Illegittimo il sequestro preventivo della casa coniugale di proprietà dell'ex coniuge a seguito di accordo di separazione consensuale

04 Aprile 2019

La casa coniugale, trasferita alla moglie in virtù del decreto di omologa di separazione consensuale, non può ricadere tra i beni sequestrabili ai fini della confisca per equivalente.
Massima

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può riguardare anche beni di terzi, purché la persona sottoposta ad indagini ne abbia la disponibilità uti dominus: pertanto, la casa coniugale, trasferita alla moglie in virtù del decreto di omologa di separazione consensuale, non può ricadere tra i beni sequestrabili ai fini della confisca per equivalente.

Il caso

La vicenda sottoposta a giudizio è quella del signor O.A.P., indagato per il delitto di cui all'

art. 2

d

.

l

gs. 10 marzo 2000 n. 74

; nei confronti dell'indagato il Giudice per le indagini preliminari di Perugia aveva emesso in data 21 ottobre 2017 decreto di sequestro preventivo di un immobile finalizzato alla confisca di valore. Tuttavia tale decreto venivamaterialmente eseguito su un bene immobile della moglie O.V.O., alla quale il bene era stato precedentemente trasferito con l'omologazione degli accordi di separazione consensuale del 26 aprile 2017.

Il decreto di sequestro, pertanto, veniva impugnato sia dal signor O.A.P. sia dalla signora O.V.O. innanzi al Tribunale di Perugia che, con decreto del 21 ottobre 2017, pronunciava l'inammissibilità del ricorso del signor O.V.O., che si era dichiarato non proprietario del bene (e dunque non legittimato, secondo la Corte, ad impugnare il decreto) e rigettava il ricorso della moglie rilevando l'inopponibilità dell'omologa perché non trascritta prima del sequestro.

Pertanto la signora O.V.O. proponeva ricorso per Cassazione avverso il decreto del Tribunale del riesame esponendo un unico articolato motivo e deduceva l'esclusiva (sua) proprietà del bene immobile sequestrato e la possibilità di chiedere il riesame del provvedimento di sequestro comunque seguito nei confronti del terzo, eccependo l'erronea applicazione degli

artt.

1322

e ss. e

2653 c.c.

,

art. 322

ter

c.p.

e

art. 321 c.p.p.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso ed ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata disponendo la restituzione dell'immobile sequestrato alla ricorrente.

Le questioni

La prima questione riguarda l'individuazione dell'oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.

Il secondo punto impone di accertare – nel singolo caso concreto – se la persona sottoposta ad indagini abbia la disponibilità del bene sequestrando, poiché la mera proprietà formale dello stesso non è sufficiente a qualificare il sequestro come legittimo.

Il terzo argomento, in realtà da considerare logica premessa dei primi due, riguarda l'efficacia dell'atto di trasferimento della proprietà di un bene assegnato al coniuge negli accordi si separazione consensuale omologati e l'opponibilità, anche in sede di penale, dell'atto di trasferimento, pur se non trascritto anteriormente al decreto di confisca.

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo alla prima questione, richiamando il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ha ribadito il principio di diritto in forza del quale il Giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l'importo complessivo da sequestrare, mentre l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al P.M.

Pertanto, fatte salve le precisazioni di cui infra, ha richiamato il seguente principio di diritto: «l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non costituiscono requisito di legittimità del decreto stesso; tuttavia, deve essere precisato che, ove l'individuazione dei beni da sequestrare avvenga in sede esecutiva, il terzo che si limiti a rivendicare l'esclusiva titolarità o disponibilità, è legittimato a proporre la richiesta di riesame ai sensi dell'art. 322 c.p.p.».

Con particolare riferimento al secondo punto, che attiene, in qualche modo, al profilo della titolarità del bene, la Corte ha confermato un secondo consolidato principio in forza del quale «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può certamente riguardare i beni di terzi purché la persona sottoposta alle indagini ne abbia la disponibilità», ancorando pertanto, la legittimazione del sequestro stesso non soltanto alla proprietà formale del bene, ma anche alla sua disponibilità.

