Contratto di comodato di bene immobileInquadramentoIl comodato è il contratto, essenzialmente gratuito, con cui una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire poi la stessa cosa ricevuta alla scadenza di un certo termine pattuito (c.d. “comodato a termine”) o a richiesta del comodante (c.d. “comodato precario”). In questa sede si esaminerà la fattispecie del comodato avente ad oggetto un bene immobile, analizzandone la struttura, la funzione e la disciplina. Formula
COMODATO D'USO GRATUITO DI BENE IMMOBILE Con il presente contratto, il/la Sig./Sig.ra/la società ...., nato/a/iscritta nel R.I. il .... a .... e residente/con sede legale in ...., alla ...., Codice Fiscale/P.IVA .... (di seguito Comodante) E Il/la Sig./Sig.ra/la società ...., nato/a/iscritta nel R.I. il .... a .... e residente/con sede legale in ...., alla ...., C.F./P.IVA .... (di seguito Comodatario) convengono e stipulano quanto segue: PREMESSO - che il Comodante è proprietario di un immobile sito in .... ( ....) alla ...., composto da .... vani; dati catastali: C.C. di ....,p.lla. ...., sub .... cat. catastale ...., rendita catastale .... - che il Comodante intende mettere a disposizione del Comodatario tale immobile consentendone l'utilizzo a titolo gratuito; - che il Comodatario lo prende in consegna alle seguenti condizioni: tuttò ciò premesso è da considerarsi parte integrante e sostanziale del presente atto; ART. 1 DURATA Il rapporto di comodato avrà durata per il seguente periodo di tempo: .... 1, fatta salva la facoltà per il Comodante di domandarne la restituzione prima della scadenza del termine di cui sopra ai sensi dell'art. 1809, comma 2 c.c., qualora sopraggiunga un suo urgente ed impreveduto bisogno.
Il rapporto di comodato avrà durata indeterminata 2, con inizio dal ....; il bene immobile dovrà essere restituito al Comodante ai sensi dell'art. 1810 c.c., a sua semplice richiesta, con preavviso di giorni .....”
ART. 2. OBBLIGHI DEL COMODANTE 2.1 Il Comodante sarà tenuto a rimborsare al Comodatario le spese straordinarie da questi sostenute per la conservazione dell'immobile soltanto se necessarie ed urgenti, ovvero se autorizzate. 2.2 Il Comodante è tenuto a risarcire al Comodatario i danni derivanti dai vizi dell'immobile di cui non abbia fornito avvertimento.
Il Comodante è esonerato espressamente dal Comodatario da ogni responsabilità per i danni diretti o indiretti che potessero derivagli dal fatto od omissioni di terzi .
ART. 3. OBBLIGHI DEL COMODATARIO 3.1 Il Comodatario non dovrà corrispondere al Comodante alcun corrispettivo per il godimento e l'uso del bene immobile. 3.2 Il Comodatario è tenuto a custodire il bene immobile con la diligenza del buon padre di famiglia. 3.3 È fatto divieto al Comodatario di servirsi del bene immobile per un uso diverso da quello determinato dal contratto o dalla natura del bene. 3.4 È fatto divieto al Comodatario di concedere il bene immobile in godimento a terzi senza il consenso del Comodante. 3.5 Il Comodatario sarà tenuto a restituire il bene immobile alla scadenza del termine di durata pattuito oppure allorquando se ne sia servito in conformità al presente contratto.
Il Comodatario sarà tenuto a restituire il bene immobile all'atto del ricevimento della richiesta di restituzione da parte del Comodante, salvo il rispetto del termine di preavviso da parte di quest'ultimo.
