Al minore tutelato dalla kafala islamica può essere concesso il diritto di ingresso e di soggiorno

28 Marzo 2019

Con la sottoposizione di un minore al regime della kafala islamica non si crea un legame di filiazione con il suo tutore cittadino comunitario, tuttavia lo Stato UE deve agevolare l'ingresso e il soggiorno del minore alla luce di tutte le circostanze concrete e tenendo conto, in particolare, del superiore interesse del minore.

Lo afferma la Corte di Giustizia dell'UE nella sentenza nella causa C-129/18 del 26 marzo 2019 (ECLI:EU:C:2019:248).


La vicenda.
La fattispecie al centro della controversia in questione vede una coppia di coniugi francesi, sposati e residenti nel Regno Unito, che avevano chiesto di diventare tutori di una minore secondo l'istituto islamico della “kafala”. Pertanto, dopo essersi recati in Algeria, affinché fosse valutata la loro capacità di divenire tutori di un minore, erano sono stati considerati “idonei” ad accogliere un minore secondo il diritto algerino, ponendo la minore sotto la loro tutela, con conseguente modifica del cognome. Successivamente i coniugi avevano richiesto un permesso di soggiorno, quale adottata, per la minore. Tuttavia, il Tribunale di primo grado aveva rigettato la richiesta di soggiorno. In seguito all'impugnazione davanti al tribunale superiore del Regno Unito questi stabiliva che, sebbene la minore non potesse essere considerata come «familiare» di un cittadino UE, ai sensi dell'art. 7 del regolamento del 2006, essa fosse comunque un «membro della famiglia allargata», ai sensi dell'art. 8 di tale regolamento. Nel successivo grado di giudizio, la Corte d'Appello aveva invece ritenuto che la minore non fosse né un «discendente diretto» in quanto non era stata adottata secondo una fattispecie riconosciuta dal diritto del Regno Unito né «altro familiare» di un cittadino UE.


La questione pregiudiziale.
In seguito alla successiva impugnazione, la Corte Suprema del Regno Unito ha sottoposto alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale se un minore sotto la tutela legale permanente di uno o più cittadini UE in virtù della “kafala” o di altro istituto giuridico equivalente previsto dalla legge del paese d'origine del minore possa rientrare nella definizione di “discendente diretto” di cui all'art. 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38.


L'istituto della “kafala” di diritto islamico.
Valga osservare come la “kafala” è un istituto, diffuso nei paesi di diritto islamico, attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore (privato temporaneamente o stabilmente del proprio ambiente familiare) ad un soggetto che nella maggioranza dei casi rappresenta un parente che ne curerà la crescita e l'istruzione, pur non creando alcun legame parentale e senza rescindere il vincolo di sangue del minore con la famiglia d'origine. Si tratta di una tutela sempre revocabile e che comunque termina al raggiungimento della maggiore età del minore. La “kafala” non instaura dunque un rapporto di filiazione in quanto la coppia affidataria assume soltanto una serie di poteri doveri che possono essere assimilati a quelli di un tutore, ma senza esercitare la potestà sul minore né assumere la legale rappresentanza di esso. A differenza di quanto accade nei sistemi giuridici eurocentrici, gli ordinamenti di derivazione islamica non solo non contemplano l'istituto dell'adozione, ma addirittura lo vietano sul presupposto che il rapporto di filiazione debba essere rigidamente ancorato alla generazione biologica.


Il quadro normativo comunitario.
Con riferimento al diritto comunitario, la direttiva 2004/38 sulla libera circolazione e soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari nel territorio degli Stati membri definisce “familiare” «i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner» che abbia contratto con il cittadino UE un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro equiparata al matrimonio. Inoltre, la stessa direttiva riconosce all'art. 27 la facoltà per gli Stati di limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale, «qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».


Come interpretare la nozione di “discendente diretto”?
La Corte di Giustizia osserva che per determinare la portata della nozione di “discendente diretto” secondo la direttiva 2004/38 occorre fare riferimento all'esistenza di un legame di filiazione, in linea diretta, che unisce la persona interessata ad un'altra persona. Di conseguenza, in mancanza di qualsiasi legame di filiazione tra il cittadino dell'Unione e il minore interessato, quest'ultimo non può essere qualificato come «discendente diretto» del primo, ai sensi della direttiva 2004/38. Tuttavia, assumendo un'interpretazione teleologica, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38 – vale a dire agevolare l'esercizio del diritto fondamentale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – occorre interpretare estensivamente la nozione di “legame di filiazione” in modo da includere qualsiasi legame di filiazione, sia esso di natura biologica o giuridica e dunque anche il legame che si crea in seguito all'adozione.


La tutela della “kafala” non crea un legame di filiazione.
Nondimeno, il regime della “kafala” algerina non è idoneo a creare un legame di filiazione tra il minore e il suo tutore e dunque il minore non può essere considerato un «discendente diretto» di un cittadino UE, secondo l'art. 2, punto 2, lett. c), della direttiva 2004/38, ma può essere compreso nella nozione di «altro familiare» di cui al successivo art. 3, par. 2, lett. a), che facilita l'ingresso e il soggiorno di «ogni altro familiare, (...), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale». Poiché con la “kafala” i tutori assumono il mantenimento, l'istruzione e la protezione del minore, occorre «preservare l'unità della famiglia in senso più ampio», come affermato dall'art. 3, par. 2, lett. a), della direttiva 2004/38, facilitando l'ingresso e il soggiorno delle persone che non rientrano nella definizione di «familiare» di un cittadino UE, ma che comunque presentano vincoli familiari stretti e stabili con un cittadino UE in ragione di specifiche circostanze di fatto, quali una dipendenza economica, un'appartenenza al nucleo familiare o gravi motivi di salute.


In conclusione: prevalgono il diritto fondamentale al rispetto della vita familiare e l'interesse superiore del minore.
La Corte di Giustizia afferma quindi il dovere delle autorità nazionali degli Stati UE di agevolare l'ingresso e il soggiorno di un minore posto sotto la tutela legale permanente di un cittadino UE secondo l'istituto della “kafala” in quanto altro familiare di un cittadino dell'Unione, in seguito ad una ponderata valutazione di tutte le circostanze del caso, avendo particolare riguardo all'interesse superiore del minore. Se, all'esito di tale valutazione, emerge che il minore e il suo tutore sono destinati a condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal suo tutore, deve essere concesso al minore un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di permettergli di vivere con il suo tutore nello Stato membro ospitante di quest'ultimo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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