Tanto premesso, quindi, la Corte ha annullato l'ordinanza del Tribunale del Riesame poiché il bene in questione (ovvero la casa coniugale) nel caso di specie non era più nella disponibilità del marito-indagato, essendo stato trasferito alla moglie in sede di omologa della separazione.

Così decidendo, la Corte ha aderito, con particolare riguardo al terzo argomento evidenziato in premessa, all'orientamento giurisprudenziale – non del tutto pacifico nella giurisprudenza di merito - in forza del quale gli accordi dei coniugi contenuti nei verbali di separazione omologati (o nella sentenza di divorzio congiunto) relativi ai diritti reali avrebbero efficacia traslativa immediata e non solo meramente obbligatoria.

Con la pronuncia in esame, la Corte, pur ribadendo alcuni principi di diritto oramai indiscussi in tema di sequestro per equivalente, ha tuttavia ritenuto necessario fare alcune precisazioni, ed ha affermato un ulteriore corollario: il sequestro è legittimo solo se nel singolo caso concreto il bene è nella disponibilità della persona sottoposta a procedimento penale.

Ripercorrendo il ragionamento della Suprema Corte, allora, si osserva quanto segue.

Preliminarmente, il Collegio ha precisato che l'orientamento giurisprudenziale consacrato nei principi di diritto di cui supra è stato elaborato in ipotesi in cui era la persona sottoposta ad indagini (e non il terzo proprietario del bene) a ricorrere per contestare la legittimità di un provvedimento «solo perché nel decreto non erano esattamente individuati i beni che avrebbero formato oggetto di esecuzione del sequestro».

E ciò perché ai «ai fini della confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter c.p., il bene non rileva per la sua specificità ma solo come unità di misura del valore corrispondente al prezzo o al prodotto del reato» (così letteralmente punto b, nella parte motivazionale).

Orbene – rileviamo noi – tale conclusione ben si concilia con la ratio dell'istituto del sequestro per equivalente giacché (a differenza dell'ordinaria confisca prevista dall'art. 240 c.p., che può avere ad oggetto soltanto beni direttamente riferibili al fatto illecito) si tratta di una misura di sicurezza a valenza sussidiaria (in quanto giustificata dal fine di superare le difficoltà di individuare i beni costituenti il profitto diretto del reato perché dispersi, distrutti o appunto ceduti e, dunque, subordinata all'impossibilità solo transitoria e reversibile di reperire beni corrispondenti al prezzo o al profitto; cfr. ex multis Cass. pen.n. 4097/2016) e sanzionatoria, con la quale non si vuole necessariamente solo colpire direttamente i beni che hanno costituito il prezzo o il profitto del reato commesso, quanto rendere improduttiva la sua commissione, sottraendo all'autore il controvalore del vantaggio realizzato attraverso la commissione del reato. E ciò al punto che per la giurisprudenza di legittimità la confisca per equivalente non presuppone né la pericolosità della cosa sequestrata né la gravità della condotta illecita né la colpevolezza dell'autore del reato (cfr. ancora Cass. pen. n. 4097/2016 e Cass. pen. SS.UU. n. 31617/2015).

Pertanto, il fatto che manchi un rapporto di accessorietà tra i beni ed il reato, per cui i beni che formano oggetto di sequestro non sono in diretto rapporto con il reato contestato all'indagato, è una circostanza del tutto fisiologica che non presenta alcun significato in relazione ad un eventuale vizio del provvedimento cautelare in esame (cfr. Cass. pen. n. 2862/2019).

Così ragionando, quindi, il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato va tendenzialmente ad allentarsi fino a scomparire, in quanto la misura colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato e la provenienza dei beni dalla commissione del reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale tra il bene sequestrato ed il fatto illecito (così già in Cass. pen. n. 18799/2012).