3.6 Il Comodatario sarà tenuto a sopportare le spese ordinarie sostenute per servirsi del bene immobile. 3.7 Il Comodatario sarà tenuto a sopportare le spese straordinarie sostenute per la conservazione del bene immobile, qualora non siano necessarie ed urgenti. ART. 4. SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO La variazione o il mutamento, anche parziale, della destinazione, come pure la concessione a terzi - a qualsiasi titolo - del godimento dell'immobile, determineranno automaticamente “ipso jure” la risoluzione del contratto. In ogni caso il Comodatario risponderà dei danni cagionati al comodante in conseguenza della violazione della presente clausola ai sensi degli artt. 1804 e 1805 c.c. ART. 5. MORTE DEL COMODATARIO In caso di morte del Comodatario il Comodante, ancorché sia stato convenuto un termine, potrà esigere dagli eredi l'immediata restituzione del bene immobile. ART. 6. DISCIPLINA DEL CONTRATTO Per tutto quanto non espressamente previsto dal presente contratto si rinvia alle norme del Codice Civile. ART. 7. STATO DELL'IMMOBILE - MIGLIORAMENTI Il Comodatario dichiara di aver visitato l'immobile e di averlo trovato in buono stato di manutenzione, esente da vizi e difetti che ne diminuiscano il godimento e si obbliga a restituirlo al termine del rapporto nello stesso stato, salvo il normale deperimento d'uso dovuto alla vetustà. Ogni aggiunta che non possa essere tolta senza danneggiare i locali ed ogni altra innovazione fatta dal comodatario, se non diversamente stabilito per iscritto, resterà a favore del Comodante al termine del rapporto, senza alcun compenso se non autorizzata. Nel caso in cui l'immobile venga restituito in condizioni diverse da quelle convenute, le spese per il ripristino saranno poste a carico del Comodatario. ART. 8. FORO COMPENTE Nel caso di controversia sulla interpretazione ed esecuzione del presente contratto, le parti determinato la competenza del foro ove è sito l'immobile.
Nel caso di controversia sulla interpretazione ed esecuzione del presente contratto, le parti determinato la competenza del foro di ..... ART. 9. OBBLIGHI FISCALI
Sono a carico del Comodatario l'imposta di bollo per il contratto e l'imposta di registro. Luogo e data .... Il Comodante .... Il Comodatario ....
[1] Le parti stipuleranno questa clausola nel caso in cui abbiano inteso concludere un comodato “a termine”. Sul punto è opportuno ricordare che per la giurisprudenza il comodato va qualificato come “a termine” non solo quando i contraenti abbiano individuato chiaramente il termine finale di scadenza, ma anche ogni qual volta questo termine sia desumibile “per relationem” dalla destinazione d'uso per cui il comodante ha concesso l'immobile in godimento. CommentoNozione e natura giuridica L'art. 1803 del c.c. definisce il comodato, detto comunemente “prestito d'uso”, come “il contratto col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”. Il comodato coinvolge due soggetti, il primo, detto “comodante”, che ha la disponibilità della cosa (mobile o immobile) e che la consegna ad un altro, il “comodatario”, affinché quest'ultimo se ne serva per un tempo determinato oppure per un uso determinato, con l'obbligo di restituirla al primo. L'obbligo del comodatario di restituire al comodante la medesima cosa ricevuta implica che esso possa avere ad oggetto esclusivamente cose infungibili che, dunque, nonostante l'utilizzo, non perdono la loro individualità. In questo modo si coglie la differenza tra il comodato ed il mutuo (c.d. “prestito di consumo”), che ha ad oggetto beni fungibili ed in cui il mutuatario deve restituire al mutuante non già la medesima cosa ricevuta, ma soltanto il “tantundem eiusdem generis ac condicionis”. Inoltre il fatto che il comodatario abbia diritto a servirsi della cosa prestatagli segna anche il “discrimen” con il contratto di deposito, ove il depositario non può servirsi delle cose che detiene, che deve soltanto custodire e restituire al depositante. Il comma 2 dell'art. 1803 c.c. specifica che il comodato è un contratto essenzialmente gratuito, in tal modo individuando un altro elemento caratterizzante di questo tipo contrattuale, che peraltro segna in chiaro modo la linea di confine con il contratto di locazione (di beni immobili e mobili), che ha natura onerosa, dovendo il conduttore versare un corrispettivo al locatore per avere il godimento del bene (art. 1571 c.c.). La natura gratuita del contratto di comodato implica ai sensi dell'art. 1371 c.c. sulle regole di interpretazione del contratto che questo, quando rimanga oscuro nel suo significato, deve essere inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato. In ordine alla gratuità del contratto di comodato la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire (“ex multis” Cass. III, n. 4912/1996) che “Perché il comodato non perda la sua natura essenzialmente gratuita, è necessario che