Recesso del committente nel contratto d'appalto

Andrea Penta

Inquadramento

L'ipotesi prevista dall'art. 1671 c.c., da un lato, si riallaccia alla prescrizione d'ordine più generale contenuta nell'art. 1373, per cui, quando vi è diritto di recesso unilaterale, questo si può esercitare con effetto per le prestazioni da eseguire in corso di esecuzione; e, dall'altro, con l'art. 1660, che consente ad entrambe le parti il recesso nel caso di variazioni che superino il sesto del prezzo complessivo convenuto (recesso dell'appaltatore) ovvero siano di notevole entità (recesso del committente). Nell'ipotesi contemplata dall'art. 1671 c.c. si prescinde da qualsiasi condizione e il committente può di suo arbitrio sciogliere il contratto in qualsiasi momento e in qualsiasi stadio di esecuzione dell'opera. Come corrispettivo il codice impone non solo la liquidazione delle spese sostenute, ma anche il risarcimento a favore dell'appaltatore del mancato guadagno. Negli appalti pubblici il mancato utile è fissato nella misura del dieci per cento tra l'importo dei 4/5 del lavoro appaltato e quello del lavoro eseguito. Questa norma può servire come criterio al giudice nella valutazione del risarcimento, ma non può essere presa come base assoluta, perché in molti casi vi è sproporzione tra le spese generali che l'impresa ha dovuto sostenere per l'organizzazione dell'opera da eseguire ed il risarcimento valutato nel modo su indicato.

Formula

Appalto servizi o d'opera: morte appaltatore

Egr. Sig.

... Via ... n. ...

CAP e città

raccomandata a/r n. ...

Luogo e data

Oggetto: Contratto di appalto del ... Comunicazione di recesso ex art. 1674 c.c.

Scrivo con riferimento al contratto di appalto di servizi stipulato in data ... e registrato in data ... tra il sottoscritto ed il sig. ... deceduto in data ... al fine di comunicarLe la mia intenzione di recedere, ai sensi dell'art. 1674 c.c., dal suddetto contratto.

Allo stato, infatti, non ritengo che Lei, nella sua qualità di erede dell'appaltatore, abbia dato affidamento per la buona esecuzione dei servizi a suo tempo commissionati al sig. ...

Distinti saluti.

Firma del committente

Variazioni necessarie di notevole entità

Spett.le

Impresa ...

Via ... n. ...

CAP e città

raccomandata a/r n. ...

Luogo e data

Oggetto: comunicazione di recesso ex art. 1660, comma 1 c.c. dal contratto d'appalto del ...

Il sottoscritto, nato a ... il ... residente in ... alla via ... n. ... in qualità di committente dei lavori di cui al contratto d'appalto in oggetto, attualmente in corso di esecuzione, in risposta alla Vs. nota del ... nella quale si richiedeva la mia autorizzazione per apportare variazioni al progetto ritenute necessarie, avendo rilevato che il valore delle predette variazioni risulta di notevole entità, con la presente comunicazione esercita, ai sensi dell'art. 1660, ultimo comma c.c., la facoltà di recedere dal contratto d'appalto in oggetto, con effetto immediato.

Distinti saluti.

Firma del committente

Art. 1671 c.c. (modello di clausola da inserire all'interno di un contratto di appalto)

Recesso unilaterale del committente

Le parti convengono che il committente possa recedere unilateralmente dal contratto in ogni momento, anche se è iniziata l'esecuzione dell'opera (o del servizio) ed anche in caso diverso dall'inadempimento dell'appaltatore e/o dalla constatazione di rilevanti vizi o difformità dei lavori.

In tal caso, ai sensi dell'art. 1671 c.c., all'appaltatore è dovuto il pagamento dei lavori risultati eseguiti al momento del recesso, oltre al rimborso delle spese sostenute e ad un importo pari al ... % del prezzo delle opere non ancora eseguite a titolo di indennità risarcitoria per il mancato guadagno.

Commento

Il recesso del committente dal contratto d'appalto.

