’inerzia del titolare, che non esercita il diritto (che ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione occorre solo “allegare”, non “provare”). Il terzo è l’argomento della valorizzazione della simmetria che dalla giurisprudenza viene richiesta alle parti ai fini della validità della domanda di ripetizione e dell'ammissibilità dell'eccezione di prescrizione (in altri termini così come il correntista può limitarsi ad indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, così la Banca, dal canto suo, specularmente e simmetricamente, potrà limitarsi ad allegare l'inerzia dell'attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare). Le Sezioni Unite hanno quindi composto il contrasto ermeneutico sottoposto al loro vaglio nel senso che, ai fini della rituale e valida proposizione dell’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione di ripetizione di indebito del cliente è necessario e sufficiente che la Banca convenuta in giudizio alleghi l’intervenuto decorso del tempo utile alla estinzione del diritto, l’inerzia del titolare del diritto ad esercitarlo e la manifestazione di volontà di voler approfittare della prescrizione; non costituisce invece onere della Banca quello di indicare il “dies a quo” della prescrizione e, dunque, in buona sostanza, la natura “solutoria” o “ripristinatoria” delle rimesse. La Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite ha quindi accolto la tesi dell’eccezione “generica”, sancendo che "L'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l'indicazione di specifiche rimesse solutorie". A fronte di questa soluzione, però, il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicchè il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi alla luce del riparto dell'onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente. Dunque, perché l’eccezione di prescrizione possa ritenersi ritualmente sollevata dalla Banca ed ammissibile (quindi suscettibile di essere poi vagliata nel merito dal Giudice), occorre che la Banca convenuta l’abbia eccepita tempestivamente (cioè nel rispetto del termine di cui all’articolo 167, co. 2, c.p.c. o nell’atto di citazione in opposizione) e che questa si limiti a dedurre l’inerzia del titolare del diritto nell’esercitarlo e la volontà di volerne profittare (c.d. “onere di allegazione”). Laddove vi sia l’eccezione di prescrizione ritualmente sollevata, dunque, con un conto corrente assistito da apertura di credito, il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie (cioè di quelle che costituiscono tecnicamente “pagamenti”) – che, chiariscono le Sezioni Unite, non viene eliminato, ma solo “spostato” sul piano dell’onere della prova - impone al Giudice di valutare la fondatezza o infondatezza delle contrapposte tesi in base all’articolo 2697 c.c. ed al principio del riparto dell’onere della prova, anche mediante una consulenza tecnica d’ufficio a carattere percipiente, la quale dunque potrà accertare, in concreto, se le rimesse siano, appunto, ripristinatorie oppure solutorie (in assenza di affidamento oppure laddove sia stato superato il limite del fido). In questo senso, quindi, assumerà carattere decisivo la presenza oppure no di un contratto di affidamento, posto che secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. I, n. 12977/2018) “…in caso di conto non affidato, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente”. Profili fiscali La rilevanza dei conti correnti bancari è centrale ai fini dell'accertamento di maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente. Invero, l'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 pone una presunzione di reddito, a carico degli imprenditori, sia per i versamenti che per i prelevamenti se il contribuente non ne indica il beneficiario e purché non risulti dalle scritture contabili. Tale presunzione opera anche per i prelevamenti, che di norma costituiscono un costo ovvero un impiego di redditi, in quanto la norma richiamata assume, da un alto, che gli stessi siano stati utilizzati per effettuare un acquisto non contabilizzato, concernente l'attività di impresa e, da un altro, che al costo non contabilizzato corrisponda un ricavo anch'esso non contabilizzato. È incontroverso, almeno nella giurisprudenza di legittimità, che l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, che si presumono riferiti all'attività economica del contribuente, gli accrediti quali ricavi e gli addebiti quali corrispettivi versati per l'acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass. trib., n. 15857/2016). La presunzione collegata ai prelevamenti era stata estesa, modificando per le imposte sui redditi l'art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e per l'IVA l'art. 51 d.P.R. n. 633/1972, dall'articolo unico della l. n. 311/2004, commi dal 402 al 406, anche ai lavoratori autonomi. Tale novellazione normativa, tuttavia, è stata ritenuto costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale la quale ha sottolineato che è irragionevole presumere, anche per i lavoratori autonomi, che una somma prelevata sia stata utilizzata per l'acquisto di fattori produttivi che abbiano prodotto compensi non fatturati (Corte cost., n. 228/2014). A fronte della statuizione della Corte Costituzionale, secondo l'indirizzo, almeno dominante, della S.C. la presunzione legale posta dall'art. 32 d.P.R. n. 600/1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l'estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, l'equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti (Cass. sez. trib., n. 7951/2018). |