l'interesse del comodante (che può ritenersi sempre immanente al contratto, quanto meno come intento di fare acquisire un'utilità al comodatario) non abbia di per sé contenuto patrimoniale, ovvero, pur avendolo, si tratti della prospettiva di un vantaggio indiretto e mediato, o, comunque, di un interesse secondario del concedente, il cui vantaggio non venga a trovarsi in rapporto di corrispettività con il beneficio concesso al comodatario”. L'interpretazione pretoria (cfr. Cass. III, n. 4976/1997) ha inoltre stabilito che il carattere essenzialmente gratuito del comodato non viene meno per effetto della apposizione di un modus, cioè di una prestazione accessoria posta a carico del comodatario, di consistenza tale da non poter integrare le caratteristiche di corrispettivo del godimento della “res”, come nel caso in cui venga stabilito, in relazione al godimento di un immobile, il versamento di una somma periodica, a carico del beneficiario, a titolo di rimborso spese, la cui entità lasci ragionevolmente escludere la dissimulazione di un sottostante contratto di locazione. In ordine alla possibilità di prevedere l'apposizione, a carico del comodatario, di un modus, è stato di recente chiarito dalla Suprema Corte (Cass. III, n. 1039/2019) non è, di per sé, incompatibile con il carattere gratuito del comodato; ciò, però, purché il modus non assuma, in concreto, una consistenza tale da non poter rappresentare un corrispettivo del godimento del bene. La ontologica gratuità del comodato è destinata invece a venire meno laddove l'entità dell'onere economico posto a carico del comodatario e la consistenza del vantaggio a favore del comodante assumano, per le caratteristiche del caso, natura di reciproci impegni negoziali, connotandosi in questo caso in termini di vera e propria sinallagmaticità. La posizione del comodatario viene pacificamente ricondotta all'istituto della detenzione, e ciò perché questi ha la disponibilità materiale del bene (c.d. “corpus possessionis”) ma non l' “animus possidendi”, riconoscendo attraverso la “laudatio possessoris” che la titolarità del bene prestatogli spetta al comodante (c.d. “animus detinendi”). Tuttavia si tratta di una detenzione “qualificata” o “interessata”, dal momento che il comodatario – analogamente al conduttore – non detiene il bene soltanto per ragioni di cortesia, ospitalità o servizio, ma anche per un interesse proprio, ovvero quello di servirsene. Da ciò consegue che il comodatario quale detentore qualificato potrà esperire l'azione possessoria di reintegrazione o spoglio di cui all'art. 1168 c.c. per il caso in cui sia stato privato clandestinamente o violentemente del possesso, e ciò tanto contro i terzi estranei al suo rapporto con la “res” quanto contro il comodante-possessore stesso. Inoltre il comodatario quale detentore qualificato non potrà maturare l'acquisto del bene ricevuto a titolo di usucapione, occorrendo in tal caso che vi sia stata da parte sua l'“interversio possessionis” con cui viene a mutare il titolo della sua disponibilità del bene da detenzione qualificata ad possesso. Parte della dottrina ritiene che il comodato sia un contratto di durata, destinato a protrarsi nel tempo, poiché per estinguersi necessiterebbe di un'attività del comodante, continuata e diretta, diretta a soddisfare l'interesse del comodatario, quale la messa a disposizione del bene a favore di quest'ultimo. Di contrario avviso si mostra invece l'opinione prevalente, secondo cui il comodato non è necessariamente un contratto di durata, potendo essere anche un contratto instantaneo, poiché la sua natura cangiante dipende in realtà dalle modalità con cui le parti hanno determinato il contenuto del contratto. Il comodato è anche una fattispecie negoziale c.d. “intuitu personae”, come dimostra il disposto dell'art. 1804, comma 2 c.c., che fa divieto al comodatario di concedere ad un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante. Questa disposizione si spiega perché il comodante presta una “res” al comodatario per ragioni di cortesia, amicizia, favore o simili e, dunque, ciò implica un rapporto di fiducia tra le parti; di contro, invece, il comodante non è di regola interessato a concedere il bene in godimento a terzi che gli sono estranei. Il comodato costituisce un contratto reale (“ex pluribus” Cass. III, n. 6881/2003), che si conclude cioè con la mera consegna del bene (mobile o immobile) dal comodante al comodatario, come si evince dalla nozione legale che di esso fornisce l'art. 1803 c.c. Tuttavia, non è necessario che la “traditio rei” venga eseguita materialmente, potendo essa anche consistere nel semplice mutamento del titolo della detenzione, ove la cosa sia già nella detenzione del comodatario. Il codice non richiede invece l'osservanza di alcun requisito di forma (Cass. II, n. 1018/1976) per la valida conclusione del contratto di comodato, e ciò sia che esso abbia ad