In termini generali, nella disciplina privatistica dell'appalto è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell'appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, di contro, l'esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore alla realizzazione dell'opera o allo svolgimento del servizio la cui prosecuzione risponde unicamente all'interesse del committente (Cass. I, n. 21595/2014). Peraltro, la pattuizione delle parti, che ponga a carico del committente l'obbligo di corrispondere l'intero corrispettivo dell'appalto, equivale ad escludere il diritto di recesso (Trib. Bologna, 21 giugno 2005).

Incombe sul committente l'onere della preventiva verifica della possibilità tecnica di esecuzione dell'intervento; ne deriva che in caso di sopravvenuta causa ostativa, quale a titolo esemplificativo il danneggiamento dell'immobile a opera di agente esterno, il committente può recedere purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (Trib. Bari II, n. 1849/2006).

La domanda dell'appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l'esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell'art. 1373 c.c. presuppone l'esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l'avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello ius poenitendi, di una somma (multa poenitentialis) integrante un debito di valuta e non di valore; diversa, invece è, la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall'art. 1671 c.c., la quale presuppone l'esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario (Cass. II, n. 5368/2018).

Il recesso unilaterale dal contratto del committente.

In termini generali, nel rapporto di appalto, sia pubblico che privato, il recesso ad nutum del committente rappresenta l'esercizio di un diritto potestativo, riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo di terzi e dell'appaltatore, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, anche se consistenti nel venir meno dei presupposti dell'appalto.

In particolare, in tema di appalto di lavori pubblici, il recesso ad nutum del committente, previsto dall'art. 345 della l. n. 2248 del 1865, all. F), è espressione di un diritto potestativo il cui esercizio può avere luogo in qualsiasi momento e non richiede particolari presupposti o motivi, restando tuttavia l'amministrazione tenuta a pagare i lavori già eseguiti in base all'appalto, e avendo l'appaltatore il diritto di ottenere, in aggiunta, il risarcimento del danno calcolato sull'ammontare dell'utile conseguibile secondo il criterio presuntivo previsto da detta norma. In applicazione di tale principio, Sez. I, n. 26009/2018, ha cassato con rinvio la sentenza della corte d'appello che aveva riconosciuto, a seguito del recesso esercitato dalla stazione appaltante, il diritto dell'impresa appaltatrice ad un risarcimento pari al valore delle opere eseguite, anche se contrattualmente non previste.

Il diritto di recesso del committente, di cui all'art. 1671 del c.c., è esercitabile - a differenza del recesso ex art. 1373 del c.c. - in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e, quindi, anche a iniziata esecuzione del medesimo e determina un obbligo indennitario correlato alle perdite subite dall'appaltatore - per le spese sostenute e lavori eseguiti - e al mancato guadagno. Il recesso legale di cui all'art. 1671 del c.c., quale facoltà della parte di sciogliere unilateralmente il contratto, prescinde - pertanto - in sé, da eventuali inadempienze dell'altro contraente alle obbligazioni assunte. Il recesso unilaterale attribuito dalla legge al committente può - in realtà - anche essere giustificato dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti di inadempimento, ma, poiché costituisce esercizio di un dritto potestativo e non esige, perciò, che ricorra una giusta causa, mediante esso il contratto si scioglie senza necessità di indagini sulla importanza e gravità dell'inadempimento (Cass. II, n. 2130/2017), le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall'appaltatore per l'inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso. Ne consegue che la domanda giudiziale con la quale l'appaltatore chieda l'accertamento di tale recesso si fonda su presupposti diversi da quelli posti a base dell'azione con cui il medesimo deduca l'inadempimento del committente, giacché quest'ultima domanda implica un'indagine comparativa delle condotte tenute dalle parti al fine di verificare la colpevolezza e la gravità del comportamento denunciato (Trib. Messina I, n. 874/2014 e, più di recente, Cass. II, n. 421/2024 e Cass. II, n. 8647/2024). Inoltre, la domanda dell'appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall'art. 1671 c.c. ha per oggetto una obbligazione di valore, avente natura indennitaria (delle perdite subite dall'appaltatore e del mancato guadagno), cui sono applicabili gli stessi principi in tema di risarcimento del danno da inadempimento, sia quello della possibilità di una liquidazione equitativa, sia quello della necessità di tener conto, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (App. L'Aquila, 27 maggio 2011, n. 481). In particolare, può trovare accoglimento, essendo deputate all'assolvimento di funzioni differenti, la richiesta di rivalutazione monetaria in riferimento al prezzo contrattuale e interessi legali dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso (Trib. Novara I, 20 aprile 2010, n. 387). A tal riguardo, la S.C. ha chiarito che l'indennizzo cui è tenuto il committente in favore dell'appaltatore a norma dell'art. 1671 c.c., nel caso di recesso unilaterale dal contratto di appalto, costituisce obbligazione risarcitoria, come si evince dal significato etimologico - lessicale dell'espressione "tenga indenne" e dal principio per il quale pure i danni derivanti da attività lecite vanno risarciti al danneggiato incolpevole, sicché, vertendosi in tema di debito di valore e non di valuta, il giudice deve tener conto nella relativa quantificazione, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla data della liquidazione, e degli interessi moratori (Cass. II, n. 77/2003).