Tuttavia, la legittimità della confisca per equivalente incontra un limite insuperabile, che è rappresentato dalla “disponibilità” del bene sequestrando in capo alla persona sottoposta a procedimento penale.

Sul punto, in giurisprudenza è pacifico principio di diritto in forza del quale «la disponibilità da parte del reo del bene da confiscare per equivalente costituisce anch'essa condizione che legittima la sua immediata apprensione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 322 ter, comma 1, c.p. e art. 321, comma 2, c.p.p., la cui sussistenza deve poter essere oggetto del controllo del Giudice», il quale se da un lato «non ha l'onere di indicare i beni da sequestrare, dall'altra è suo dovere farlo se gli elementi a sua disposizione glielo consentono» (Cass. pen. n. 7675/2012).

Ne consegue che se un soggetto terzo rivendica la titolarità o la disponibilità esclusiva del bene«pone comunque in discussione la legittimità stessa del sequestro operato nei suoi confronti poiché non può essere privato del diritto di far valere dinnanzi al giudice del riesame le proprie ragioni per il solo fatto che il bene non è stato indicato nel decreto di sequestro ma (sarà individuato) solo nella fase c.d. esecutiva solo perché ritenuto nella sua disponibilità dal P.M. o dalla P.G.» (così in precisazione al punto c) della motivazione della sentenza in commento).

Osservazioni

Così argomentando il Collegio avvalora ed aderisce, ancora una volta, al principio di diritto in forza del quale «l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non costituiscono requisito di legittimità del decreto, tuttavia deve essere precisato che, ove l'individuazione dei beni da sequestrare avvenga in sede esecutiva, il terzo che si limiti a rivendicare l'esclusiva titolarità o disponibilità è legittimato a proporre richiesta di riesame ai sensi dell'art. 322 c.p.p.» (cfr. sul punto Cass. pen. n. 24958/2014 e Cass. pen. n. 38512/2016).

Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha escluso che il signor O.A.P. continuasse ad avere la disponibilità dell'immobile (tanto che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso) e non ha contestato l'immediata efficacia traslativa della proprietà del bene assegnato all'ex moglie in sede di omologa della separazione ma «ha dedotto la non opponibilità dell'omologazione perché non trascritta prima del sequestro».

Senonché – secondo la Corte di Cassazione – ai fini dell'applicabilità dell'art. 322 c.p. (oggi art. 12 bis d.lgs. n. 74/2000) ciò che rileva è «l'effettivo trasferimento della proprietà quale conseguenza immediata di un provvedimento giudiziale di data certa anteriore all'emissione stessa del sequestro». Pertanto – ai fini penali – anche se il decreto di omologazione non è stato trascritto, comunque ha determinato l'immediato trasferimento del bene a favore della signora O.V.O. che resta terza proprietaria di un bene rispetto al quale l'ex marito non ha più la disponibilità.

Pertanto, il ricorso è stato accolto ed il bene è stato restituito alla ricorrente.

Tra le molteplici questioni toccate dalla sentenza in esame, due meritano particolare attenzione: la prima riguarda la nozione di utilizzo effettivo del bene sequestrando da parte del coniuge sottoposto alle indagini (altrimenti il sequestro sarebbe illegittimo); la seconda attiene all'efficacia c.d. traslativa dei trasferimenti dei beni nei verbale di separazione omologati.

Con riguardo alla prima , giova precisare che il sequestro conservativo ai fini della confisca, è legittimo solo se l'indagato ha la disponibilità effettiva dei beni uti dominus.

E, d'altra parte, è nello stesso dato letterale dell'art. 322 ter c.p. che si può rintracciare il riferimento al concetto di disponibilità: la norma, infatti, prevede che qualora non sia possibile disporre la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo dei reati ivi menzionati, la stessa misura trova applicazione - per un valore corrispondente - su «beni, di cui il reo ha la disponibilità» (Cass. pen. n. 1096/2012).