oggetto una cosa mobile sia che riguardi una cosa immobile. Per la Suprema Corte “La concessione gratuita di un appartamento adibito ad abitazione può formare oggetto di comodato, anche se destinata a protrarsi per lungo tempo e finché viva il beneficiario. Non è prescritta la formalità della scrittura per il contratto di comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale. La consegna, richiesta per il perfezionamento del contratto di comodato, non deve necessariamente rivestire forme solenni od avvenire materialmente, ma può aver luogo in qualunque modo che valga giuridicamente a porre il comodatario in grado di servirsi della cosa (ad esempio, mediante la trasmissione di documenti rappresentativi ovvero la dichiarazione, di colui il quale dovrebbe compiere la tradizione, di tenere la cosa per conto del comodatario) e può anche mancare, ove la cosa stessa sia già detenuta dal comodatario, essendo, in tal caso, sufficiente il semplice mutamento del titolo della detenzione”. Pertanto il comodato può essere concluso anche tacitamente, dal momento che la “traditio rei” al comodatario costituisce un elemento necessario e sufficiente per addivenire alla conclusione del contratto, e ciò sia perché la consegna assorbe la c.d. “forma debole”, ma anche perché soltanto attraverso la consegna del bene al comodatario è possibile realizzare la funzione tipica di questa fattispecie negoziale, ovvero il prestito della cosa al comodatario, affinché se ne serva (e la successiva restituzione a favore del comodante). Ad ogni modo deve rilevarsi che la legge finanziaria per il 2005 (l. n. 311/2004) ha stabilito all'art. 1, comma 346 ha stabilito che “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. La disposizione in esame comprende certamente anche il comodato d'uso di beni immobili, dal momento che con esso si costituisce un diritto personale di godimento su unità immobiliari o porzioni; con la conseguenza che il comodato immobiliare scritto che non sia stato registrato entro il termine legale di 20 giorni dalla stipulazione sarebbe affetto da nullità. Tuttavia si ritiene mediante una lettura “a contrario” della norma di cui sopra, che l'obbligo di registrazione prescritto a pena di nullità dal legislatore riguarda soltanto i contratti di comodato che siano stati redatti in forma scritta, e non anche il comodato che sia stato concluso verbalmente, per il quale la registrazione è necessaria soltanto se lo stesso sia stato enunciato in un altro atto soggetto a registrazione. Quanto alla prova dell'esistenza del contratto di comodato, in passato si riteneva che questa potesse essere fornita solo mediante la produzione in giudizio di un atto scritto e non anche mediante la prova testimoniale e presuntiva a causa dei limiti sanciti dagli artt. 2721 e 2725 c.c. Queste norme, infatti, vietano la prova per testimoni (e dunque per presunzioni) allorquando l'oggetto del contratto abbia un valore superiore ad € 2,58 oppure il contratto richieda la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem actus”. Rispetto al limite di cui all'art. 2721 c.c. deve però rilevarsi che grazie al secondo comma di tale norma il giudice può consentire comunque la prova testimoniale, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. Quanto alla natura formale del comodato, la Suprema Corte (“ex multis” Cass. III, n. 11620/1990) ha chiarito che nessuna norma stabilisce per il comodato immobiliare e, “a fortiori” mobiliare, la necessità della forma scritta. Ne consegue che il rapporto di comodato stipulato verbalmente può essere provato con qualsiasi mezzo di prova, compresa quella testimoniale ed il giuramento. Peraltro la Suprema Corte con la sentenza n. 664/2016 ha ulteriormente specificato che il contratto di comodato di un bene immobile stipulato dall'alienante in epoca anteriore al suo trasferimento non è opponibile all'acquirente del bene stesso, atteso che la disposizione di cui all'art. 1599 c.c. sull'opponibilità all'acquirente dei contratti di locazione aventi data certa anteriore alla vendita non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione. Secondo l'opinione prevalente il comodato è anche un contratto unilaterale, cioè con obbligazioni a carico del solo proponente (art. 1333 c.c.): tuttavia si discute se l'obbligo gravi soltanto sul comodante, “sub specie” di obbligo di tenere il bene a disposizione del comodatario per tutto il tempo pattuito o per tutta la durata necessaria affinché questo se ne serva per l'uso convenuto senza richiederlo prima per mero capriccio, oppure del comodatario stesso, quale obbligo di restituire il bene al comodante. Quanto alla funzione che il comodato – di bene immobile e di bene mobile – svolge, si ritiene che esso rientri nei contratti di godimento, essenzialmente volto a permettere al comodatario di servirsi della cosa per un certo tempo (c.d. “comodato a termine”) oppure per farne