Nel caso dell'appalto, infatti, ci si trova al cospetto di un contratto non di durata, bensì “ad esecuzione semplicemente prolungata”. La particolarità del recesso del committente ai sensi dell'art. 1671 c.c., che produce effetti ex nunc, ma influisce su di un contratto ad esecuzione prolungata che, di per sé, dovrebbe consentire solo cause retroattive di scioglimento, si spiega però facilmente qualora ne si osservi il meccanismo di funzionamento. Il diritto di recesso del committente, ascrivibile alla categoria dei diritti soggettivi potestativi, può essere esercitato dal committente, in qualunque momento dopo la conclusione del contratto e per “qualsiasi ragione che lo induca a porre fine al rapporto”.

Il recesso in esame può essere convenuto, tra le parti, con determinati requisiti di tempo e di forma, attesa la derogabilità convenzionale della norma in parola, sicché, in caso di mancata (o non formale) disdetta, i contraenti possono legittimamente convenire conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa (Cass. II, n. 12368/2002).

In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto, ex art. 1671 del c.c., grava sull'appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l'interruzione dell'appalto non abbia impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli abbia procurato vantaggi diversi (Cass. II, n. 28402/2017; Cass. II, n. 8853/2017). Nella liquidazione di tale indennizzo, peraltro, il giudice del merito ha facoltà di applicare il criterio equitativo che, se costituisce il metodo normale per la valutazione del lucro cessante, può essere utilizzato per qualsiasi danno e, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali, costi di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano d'opera, quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la prova precisa dell'entità del pregiudizio sofferto (Cass. II, n. 5879/2017). Nella determinazione equitativa il criterio del 10% del valore dell'appalto utilizzato in materia di appalti pubblici - dove è previsto ex lege - può quindi costituire un criterio di massima da seguire anche in ambito di appalti tra privati per la determinazione del lucro cessante da riconoscere all'impresa appaltatrice a seguito di recesso della committente, qualora il giudice ritenga di liquidare equitativamente il danno, non dimostrabile altrimenti con precisione in giudizio (Trib. Grosseto, n. 652/2017).

Peraltro, la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente per inadempimento già verificatosi al momento dell'esercizio del recesso ex art. 1671 c.c. può vanificare l'obbligo del committente recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (Cass. II, n. 11642/2003).