Sul punto, giova subito precisare che è pacifica, sia in giurisprudenza sia in dottrina la distinzione fra intestazione formale e disponibilità sostanziale o effettiva dei beni ai fini della legittimità del sequestro c.d. preventivo.

È già stato precisato che la misura in esame può essere imposta, per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, sui beni di cui l'indagato abbia la disponibilità e, quindi, non solo sul denaro o sui cespiti di cui il soggetto sia formalmente titolare, ma anche su quelli rispetto ai quali egli possa vantare anche solo una disponibilità c.d. informale purché diretta ed oggettiva.

Un contributo particolarmente significativo proviene proprio dalla Relazione n. 30/13 della Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, nella parte in cui ha letteralmente chiarito che «la definizione di disponibilità dell'indagato, al pari della nozione civilistica del possesso, è riferibile a tutte quelle situazioni nelle quali i beni ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi» (Cass. pen. n. 15210/2012, Omissis, Rv. 252378).

Si è, in tal senso, precisato che rileva l'interposizione fittizia, vale a dire quella situazione in cui il bene, pur formalmente intestato a terzi, sia nella disponibilità effettiva dell'indagato o condannato.

Ai fini dell'operatività della confisca per equivalente, non è di ostacolo all'ablazione dei beni il deposito di una somma di denaro su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato (Cass. pen. n. 45353/2011, Omissis, Rv. 251317), l'inclusione dei beni nel fondo patrimoniale familiare (Cass. pen. n. 40364/2012, Omissis, Rv. 253681) o l'intestazione di un bene in comproprietà tra l'indagato ed un terzo estraneo (Cass. pen. n. 6894/2011, (...), Rv. 249539).

È necessario, però, che venga dimostrata dal pubblico ministero la disponibilità, secondo la nozione sopra delineata, del bene da parte dell'indagato e che quindi vi sia discrasia rispetto alla intestazione formale (cfr. Cass. pen. n. 38512/2016)».

La tematica si presenta di non facile applicazione concreta, stante l'eterogeneità delle situazioni che possono giungere all'attenzione del Giudice: tuttavia, a quanto consta, tutta la giurisprudenza di legittimità è orientata nel ritenere legittimo solo il sequestro di beni dei quali il coniuge-indagato abbia la disponibilità uti dominus.

«In tema di sequestro conservativo, ai fini della verifica dell'appartenenza dei beni mobili ed immobili all'imputato non rileva la formale intestazione dei beni ma la circostanza che l'imputato ne abbia la disponibilità uti dominus indipendentemente dalla titolarità apparente in capo ai terzi»:così si è espressa la Corte di Cassazionecon riferimentoad un caso di appartamento assegnato in sede di divorzio alla moglie ed ai figli di una persona indagata per frode fiscale (cfr. Cass. pen. n. 167/2018).

Il caso riguardava, appunto, una persona indagata per i delitti di cui agli artt. 2 e 5 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, commessi nell'ambito di una frode carosello, nei cui confronti il Tribunale del riesame di Forlì, con ordinanza del 12 luglio 2017, aveva confermato, per taluni immobili ad essa formalmente intestati, il decreto di sequestro preventivo finalizzato a confisca per equivalente.

La vicenda arrivò all'attenzione della Cassazione, su ricorso dell'indagato, che lamentava l'illegittimità dell'ordinanza di sequestro che avrebbe sottoposto a vincolo taluni immobili non rientranti nella sua disponibilità. Tale assunto - a detta del ricorrente - si fonderebbe sull'errata lettura di una clausola contrattuale inserita nell'accordo di divorzio, che, appunto, prevedeva l'assegnazione dell'immobile, oggetto di sequestro, alla moglie dell'indagato. Inoltre, lamentava il ricorrente, il Pubblico Ministero non avrebbe dimostrato l'effettiva disponibilità dei beni, oggetto di sequestro.