un uso determinato (c.d. “comodato precario”). Pur non essendo oneroso, il comodato realizza però anche l'interesse del comodante (patrimoniale o, comunque, materiale), dal momento che in capo a quest'ultimo vi è comunque un interesse, sia pure mediato ed indiretto, a concedere al comodatario il godimento del bene. Si pensi, ad esempio, a colui che presti una casa ad un amico affinché questi se ne serva ma, al contempo, provveda anche alla manutenzione della stessa cui non potrebbe provvedere il comodante perché, per ipotesi, lontano dalla stessa. Pertanto la funzione del comodato si salda perfettamente con la sua natura gratuita, con la conseguenza che tale fattispecie contrattuale va nettamente distinta dagli atti di liberalità, che si connotano per l'assenza di un interesse patrimoniale, anche solo empirico, della parte che presta il bene. Valutazione, quella della natura gratuita o liberale del comodato, che impone all'interprete di effettuare una attenta verifica in concreto e caso per caso, senza apriorismi di alcun tipo: alle liberalità indirette, infatti, è ad esempio applicabile il disposto dell'art. 809 c.c., che assoggetta tali donazioni all'azione di riduzione ed alla collazione in caso di comunione ereditaria. Il comodato è dunque un contratto tipico, reale, ad effetti obbligatori, eventualmente di durata, gratuito, unilaterale ed “intuitu personae”. La disciplina del contratto di comodato In via preliminare è opportuno verificare i requisiti soggettivi che legittimano il comodante a concludere validamente il contratto di comodato. Sul punto l'interpretazione giurisprudenziale prevalente (ex pluribus Cass. III, n. 539/1997) ritiene che chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa (mobile o immobile), in base ad un titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in comodato (o in locazione o costituirvi altro rapporto obbligatorio). Il legislatore non dedica una disciplina articolata agli obblighi del comodante, ponendo quasi sullo sfondo la sua posizione nell'ambito del rapporto contrattuale; tant'è che larga parte della dottrina ritiene che il comodato sia un contratto caratterizzato dall'unilateralità, con l'obbligo che incombe solo sul comodatario di restituire la cosa alla scadenza pattuita (c.d. “comodato a termine”) oppure alla richiesta del comodante (c.d. “comodato precario”). Tuttavia si ritiene che poiché il nucleo del comodato consista nel prestito del bene – mobile o immobile – al comodatario affinché questo lo utilizzi per il tempo o per un uso determinato, la funzione tipica del c.d. “prestito d'uso” non possa realizzarsi senza la cooperazione del comodante. Quest'ultimo, dunque, è tenuto ad adempiere all'obbligo su di egli gravante di lasciare, per un tempo determinato, la cosa presso il comodatario, affinché quest'ultimo la usi secondo quanto convenuto nel contratto. Si tratta di una tipica obbligazione negativa di “non facere” ad esecuzione continuata, che deve cioè essere adempiuta per tutta la durata del contratto. Tuttavia il legislatore pone dei limiti all'obbligazione del comodatario, allorquando all'art. 1809 c.c. prevede che il comodatario debba restituire la cosa ricevuta alla scadenza pattuita del comodato o, anche prima, qualora sia sopravvenuto un urgente ed impreveduto bisogno del comodante, ancorato ad esigenze strettamente personali di quest'ultimo. Parimenti, nel caso in cui il comodato sia “precario”, cioè senza la previsione di una scadenza finale (o comunque questa non risulti neanche dall'uso cui il bene doveva essere destinato), poiché l'ordinamento non tollera vincoli obbligatori a carattere perpetuo il legislatore all'art. 1810 c.c. prevede che in questo caso il comodatario è tenuto a restituire la cosa ricevuta in prestito al comodante non appena questi ne faccia richiesta. In maniera corrispondente, dunque, l'obbligo del comodante di lasciare il bene a disposizione del comodatario è destinato ad esaurirsi nel tempo, ovvero alla sua scadenza fisiologica oppure in base ad una richiesta “ad nutum” ri restituzione fatta dal comodante stesso. Quanto agli obblighi espressamente stabiliti dalla legge a carico del comodante, il secondo comma dell'art. 1808 c.c. attribuisce al comodatario il diritto ad ottenere il rimborso delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie ed urgenti. Al diritto del comodatario corrisponde dunque in modo speculare l'obbligo del comodante di rimborsarlo delle spese straordinarie che questo abbia sopportato. Ampio spazio il legislatore ha invece destinato alla regolamentazione degli obblighi del comodatario. L'art. 1804 c.c. stabilisce al primo comma che il comodatario è tenuto a custodire ed a conservare la cosa prestatagli con la diligenza del buon padre di famiglia. L'obbligazione che incombe sul comodatario evoca quella del depositario nel contratto di deposito; tuttavia mentre in quest'ultima fattispecie