L'impossibilità per le parti di pretendere l'immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni

28 Marzo 2019

La questione esaminata dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame è la seguente: possono le parti pretendere l'immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni e quali sono i presupposti tali per cui la causa possa essere ritenuta matura per la decisione, di talché il giudice debba trattenerla in decisione?
Massima

In tema di rimessione della causa al collegio (o allo stesso giudice unico qualora operi in composizione monocratica) è da escludere che le parti abbiano diritto all'immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni. Il giudicante, infatti, ex art. 187, comma 1, c.p.c., è titolare di un potere discrezionale che gli consente di far dipendere il passaggio della causa alla fase decisoria al fatto che la stessa sia valutata come matura per la decisione. Tale apprezzamento, però, non è ad libitum del giudice, sicché la causa deve essere ritenuta matura per la decisione qualora tra le parti sia insorta controversia solo in punto di diritto relativamente a diritti disponibili, i fatti controversi sono provati attraverso documenti, le parti non abbiano chiesto l'ammissione di prove su punti controversi oppure le richieste istruttorie sono state ritenute inammissibili o non rilevanti.

Il caso

Alfa, conduttrice di un compendio di tre immobili, conveniva, in giudizio Beta unitamente a Gamma per vederle condannate al risarcimento del danno e al rilascio di un immobile conferitogli in comodato.

Le domande di Alfa venivano accolte e Beta veniva condannata al rilascio del bene concesso in comodato e al risarcimento del danno. Per l'effetto, Beta proponeva appello eccependo, tra l'altro, che il giudice di prime cure non avrebbe accolto l'istanza di fissazione immediata dell'udienza di precisazione delle conclusioni.

L'appello veniva rigettato e Beta, sull'assunto che in primo grado la causa fosse matura per la decisione e che, dunque, il tribunale avrebbe illegittimamente fatto proseguire il giudizio anziché passare alla fase decisoria, ricorreva per cassazione articolando una serie di motivi tra cui la violazione dell'art. 187 c.p.c. in relazione all'art. 111 Cost..

La Corte di cassazione, con l'ordinanza in commento, rigettava integralmente il ricorso.

La questione

La questione principale esaminata dalla Corte di cassazione può essere sintetizzata come segue: possono le parti pretendere l'immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni e quali sono i presupposti tali per cui la causa possa essere ritenuta matura per la decisione, di talché il giudice debba trattenerla in decisione?

Le soluzioni giuridiche

La risposta fornita dalla Corte di cassazione al primo quesito poc'anzi riportato è negativa, quanto al secondo, chiarisce taluni aspetti che, da tempo resi noti dalla più autorevole dottrina, trovavano sino ad ora sporadiche e risalenti conferme nella giurisprudenza di legittimità.

Orbene, la Suprema Corte argomenta l'affermazione secondo la quale le parti non sono titolari di un diritto all'istantanea fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni mediante una duplice considerazione (i) da un lato, prende le mosse dal combinato disposto degli artt. 184 e 187 c.p.c. in virtù dei quali non è possibile inferire l'esistenza di un diritto delle parti allo svolgimento dell'udienza per le deduzioni istruttorie. Il codice di rito, infatti, non qualifica come indefettibile l'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova pertanto, per usare le stesse parole della pronuncia di specie, “simmetricamente” è da escludere che le parti possano esigere subito l'udienza di precisazione delle conclusioni. A sostegno di quanto sopra, i giudici di legittimità richiamano una serie di precedenti aventi ad oggetto l'art. 184 c.p.c. ante legge 263/2005 (all'epoca rubricato, per l'appunto, “deduzioni istruttorie” – Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2007, n. 20745) i quali, per quanto concerne le conclusioni a cui giungono, possono tuttora essere considerati validi, posto che, a seguito della menzionata riforma, anche oggi l'istruzione probatoria ha carattere eventuale e in ogni caso non è prescritta (né, dunque, è esigibile) la fissazione di un'apposita udienza per la discussione delle istanze istruttorie, sebbene, poi, nella prassi ciò comunque si verifichi contrariamente alla lettera ed allo spirito della novella, la quale ha proprio inteso eliminare le udienze inutili, quale quella di cui al previgente art. 184 c.p.c. (Consolo, Codice di procedura civile, I, 2013, p. 2273; contra Balena, Le preclusioni nel processo di primo grado, GI 2006, IV, p. 87); (ii) dall'altro, il tenore letterale dell'art. 187 c.p.c., il quale, mediante l'uso della congiunzione con valore ipotetico “se”, attribuisce al giudice, per espressa volontà del legislatore, il potere discrezionale di subordinare il passaggio alla fase decisoria (previa precisazione delle conclusioni) al fatto che egli ritenga la causa matura per la decisione.

Dunque, è il giudicante (e non le parti) che ha la prerogativa di procedere oltre se e nella misura in cui la causa possa dirsi matura per la decisione. É a questo punto che la pronuncia della Corte effettua un passaggio ulteriore chiarendo che la scelta di considerare la causa matura per essere decisa non è ad libitum del giudice, ma tale deve essere considerata quando vi sia anche alternativamente (a) controversia solo in punto di diritto circa diritti disponibili; (b) prova documentale; (c) mancata richiesta di ammissione di prove; (d) declaratoria di inammissibilità o irrilevanza delle istanze istruttorie (Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2002, n. 2504 in Foro it. 2002, I,2432; Cass. civ., sez. I 12 marzo 2004, n. 5089 in Dir. e giust. 2004, 21, 109. Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, I, Il processo ordinario di cognizione, 2011, p. 615).