Con la pronuncia della sentenza n. 167/2018, la Corte di Cassazione ha accolto le doglianze del ricorrente e per l'effetto ha annullato l'ordinanza di sequestro, argomentando proprio sulla nozione di disponibilità, evidenziando come «la Corte di legittimità si è espressa in più occasioni, ritenendo che, nei casi di discrasia tra titolarità fittizia e disponibilità reale, si debba intendere una relazione effettuale con il bene medesimo connotata dall'esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, ossia di un rapporto uti dominus»(tra le altre, Cass. pen. n. 40286/2014, Cucci, 260305; Rv. Cass. pen. n. 22153/2013, Ucci e altri, Rv. 255950). «Conseguentemente, la res, seppur formalmente intestata a terzi estranei al reato, deve comunque ritenersi nella disponibilità dell'indagato anche quando, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientri nella sfera degli interessi economici del reo» (Cass. pen. n. 15210/2012, Costagliola ed altri, Rv. 252378).

Muovendo da tale assunto, i giudici hanno annullato l'ordinanza di sequestro poiché dai fatti di causa non emergeva alcun elemento atto a dimostrare la disponibilità da parte dell'indagato uti dominus dell'immobile sequestrato; difatti, ha puntualizzato la Corte «l'ordinanza impugnata non cita alcun dato che attesti un uso materiale del bene, sebbene formalmente intestato al reo».

Invero, si legge nella sentenza, “l'eventuale controllo economico/giuridico del bene potrebbe esser esercitato dall'indagato al più attraverso la madre, titolare della maggioranza delle quote della società proprietaria, ma di ciò non emerge neppure un accenno».

Di qui l'annullamento dell'ordinanza per carenza dei presupposti, ossia l'effettiva disponibilità dell'immobile assegnato all'ex coniuge, solo formante intestato al ricorrente.

Recentemente, la Corte di Cassazione è ritornata sull'argomento, in un caso di avvenuta esecuzione della misura cautelare su un immobile che in sede di accordi per la separazione fra coniugi era stato assegnato alla moglie separata per essere destinato ad abitazione di questa e delle figlie minorenni della coppia, ribadendo il principio convintamente condiviso in forza del quale «anche in caso di assegnazione della casa coniugale al coniuge in sede di accordi in tema di separazione personale, non viene meno il principio della disponibilità del bene in capo al conferente, presupposto dell'eventuale successiva confisca per equivalente».Tale fattore – prosegue la motivazione «id est la disponibilità del bene, costituisce, anzi, il necessario antecedente logico della possibilità di fare rientrare l'assegnazione del bene nell'ambito del regolamento patrimoniale dei rapporti intervenuto fra i due coniugi (Cass. pen. n. 12541/1997), senza peraltro, che effetto di tale assegnazione il coniuge beneficiario consegua «a titolo definitivo una posizione rispetto al bene caratterizzata da assolutezza, autonomia ed indipendenza rispetto alla posizione del suo coniuge dante causa» (Cass. pen. n. 2862/2019).

E ancora, la scissione fra titolarità formale e disponibilità effettiva del bene sequestrando potrebbe ricorrere nelle ipotesi in cui venga costituita una persona giuridica come apparato fittizio.

Con particolare riguardo al diritto di famiglia, si segnala il pacifico orientamento della Corte di Cassazione a mente del quale il sequestro preventivo può essere disposto anche su beni conferiti nel fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c., atteso che tale conferimento non trasferisce il diritto di proprietà (Cass. pen. n. 19099/2013).

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può avere ad oggetto beni inclusi in un fondo patrimoniale, in quanto su di essi grava un mero vincolo di destinazione che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti: così ha deciso la Cassazione con riferimento alla fattispecie relativa al sequestro del 50% di un immobile nella disponibilità del ricorrente, incluso in un fondo patrimoniale (Cass. pen. n. 40362/2016; in senso conforme ed in tempi più recenti Cass.pen. n. 57724/2018).