l'obbligo del depositario costituisce l'effetto ultimo del contratto, nel comodato esso ha natura mediata, in quanto è strumentale ad assicuare il successivo adempimento dell'obbligo restitutorio della cosa da parte del comodatario. È fatto divieto al comodatario di servirsi del bene per un uso diverso da quello determinato dal contratto o dalla natura della cosa senza il consenso del comodante, secondo quanto stabilito dal secondo comma dell'art. 1804 c.c.. Questa duplice limitazione legale si deve alla peculiare natura giuridica del comodato quale contratto permeato da una logica fiduciaria, concluso “intuitu personae”, in cui cioè l'uso possibile della cosa prestata e le qualità e l'identità del comodatario assumono una rilevanza fondamentale nell'economia dell'operazione negoziale. Per la giurisprudenza consolidata (Cass. II, n. 1018/1976) l'uso per il quale la cosa viene concessa in comodato, qualora non sia stato specificamente determinato e limitato in contratto, è quello ordinario della cosa stessa e comprende la facoltà di ritrarre l'utile di cui essa è capace attraverso un impiego economicamente normale. Il terzo comma dell'art. 1804 c.c. prevede che “se il comodatario non adempie gli obblighi suddetti, il comodante può chiedere l'immediata restituzione della cosa, oltre al risarcimento del danno”. Sul punto la Corte di Cassazione Civile III, con sentenza n. 6203/2014 ha sancito che “In materia di comodato, nei confronti del comodatario non può essere proposta azione di risoluzione per inadempimento attesa la gratuità del contratto, senza che assuma rilievo la presenza di eventuali pattuizioni accessorie, anche di apprezzabile peso economico, a carico di quest'ultimo, dovendo il comodante, in tale evenienza, far ricorso al diverso rimedio della restituzione anticipata del bene ai sensi dell'art. 1804 c.c. ove l'inosservanza degli obblighi integri un abuso della cosa oggetto di comodato ovvero una lesione della fiducia riposta dal comodante nel comodatario”. Per ottenere la restituzione del bene concesso in comodato, il comodante dovrà agire in giudizio attraverso il rito del lavoro, dunque mediante deposito del ricorso in cancelleria e non con la notificazione dell'atto di citazione al comodatario. L'art. 1805, comma 1 c.c. sancisce che il comodatario è responsabile se la cosa perisce per un caso fortuito a cui poteva sottrarla sostituendola con la cosa propria o se, potendo salvare soltanto una delle due cose, ha preferito la propria. Il secondo comma della suddetta disposizione pone inoltre a carico del comodatario che impieghi la cosa per un uso diverso o per un tempo maggiore di quello a lui consentito, la responsabilità della perdita della cosa avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l'avesse impiegata per l'uso diverso o l'avesse restituita al tempo debito. Secondo la Suprema Corte (Cass. III, n. 13691/2001) questa norma che costituisce attuazione dell'art. 1221 c.c. sugli effetti della mora del debitore in ordine all'allocazione del rischio, pur facendo riferimento solamente al perimento della cosa, è applicabile anche al deterioramento della stessa. Ai sensi dell'art. 1806 c.c. “se la cosa è stata stimata al tempo del contratto, il suo perimento è a carico del comodatario, anche se avvenuto per causa a lui non imputabile”. Sempre in ordine alla posizione del comodatario, l'art. 1807 c.c. esclude che questi possa rispondere del deterioramento della cosa che abbia avuto luogo per l'uso per cui è stata consegnata la cosa e senza sua colpa. La “ratio” sottesa alla norma è logica, in quanto non si può concedere l'uso di una cosa senza sopportare le conseguenze derivanti dall'uso stesso (c.d. “usura”), fra cui la principale è proprio il deterioramento della cosa, purché sia dovuto appunto all'utilizzo e non a colpa del comodatario. Alle stesse considerazioni si deve pervenire anche se a causa esclusivamente dell'uso si verifichi il perimento della cosa. Secondo la giurisprudenza della Cassazione Civile (Cass. III, n. 3900/2010) il comodante, per ottenere il risarcimento del danno, deve soltanto provare il fatto costitutivo del suo diritto, ossia il deterioramento della cosa tra il momento della consegna e quello della restituzione, mentre spetta al comodatario, in via di eccezione, dimostrare quale fatto impeditivo della sua responsabilità, ai sensi dell'art. 2697, comma 2 c.c., che quel deterioramento è avvenuto per effetto dell'uso conforme al contratto o comunque per fatto a lui non imputabile, vale a dire senza sua colpa. L'art. 1808 c.c. regola le spese collegate al contratto di comodato, prevedendo al primo comma l'obbligo per il comodatario di sostenere le spese per servirsi della cosa, cui dunque non corrisponde alcun diritto al rimborso nei confronti del comodante. Il secondo comma della suddetta norma sancisce invece che il comodatario ha diritto al rimborso delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, purché queste siano necessarie ed urgenti. È comunque pacifico in giurisprudenza (ex multis Cass. III, n. 2463/1970) che questa norma ha carattere dispositivo e, dunque, le parti ben possono derogarvi in via convenzionale. L'obbligazione del comodatario di sopportare le spese ordinarie si spiega alla luce del fatto che esse costituiscono un “peso naturale del comodato” che il comodatario deve sopportare proprio perché si serve della cosa, in ossequio al principio “eius commoda eius incommoda”. Le spese straordinarie sono poste invece a carico del comodante, quale unico soggetto cui spetta valutare l'opportunità di sostenerle. Pertanto il comodatario che per una propria scelta le abbia sostenute non ha diritto ad alcun rimborso. Solo in via eccezionale, in caso di accertata urgenza e necessità, può provvedervi, ed agire poi per ottenere poi il rimborso dal comodante. Al comodatario non sono peraltro rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportino miglioramenti, tenendo conto della non invocabilità da parte del comodatario stesso, che non è né possessore né terzo, dei principi di cui agli artt. 1150 e 936 c.c., ed altresì della carenza, anche nel similare rapporto di locazione, di un diritto ad indennizzo per le migliorie. (Cass. II, n. 7923/1992). L'interpretazione giurisprudenziale consolidata (cfr. Cass. II, n. 21023/2016) ritiene poi che “Il comodatario che debba affrontare spese relative a tasse o manutenzione dell'immobile al fine di poterlo utilizzare, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di sostenerle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante; né fa venir meno il carattere di essenziale gratuità del comodato la presenza di un “modus” a carico del comodatario, purché esso non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa, con natura di controprestazione”. Gli artt. 1809 e 1810 c.c. regolano l'obbligo principale del comodatario, che è quello di restituire la cosa al comodante. In particolare, l'art. 1809 disciplina il comodato c.d. “a termine”, in cui cioè le parti hanno stabilito un termine finale di scadenza del contratto o, comunque, in cui il termine sia evincibile dalla destinazione d'uso per cui la cosa è stata data in prestito. In quest'ultimo caso, dunque, si è in presenza di un contratto con un termine finale, in cui l'obbligo del comodatario di provvedere alla restituzione del bene avrà luogo alla sua fisiologica e naturale scadenza (comma 1). Tuttavia il secondo comma dell'art. 1809 c.c. prevede che se durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente ed impreveduto bisogno del comodante, questi può esigerne la restituzione anticipata immediata. L'art. 1810 c.c. regola invece il comodato c.d. “precario”, in cui cioè le parti non hanno pattuito un termine finale né tantomeno questo risulta dall'uso cui la cosa doveva essere destintata. Essendo in questo caso il contratto di fatto “sine die” il legislatore ha attribuito al comodante il potere di chiedere la restituzione della cosa “ad nutum” sulla base di una sua mera scelta, determinando così l'estinzione del comodato stesso, cui corrisponde l'insorgenza dell'obbligo del comodatario di restituirla. In ordine alla fattispecie contrattuale del comodato in cui manchi l'indicazione della destinazione dell'uso della cosa, le Sezioni Unite della Cassazione Civile con sentenza n. 3168/2011 (ribadita di recente da Cass., VI, sent. n. 22309/2020) hanno stabilito che “Nel contratto di comodato, il termine finale può, a norma dell'art. 1810 c.c., risultare dall'uso cui la cosa dev'essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; in mancanza di tale destinazione, invece, l'uso del bene viene a qualificarsi a tempo indeterminato, sicché il comodato deve intendersi a titolo precario e, perciò, revocabile “ad nutum” da parte del proprietario”. In applicazione del principio suesposto la Suprema Corte (Cass. III, n. 6203/2014) ha stabilito che “La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario é un contratto a termine, di cui é certo l' “an” ed incerto il “quando”, atteso che, con l'inserimento di un elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata (nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario), il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell'immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato. Ne consegue che, in tale evenienza, il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal contratto soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 1804, comma 3, 1809 e 1811 c.c. e non liberamente come avviene nel comodato precario”. Controversa è poi la natura giuridica del comodato di bene immobile adibito a casa familiare, discutendosi da tempo in dottrina ed in giurisprudenza se esso vada qualificato alla stregua di un comodato c.d. “a termine” oppure “precario” ai fini dell'applicabilità del disposto