I rapporti tra il diritto del committente di recedere al contratto di appalto in ogni momento, ai sensi dell'articolo 1671 del c.c., e la domanda di risoluzione per inadempimento importano che il recesso non possa più essere esercitato dal committente che abbia già proposto domanda di risoluzione per inadempimento. Ove, peraltro, il committente abbia dapprima optato per il recesso, determinando lo scioglimento del rapporto, gli rimane preclusa la successiva proposizione della domanda di risoluzione, al fine di ridurre o eventualmente eliminare l'indennizzo da lui dovuto, salvo il diritto di chiedere i danni per le inadempienze dell'appaltatore, danni che possono - viceversa - pure vanificare l'obbligo del committente recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (Cass. II, n. 16404/2017). In particolare, il diritto di recesso non può essere più esercitato dal committente che, proponendo domanda di risoluzione per inadempimento, abbia innescato il procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti non più arrestabile ad libitum mediante il recesso, soprattutto se nel giudizio l'appaltatore abbia a sua volta proposto domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento del committente (Cass. II, n. 7649/1994).

Pur se qualificato formalmente "recesso", non è tale l'atto col quale il committente rifiuta di dare ulteriore esecuzione ad un contratto di appalto, che al momento del recesso sia già risolto ope legis a causa della previsione d'una clausola risolutiva espressa; ne consegue che se per l'esercizio del recesso le parti avevano previsto una penale, questa non è dovuta dal committente (Tribunale Roma, 19/06/2002).

Anche all'appalto di servizi si applica la disciplina di cui all'art. 1671 c.c., che consente al committente di recedere dal contratto anche se è iniziata l'esecuzione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute e del guadagno mancato (Trib. Milano, 10 giugno 1998).

Profili fiscali.

L'indennizzo a cui è tenuto il committente, in favore dell'appaltatore, per recesso unilaterale dal contratto ha natura risarcitoria e non di corrispettivo di operazioni di "cessione" o "prestazione", sicché non è soggetto ad IVA, ma all'imposta di registro con aliquota proporzionale del 3 per cento, ai sensi dell'art. 8, lett. b), della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, fatta eccezione per le somme, oggetto della statuizione di condanna, già versate o fatturate nel corso del rapporto, da considerarsi corrispettivi, aventi causa nell'adempimento della prestazione contrattuale, e, quindi, sottoposti ad IVA (Cass. sez. trib., n. 23577/2015).

In materia di imposte sui redditi, all'esercizio del diritto potestativo di recesso dal contratto di appalto da parte del committente, ai sensi dell'art. 1671 c.c., consegue non solo lo scioglimento di tale contratto, ma anche quello del contratto di subappalto, quale contratto derivato, collegato funzionalmente al contratto principale. Pertanto, alla formazione del reddito d'impresa del subappaltatore concorrono, secondo le regole sull'imputazione temporale dei componenti di reddito di cui all'art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 (principio di competenza), i ricavi per corrispettivi (anche se non ancora incassati) del subappaltatore, maturati fino all'esercizio del recesso da parte del committente, non potendo essere considerata, a tali fini, l'accettazione dell'opera da parte del committente, ai sensi dell'art. 1665 c.c. (Cass. V, Ord. n. 29485/2021).

In tema di Iva, in base alla disciplina unionale, il momento del fatto generatore dell'imposta, cioè dell'evento che origina l'obbligazione tributaria e l'imponibilità ai fini Iva, il quale rileva ai fini della individuazione del periodo di competenza exarticolo 109 del d.p.r. n. 917 del 1986, deve essere distinto dal momento del pagamento e della esigibilità dell'imposta, e cioè dell'attitudine attuale dell'imposta ad essere pretesa in riscossione dall'Erario, e che si concretizza all'atto del pagamento del corrispettivo. Tali momenti, pur di regola coincidenti, ove temporalmente scissi devono essere tenuti distinti, sicché nell'ipotesi in cui il committente abbia esercitato il recesso dal contratto di appalto exart. 1671 c.c., con conseguente scioglimento anche del contratto derivato di subappalto, è onere del contribuente, in caso di pagamenti non contabilizzati (in nero), fornire, non la "prova contraria del fatto negativo", ossia dimostrare la mancata ricezione del pagamento, ma la "prova positiva contraria", consistente nei vani tentativi di riscuotere il proprio credito o nella allegazione delle ragioni della rinuncia.

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