Sulla base delle considerazioni sopra riportate, prima di concludere, è fondamentale sottolineare l'importanza di non confondere la nozione di disponibilità di fatto detta anche effettiva o informale (rilevante ai sensi dell'art. 322 ter c.p.) con la mera disponibilità materiale intesa in senso civilistico come corpus: è evidente, infatti, che non può essere sequestrato un bene concesso in locazione all'indagato poiché la proprietà del bene è di un soggetto terzo, estraneo al reato.

Nella direzione di salvaguardare gli interessi dei terzi, pertanto, si è orientata la Suprema Corte quando ha deciso che non poteva essere disposto il sequestro dell'immobile donato dalla persona indagata per evasione fiscale al figlio minore, pur avendo il primo conservato l'usufrutto sul bene, «poiché non vi era la prova della fittizietà dell'intestazione ed era del tutto irrilevante che l'indagato fosse titolare del diritto di godimento dell'immobile».

Si arriva, infine, alla trattazione dell'ultimo punto di questo primo argomento, quello relativo alla prova della disponibilità effettiva del bene sequestrando in capo alla persona sottoposta alle indagini preliminari.

In particolare, secondo la pacifica giurisprudenza, la prova della disponibilità dei beni in capo all'indagato è a carico del P.M. (cfr. Cass. pen. n. 35771/2017 e Cass. pen. n. 36530/2015) con la conseguenza che «se è vero che il Giudice non ha l'onere di indicare i beni da sequestrare, è suo dovere farlo se gli elementi a disposizione glielo consentono (Cass. pen. n. 7675/2012, Rv 252095); ove ciò non accada il terzo che rivendichi soltanto la titolarità o la disponibilità esclusiva del bene pone comunque in discussione la legittimità stessa del sequestro proprio perché operato nei suoi confronti, sicché non può essere privato del diritto di far valere dinanzi al giudice del riesame le proprie ragioni solo perché il bene non è stato indicato nel decreto di sequestro ma è stato indicato in sede esecutiva in quanto ritenuto dal Pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria in disponibilità del reo» (cosìpunto c), seconda parte della motivazionedella sentenza in esame).

E' questa – anche a parere di chi scrive - l'unica soluzione condivisibile alla luce dell'interpretazione sistematica fin qui proposta.

Diversamente argomentando, infatti, se al terzo effettivo titolare del bene non fosse consentita la difesa già dinnanzi al Tribunale del Riesame, ci troveremmo – volendo utilizzare ancora una volta le argomentazioni della sentenza commentata – di fronte «all'inaccettabile conseguenza di considerare di fatto una condizione di legittimità del sequestro (quella che abbiamo indicato come la disponibilità uti dominus) alla stregua di una sua modalità esecutiva, con l'ulteriore conseguenza che in tal caso il terzo potrebbe proporre solo incidente di esecuzione e tuttavia assurdamente giovarsi della più ampia possibilità di impugnare l'eventuale provvedimento negativo per tutti i motivi indicati dall'art. 606 c.p.p.; ove invece il Giudice indichi nel provvedimento genetico i beni da sequestrare, il terzo potrebbe proporre richiesta di riesame del decreto e tuttavia impugnare l'eventuale provvedimento di rigetto solo per violazione di legge (art. 325 c.p.p.)».

Concludendo, a sostegno di una lettura sistematica che mira a consentire il contraddittorio già in sede processuale anche nei confronti di soggetti estranei, titolari di diritti sui beni oggetto di confisca, si ricorda che in dottrina si è sostenuto che l'obbligo ex art. 322 ter comma 3 c.p., per il giudice di determinare le somme di denaro o individuare il bene in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di pronuncia della sentenza di applicazione delle pena, rappresenta una garanzia a favore dei terzi ai quali è consentito il contraddittorio in sede processuale qualora siano gli effettivi titolari dei beni oggetto di confisca.