dell'art. 1809 o 1810 c.c. in ordine alla sua durata. Sul punto si veda amplius l'apposita formula. La figura del comodato precario (art. 1810 c.c.) si caratterizza dunque per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare “ad nutum” mediante richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore “sine titulo” e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne comunque disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario (Cass. II, n. 5987/2000). In quest'ultimo caso, dunque, il comodante ha diritto ad ottenere il risarcimento dei danni da occupazione abusiva o senza titolo da parte del comodatario. Sul punto parte della giurisprudenza di legittimità (ex multisCass. III, n. 19004/2004) ritiene che in caso di occupazione abusiva di un bene immobile altrui il danno subito dal proprietario non va provato in ordine alla sua esistenza, essendo di contro “in re ipsa”, poiché discende dalla perdita della disponibilità del bene e dell'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene stesso in relazione alla sua natura normalmente fruttifera, ad esempio concedendolo in locazione. Quanto alla liquidazione delle somme richieste a titolo di indennità per l'occupazione “sine titulo si ritiene che la determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al cosiddetto “danno figurativo” e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite usurpato (tenendo conto del luogo dove si trova, della sua categoria e delle quotazioni immobiliari dell'Agenzia delle Entrate per i periodi temporali in cui il bene è stato abusivamente occupato dal comodatario). Qualora manchino questi elementi precisi da cui desumere il valore locativo, per liquidare il danno subito dal comodante è possibile ricorrere al criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. Di contrario avviso è un'altra parte della giurisprudenza (Cass. III, n. 13071/2018), che ritiene che il danno da occupazione abusiva o senza titolo vada sempre provato sia in ordine alla sua stessa esistenza che nel suo ammontare. L'orientamento contrario all'ammissibilità del danno “in re ipsa” in caso di occupazione abusiva si fonda sull'insegnamento della pronuncia n. 26972 resa dalle Sezioni Unite nel 2008 in punto di danno non patrimoniale, ove veniva chiaramente sancito che l'unico pregiudizio risarcibile in ambito civilisto è il c.d. danno-conseguenza, cioè le ripercussioni pregiudizievoli patite dal danneggiato, che come tale va allegato e provato, sia nella sua stessa esistenza che nell'ammontare. Non è invece risarcibile il c.d. danno-evento, cioè la mera lesione dell'interesse protetto. La categoria del danno “in re ipsa” in questa prospettiva è inammissibile, poiché snaturerebbe “la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.” La Corte di Cassazione Civile ha poi aggiunto che la compatibilità dei danni punitivi con l'ordinamento italiano trova il suo limite invalicabile nell'art. 23 della Costituzione, che richiede una previa copertura legislativa per la sua ammissibilità, risolvendosi in una prestazione patrimoniale imposta al soggetto condannato. Pertanto per la Suprema Corte il risarcimento del danno da occupazione “sine titulo” integrato dall'importo complessivo del canone di locazione pari alla durata dell'occupazione configura un danno punitivo, se non viene provata la concreta intenzione del proprietario di mettere a frutto l'immobile in questione. Infatti, può accadere che il proprietario di un immobile, per libera scelta, decida di non trarne alcun guadagno. In caso di morte del comodatario l'art. 1811 del codice civile attrbuisce al comodante, anche nel caso in cui sia stato pattuito un termine, di esigere dagli eredi l'immediata restituzione della cosa. Da ciò consegue che nel caso in cui alla morte del comodatario il comodante non eserciti il diritto potestativo di chiedere la restituzione della cosa ai suoi eredi il rapporto prosegue con le sue caratteristiche originarie con questi ultimi. La previsione in esame si giustifica in considerazione del fatto che il contratto di comodato costituisce un'ipotesi tipica di contratto concluso “intuitu personae” per la cui conclusione e perduranza risulta dunque determinante la persona del contraente. Infine, l'art. 1812 c.c. stabilisce che se la cosa comodata ha vizi tali che rechino danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento qualora, conoscendo i vizi della cosa, non ne abbia avvertito il comodatario. Profili fiscali Il contratto di comodato immobiliare deve essere registrato entro venti giorni dalla stipula se redatto in forma scritta. In tale ipotesi la registrazione sconta il pagamento di un'imposta in misura fissa di € 200,00 posta a carico delle parti in solido. Se invece il contratto non è stipulato in forma scritta dovrà essere assolta l'imposta solo se l'atto è enunciato in altro atto soggetto a registrazione (ad esempio, una sentenza). |