Insinuazione al passivo di crediti di lavoro
09 Aprile 2019
Nei casi di procedure concorsuali (es: fallimento o concordato) come devono essere determinati i crediti dei lavoratori per le prestazioni di lavoro non corrisposte e da insinuare al passivo o da ricomprendere nell'elenco dei crediti?
L'esatta determinazione della somma complessiva per la quale il lavoratore è legittimato ad insinuarsi all'interno della procedura concorsuale è oggetto di dibattito tra due differenti teorie. Una prima teoria tende a definire legittima l'azione del lavoratore che rivendica i propri crediti limitatamente all'imponibile fiscale, mentre una seconda tesi indica che la richiesta del lavoratore debba spingersi anche a far rientrare tra i propri crediti l'intero imponibile previdenziale. Per quanto attiene alla prima ipotesi (più dettata dalla prassi che da norma) si circoscrive il credito del lavoratore solamente all'imponibile fiscale. Tale comportamento scaturisce dall'applicazione del c.d. “principio di cassa” secondo il quale l'obbligo di imposizione fiscale sorge quando la retribuzione è effettivamente corrisposta, in maniera indipendente rispetto alla maturazione della stessa. Le somme da ammettere alla massa creditoria sono quelle ancora non percepite (e che per l'appunto si rivendicano) e quindi devono essere determinate come ancora da assoggettare ad imposizione fiscale. La seconda teoria invece, che potremmo definire “dell'imponibile previdenziale”, ritiene che sia esigibile dal creditore anche la somma dei contributi previdenziali di competenza del lavoratore. Tale convinzione, che riprende i dettami di cui all'art. 23 della L. n. 218/1952 e nettamente favorevole al lavoratore, deriva dalla considerazione che l'intera retribuzione maturata sia quella globale e contrattuale, comprensiva dei contributi previdenziali definiti al momento dell'instaurazione del rapporto di lavoro. La scelta di quest'interpretazione segue contemporaneamente anche il principio di irriducibilità della retribuzione, così come anche il principio di competenza e del rispetto degli obblighi dei versamenti a carico del datore di lavoro. A sostegno di quest'ultima linea interpretativa, ed in contrasto rispetto ad alcune prassi utilizzate in passato, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con una sentenza del 17 novembre 2016, n. 23426. Tale sentenza ha chiaramente precisato che il credito retributivo del lavoratore può essere ammesso al passivo all'interno della procedura concorsuale al lordo della quota di contributi posta a carico dello stesso lavoratore, anche poiché tale quota, in caso di mancato pagamento dei contributi entro il termine, rimane definitivamente a carico del datore di lavoro. Per conseguenza di ciò il credito retributivo del lavoratore si estende anche alla quota contributiva posta a suo carico e pertanto andrà riconosciuto l'intero ammontare, in osservanza all'art. 2751-bis c.c.. Allo stesso tempo però il credito retributivo del lavoratore non può essere ammesso al passivo al lordo anche della quota posta a carico del datore di lavoro. Non può essere un diritto del lavoratore invocare in proprio favore l'adempimento dell'obbligazione contributiva, in quanto soggetto terzo rispetto ad un rapporto esclusivo, per questa quota, tra il datore di lavoro e l'ente previdenziale.
Riferimenti normativi - dell'art. 23 della L. n. 218/1952 (onere dei contributi a carico del datore di lavoro), Art. 2751-bis c.c. (Crediti per retribuzioni e provvigioni…), Corte di Cassazione 17 novembre 2016 n. 23426 (Insinuazione al passivo da parte del dipendente per retribuzioni e per contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro).
Le motivazioni della giurisprudenza - Il nucleo centrale della motivazione addotta dalla cassazione si definisce principalmente in tre punti:
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