Tornando alla sentenza in commento, sebbene incidentalmente, nel paragrafo 3.6 dopo aver ricordato che «… nel caso di specie, il Tribunale (del Riesame) non contesta l'immediata efficacia traslativa della proprietà del bene assegnato al coniuge in sede di omologazione della separazione consensuale del 26 aprile 2017 ma deduce la non opponibilità dell'omologazione perché non trascritta prima del sequestro …, decide che – ai fini penali – poco importa che il decreto di omologa non sia trascritto poiché tale decreto comporta l'immediato trasferimento del bene a favore della ricorrente che resta unica proprietaria del bene»: siamo così giunti alla seconda questione evidenziata in premessa.

Il suddetto inciso, infatti, desta specifico interesse in quanto consente di svolgere alcune riflessioni sul tema della trascrivibilità dei verbali di separazione omologati (ma analoghe considerazioni potrebbero valere per il divorzio su domanda congiunta), aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari.

Partendo dal presupposto che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei suoi aspetti formali dall'art. 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza e ne subordina l'efficacia all'omologazione, attribuita alla competenza del Tribunale, ricordiamo che gli accordi raggiunti dai coniugi in questa sede hanno un contenuto essenziale, il consenso reciproco a vivere separati, ed un contenuto eventuale, quali possono essere, appunto, le clausole che riconoscono ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di singoli beni mobili od immobili (Cass. civ. n. 12110/1992), ovvero ne operano il trasferimento in favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento (Cass. pen. n. 3299/1972) o, ancora, impegnano uno dei coniugi a compierlo (Cass. civ. n. 9500/1987). Detto accordo, «in quanto inserito nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice a norma dell'art. 126 c.p.c. e diretto a far fede di ciò che in esso è attestato, deve ritenersi assuma la forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti di cui all'art.2699 c.c. costituendo, in quanto tale - dopo l'omologazione che lo rende efficace - titolo per la trascrizione, a norma dell'art. 2657 c.c., ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari» (così Cass. pen. n. 4306/1997, Rv. 504372 – 01).

Nel caso in cui non si ritenesse possibile trascriverli, l'autonomia contrattuale dei coniugi, in sede di separazione o di divorzio, incontrerebbe un grande limite, perché sarebbero consentiti esclusivamente accordi avente natura obbligatoria e non reale.

Non potendosi in questa sede esaminare l'articolato dibattito, ci si limita a ricordare che la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, propende per l'efficacia traslativa immediata e per la conseguente trascrivibilità di detti accordi, considerando «pienamente valide le clausole dell'accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d'udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell'art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi».

I Tribunali di merito, invece, sono divisi tra quanti riconoscono possibile il trasferimento diretto e quanti, invece, soltanto quello obbligatorio – pur sempre tutelabile in caso di inadempimento con il rimedio di cui all'art. 2932 c.c.

Questo secondo orientamento, dominante (Tribunale di Torino, Tribunale di Milano, Tribunale di Roma, Tribunale Palermo) si fonda su alcuni dati legislativi, dai quali emerge che il legislatore ha demandato al notaio e non ad altri operatori il compito di individuare ad esempio la c.d. conformità catastale oggettiva (art. 29 legge n. 47/1985) e di verificare il rispetto di norme edilizie o tributarie (D.P.R. n. 380/2001): il controllo del notaio, pubblico ufficiale selezionato e a ciò formato, non può essere sostituito da quello del giudice della separazione o del divorzio, ostandovi la diversità di ruolo e di funzioni.

Guida all'approfondimento

Crespi, Stella, Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Padova, 2017

Mancini, Trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione e di divorzio. Inquadramento sistematico, uso ed abuso, in Notariato, 6/2009

Pagliani, Separazione consensuale, in ilfamiliarista.it, 2015

Relazione n. 30/13 - Corte Suprema di Cassazione - Ufficio del Massimario e del Ruolo - Servizio penale - Roma, 2 luglio 2013 Relazione di orientamento di giurisprudenza

Ruvolo, Autonomia negoziale dei coniugi nella crisi della famiglia, in ilfamiliarista.it, 2017

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