Come poc'anzi accennato, la Suprema Corte aggiunge un tassello rispetto ai propri risalenti precedenti e alle osservazioni di autorevole dottrina, poiché nello stabilire che l'apprezzamento della maturità della causa non è arbitrario, ma sebbene circoscritto alle ipotesi sub (a)-(d), lascia intendere che qualora il giudice, pur in presenza delle suddette fattispecie, non considerasse la causa matura per la decisione e, perciò, non provvedesse di conseguenza, si configurerebbe una violazione dell'art. 187 c.p.c. tant'è che nel caso sottoposto alla propria attenzione la Corte ha vagliato la presenza/assenza delle suddette ipotesi escludendo che ricorressero le fattispecie (a) e (c) e dichiarandosi “incompetente” a pronunciarsi sui punti (b) e (d) perché esorbitanti il giudizio di legittimità concludendo, così, per l'infondatezza del motivo proposto da Beta (Comoglio-Consolo–Sassani-Vaccarella, Commentario del codice di procedura civile, III, 2012, p.517 secondo i quali «Verificati i presupposti di applicabilità della disposizione in commento [i.e. le ipotesi sub (a)-(d) N.d.R.] il giudice dovrebbe limitarsi ad esplicare attività meramente preparatoria (…) rinviando per la decisione del merito»).

Osservazioni

Il dettato normativo dell'art. 187, comma 1, c.p.c. non lascia àdito a dubbi: la presenza della locuzione “se ritiene” esclude che le parti abbiano il diritto di ottenere l'immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni (diverso, invece, sarebbe stato se la norma in questione avesse detto “quando la causa è matura per la decisione, il Giudice rimette le parti davanti al collegio”), ma soltanto al magistrato compete il potere di far transitare la causa alla fase successiva qualora ritenuta matura per la decisione. É qui che si inserisce il decisum in commento specificando che se è vero che spetta solo al giudice il potere di disporre il passaggio “in decisione”, è altrettanto vero che la valutazione circa la maturità della causa non è rimessa al suo mero arbitrio, ma, anzi, risulta vincolata al ricorrere di una delle fattispecie di cui sopra, di talché qualora, pur sussistendo i presupposti “di maturità”, non venga fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni si profilerebbe una violazione dell'art. 187 c.p.c..

Invero, la Suprema Corte non specifica con quale motivo potrebbe essere fatta valere tale violazione (peraltro, neppure il ricorrente ha tentato di sussumerla in uno dei casi ex art. 360 c.p.c.), ma vi è un aspetto che merita di essere tenuto in considerazione.

La Corte ha escluso che nel giudizio di primo grado la causa fosse matura per la decisione ritenendo insussistenti le fattispecie sub (a) e (c), ma non pronunciandosi sulle due rimanenti (b) e (d) sostenendo che il sindacato sull'esistenza di prova documentale e sull'ammissibilità/rilevanza delle istanze istruttorie (qualificato come cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali), è escluso dal vaglio di legittimità, poiché non rientrante né nel paradigma di cui all'art. 360, comma 1, n.5 c.p.c. così come novellato dalla legge n. 134/2012 né in quello del precedente n.4 dedicato unicamente a gravi anomalie motivazionali lesive dell'art. 132 n.4 c.p.c. e dell'art. 111 Cost. tali da rendere nulla la sentenza (Cass. civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 in Foro it. 2015, 1, I; Cass. civ., 10 giugno 2016, n. 11892 in Gius. civ. Mass 2016; Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940 in Giust. civ. Mass. 2017).

Senza volersi dilungare sulla nuova portata dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e della lettura restrittiva, già oggetto di ampie critiche, data dalle Sezioni Unite, basterà qui osservare che la conclusione a cui è giunta l'ordinanza sostanziatasi nel rifiuto di valutare la ricorrenza anche dell'ipotesi sub (d) non persuade del tutto. La pronuncia de qua associa l'inammissibilità/irrilevanza di un mezzo di prova al cattivo esercizio del potere di apprezzamento traendo le conseguenze di cui sopra in termini di insindacabilità nel giudizio di legittimità, ma se un mezzo di prova è stato a suo tempo ritenuto inammissibile o irrilevante è evidente che non è mai stato assunto e, dunque, non può parlarsi di “cattivo esercizio del potere di apprezzamento” ex art. 116 c.p.c., poiché detto esercizio presuppone che un mezzo di prova sia stato acquisito. Sarebbe stato allora più corretto parlare di omessa ammissione della prova e dare conto del fatto che (i) anteriormente alla novella dell'art. 360 n.5 c.p.c. era denunziabile in Cassazione per vizio motivazionale in ordine all'attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere (Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2015, n. 66 Giust. civ. Mass 2015; (ii) attualmente, a seguito della riforma del 2012, non è più possibile; (iii) potrebbe essere qualificata come omessa pronuncia in violazione dell'art. 112 c.p.c. censurabile esclusivamente ex art. 360, comma 1, n.4 c.p.c..

Guida all'approfondimento
  • Capponi, Otto studi sul processo civile, 2017, 194;
  • Dalla Bonta, Le Sezioni Unite tornano su interpretazione ed applicazione del “nuovo” art. 360,1 comma, n.5 c.p.c. Notazioni critiche e prospettive future, in Dir. prat. trib., 2015, 740;
  • Di Martino, Novità sul “fatto contestatoda parte della cassazione, in Lav. giur., 2016, p.377;
  • Sassani, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in Cassazione, in Corr. giur., 2013, p. 849.

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